Eleim – Freak

Freak è un album davvero ben costruito, una sorpresa per gli amanti del genere, con la lingua italiana che ben si adatta al sound del gruppo e composto da una tracklist senza punti deboli

Gli Eleim sono un quartetto toscano attivo dal 2010 ed arrivato tramite la Buil2kill Records al terzo lavoro.

Si ripresentano sul mercato metallico underground con una nuova formazione e questo ottimo lavoro dal titolo Freak, un potentissimo concentrato di thrash/groove metal, tra tradizione e modernità cantato in lingua madre.
Freak è un album davvero ben costruito, una sorpresa per gli amanti del genere, con la lingua italiana che ben si adatta al sound del gruppo e composto da una tracklist senza punti deboli.
Bordate metalliche moderne si alternano a sfuriate thrash metal, l’uso della voce è in linea con le nuove tendenze, aggressivo e graffiante ma perfettamente leggibile tra le tonnellate di riff con cui la band travolge l’ascoltatore.
L’impatto notevole di Freak si palesa già dall’opener I Nuovi Mostri, con la quale gli Eleim, precisi, potenti e melodici, esibiscono ritmiche dal groove poderoso, citazioni di nobile metallo (l’inizio di Fate di Confine ricorda Flesh Of The Blade dei Maiden) e brutali sfumature core.
Registrato, mixato e masterizzato da Tai Fronzaroli al Tai Sevenstudio di Calenzano vicino a Firenze, Freak è un ottimo prodotto 100% italiano, studiato in ogni minimo dettaglio, con un sound che trova le proprie ispirazioni in gruppi come Pantera e Gojira, ma plasmandoli ad uso e consumo della varie Danza Macabra e A Cuore Aperto.
L’invito all’ascolto di Freak è d’obbligo così come i complimenti alla band toscana per il riuscito connubio tra metal dal taglio internazionale e l’uso della lingua italiana,

Tracklist
1. I Nuovi Mostri
2. Fate Di Confine
3. Erotica
4. Ali di Carta
5. Piccolo Mio
6. Mari
7. Danza Macabra
8. Marrick
9. A Cuore Aperto
10. Edward Mondrake

Line-up
Joe Eleim – Voce
Niko wylde – Chitarra
Taralane – Basso
Damian Pierucci – Batteria

ELEIM – Facebook

BREAK ME DOWN

Il video di Trust.

Il video di Trust.

E’ partito tutto poco meno di un anno fa. I Break Me Down lanciano il loro EP con un primo video: ‘Warrior’.

‘Resilience’ è il titolo dell’EP servito da passe-partout a concerti e festival durante i quali, la band milanese, ha ampiamente dimostrato la voglia di emergere e la loro indiscussa bravura e professionalità.

In meno di un anno si sono esibiti su palchi di rilievo al fianco di band dalla fama internazionale come Lacuna Coil, Joe Stump’ Tower of Babel e Crazy Town; per ultima, purtroppo non in video, l’apertura del 23 Novembre a Vinnie Moore, icona e leggenda del mondo delle sei corde heavy!

Oggi i Break Me Down presentano il loro nuovo singolo ‘TRUST’, l’audio è stato registrato in presa diretta al Legend Club Milano, durante il Rock In Park Festival, mixato e masterizzato da Dario Valentini presso il BXR Studio; le immagini, invece, sono un mix and match di riprese on the road sapientemente amalgamate a momenti live, al montaggio Davide Papadia, insomma, uno scorcio in quello che è la vita del musicista; non solo momenti di adrenalina pura ma anche sacrifici e notti insonni!

Morris Steel, chitarrista del gruppo e compositore del brano dichiara: ” ‘Trust’ sarebbe potuto essere tranquillamente uno dei brani dall’EP ‘Resilience’ dato che parla di quanto sia importante non mollare mai e, soprattutto, credere sempre in quello che si dice; tematiche care e sostenute fortemente dalla band”.

