MALAMORTE

Il lyryc video di “Antichrist”, dall’album “Hell For All” in uscita a gennaio (Rockshots Records).

Il lyryc video di “Antichrist”, dall’album “Hell For All” in uscita a gennaio (Rockshots Records).

Malamorte; the side project of Alex Nunziati (Lord Vampyr, Cain, Nailed God, Shadowsreign, Sepolcrum, ex VII Arcano, ex Theatres des Vampires) is a ferocious evil metal band hailing from Italy. Telling tales of the occult, mysticism and more with a back drop of power, thrash and black metal, the band will be offering their third full length “Hell For All” via Rockshots Records on January 25, 2019 (Europe) and February 8, 2019 (North America). Ready to resurrect the “Antichrist”, the band is sacrificing their first lyric video in support of the album.

“Hell For All” was written as a cohesive album, with each song being composed in a complementary fashion to the rest of the tracks. Compared to their 2016 album “Devilish Illusions”, this new record brings more thrash and power elements as the band deviates from their black metal origins.

Keeping the listener in mind, Malamorte desires to formulate a trip, one that “alternates hard times to more reflective or lighter moments” and can be played on repeat with each new listen creating a new perspective. Quality and energy are the primary focuses for these Italians, who allow their fans to escape into an alternate reality and cite influences from a broad range of musical greats including Mercyful Fate, King Diamond, Iron Maiden and Slayer.

Track Listing:
1. Advent (0:49)
2. Antichrist (4:16)
3. Warriors of Hell (4:35)
4. Holy or Unholy (5:47)
5. Mother (4:55)
6. Hell For All (4:42)
7. Son (4:47)
8. The Worshipers of Evil (3:50)
9. Satan’s Slave (5:07)
10. God Is Nothing (4:38)
Album Length: 43:31

For More Info:
www.rockshots.eu
http://malamorte.wixsite.com/malamorte
https://www.facebook.com/Malamorte-1549227968623731/

BIO:

MALAMORTE is a side project of Alex Nunziati (Lord Vampyr, Cain, Nailed God, Shadowsreign, Sepolcrum, ex VII Arcano, ex Theatres des Vampires) and was born in 2009. The first album “The Fall of Babylon” was recorded in 2009 and out on CD and tape in 2014. In 2015 “Devilish Illusions” is out, produced by MurdHer Records & Satanath Records. In 2016 they went to the studio in October to record the new album. After two album of Heavy/Black Metal the new way for the next album is oriented towards Occult/Doom Heavy Metal sound (Mercyful Fate, Black Sabbath). In March 2017, Malamorte signed a worldwide deal with Pure Steel Records and in June 2017 the new album “Satan Goes to Heaven to Destroy the Kingdom of God” was released.

Silver Dust – House 21

Un mix di Type O Negative, Sisters Of Mercy e Secret Discovery in versione Grand Guignol, con qualche passaggio estremo e modern metal: un buon ascolto per gli amanti dei suoni gothic/dark del nuovo millennio.

Il mondo del rock da Grand Guignol si arricchisce di un altro spettacolo, questa volta offerto da un quartetto di artisti, musicisti ed eleganti anime nere chiamato Silver Dust, capitanato dal chitarrista e cantante Lord Campbell che, tramite la Escudero Records, licenzia la seconda opera della sua carriera intitolata House 21.

Dieci brani (più la cover del classico Bette Davis Eyes portato al successo dalla cantante Kim Carnes e che vede come ospite Mr.Lordi), è quello che ci propongono questi alternative gothic rockers francesi, saliti sul palco di un virtuale teatro nei sobborghi parigini per dar vita al concept di House 21, in un’atmosfera di grigio e nebbioso mondo gotico, animato da accenni al metal moderno, danze tribali ed arrangiamenti magniloquenti che a tratti arricchiscono il sound.
I Silver Dust cercano di variare le atmosfere rimanendo legati ad un mood horror rock convincente, anche se la moltitudine di sfumature che compongono il mondo musicale creato dalla band a tratti porta leggermente fuori tema.
The Unknown Soldier, Forever e The Witches Dance sono i brani migliori di questo mix di Type O Negative, Sisters Of Mercy e Secret Discovery in versione Grand Guignol, con qualche passaggio estremo e modern metal: un buon ascolto per gli amanti dei suoni gothic/dark del nuovo millennio.

Tracklist
1.Libera Me
2.The Unknown Soldier
3.House 21
4.Forever
5.Once Upon A Time
6.La La La La
7.Bette Davis Eyes (feat. Mr.Lordi)
8.This War Is Not Mine
9.The Witches Dance
10.It’s Time
11.The Calling

Line-up
Lord Campbell – Vocals, guitar
Tiny Pistol – Guitars, vocals
Kurghan – Bass
Mr.Killjoy – Drums

SILVER DUST – Facebook

Australia: alla scoperta musicale di un’isola

Il rock australiano è stato e rimane un caso a sé stante nel quadro musicale internazionale.

Se da una parte è nato, anche e soprattutto, importando quanto si andava facendo nel mondo anglofono, per un altro verso, ciò ha messo capo molto spesso ad una attenta e personale opera di rielaborazione e di trasformazione artistica di codici e veicoli espressivi, nati altrove e rimodellati in maniera creativa e originale.
Va altresì detto che numerosi solisti o gruppi aussie hanno dovuto prima o poi, per potere emergere e farsi strada, attraverso platee più vaste, emigrare, per ovvie ragioni principalmente nella Gran Bretagna (qualcuno pure in America). A Canterbury, sul finire degli anni Sessanta, finì Daevid Allen, fondatore come noto dei Gong, solo per fare qui un probante ed illustre esempio.

