METEORE: EXORCIST

Primo ed unico disco di una band misteriosissima, dietro la quale si celano in realtà gli statunitensi Virgin Steele (i nomi dei componenti degli Exorcist sono del resto palesi pseudonimi).

ExorcistNightmare Theatre

L’uscita di questo disco nel 1986 venne subito accompagnata dalla voce secondo la quale dietro alla band degli Exorcist (che in effetti nessuno aveva visto in faccia e che non si esibivano dal vivo), si celassero in realtà i newyorkesi Virgin Steele, campioni dell’epic metal e dell’hard rock più cromato di gran classe desiderosi di misurarsi con un album thrash, allora al culmine della popolarità, specie in America. La biografia ufficiale degli Exorcist affermava soltanto che il quartetto proveniva dalle terre canadesi. Da parte sua, il vocalist dei Virgin Steele, il cantante e tastierista David De Feis, non fece altro che negare ogni forma di coinvolgimento suo e dei suoi compagni d’arme. Tutti, peraltro, si convinsero della cosa, che oggi viene in buona sostanza data per assodata. Le coincidenze, d’altra parte, non erano poche: ambedue le band appartenevano alla scuderia della Cobra, erano prodotte da De Feis stesso e impiegavano il medesimo studio di registrazione, il Sonic Sound. Inoltre, dopo che Nightmare Theatre fu stampato, gli Exorcist scomparvero nel nulla: una vera meteora, insomma. Lo sfogo thrash dei Virgin Steele, ristampato giusto un anno fa dalla HR Records in edizione doppia, è da riascoltare: un thrash assai oscuro e tetro, non distante da certo horror metal di qualità, intriso di atmosfere dark e con una gran dose di occulta ferocia sonora. Detto altrimenti: un classico, con titoli e testi degni delle evil stories di King Diamond.

Track list
1- Black Mass
2- The Invocation
3- Burnt Offerings
4- The Hex
5- Possessed
6- Call For the Exorcist
7- Death By Bewitchment
8- The Trial
9- Execution of the Witches
10- Consuming Flames of Redemption
11- Megawatt Mayhem
12- Riding to Hell
13- Queen of the Dead
14- Lucifer’s Lament
15- The Banishment

Line up
Damian Rath – Vocals
Marc Dorian – Guitars
Geoff Fontaine – Drums
Jamie Locke – Bass

Clouds – Dor

I cinquanta minuti di musica contenuti in Dor sono lo stato dell’arte del death doom melodico in questo momento, in quanto mi riesce difficile immaginare altre band oggi, se non i soli Saturnus, capaci di sollecitare con la stessa continuità le corde emotive degli appassionati.

Credo d’aver già parlato più volte (magari a sproposito) dell’effetto catartico che le forme più oscure e malinconiche del doom possono rivestire nei confronti degli spiriti maggiormente sensibili, specialmente quando si ritrovano a dover mettere assieme i cocci di una fragile esistenza.