Them – Manor Of The Se7en Gables

Manor Of The Se7en Gables risulta un ottimo lavoro che questa volta è consigliato non solo agli amanti del re diamante ma più in generale ai fans dell’heavy/power statunitense.

Sulle potenzialità elevate di questa band ci avevamo creduto già dal precedente lavoro, il debutto Sweet Hollow, licenziato un paio di anni fa e che presentava musicisti di provata esperienza alle prese con un sound che risultava un efficace tributo a King Diamond.

D’altronde con un monicker come Them ed un cantante come Troy Norr che viaggia sulle stesse tonalità del leggendario singer danese, era assolutamente in linea con le attese l’ascolto di un album valido ma derivativo.
Sono passati due anni e la band torna con un nuovo lavoro intitolato Manor Of The Se7en Gables, un concept che rivede non poco le carte in tavola, lasciando sorpreso chi credeva in un altro album tributo.
Invece il nuovo lavoro dei Them è uno splendido esempio di power/heavy metal americano, chiaramente ispirato dal mondo musicale e visivo di King Diamond ma molto più personale, tanto che solo al singolo Witchfinder si può attribuire una accentuata somiglianza con la musica di uno dei personaggi più influenti del metal, anche per l’uso del falsetto, mentre il resto dell’opera è frutto di un approccio sicuramente più personale.
I Them suonano horror metal teatrale e dai risvolti inquietanti, quindi rimangono quelle atmosfere oscure e terrificanti ispirate ad album come Them, Abigail e compagnia, ma è innegabile che Troy Norr e compagni si siano superati regalando ai fans del genere un gioiellino metallico, nel quale si passa dal thrash/speed metal al power, alternando canzoni potenti, dirette e trascinanti e dalle linee melodiche esaltanti, a cupi ed oscuri scenari di metallico terrore, il tutto curato in ogni dettaglio.
Quasi un’ora di durata non è certamente poco, eppure i Them riescono a tenere l’ascoltatore inchiodato alla poltrona con una serie di ottimi brani che hanno nelle bellissime Circuitois, Refuge In The Manor, The Secret Stairs e Maleficium i picchi dell’intero lavoro.
Manor Of The Se7en Gables risulta un ottimo lavoro che questa volta è consigliato non solo agli amanti del Re Diamante ma più in generale ai fans dell’heavy/power statunitense.

Tracklist
01. Residuum
02. Circuitous
03. Refuge in the Manor
04. Witchfinder
05. A Scullery Maid
06. Ravna
07. As the Sage Burns
08. The Secret Stairs
09. Peine Forte Et Dure
10. Maleficium
11. Seven Gables to Ash
12. Punishment By Fire

Line-up
Troy “KK Fossor” Norr – Vocals
Markus Johansson – Guitars
Markus Ullrich – Guitars
Richie Seibel – Keyboards
Alexander Palma – Bass
Angel Cotte – Drums

THEM – Facebook

Ru Fus – Vita Natural Durante

Vita Natural Durante è una di quelle gemme che vivono nel sottobosco e che sono gioie riservate a chi vuole ricercare, e non a chi vuole trovarsi la pappa pronta.

Ru Fus è un’anima musicale che ha attraversato molti momenti del sottobosco musicale pisano ed è arrivato finalmente all’esordio solista, dopo che è stato in molti gruppi, volendo esprimersi in totale libertà e ne esce una buona prova.