Quando si parla di Australia, giustamente, i primi nomi a venire in mente sono quelli dei Bee Gees e degli AC/DC. Tuttavia, anche di altri si deve parlare. Gli anni Settanta hanno visto nascere i Jet (fra glam rock e AOR), gli hard-doomsters Buffalo (i Black Sabbath australiani), i Rose Tattoo (emuli di Angus Young e compagni, attivi anche in Inghilterra, all’inizio con il nome di Tatts), la Little River Band (che nell’arco della sua sterminata discografia – ben 28 titoli! – ha saputo passare dal pop-soft rock più di maniera ad un ottimo AOR pomp sulla scia di Styx, Yes e Foreigner), i Cold Chisel (con nove album di r ‘n’ b in carniere tra il 1974 e il 1989, da Adelaide).
In realtà, fin dagli anni Sessanta, il rock è stato presente in Australia. Il beat è stato importato dagli Easybeats e dai Master’s Apprentices. Grande prog è quindi venuto, nella decade successiva, con i romantici Aleph (1977: tra Yes e Starcastle, con belle melodie, americaneggianti), fusion-progsters quali Sebastian Hardie e Windchase (tre grandi dischi, tra il 1975 e il 1979, fra Camel e Santana), gli Spectrum (passati dal singolare country psichedelico-avanguardistico degli esordi al progressive con Moog della maturità), i Galadriel (un solo e raro vinile, nel 1971, di psych-blues leggero), gli Headband (anche loro del 1971 ed analoghi a tanti gruppi West Coast), i Rainbow Theatre (molto ridondanti, quasi musical, per via degli eccessi di archi e fiati), i Bakery (1971: jazz rock, difficile da reperire), i Chetarca (più orientati sul rock & roll, con momenti anche alla Tom Jones), l’unico long playing del polistrumentista Chris Neal (1974: un bel prog classicheggiante e tastieristico, alla Mike Oldfield, con drum machine), i Mackenzie Theory (due interessanti lavori di jazz rock molto sinfonico tra il 1973 e il 1974, entrambi per la Mushroom, con una viola elettrica impegnata a citare John Cale dei Velvet Underground) ed i Kahvas Jute del grande Bob Daisley – destinato alla fama con Ozzy Osbourne, Gary Moore, Uriah Heep e Rainbow – sospesi tra l’eredità dei Black Sabbath e quella degli Atomic Rooster, riscritta in una chiave più underground: per loro un solo album, Wide Open, uscito per la Infinity nel 1971, con intriganti frangenti hard-blues e proto-fusion.
Fondamentale, in Australia, anche la scena elettronica. Gruppo di punta sono stati i Cybotron, nati nel 1975, per iniziativa di Steve Maxwell Von Braund. I primi due album erano ancora acerbi, nella loro un po’ ingenua e derivativa psichedelia (Cybotron del 1976 e Colossus del 1978). Dopo il live Saturday Night (1979), il gruppo realizzò il proprio capolavoro con il penultimo disco, Implosion, letteralmente dominato da un coinvolgente space rock elettronico, in cui gli echi cosmici di matrice teutonico-kraut rock si combinavano con l’amore per i paesaggi sonori delineati da Klaus Schulze, primi Ash Ra Tempel e Tangerine Dream. Ancora un disco, il sintetico e new wave oriented Abbey Moor (1981) e quindi un immeritato scioglimento. L’eredità dei Cybotron è stata raccolta, in tempi a noi più recenti, dai Brainstorm (da non confondersi con quelli tedeschi degli anni Settanta): gruppo di space rock elettronico innamorato dell’astronomia e della sua storia (Keplero in particolare). Tra i loro non pochi lavori, il migliore resta forse il terzo Tales of the Future (1997). I Brainstorm inoltre hanno contribuito al tributo collettivo agli Hawkwind di Daze of the Underground (2003).
Tuttavia, il più celebre ed importante gruppo di prog rock australiano rimangono gli Aragon, i quali incisero per la piccola Ugum – volenterosa e piccola label inglese, responsabile anche di ristampe dei Twelfth Night – il loro capolavoro, nel 1988: Don’t Bring the Rain, intarsiato di belle atmosfere marillioniane. Più moderno e neo-prog il sound dei tre lavori successivi, pubblicati dalla purtroppo disciolta olandese SI Music – Rocking Horse (1990), il mini Mouse (1991) e The Meeting (1992) – e il malinconico epitaffio The Angel’s Tear, registrato anch’esso nel 1990 ed edito, in seguito, per la Labra d’Or.

Dal 1974 al 1978 furono attivi a Sidney gli storici Radio Birdman, gli Stooges d’Australia: due LP per la Sire e poi sporadiche riformazioni da parte di questo gruppo seminale, che ha lasciato segni e profondi e indelebili nel punk australiano (gli X e i Saints, anche se questi secondi si trasferirono in Inghilterra e punk lo furono davvero per poco) e nel post-punk. Autentici maestri in questo secondo filone furono, sorti dalle ceneri dei Boys Next Door, i Birthday Party di Nick Cave. Trasferitosi in Gran Bretagna anche lui, il cantautore australiano ha in seguito avviato, si sa, una notevole carriera mainstream, prima di fondare pochi anni fa i Grinderman, esponenti del rock alternativo di marca aussie sulla scorta dei connazionali Died Pretty e Go Betweens. Indimenticabili, citati anche nella enciclopedia di Dennis Meyer, gli storici Midnight Oil, vero e proprio trait-d’union fra UK punk e US hard. Una band longeva ed importante, da riascoltare con la dovuta attenzione.
Fenomenali, in linea con i Birthday Party, sono stati poi i Crime and the City Solution, formidabili nel proporre un post-punk sperimentale ed intriso di dark, dissonante e debitore tanto verso Captain Beefheart quanto nei riguardi dei Père Ubu. Più morbide, ammalianti e dai risvolti talvolta cosmici, le atmosfere sognanti di grandi band della Australia anni ’80, come Church, Stems e Scientist. Nel caso di questi ultimi troviamo ancora una volta l’eredità dell’Iggy Pop meno addomesticato. Quanto ai Church, rispetto ai primi lavori risulta forse preferibile il più maturo e completo Forget Yourself (2003), quasi progressivo nei suoi rimandi a Robert Fripp, Adrian Belew, U2 e Eno, disco di space-dark atmosferico e moderatamente sintetico, con fascinosi pad ambientali.
Se Hoodoo Gurus ed Hard Ons sono stati in quel decennio l’equivalente del Paisley Underground, ancora meglio hanno fatto i Dead Can Dance, di Lisa Gerrard e Brendan Perry, tra gothic dark stile prima Siouxie-Cocteau Twins e tastiere ambient, dai tocchi medievaleggianti e rinascimentali, non senza opportune ed azzeccatissime incursioni in territori afro (prima di perdersi nella world music, il cui successo ha veramente inghiottito fior fiore di artisti altrimenti preparati).