La musica è il collante ideale per provare, se non a risolvere, sicuramente a riassemblare parzialmente quanto il corso della vita sta provando a mandare in frantumi e, in tal senso, in coincidenza dell’uscita di ogni album che vede coinvolto Daniel Neagoe, sia con gli Eye Of Solitude sia con il suo più recente progetto Clouds, è un po’ come avere la possibilità di ascoltare le parole di un amico che, invece di edulcorare inutilmente la realtà, decide di mostrare tutto il dolore del modo facendo scendere lacrime liberatorie e purificatrici.
Daniel, rispetto a molti altri grandi del settore, ha una prolificità compositiva che lo contraddistingue in maniera decisiva: per fare un esempio, negli ultimi sei anni, il tempo necessario per ascoltare un nuovo (capo)lavoro degli Evoken dopo Atra Mors, il musicista rumeno con le sue due band principali ha pubblicato complessivamente ben sette full length ed un numero considerevole di ep e singoli, tutto materiale di spessore artistico incommensurabile.
Rispetto agli EOS, con i Clouds Neagoe esplora il lato più melanconico e atmosferico del doom, coerentemente con quello che era stato l’intento manifestati all’epoca dell’esordio con Doliu, ovvero quello di omaggiare la memoria di chi non è più tra noi.
Tutto questo porta il sound di un album stupendo come Dor ad essere quasi antitetico per approccio al capolavoro degli Eye of Solitude che fu Canto III: mente in quel caso il senso della tragedia e del fallimento umano, nella vana ricerca di un senso all’esistenza, era qualcosa di tangibile, quasi fisico, ed esibito in maniera mirabilmente drammatica, qui il dolore è meno intenso e più soffuso, reso sopportabile nel suo essere diluito lungo brani intrisi di splendide melodie ed interpretati magistralmente dallo stesso Daniel e dagli ospiti che, come di consueto, arricchiscono ogni lavoro targato Clouds.
I cinquanta minuti di musica contenuti in Dor sono lo stato dell’arte del genere in questo momento, in quanto mi riesce difficile immaginare altre band oggi, se non i soli Saturnus, capaci di sollecitare con la stessa continuità le corde emotive degli appassionati, i quali non potranno che essere soggiogati dalla bellezza di questi sei brani dall’incedere struggente e in grado di indurre alla commozione dalla prima nota di Forever and a Day all’ultima di Alone.
The Last Day Of Sun è un grido di dolore in cui la disperazione (No one to hear my endless story / No one to set me free) si alterna alla disillusione, una prova di sommo lirismo che Daniel ci regala, assieme alla limpidezza di When I’m Gone, in cui ritroviamo la gradita partecipazione della bravissima Gogo Melone, e all’abbandono di The Forever Sleep, interpretata magistralmente da Pim Blankenstain (Can I close my eyes / This must be the night I die / Never to wake up again / The forever sleep and no more pain).
Il finale della title track è letteralmente lacerante nel sua tragica bellezza, mentre in Alone si può apprezzare lo splendido operato della giovane violinista Irina Movileanu, il cui tocco avvicina non poco il brano agli episodi più evocativi dei sempre imprescindibili My Dying Bride.
I Clouds odierni ripropongono la line-up a forte componente rumena già vista all’opera dal vivo quest’anno che comprende, oltre all’appena citata Irina, la base ritmica dei Descend Into Despair (Alex Costin e Luca Breaz) ad accompagnare l’ormai consolidata presenza dell’altro loro compagno Xander Coza alla chitarra, ai quali si aggiunge Indee Rehal-Sagoo, il quale non collaborava in studio con Neagoe dai tempi di Canto III; non so se tutto questo abbia contribuito a rendere i Clouds (al netto della sempre gradita partecipazione dei vari ospiti) un qualcosa di più vicino che in passato all’idea di band canonica, fatto sta che Dor si rivela a mio avviso il punto più alto di una discografia già comprensiva di gemme come Doliu, Departe e lo stesso Destin, ma indipendentemente da ciò, l’importante è sapere che “l’amico” di cui si parlava all’inizio è sempre lì, pronto a renderci più sopportabili i rovesci e le sventure dell’ esistenza esibendone senza filtri la sua ineluttabile caducità.

Tracklist:
1. Forever and a Day
2. The Last Day of Sun
3. When I’m Gone
4. Dor
5. The Forever Sleep
6. Alone

Line-up:
Alex Costin – Bass
Luca Breaz – Drums
Indee Rehal-Sagoo – Guitars
Xander Coza – Guitars
Daniel Neagoe – Vocals, Guitars, Bass, Drums, Keyboards
Irina Movileanu – Violin

Guests :
Gogo Melone – vocals on 3.
Pim Blankestein – vocals on 5.

CLOUDS – Facebook

F.U.A. – Socially Transmitted Disease

Socially Transmitted Disease è una bomba sonora di punk rock/metal composta da quattordici diretti in pieno volto, travolgente e perfetto per non fare prigionieri dall’alto di un palco.