Ru Fus ha cominciato a fare musica tanti anni fa dopo essere stato folgorato da un concerto dei Soundgarden, e fonda nel 1993 gli Akchol Folw che si sciolgono nello stesso anno; entra quindi nella band punk rock Ganzi e Rozzi dalla quale poi esce per andare a far parte del seminale gruppo degli Zen, che poi diventeranno Zen Circus, con i quali rimane fino alla fine del 1999. Da qui comincia una peregrinazione in vari gruppi, con tanti concerti e tante canzoni macinate. Questo suo primo disco solista arriva al momento giusto ed è un piacere da sentire, sia perché è grunge fino al midollo, sia perché è un qualcosa di molto differente rispetto a ciò che si sente ora in giro. Innanzitutto la grande esperienza di Ru Fus è seconda solo al cuore che ci apre e ci fa vedere ogni suo battito, attraverso la lente della musica. La voce di Ru Fus è carica, calda e si potrebbe definire grunge blues, ti scava dentro e non ti lascia scampo. Il primo lavoro solista del musicista pisano non è però meramente nostalgico, prende come struttura portante il grunge, ma ha molte sfaccettature ed è un opera completa e che regala molte emozioni. Per chi ama certe sonorità è un ritorno ad un qualcosa che sembrava scomparso, anche perché le band che si rifanno al grunge spesso lo seguono in maniera ortodossa, mentre la sua essenza è ben catturata da Ru Fus, che ne coglie le cose migliori e le porta a galla attraverso la propria sensibilità. Vita Natural Durante è una di quelle gemme che vivono nel sottobosco e che sono gioie riservate a chi vuole ricercare, e non a chi vuole trovarsi la pappa pronta.

Tracklist
01. Da nessuna parte
02. Giornate nuvolose
03. Vecchie radici morenti
04. Fuori di testa
05. Solo
06. Mustangata
07. Grasso sole
08. Senza via d’uscita
09. Scalpo nero
10. Panic
11. Servi un signore
12. Ieri, oggi e domani

RU FUS – Facebook

Tragodia – Before The Fall

Trascinata da una sezione ritmica potentissima, chitarre possenti ed un vocalist eccellente, questa raccolta di brani non conosce batture d’arresto, picchiando duro fin dall’opener e non trovando intralci sulla strada percorsa.

Groove progressive metal di buona qualità, un’atmosfera gotica che incupisce l’atmosfera ed un neanche troppo nascosto impatto thrash sono le peculiarità di questo quarto album targato Tragodia, band lombarda al quarto full length tramite la Revalve Records.

Il gruppo nostrano, dopo cambi di line up e tre album tra il 2007 e il 2013, ritorna dopo cinque anni con dieci nuovi brani che compongono il nuovo Before The Fall, un album dalla potente forza metallica dietro ad un velo di gotiche melodie.
Trascinata da una sezione ritmica potentissima, chitarre possenti ed un vocalist eccellente, questa raccolta di brani non conosce batture d’arresto, picchiando duro fin dall’opener The Untrodden Road e non trovando intralci sulla strada percorsa.
Un album intenso nell’approccio, senza ballad, a parte lo strumentale Of Dark Suns and Dying Stars, sorta di intro alla seconda parte della tracklist, mentre cresce all’ascolto il sentore di essere al cospetto di un quartetto collaudato e dalla ben delineata personalità.
I refrain melodici sono il punto forte di Before The Wall, e vengono alternati a possenti cavalcate progressive che avvicinano la band al metal teatrale della scena statunitense (Veils Of Grey e la title track).
Prodotto splendidamente, così da poter apprezzare in pieno i vari passaggi tra potenza e melodia incastonati in piccoli gioiellini metallici come The Fifth Season e The Forgery, Before The Fall è un ottimo esempio di metal potente e melodico.

Tracklist
1.The Untrodden Road
2.Master of the Loss
3.Veils of Grey
4.The Fifth Season
5.Adrift
6.Of Dark Suns and Dying Stars
7.Before the Fall
8.Star-Driven
9.The Forgery
10.The House by the Grove

Line-up
Luca Meloni – Vocals
Riccardo Tonoli – Guitars
Marco Nicoli – Bass
Daniele Valseriati – Drums and percussion

TRAGODIA – Facebook

BARAFOETIDA

Il video di “Chemtrails & Haarp”, dall’album “Here Comes The Raven”.

Il video di “Chemtrails & Haarp”, dall’album “Here Comes The Raven”.