Molto popolari nel corso degli anni Ottanta sono stati in Australia gli INXS (nel periodo 1980-1984 synth-rock alla Ultravox, successivamente hard pop di spessore), i gradevolissimi Icehouse e Flash and the Pan (ambedue padrini del techno-pop nell’emisfero australe), i Men at Work (in bilico tra new wave e AOR alla Cristopher Cross) e i Real Life dell’indimenticato singolo Send Me an Angel, con uno dei giri di sintetizzatore più belli e famosi della storia.
Oggi, la scena metal e rock australiana è più viva che mai, in linea con la sua grande tradizione. In ambito sleazy-street, abbiamo i Dead Daisies (che in Australia fanno base), i Wolfmother (alfieri del ritorno al più grintoso e sanguigno hard settantiano), i meravigliosi Night Terrors (tra i migliori esponenti odierni dello space rock hawkwindiano: futuristici, siderali ed oscuri), Red Shore e Thy Art Is Murder (campioni del death-core), i Tame Impala (in vero alquanto sopravvalutati ed assai commerciali nel settore del pop neo-psichedelico, di Perth), i grandiosi Vanishing Point (tra AOR e prog metal sinfonico), i Mournful Congregation (signori del funeral doom), i Foetus (i Nine Inch Nails australiani, sorti nel lontano 1981), i Dirty Three (post rock strumentale, da Melbourne) ed i Pirate, realmente entusiasmanti, nel loro inimitabile mix di Rush e Voivod, King Crimson e primi Pink Floyd.
Particolarissimo il caso dei validi Mortification, una band cristiana, che si muove abilmente fra le scuole thrash e death statunitensi, il groove metal dei Pantera e il grindcore dei Napalm Death. Sono nati nel 1987, vicino a Victoria, e tuttora attivi. Altri nomi storici nel dominio del thrash – e a livelli di statura mondiale – sono stati i pionieristici Armoured Angel, Mortal Sin ed Hobbs Angels of Death. A loro deve molto l’ottima scena thrash australiana di oggi: i fenomenali (anche sul piano del songwriting) e tecnicissimi Meshiaak, gli speed-metallers Harlott ed il trittico di band scoperte da Punishment 18 Records, ossia Envenomed, In Malice’s Wake e Hidden Intent, testimonianza di una grande e promettente vitalità espressiva. Si sono purtroppo sciolti – ma hanno fatto la storia – i fantastici The Berzerker, in assoluto tra gli inventori del cyber-grind e dello speed-core industriale, mentre restano sulla breccia invece i Destroyer 666, perfetti nella loro capacità di sapere incrociare il black con il thrash, i Sodom con gli Aura Noir, i Destruction con gli Slayer. Grande black, invece, con gli estremamente prolifici Drowning the Light: occulti, lovecraftiani e vampireschi, certo non distanti dalle atmosfere dei connazionali Striborg e degli americani Xasthur. Membri dei Drowning the Light hanno inoltre operato pure sotto altre single, tra cui quella dei Black Funeral.

Sabaton – Carolus Rex Platinum Edition

Un lavoro ispirato e bellissimo, heavy power metal orchestrale ed epico alla sua massima potenza, questo è Carolus Rex, sesto album dei Sabaton uscito nel 2012 e ristampato per l’occasione.

La storia della Svezia ha toccato il suo massimo splendore storico tra il XVII e il XVIII secolo, periodo che vide la nazione scandinava trasformarsi in una potenza imperante nelle coste del mar Baltico, dalla Finlandia fino all’Estonia e alla Livonia.

I Sabaton nel 2012 licenziarono questo bellissimo lavoro, che è stato quello di maggior successo del gruppo, alle prese con una fetta importante della storia del proprio paese.
Carolus Rex, infatti, è un lavoro incentrato sull’intervento della Svezia nella guerra dei trent’anni (1618-1648) e sul regno di re Carlo XII (1697-1718) del quale si commemorano i trecento anni dalla morte.
Un lavoro ispirato e bellissimo, heavy power metal orchestrale ed epico alla sua massima potenza, questo è Carolus Rex, di fatto il sesto album dei Sabaton ed apice di una discografia che ha regalato altri due full length dopo questo notevole lavoro, Heroes e The Last Stand, licenziati rispettivamente nel 2014 e nel 2016.
Senza entrare troppo dentro alle vicende storiche, c’è un grande album di power heavy metal da godersi con il pugno alzato e lo scudo a proteggere i colpi che i Sabaton senza pietà scaricano sull’ascoltatore, immerso in questa raccolta di racconti storici accompagnati da uno degli esempi più fulgidi di metallo glorioso, epico, orchestrale e potente.
Mid tempo e debordanti orchestrazioni ci avvolgono come in una colonna sonora di una pellicola che sulla parete fa scorrere immagini di battaglie, eroi, vincitori e vinti in un delirio epico davvero entusiasmante, con la chicca della versione svedese ad accentuare l’atmosfera di celebrazione di uno dei personaggi più importanti della storia della nazione.
Questa spettacolare versione Platinum Edition si arricchisce di quattro bonus track e viene licenziata dalla Nuclear Blast in ben cinque versioni: 2cd digi, 2LP, 3cd+2blu-ray-earbook, award edition e digital, a seconda dei gusti tutte imperdibili.

Tracklist
1. Dominium Maris Baltici
2. The Lion From the North
3. Gott Mit Uns
4. A Lifetime of War
5. 1 6 4 8
6. The Carolean’s Prayer
7. Carolus Rex
8. Killing Ground
9. Poltava
10. Long Live the King
11. Ruina Imperii
12. Twilight Of The Thundergod
13. In The Army Now
14. Feuer Frei
15. Harley From Hell

Line-up
Joakim Brodén – Vocals, Keyboard
Pär Sundström – Bass
Chris Rörland – Guitars
Tommy Johansson – Guitars
Hannes Van Dahl – Drums

SABATON – Facebook

Iteru – Ars Moriendi

Ars Moriendi è un lavoro a suo modo sorprendente e che merita di arrivare alle orecchie degli appassionati del doom più oscuro e malevolo.

Notevole ep d esordio per i belgi Iteru, autori di un death doom rituale ed opprimente come di rado capita di ascoltare.