Quando si ha a che fare con la Wormholedeath non si sa mai dove si andrà a parare (musicalmente parlando).

Ecco che tra rock alternativo, metal classico, death metal, tormenti gotici e sinfonie spuntano gli olandesi F.U.A. a confermare l’assoluta varietà stilistica del roster della label.
Il quartetto orange, infatti, ci presenta il primo full length, Socially Transmitted Disease, una bomba sonora di punk rock/metal composta da quattordici diretti in pieno volto, travolgente e perfetto per non fare prigionieri dall’alto di un palco.
Capitanati dalla cantante Daphne Detleij, il gruppo è volato ai Real Sound Studio e con Wahoomi Corvi e la supervisione del boss dell’etichetta hanno dato vita a questa esplosione di suoni ispirati dal punk rock anni ottanta, ma che lascia spazio ad influenze alternative e potenza metal, per un risultato che accontenterà vari tipi di ascoltatori.
Una raccolta di brani, quindi, in cui si evidenzia questo ibrido stilistico, convincente in ogni sua parte, rock nella sua anima più ribelle e sguaiata che guarda al passato ma lascia aperte le porte a moderni input stilistici, tra impatto potente e metallico ed approccio punk rock.
L’album parte con l’opener Cheers, passa per la clamorosa Blame It On The Weed (con tanto di stacchetto reggae, che tanto sa di Clash o di Rancid) e non trova ostacoli lungo tutta la sua durata: it’s only rock ‘n’ roll direbbe qualcuno, e sicuramente tra lo spartito di Fake, I Want To It You In The Face e Make Punk Great Again troverete ottime scuse per ridurvi la fronte in un ammasso di poltiglia sanguinolenta, spaccata contro la parete a colpi di punk/rock/metal/core dei F.U.A.

Tracklist
1. Cheers
2. Blind
3. M.O.U.S.
4. Blame it on the weed
5. Fake
6. Make Punk Great Again
7. Hey, Hello!
8. Love You
9. Riot
10. I Want To Hit You In The Face
11. Fuck You Anyway
12. S.T.D.
13. Wankers in Blue
14. Psychotic

Line-up
Daphne Detleij – Vocals
Sander Pietersen – Drums
Robbert Vanderbijl (Bakkie) – Bass
Mitchell Verschoor – Guitars

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The Fog Ensemble – Throbs

Throbs è un’opera che vive di emozioni e del gioco fra la poca luce e la molta oscurità e la nebbia ovviamente, quella coltre che spesso cala maggiormente dentro di noi piuttosto che fuori di noi, e che ci cela l’andamento della vita.

I The Fog Ensemble sono un gruppo greco forse fra i più originali al mondo, e non si sta esagerando.
La loro musica è una strana ed esplosiva miscela di shoegaze, post punk, minimalismo e psichedelia molto non convenzionale.

Throbs è un’opera che vive di emozioni e del gioco fra la poca luce e la molta oscurità e la nebbia ovviamente, quella coltre che spesso cala maggiormente dentro di noi piuttosto che fuori di noi, e che ci cela l’andamento della vita. Il gruppo greco usa tutti gli elementi in suo possesso per fare una musica che colpisce al cuore chi ama le distorsioni che portano la propria anima in un altro posto. Vi sono molte influenze e sono quasi tutte inglesi, perché si può dire quello che si vuole, ma la terra di Albione in quanto a distorsioni malinconiche è sempre al primo posto. I The Fog Ensemble hanno inciso il disco nello studio degli Shellac, e qualcosa anche del gruppo americano è rimasto all’interno del disco, ma la quasi totalità è opera loro. Il disco ha un andamento lento e dolcemente mortale, come un’incredibile dolcezza che ti possiede prima della fine, ci sono momenti ripetitivi e paranoici, e al contempo immense aperture melodiche che si schiudono quando meno te lo aspetti. I brani sono totalmente strumentali e ciò conferisce loro una forza che forse le parole avrebbero disperso, o forse no, ma ascoltando questi brani strumentali la meraviglia è comunque tanta. Raro è l’ascolto di un disco che non sai cosa ti possa riservare, e Throbs è una continua sorpresa, anche grazie ad un uso sapiente dell’elettronica che va a coadiuvare gli altri strumenti in maniera molto adeguata. Ogni canzone è un potenziale singolo per accompagnare dolci e tremendi momenti di smarrimento, e questo disco è un continuo perdersi dentro la musica, recuperando quel gusto antico di ascoltare un disco da capo a piedi, senza mai staccare, o solo per girare il lato. Un lavoro estremamente completo ed ipnotico, per gli amanti di varie sonorità, e soprattutto per chi apprezza la musica che scatena un vortice di emozioni.