Il nuovo video dei BARAFOETIDA si chiama “Chemtrails & HAARP (feat. Diego Banchero – bassista, compositore e arrangiatore de “IL SEGNO DEL COMANDO”). Il brano è tratto dal nuovo ep “HERE COMES THE RAVEN”, uscito ad Ottobre 2018.

L’EP è disponibile su tutti gli stores digitali.

Buy & Listen EP on Bandcamp: https://barafoetida.bandcamp.com/al…/here-comes-the-raven-ep

Order CD: barafoetida@gmail.com

https://www.facebook.com/brokenbonespromotion/

http://brokenbonespromotion.blogspot.com/

Eye of Nix – Black Somnia

Black Somnia è un album che mette in luce una band dall’enorme spessore qualitativo, con tanto di bollino apposto dalla Prophecy Productions.

Secondo album per gli statunitensi Eye Of Nix, band che mette sul piatto, senza porsi troppi problemi, pulsioni provenienti da svariati generi accomunate però da una stessa profondità e segnate da un’impronta oscura.

Se Wound and Scar è una traccia straziante che porta sui territori del più aspro posthardcore, grazie ad un’interpretazione vocale parossistica della bravissima Joy von Spain, Fear’s Ascent esordisce con note che paiono provenire da un disco dei Jpy Division per poi venire trasfigurate da variazioni ritmiche e dall’approdo della vocalist a toni che riportano alla meno patinata Bkork dell’epoca Sugarcubes.
Questi due indizi costituiscono abbondantemente già una prova, visto che Black Somnia porta a spasso l’ascoltatore prendendolo per mano e poi abbandonarlo per diversi minuti in antri ora spaventevoli, ora falsamente rassicuranti, quasi a voler riprodurre l’ambientazione di qualche horror psicologico.
I vocalizzi ancor più inquietanti caratterizzano A Curse, litania in quota “galasiana” che lascia ben pochi sbocchi melodici, mentre l’icipit acustico di Lull segna il primo momento di vera quiete riscontrabile all’interno del lavoro che, in questa fase, vede un rarefazione dei suoni, proseguita anche in Toll On, che non fa comunque scendere la tensione fino al finale con A Hideous Visage, in cui il post metal sludge riprende la scena per non mollarla più, tra dissonanze, rallentamenti asfissianti e la voce di Joy che continua a lacerare l’anima dell’ascoltaore fino al suo annientamento.
Black Somnia è un album che mette in luce una band dall’enorme spessore qualitativo, con tanto di bollino apposto dalla Prophecy Productions.

Tracklist:

1. Wound and Scar
2. Fear’s Ascent
3. A Curse
4. Lull
5. Toll On
6. A Hideous Visage

Line Up
Joy von Spain – Vocals
Nicholas Martinez – Guitars
Masaaki Masao – Samples, Guitars
Gerald Hansen – Bass
Justin Straw – Drums

EYE OF NIX – Facebook

Kælan Mikla – Nótt eftir nótt

Le Kælan Mikla si confermano un gruppo unico e molto particolare nel panorama darkwave e post punk, giusto per dare qualche coordinata, e le emozioni che proverete con loro non vi lasceranno per molto tempo.

Torna la triade islandese tutta al femminile di nome Kælan Mikla, qui con un nuovo lavoro dopo l’ottimo Manandas, sempre di quest’anno, che racchiudeva i prodromi sonori dei loro inizi.