Oltre al fatto che si tratta di un trio, l’unica cosa che è data sapere sulla band è che i musicisti coinvolti appartengono alla scena black metal belga, un aspetto che rende a suo modo ancor più intrigante il tutto, visto che chi è abituato a viaggiare a velocità più elevate di norma tende ad interpretare in maniera differente sonorità dai tempi più diluiti.
Gli Iteru non cercano consenso attraverso una proposta dolente e melodica, ma con Ars Moriendi portano il genere alle sue estreme conseguenze senza spostare la barra verso il death, come fa la maggior parte delle band in casi analoghi: l’album è doom al 100%, con il retaggio black che affiora in alcune sfuriate in doppia cassa e nel tremolo di certi passaggi solisti, per il resto tutti gli ingredienti si trovano al loro posto, a partire da un growl impietoso e il rombo ribassato all’inverosimile sullo sfondo.
I quattro lunghi brani sono litanie che disassano l’ascoltatore in virtù di suoni non particolarmente curati ma veraci il giusto, per rendere ancor più credibile il senso di soffocamento che la band vuole indurre in chi decide si assoggettarsi a questo infame rituale; del resto, chi fa le pulci ai dischi doom o black focalizzandosi sugli aspetti meramente tecnici ha decisamente sbagliato indirizzo.
Ars Moriendi è un lavoro a suo modo sorprendente e che merita di arrivare alle orecchie degli appassionati del doom più oscuro e malevolo: gli Iteru però non si limitano a andare giù pesanti con un riffing monolitico, poiché il loro senso della melodia non è affatto trascurabile, così come la tendenza a creare passaggi emozionanti pur se collocati su uno sfondo per lo più minaccioso.
La conclusiva To the Gravewarden sembrerebbe essere è la traccia più canonica e relativamente più fruibile grazie ad una riconoscile e reiterata linea chitarristica, peccato che a metà dei suoi dieci minuti si trasformi in un devastante episodio all’insegna del più oscuro black metal, mentre l’iniziale Through the Duat rappresenta la vera e propria sintesi sonora dei biechi intenti degli Iteru.
We the Dead e Salvum Me oscillano tra arpeggi, sprazzi melodici e distruttivi e ineluttabile ferocia, andando a completare un quadro che raffigura un doom metal sicuramente non convenzionale e quindi piuttosto originale; le note di presentazione parlano di analogie con The Ruins Of Beverast, Urfaust, Blut Aus Nord ed Evoken ma, a seconda dei punti di vista, si può essere totalmente d’accordo o dissentire del tutto. Giusto così, non resta che lasciare ad ogni singolo ascoltatore la possibilità di farsi un’idea propria su un album davvero meritevole d’essere approfondito.

Tracklist:
1. Through the Duat
2. We the Dead
3. Salvum Me
4. To the Gravewarden

Valkyrja – Throne Ablaze

La peculiarità maggiore rimane sempre capacità di unire melodia e black metal, con un lieve accenno di death.

Tornano dopo cinque anni dal precedente disco i Valkyrja, con un disco di black metal molto potente e nello stile della seconda onda del black metal.

I nostri sono attivi dal 2004, con un suono sempre improntato all’aggressività e alla velocità. Con questo Throne Ablaze sono venuti a riprendersi il posto che spetta loro: infatti sono attualmente in tour con i Marduk e gli Archgoat. Il suono di questi svedesi è molto duro e serrato, al contempo la melodia pervade molto bene le costruzioni sonore e l’ascoltatore rimane sempre attaccato alla loro musica. Avendo imparato alla perfezione la storia di questo genere, i Valkyrja sanno che è necessario costruire un sound che non sia solo derivativo, ma un qualcosa che abbia delle peculiarità ben precise e ci riescono in pieno. Le canzoni sono quasi tutte di lunga durata, dato che il gruppo riesce a concatenare al meglio i vari temi sonori presenti all’interno delle tracce. Il risultato è un muro sonoro che non rivela nessuna crepa, e anzi avanza imperioso verso l’ascoltatore, incalzandolo da vicino. Non è facile di questi tempi, in cui i gruppi sono davvero tanti, tornare dopo diversi anni e riprendersi ciò che ti spetta, ma con questo disco i Valkyrja hanno firmato un rientro più che positivo. Il lavoro è un bel massacro dall’inizio fino alla fine e non c’è un attimo di tregua. La peculiarità maggiore rimane sempre capacità di unire melodia e black metal, con un lieve accenno di death. Ascoltare un disco di black con una forte impronta personale non è per nulla scontato, ma qui lo si può trovare.

Tracklist
1. In Ruins I Set My Throne
2. Crowned Serpent
3. Opposer of Light
4. Tombs Into Flesh
5. Halo of Lies
6. Transcendental Death
7. Paradise Lost
8. Throne Ablaze

Line-up
S.Wizén – lead guitar & vocals
B.Thelberg – rythm guitar
V.Purice – bass & backing vocals
V.Parri – drums

VALKYRJA – Facebook

Hell’s Guardian

Il video di “Colorful Dreams”, dall’album “As Above So Below”.

Il video di “Colorful Dreams (feat. Ark)”, dall’album “As Above So Below”.

Italy’s Epic/Melodic Death Metal band Hell’s Guardian present the video streamer for “Colorful Dreams” (feat. Ark) with a mash-up of the band’s previous official videos “Blood Must Have Blood” ( https://youtu.be/lTKIkcKLJ5U) and “Crystal Door” (https://youtu.be/9VoLYsplWh8), which were taken off from the new album “As Above So Below”.

Hell’s Guardian released their new album, entitled “As Above So Below” on September 14th 2018. The album has been recorded by Media Factory Esine studios of Fabrizio Romani and mixed and mastered by Michele Guaitoli (Temperance, Kaledon) at the Groove Factory Studios in Udine and hosts singers like Adrienne Cowan (Winds of Plague, Light & Shade), Marco Pastorino (Temperance) also as vocal producer and Ark Nattlig Ulv (Ulvedharr).

The band comments:
“Three years after the release of our last record, we can say that this new album will mark a musical turning point for us, abandoning the fantasy themes and focusing on real issues that life can reserve in each
one of us. All this with a sound that is closer and closer to the typical Scandinavian Melodic Death mold with tight rhythms, guitar riffs which are less epic but with impact, and orchestrations designed by Samuele Faulisi (Atlas Pain), from typical classical instruments up to modern parts with synths, more focused collaborations, from the guest singers to the musicians who collaborated with us in the studio, they made everything more natural and spontaneous without forcings, all with a powerful mix.”

Below is the tracklist

1. OVER THE LINE
2. CRYSTAL DOOR
3. AS ABOVE SO BELOW
4. BLOOD MUST HAVE BLOOD
5. WAITING…FOR NOTHING
6. 90 DAYS
7. LAKE OF BLOOD
8. JESTER SMILE
9. MY GUIDE MY HUNGER (w/ Marco Pastorino and Adrienne Cowan)
10. I RISE UP
11. COLORFUL DREAMS (w/ Ark Nattlig Ulv)

Links:
https://www.facebook.com/hellsguardian.official/

Thulsa Doom – Realms Of Hatred

Assalti sonori devoti all’old school death presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Dalle catacombe di una capitale sempre più avvolta da sonorità estreme arrivano in superficie i Thulsa Doom, trio di musicisti ed adepti all’underground metallico di matrice death metal.