Tracklist
01. Lighthouse
02. Droog Party
03. Fever Bliss
04. Weather Girl
05. False Moves
06. Throbs
07. Breathe

Line-up
Antonis Karakostas – Guitars,Loops,Programming
Nicholas Kondylis – Bass
George Nanopoulos – Drums

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Athrox – Through The Mirror

La band, dotata di una personalità debordante, ci travolge con la sua raffinata e drammatica potenza, i brani si susseguono, storie e problematiche di tutti i giorni vengono raccontate attraverso uno specchio, mentre la musica segue la narrazione tra spettacolari e cangianti momenti di metal dall’alta potenze espressiva.

Dopo due anni dal bellissimo esordio Are You Alive?, puntualmente recensito da MetalEyes, tornano tramite Revalve Records gli Athrox, band toscana che suona heavy/thrash metal dai molti ricami progressivi e dalle ispirazioni che trovano le proprie radici nel nobile e raffinato metallo statunitense.

La band, fondata dal chitarrista Sandro Seravalle e del batterista Alessandro Brandi quattro anni fa, alza il tiro con questo secondo lavoro dal titolo Through the Mirror, registrato, mixato e masterizzato presso gli studio Outer Sound Studio di Giuseppe Orlando, presentandoci dieci perle metalliche che alternano atmosfere drammatiche, sferzate di rabbioso thrash metal e splendidi momenti di raffinata musica dure progressiva.
Assolutamente all’altezza è la prova dei musicisti su cui si staglia la voce del cantante Giancarlo Picchianti, migliorato in modo esponenziale rispetto alla comunque ottima performance sul primo lavoro, che risultava più classicamente heavy rispetto a questo secondo gioiellino heavy/thrash/prog metal.
La band, dotata di una personalità debordante, ci travolge con la sua raffinata e drammatica potenza, i brani si susseguono, storie e problematiche di tutti i giorni vengono raccontate attraverso uno specchio, mentre la musica segue la narrazione tra spettacolari e cangianti momenti di metal dall’alta potenze espressiva.
Gli Athrox si fanno preferire quando l’irruenza thrash prende il comando delle operazioni, mantenendo comunque un tocco progressivo che non inficia l’ascolto anche di chi, senza tanti fronzoli, preferisce in impatto diretto (Ashes Of Warsaw, Decide Or Die), anche se l’album risulta vario ed assolutamente difficile da catalogare in un solo genere.
Meritano una menzione la progressiva opener Waters Of The Acheron, la potente Sadness n’ Tears e la conclusiva Fallen Apart, ma è l’ascolto in toto di questo lavoro che vi porterà a segnarvi la band toscana come uno dei gruppi più convincenti di questo ultimo periodo dell’anno in corso.

Tracklist
1.Waters of the Acheron
2.Ashes of Warsaw
3.Empty Soul
4.Through the Mirror
5.Imagine the Day
6.Decide or Die
7.Sadness n’ Tears
8.Fragments
9.Dreams of Freedom
10.Fallen Apart

Line-up
Giancarlo “IAN” Picchianti – Lead Vocals
Sandro “SYRO” Seravalle – Guitars
Francesco “FRANK” Capitoni – Guitars
Andrea “LOBO” Capitani – Bass Guitars
Alessandro “AROON” Brandi – Drums

ATHROV – Facebook