Nótt eftir nótt è il proseguimento di un’avventura unica e molto interessante, che si muove fra elettronica, new wave, no wave e darkwvave, riuscendo a cogliere aspetti sempre diversi ed intriganti di suoni assai diversi fra loro, ma che concorrono per un obiettivo comune. La differenza, sia sul piano musicale che su quello compositivo, la fa il talento di queste tre ragazze, che quest’anno sono balzate alle attenzioni di tutto il mondo, anche grazie a Robert Smith dei The Cure che le ha scelte per un festival. Ascoltando questo disco si capisce che le Kælan Mikla hanno un suono unico e personale, perché riescono a trascinarti in una dimensione di sogno grazie ai loro sintetizzatori che sembrano provenire da un altro mondo, con una voce che ti avvolge e non ti lascia, regalando atmosfere che vanno dal glaciale al sentirsi in qualche scena di Stranger Things, con un diverso senso degli anni ottanta. Il loro suono può richiamare qualcosa di ancestrale ma è al contempo fortemente proiettato nel futuro, grazie anche ad una produzione perfetta. Sembra che le tre islandesi giochino con il fato di chi le ascolta, il quale diventa ben presto un acceso devoto delle loro fredde frequenze. Rispetto al disco precedente qui la composizione si fa maggiormente selettiva, e vengono portate avanti istanze che ricadono nel campo nell’elettronica, che è poi la colonna portante del progetto. I giri di basso sono impressionanti e sembra di volteggiare in un nero connubio spazio temporale, e si vorrebbe che questo vorticare non avesse mai fine, piacere oppiaceo di qualcosa che si teme ma che si vuole a tutti i costi. Come per il precedente disco, questo lavoro porterà all’attenzione di un vasto pubblico la bravura di questo gruppo, perché queste nove canzoni si ascoltano in apnea totale, non riuscendo a distogliere l’attenzione da questo viaggio.
Le Kælan Mikla si confermano un gruppo unico e molto particolare nel panorama darkwave e post punk, giusto per dare qualche coordinata, e le emozioni che proverete con loro non vi lasceranno per molto tempo.

Tracklist
1.Gandreið
2.Nornalagið
3.Hvernig kemst ég upp?
4.Skuggadans
5.Draumadís
6.Næturblóm
7.Andvaka
8.Nótt eftir nótt (ft. Bang Gang)
9.Dáið er allt án drauma

Line-up
Sólveig Matthildur
Margrét Rósa
Laufey Soffía

KAELAN MIKLA – Facebook

Virgin Steele – Seven Devils Moonshine

Un’opera per fans accaniti che può risultare dispersiva anche per l’ascoltatore più attento: la musica di cui Seven Devils Moonshine si compone è ovviamente di alto livello anche se le cose migliori vengono dalle cover e dai molti brani rifatti per l’occasione.

Da dove cominciare per descrivere un monumentale lavoro come Seven Devils Moonshine, ultima fatica dei Virgin Steele?

Un cofanetto di cinque cd tra inediti, cover e un paio di ristampe non sono cosa da poco in tempi in cui se un album si avvicina ai sessanta minuti di durata viene considerato prolisso, quindi tanto di cappello a David DeFeis per il suo andare contro le logiche di mercato e alla SPV per averlo assecondato, anche se a ben vedere Seven Devils Moonshine, proprio per la sua mole, rimane un’ opera ad uso e consumo dei soli fans dello storico gruppo statunitense.
I cinque cd comprendono le ristampe di Hymns To Victory e The Book Of Burning, lavori usciti rispettivamente nel 2001 e 2002 ed altri tre che vedono la band alle prese con nuove tracce, versioni aggiornate di brani classici ed una serie di cover che potrebbero far storcere il naso a molti epic metallers.
Il primo cd è di fatto un album nuovo di zecca, nel quale l’impronta epico orchestrale del gruppo mantiene una sua forte connotazione riservando momenti di metal melodico sopra le righe, con un DeFeis assolutamente sul pezzo.
Oltre all’epico incedere dell’opener Seven Dead Within ed alla suite Feral, troviamo la versione orchestrale di Bonedust (da Visions Of Eden) e la cover di Wicked Game di Chris Isaak.
Il secondo e terzo cd rappresentano la parte più sperimentale di questa immensa raccolta, con una serie di medley e versioni orchestrali di brani classici.
Le cover sono la parte più interessante, con affascinanti medley di brani pescati dalla storia del rock e non solo, in cui la band intraprende un viaggio temporale che va dagli anni sessanta attraverso i due decenni successivi, fermandosi non poco nei primi anni novanta in quel di Seattle.
The Doors, Led Zeppelin, ZZ Top, Traffic, Alice In Chains, Mother Love Bone, Eddie James ‘Son’ House e Howlin’ Wolf , sono una parte degli artisti citati dalla band, che lascia agli ultimi due cd le ristampe di Hymns To Victory The Book Of Burning.
Qui si conclude questo monumentale lavoro, un’opera per fans accaniti che a mio avviso risulta dispersiva anche per l’ascoltatore più attento: la musica di cui Seven Devils Moonshine si compone è ovviamente di alto livello anche se le cose migliori vengono dalle cover e dai molti brani rifatti per l’occasione.