In generale non ci si schioda dai primi anni novanta tra le trame putrescenti di questi sei brani che vanno a comporre la tracklist di Realms Of Hatred, debutto in uscita digitale e cassetta a ribadire l’assoluta attitudine underground di questa band che riesce a convincere grazie a cavalcate heavy, atmosfere catacombali ed un sound maligno, con una produzione che ben si adatta allo spirito dell’opera, senza inficiare il risultato ma rendendo l’atmosfera malsana, un vero e proprio viaggio nell’inferno dei Thulsa Doom.
Quattro brani e due interludi scaraventano per una ventina di minuti nei meandri in cui l’angelo morboso tortura anime con brani come l’opener The Final Scourge, guardando all’indietro anche al thrash metal più oscuro nato negli anni ottanta.
Assalti sonori devoti all’old school death come The Gates of Niniveh o Demon Conjurer presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Tracklist
1.The Final Scourge
2.The Gates of Niniveh (Woe to You…City of Blood)
3.Realms of Hatred (Instrumental)
4.Demon Conjurer
5.Intro
6.Thulsa Doom

Line-up
V.K. Nail – Vocals, Guitar
F.Phantomlord – Guitar & Bass Guitar
B.G. Triumph – Drums

THULSA DOOM – Facebook

Dungeon Wolf – Slavery Of Steel

Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

I tre Dungeon Wolf, capitanati dal cantante e chitarrista Deryck Heignum, provengono dalla Florida, terra tradizionalmente metallica, specialmente per quanto riguarda la parte estrema della nostra musica preferita, qui invece madre di un gruppo dedito ad un metal tradizionale tra velleità epic, qualche spunto tecnico lodevole, ma tanta approssimazione riguardo al songwriting ed alla voce del leader, che quando si affida al falsetto lascia alquanto a desiderare, un difetto non da poco in un genere nel quale l’interpretazione vocale fa la differenza.

Slavery Of Steel è composto da otto brani per una quarantina di minuti di epico metallo scolpito nella roccia, vario nelle ritmiche, tecnicamente buone, e nei solos che in alcuni casi rasentano lo shred, mettendo in risalto la bravura di Heignum con il proprio strumento, molte volte andando leggermente oltre a quello che richiede il brano.
L’album quindi non è sicuramente esente da difetti, migliorabili con il tempo, ma ad oggi purtroppo causa del poco appeal che brani comunque fortemente epici come l’opener Hidden Dreams o Worker Metal Night riescono ad avere sull’ascoltatore.
Il metal old school dei Dungeon Wolf è pervaso da una forte componente epico guerresca che ricorda Cirith Ungol e Manowar ma si presenta con un gap non indifferente già dalla buffa copertina, con un improbabile cavaliere medievale munito di spadone d’ordinanza e chitarra, ed una sbornia da far passare prima che inizi la battaglia.
Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

Tracklist
1. Hidden Dreams
2. Last Alive
3. Slavery or Steel
4. Borderlands
5. While the Gods Laugh
6. Dark Child
7. Worker Metal Might
8. Lord of Endless Night

Line-up
Deryck Heignum – Vocals/Guitar
Stan Martell – Bass
Austin Lane – Drums

DUNGEON WOLF – Facebook

Eluveitie – Slania 10 Years

Slania è una grande gioia per gli amanti del genere, e 10 Years potrebbe essere considerata la sua versione definitiva, perché le cose aggiunte sono ragguardevoli e vanno ben oltre le solite demo o inediti.

Per festeggiare degnamente la ricorrenza dei dieci anni dell’uscita di Slania, il secondo disco degli Eluveitie, la Nuclear Blast fa uscire una nuova edizione arricchita da demo, una misteriosa intervista alla vera Slania e commenti alle canzoni.

Uscito nel 2008, Slania è il disco che ha fatto conoscere al grande pubblico gli svizzeri e ascoltandolo è impossibile resistergli. Qui gli Eluveitie concentrano tutto il meglio di ciò che sanno fare, regalando un capolavoro davvero potente. Molti considerano il gruppo elvetico uno dei principali interpreti mondiali del folk metal ed in Slania è racchiuso il perché di questo giudizio, dovuto ad una grande potenza sonora che va di pari passo con una robusta composizione in cui il metal si lega in maniera fortissima al folk. Quest’ultimo è sempre stato il vero punto di forza degli Eluveitie, ovvero fondere in maniera credibile e di grande effetto il folk degli strumenti tipici con un metal di ottima fattura, trovando una sintesi molto originale. Slania è un disco più veloce e metal rispetto alle ultime uscite, e possiamo già trovare quelle incredibili melodie che hanno reso tanto amato il gruppo, soprattutto per il bilanciamento perfetto fra cantato femminile e cantato maschile. Più che ascoltare folk metal qui lo si respira all’interno della dimensione creata dalle canzoni di questo disco, che è una delle pietre miliari di un genere che sembra facile da suonare, mentre invece ci vuole un notevole talento insieme ad una visione compositiva inusuale per poterlo fare al meglio. Slania è una grande gioia per gli amanti del genere, e 10 Years potrebbe essere considerata la sua versione definitiva, perché le cose aggiunte sono ragguardevoli e vanno ben oltre le solite demo o inediti. Un disco che ha indicato una via e che continua tuttora a farlo.

Tracklist
01. Samon
02. Primordial Breath
03. Inis Mona
04. Grey Sublime Archon
05. Anagantios
06. Bloodstained Ground
07. The Somber Lay
08. Slania’s Song
09. Giamonios
10. Tarvos
11. Calling The Rain
12. Elembivos

Bonus:
13. Samon (Acoustic Version)
14. Interview With Slania
15. Samon (demo)
16. Primordial Breath (demo)
17. Inis Mona (demo)
18. Bloodstained Ground (demo)
19. Tarvos (demo)

Line-up
Chrigel Glanzmann – vocals, mandola, whistles, pipes, gaita, acoustic guitar, bodhrán, harp
Kay Brem – bass
Rafael Salzmann – lead guitar
Matteo Sisti – bagpipes, tin whistle
Jonas Wolf – rhythm guitar
Alain Ackermann – drums
Michalina Malisz – hurdy-gurdy
Nicole Ansperger – violin, vocals
Fabienne Erni – vocals, celtic harp

ELUVEITIE – Facebook

Voices From Beyond – Black Cathedral

E’ un ottimo lavoro questo secondo album targato Voices From Beyond, band che elabora senza timori reverenziali le proprie influenze toccando le corde degli amanti di una serie di icone metal.

Partita come label rock ed alternative, la Volcano ha ampliato i suoi orizzonti entrando di prepotenza nel mondo del metal e supportando ottime realtà nazionali ed internazionali.

Tra hard rock, alternative e rock ‘n’ roll trovano spazio gruppi dalle sonorità più marcatamente metalliche, come per esempio i Voices From Beyond, al loro secondo album dopo The Gates of Madness uscito ormai otto anni fa.
Black Cathedral è il titolo di questo nuovo lavoro che sicuramente non deluderà gli amanti del metal classico anni ottanta, un concentrato potentissimo e senza compromessi di heavy, speed e thrash metal.
Il quintetto proveniente da Rimini, trascinato dall’ottimo cantante Roberto Ferri, ci presenta una raccolta di brani che alternano i tre generi citati, in un turbinio di tempeste metalliche.
Composta da una serie di brani elaborati, la track list non lascia spazio ad incertezze, il gruppo convince fin da subito lasciando alle veloci e dirette Dark Age e The Hideout Of Evil il compito di colpire l’ascoltatore con ritmiche veloci e potenti, solos taglienti e ottimi refrain.
La bellissima power ballad La Valle Della Coscienza (cantata in italiano), chiude la prima parte e l’album riparte con il thrash metal di The Edge Of Time, con i Voices Of Beyond che ci aprono le porte della nera cattedrale con il metal progressivo ed oscuro della title track.
Descending Into The Abyss è il brano più estremo del lotto, una forza della natura di matrice thrash che conduce verso la fine dell’opera rappresentata dalla ballad semiacustica The Family.
E’ un ottimo lavoro questo secondo album targato Voices From Beyond, band che elabora senza timori reverenziali le proprie influenze toccando le corde degli amanti di una serie di icone metal, che vanno dai Maiden agli Exodus, dai Metallica ai Testament e ai primi Helloween (quelli arrabbiati di Walls Of Jericho): per gli amanti del genere un ascolto vivamente consigliato.

Tracklist
1. Dark Age
2. The Hideout of evil
3. Guardian of the Laws
4. I am The Presence
5. La Valle della Coscienza
6. The Edge of Time
7. The Black Cathedral
8. Descending into The Abyss
9. Across The Mountains
10. The Family

Line-up
Roberto Ferri – Vocals
Claudio Tirincanti – Drums
Michele Vasi – Guitar
Andrea Ingenito – Guitar
Enrico Ricci – Bass

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Painthing – Where Are You Now…?

Where Are You Now…? è un esordio ideale, che consente ai Painthing di piazzare una base già solida per un impianto compositivo che sembra avere i numeri necessari per crescere ulteriormente di livello in futuro.

Nel tirare le somme di una scena importante come quella polacca non si può fare a meno di notare come non abbia tutto sommato prodotto band di grande spessore in ambito funeral death doom, a differenza di quanto accaduto in altri generi.

Forse non riusciranno a modificare questo stato di cose i Painthing, ma il loro esordio su lunga distanza Where Are You Now…? possiede senza dubbio tutti i crismi per essere ricordato con piacere dagli appassionati del genere.
La band di Varsavia infatti fa per gran parte del lavoro quello che alla fine ci si aspetta, ovvero l’offerta di sonorità malinconiche ma non tragiche, contraddistinte da un buon gusto melodico e suonate e prodotte in maniera lineare, il che non vuol dire che siano scolastiche o scontate bensì ben focalizzate sull’obbiettivo di trasmettere emozioni, che è poi il target vero del genere.
I Paithing prendono come possibile riferimento, tra i molti disponibili, i When Nothing Remains, una delle band che in questo decennio ha saputo coniugare al meglio in senso melodico le asprezze del death con il dolente sentire del doom, e da questa base, pescando ovviamente anche altrove, si muovono fin dall’opener Between facendo intendere che il loro obiettivo verrà perseguito senza percorrere improbabili strade alternative.
Certo, anche qui troviamo le spesso famigerate clean vocals (il cui utilizzo da parte di molte band sembra quasi sia una sorta di pegno da pagare non si sa bene a chi, con esiti per lo più scoraggianti), ma per fortuna tutto sommato accettabili nelle loro sfumature e non improbabili come quelle che affossarono l’esordio dei connazionali Oktor, dei quali ritroviamo qui i fratelli Rajkow-Krzywicki, alle prese con la sezione ritmica.
Detto ciò, il growl di Kuba Grobelny è di ottima fattura e buona intelligibilità, cosi come è valido il lavoro chitarristico dello stesso vocalist e di Michał Świdnicki, quanto misurato ed essenziale quello tastieristico di Darek Ojdana; ed è così che, senza reinventare la ruota, i Painthing esibiscono per circa un’ora la loro intrigante idea di melodic death doom, facendosi ascoltare con un certo agio dall’inizio alla fine, con menzione di merito per una traccia coinvolgente come The Shell I Live In.
Where Are You Now…? è un esordio ideale, che consente alla band polacca di piazzare una base già solida per un impianto compositivo che sembra avere i numeri necessari per crescere ulteriormente di livello in futuro.

Tracklist:
1. Between
2. Widow And The King
3. Buzz And Madness
4. The Shell I Live In
5. Psychosis 4:48
6. Only Death Will Divide Us
7. To Live Is To Fight
8. So Be It

Line-up:
Michał Świdnicki – Guitars
Darek Ojdana – Keyboards
Kuba Grobelny – Vocals, Guitars
Jan Rajkow-Krzywicki – Bass
Jerzy Rajkow-Krzywicki – Drums

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Thomas Silver – The Gospel According The Thomas

The Gospel According The Thomas è un debutto ispirato, pensato e voluto come inizio di un nuovo corso che il musicista svedese inizia con il piede giusto, lasciando il rock sguaiato ed irriverente per intraprendere il cammino sulla strada di quello intriso della malinconica sfumatura blues che è prerogativa tipica dei grandi interpreti.

Di solito, quando un componente importante di un gruppo all’apice del successo decide che è il momento di lasciare, tutte e due le parti perdono qualcosa: la band un pezzo della sua anima, il musicista quell’entusiasmo che aveva caratterizzato la prima parte della sua vita nel mondo del rock vissuto con chi ne ha condiviso la gavetta e le prime soddisfazioni.