Tracklist
CD 1 ‘Ghost Harvest (The Spectral Vintage Sessions)’ Vintage 1 – Black Wine For Mourning (new album)
01. Seven Dead Within
02. Green Dusk Blues
03. Psychic Slaughter
04. Bonedust (Orchestral Version)
05. Hearts On Fire
06. Child Of The Morning Star
07. Murder In High-Gloss Relief
08. Feral
09. Justine
10. Princess Amy
11. Wicked Game
Clouds Of Oblivion Medley (Tracks 12 & 13)
12. Little Wing
13. The Gods Don’t Remember…

CD 2 ‘Ghost Harvest (The Spectral Vintage Sessions)’ Vintage 2 – Red Wine For Warning (new album)
01. The Evil In Her Eyes (Piano & Vocal Version)
02. Feelin’ Alright
03. Sister Moon
Summertime Darkness Suite (Tracks 4, 5, & 6)
04. Sweating Into Dawn
05. Summertime
06. Black Leaves Swirl Down My Street
07. Rip Off
The Gods Are Hungry Triptych (Tracks 8, 9, & 10)
08. The Gods Are Hungry Poem
09. The Poisoned Wound
10. The Birth Of Beauty
11. Profession Of Violence…
12. Rock Steady
13. Nutshell
14. Slow & Easy “Intro”
15. Jesus Just Left Chicago

Late Night Barroom Hoodoo Medley (Tracks 16, 17, 18, & 19)
16. Soul Kitchen
17. When The Music’s Over
18. Crawling King Snake
19. When The Music’s Over “Reprise”
20. Imhullu

The Drained White Suite (Tracks 21, 22, & 23)
21. After Dark
22. Wake The Dead
23. The Graveyard Dance
24. The Triple Goddess
25. Twilight Of The Gods (Live Acoustic Rehearsal Version)
26. Transfiguration (Live Acoustic Rehearsal Version)

CD 3 ‘Gothic Voodoo Anthems’ (new album)
01. I Will Come For You (Orchestral Version)
02. Queen Of The Dead (Orchestral Version)
03. The Orpheus Taboo (Orchestral Version)
04. Kingdom Of The Fearless (The Destruction Of Troy) (Orchestral Version)
05. The Black Light Bacchanalia (Orchestral Version)
06. Zeus Ascendant
07. By The Hammer Of Zeus (And The Wrecking Ball Of Thor) (Orchestral Version)

The Gothic Voodoo Suite (Tracks 8, 9 & 10)
08. Rumanian Folk Dance No. 3 “Pe Loc”
09. Delirium “Excerpt”
10. Snakeskin Voodoo Man (Orchestral Version)
11. The Enchanter

The Fire & Ice Medley (Tracks 12, 13 & 14)
12. Bone China
13. No Quarter
14. Bone China “Reprise”

Passion In The French Quarter Medley (Tracks 15 & 16)
15. Chloe Dancer
16. Gentle Groove
17. Darkness-Darkness
18. Death Letter Blues
19. Spoonful

CD 4 ‘Hymns To Victory’ (re-release)
01. Flames Of Thy Power (From Blood They Rise)
02. Through The Ring Of Fire
03. Invictus
04. Crown Of Glory (Unscarred) (In Fury Mix)
05. Kingdom Of The Fearless (The Destruction Of Troy)
06. The Spirit Of Steele (Acoustic Version)
07. A Symphony Of Steele (Battle Mix)
08. The Burning Of Rome (Cry For Pompeii)
09. I Will Come For You
10. Dust From The Burning & Amaranth (Orchestral Versions) (Bonus Tracks)
11. Noble Savage (Long Lost Early Mix)
12. Mists Of Avalon
13. Emalaith