Per Thomas Silver, chitarrista e fondatore dei rockers svedesi Hardcore Superstar, questi dieci anni fuori dal mercato hanno portato un approccio più profondo e maturo, allontanandosi dalla macchina rock’n’roll che, diciamolo, funziona ancora alla grande (e di pochi mesi fa l’uscita dell’ultimo e bellissimo Hardcore Superstar) per avvicinarsi ad un rock cantautorale, pregno di atmosfere intimiste e post punk.
The Gospel According The Thomas è un debutto ispirato, pensato e voluto come inizio di un nuovo corso che il musicista svedese inizia con il piede giusto, lasciando il rock sguaiato ed irriverente per intraprendere il cammino sulla strada di quello intriso della malinconica sfumatura blues che è prerogativa tipica dei grandi interpreti.
L’album offre undici brani bellissimi e che sinceramente non ci si aspettava, una galleria di quadri che sprigionano poesia rock da ogni pennellata e che Silver interpreta con quel tono strascicato e da sopravvissuto, tra neanche troppo velati accenni a Iggy Pop, David Bowie, Nick Cave e The Clash.
Difficile trovare un brano che non sia uno stupendo manifesto al rock, che a testa alta ha ormai i piedi ben piantati nel nuovo millennio e che non ha assolutamente voglia di trapassare come molti vorrebbero.
Caught Between Worlds, D-Day, Time Stands Still, Mean Town sono alcune canzoni che spiccano, ma potrei nominare tutti gli undici diamanti racchiusi nello scrigno di questo straordinario rocker: va da sé che The Gospel According The Thomas è uno degli album più belli usciti quest’anno nel genere.

Tracklist
1. Caught Between Worlds
2. Public Eye
3. Minor Swing
4. D-Day
5. Coming In, Going Under
6. Time Stands Still
7. Bury The Past
8. On A Night Like This
9. Mean Town
10. Not Invited
11. All Those Crazy Dreams

Line-up
Thomas Silver

THOMAS SILVER . Facebook

Manam – Rebirth Of Consciousness

Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Un concept che segue un viaggio spirituale è quello che ci propongono i Manam, giovane band fondata dal chitarrista e cantante Marco Salvador, al debutto con Rebirth Of Consciousness.

Melodic death metal, power ed ispirazioni progressive compongono questa raccolta di brani, molto vari ma legati dal concept e dall’approccio al genere che rimane assolutamente estremo e melodico.
Suonato e composto dalla band con l’ambizione di ottenere un prodotto originale senza snaturarsi troppo, l’album alterna tracce estreme, alcune delle quali potenziate da classiche ritmiche power, ad altre più orientate verso un mood progressivo e melodico che nobilita in modo importante brani come Atman Denied, che arriva subito dopo quello che era un classico episodio melodic death metal come Supernova.
Le parti in clean sono ottime, non così scontate come in altre realtà, il growl è potente mentre ineccepibile è la parte tecnica, che permette al gruppo di regalare brani di spessore come l’evocativa Revelation.
Total War è una traccia heavy metal tradizionale potenziata dall’attitudine estrema dei Manam, A Raw Awakening parte come una power ballad e si sviluppa in un crescendo estremo notevole, mentre la parola fine a questo lavoro la mette la progressiva, melodica e splendida Sahara.
Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Tracklist
1. Fallen Leaves
2. Supernova
3. Atman Denied
4. Innerdemon
5. Revelation
6. Total War
7. A Raw Awakening
8. Anam
9. Sahara

Line-up
Marco Savador – Lead Guitar, Vocals
Fabiola Sheena Bellomo – Rhythm Guitar
Marco Montipò – Bass, Backing Vocals
Nicola Nik De Cesero – Drums

MANAM – Facebook

Frontier Of Existence

Il video di ‘The Counterfeit’.

Il video di ‘The Counterfeit’.

The material was recorded in Marcin Piekło’s Heavens Sound studio in Bielsko-Biała, Poland. The song is available for download at frontierofexistence.bandcamp.com.

Frontier Of Existence debuted in 2014, initially performed melodic death metal, with the development of the group began to lean towards post black.

In the past the band performed, among others together with the legendary polish group KAT & Roman Kostrzewski and at the Full Metal Haggis festival in Scotland. 2017 saw self-released debut album – ‘Chronicles of Grief – I’, which featured 7 tracks.

The Counterfeit
Production and editing – Damian Dudek
https://www.facebook.com/DamianDudekMovies
Paintings – Natalia Paczyńska
https://www.instagram.com/smutno_mi_borze/

Bandcamp: https://frontierofexistence.bandcamp.com/releases
YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=uX6aRbLA71g – The Counterfeit

Facebook: https://www.facebook.com/frontierofexistence/

Instagram: https://www.instagram.com/frontierofexistence/

Obliteration – Cenotaph Obscure

Assoluta conferma del quartetto norvegese che rilascia un’opera veemente ma ricca di spunti lisergici e progressive, come al solito personale e coinvolgente.

Un breve suono di tamburi apre le danze al nuovo disco dei norvegesi Obliteration e libera tutta la forza dirompente del quartetto norvegese; dal 2004 si dipana una carriera impeccabile e totalmente priva di passi falsi, con quattro full length di death “mutante” con le radici ben salde ma libero da vincoli creativi e capace di spaziare in suoni e atmosfere multiformi.

Suoni stimolanti che riempiono ogni brano di variazioni, creando momenti estremamente avvincenti e creativi; a tal proposito e su medesime coordinate ricordo il meraviglioso Trance of Death dei Venenum del 2017, dove grandi capacità si amalgamavano perfettamente con scelte sonore molto “open mind”. Non fa assolutamente eccezione quest’ultimo disco dei norvegesi, provenienti dalla stessa città di origine dei seminali Darkthrone, Kolbotn, nel quale un sound veemente si interfaccia con tentazioni lisergiche e progressive; la band si lascia andare a canzoni dense, riuscendo a riempire ogni momento con idee, senza perdere in alcun modo intensità, ferocia e personalità. La title track incendia l’incipit del disco, colpendo subito i nostri neuroni, scagliandoci contro un chitarrismo torrenziale e incandescente:  atmosfere oscure, malefiche, il taglio progressivo lo si nota soprattutto nella gran voglia di variare e non rimanere ancorato alle “solita atmosfera”; la chitarra di Aryld Myren Torp si lancia in modo viscerale in tutti i brani, instancabile, rivaleggiando, in forza creativa, con la sezione ritmica e lacerando i brani con assoli acidi e psichedelici sempre selvaggi e liberi da schemi prefissati. Il breve, liquido e stralunato strumentale Orb apre i portali per la splendida Eldritch Summoning ,tour de force dalla forza incredibile, un fiume inarrestabile e veloce che travolge ogni argine e si erge minaccioso nei suoi otto minuti di furia devastatrice; è un piacere lasciarsi travolgere e si rimane storditi di fronte alla voglia creativa dei norvegesi, che assaltano i nostri sensi riducendo le nostre difese in brandelli. Ogni brano merita ascolti reiterati e per chi fosse interessato la riscoperta della discografia pregressa (soprattutto Nekropsalm e Black Distant Horizon) sarà fonte di puro piacere.

Tracklist
1. Cenotaph Obscure
2. Tumulus of Ancient Bones
3. Orb
4. Eldritch Summoning
5. Detestation Rite
6. Onto Damnation
7. Charnel Plains

Line-up
Didrik Telle – Bass
Kristian Valbo – Drums
Arild Myren Torp – Guitars
Sindre Solem – Vocals

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Lou Seriol – Occitan

Occitan è un disco molto bello e piacevole, che può rimettere in pace con il globo terracqueo, rivelando l’anima profonda del popolo occitano.

Torna il gruppo occitano moderno più conosciuto e di maggiore talento, i Lou Seriol con il suo ultimo disco che, come al solito, al suo interno racchiude molti tesori.

Occitan esce a distanza di sei anni dal precedente lavoro, Maquina Enfernala (2012), ed è un album completo, caratterizzato dall’incontro di molte sonorità, soprattutto folk, che hanno la peculiarità di non porsi confini e di andare sempre oltre. L’Occitania è un territorio fiero e dalle grandi tradizioni, dove si incontrano genti con lo sguardo sempre rivolto al futuro mantenendo le radici ben salde. I Lou Seriol scrivono musica con estrema facilità, le melodie sono sempre di grande effetto, e il risultato è di sentirsi come ad una bellissima festa di paese, dove si balla felici e il tempo si ferma per lasciare spazio agli uomini e alle donne, ai loro desideri, alle loro vite, alle loro paure e gioie. La fisarmonica viaggia leggera e guida il resto degli strumenti attraverso la corposa e piacevole struttura delle canzoni. Con i Lou Seriol si va sul sicuro, il suo mondo musicale è davvero vasto e particolare, tutto è al suo posto e si balla senza mai smettere di pensare. Il folk qui si esprime attraverso la sua identità più genuina e scorre naturale, facendo stare bene come se si fosse su di un prato fiorito di primavera. L’occitano è una lingua fortemente musicale, dolce o aspra quando lo deve essere, forte e precisa, figlia di un popolo con un grande cuore. Ci sono anche ospiti importanti che accompagnano il gruppo, come i Massilia Sound System (ascoltate tutta la loro discografia perché sono una delle cose che vi scalderanno maggiormente il cuore), l’armonicista Tom Newton, i friulani Radio Zastava, Alessio Perardi degli Airborn, e tanti altri. Occitan è un disco molto bello e piacevole, che può rimettere in pace con il globo terracqueo, rivelando l’anima profonda del popolo occitano. Chiude il disco una bellissima cover di Anarchy In The Uk dei Sex Pistols in lingua occitana.

Tracklist
1.Occitània
2.Constellacion
3.Ladres
4.Zen
5.Fungo Dance (La dança dau bolet)
6.Duèrm
7.Darbon
8.Crobàs
9.Joanina dal batalh
10.N’ai pro
11.Libres
12.Anarquia en Occitània

Line-up
Stefano Degioanni – vouz
Edoardo degioanni – semitun
Adriano Rovere – guitara
Bejamin Newton – bassa
Roberto Gaia – batteria

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Glasir – New Dark Age

E’ davvero difficile riuscire a rendere in maniera così compiuta l’idea concettuale che sta dietro ad un lavoro musicale senza proferire parola: i Glasir ci riescono splendidamente, aiutati da una rara chiarezza di intenti.

I texani Glasir avevano già raccolto importanti consensi all’epoca del loro esordio intitolato Unborn, grazie ad un’interpretazione personale e sentita di un genere quanti mai scivoloso come il post rock di natura strumentale.

Tre anni dopo il trio di Dallas ritorna con New Dark Age, album che a livello concettuale fotografa in maniera impietosa la condizione di un’umanità per lo più inconsapevole della propria insignificanza, specialmente nel momento in cui la natura sta presentando il conto di tutte le malefatte perpetrate nel corso degli ultimi secoli nei suo confronti in nome del progresso.
La musica è allora solo una panacea che può rendere più sopportabile il quotidiano risveglio ed affrontare un’era di oscurità etica che pare non avere alcuno sbocco; i Glasir provano a raccontarci questo con tre quarti d’ora di post rock liquido, apparentemente cullante ma in realtà pesantemente intriso idi inquietudine e di malinconia.
I sei brani si muovono lungo coordinate oblique, dove emergono suoni  e forme dissonanti (Into the Sun), reiterati arpeggi (Holy Chemistry), scenari prossimi all’ambient (Dissolution) e intriganti soluzioni ritmiche (The Last Firmament) che conducono al fulcro del lavoro, quella lunga Black Seas of Eternity, in cui i Glasir riversano tutto quanto è consentito a livello di idee e pulsioni dal loro indiscutibile talento compositivo, alla quale segue la conclusiva Hurt Us Again con il violino a renderne ancora più dolente l’incedere.
E’ davvero difficile riuscire a rendere in maniera così compiuta l’idea concettuale che sta dietro ad un lavoro musicale senza proferire parola: i Glasir ci riescono splendidamente, aiutati da una chiarezza di intentiE’ davvero difficile riuscire a rendere in maniera così compiuta l’idea concettuale che sta dietro ad un lavoro musicale senza proferire parola: i Glasir ci riescono splendidamente, aiutati da una chiarezza di intenti che rende paradossalmente lineare un sound tutt’altro che semplice, e da un artwork che restituisce i colori innaturali delle città moderne, in realtà ben diversi da quelli che il nostro occhio si ostina voler percepire.

Tracklist:
1.Into the Sun
2.Holy Chemistry
3.Dissolution
4.The Last Firmament
5.Black Seas of Eternity
6.Hurt Us Again

Line-up:
Austin Vanbebber: Drums
Conner McKibbin: Guitar
Nate Ferguson: Bass Guitar

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