CD 5 “The Book Of Burning” (Re-Release)
01. Conjurtion Of The Watcher
02. Don’t Say Goodbye (Tonight)
03. Rain Of Fire
04. Annihilation
05. Hellfire Woman
06. Children Of The Storm
07. The Chosen Ones
08. The Succubus
09. Minuet In G Minor
10. The Redeemer
11. I Am The One
12. Hot And Wild
13. Birth Through Fire
14. Guardians Of The Flame
15. The Final Days
16. A Cry In The Night
17. Queen Of The Dead (Nordic Twilight Version) (Bonus Track)

Line-up
David DeFeis – Vocals, Keyboards, Orchestration
Edward Pursino – Guitars
Joshua Block – Bass, Guitars
Matt McKasty – Drums

VIRGIN STEELE – Facebook

https://youtu.be/A7l5lkAh-Is

Ear Buzz – Planetarium

L’atmosfera che aleggia sulle quattro canzoni dell’album varia tra la grezza elettricità del rock e quella più introspettiva e dai raffinati accenni pop, in un’alternanza di sfumature che è il punto di forza del sound di questi cinque ragazzi campani.

Ci capita sempre più spesso di imbatterci in nuove realtà musicali nate su e giù per lo stivale. lontane magari dai canoni metallici abituali di webzine come MetalEyes, ma ugualmente meritevoli di essere portati all’attenzione dei lettori.

Gli Ear Buzz, per esempio, sono una giovane band fondata a Torre del Greco quattro anni fa, arrivati solo ora all’esordio, ma molto attivi fin da subito in sede live.
Il loro primo ep si intitola Planetarium, con quattro brani che si rifanno all’indie rock ma con un prezioso tocco alternative, così che la loro visone di rock moderno alterni atmosfere soft ed impennate elettriche.
L’uso della doppia voce maschile e femminile, poco usata nel genere, contribuisce a rendere i brani ancora più originali, con il tastierista Pietro Montesarchio a duettare con la chitarrista Ilaria Bellucci su Harriet, il brano maggiormente alternative rock dei quattro presenti in Planetarium.
L’atmosfera che aleggia sulle quattro canzoni dell’album varia tra la grezza elettricità del rock e quella più introspettiva e dai raffinati accenni pop, di cui è ricca Shining Eyes, un’alternanza di sfumature che è il punto di forza del sound di questi cinque ragazzi campani.
Un inizio che lascia buone sensazioni per proseguo del cammino musicale intrapreso dagli Ear Buzz.

Tracklist
1.November 11
2.Harriet
3.Shining Eyes
4.Mass Destruction

Line-up
Ciro Ivan Medio – Batteria
Fabio Balzano – Basso
Francesco Valerio Vitiello – Chitarra solista
Pietro Montesarchio – Tastiera e voce
Ilaria Bellucci – Voce e chitarra ritmica

EAR ZERO – Facebook

Anneke Van Giersbergen – Symphonized

Un disco orchestrale e classico nel senso più puro del termine, nel quale Anneke si cimenta in brani che ripercorrono una carriera assolutamente fuori da ogni gossip e concentrata sulla sola immensa arte.

Credo che non si possa parlare della sublime cantante Anneke Van Giersbergen senza nominare i The Gathering e Always, l’album che all’epoca (era il 1995) la fece conoscere a tutto il mondo metallico.

Seguirono altri capolavori (su tutti Nighttime Birds) e poi le varie collaborazione e progetti che hanno accompagnato la cantante olandese ad oggi, non più sirena metallica ma artista ed interprete a 360°, come conferma questo splendido live intitolato Symphonized, registrato lo scorso maggio insieme alla Residentie Orkest The Hague diretta da Arjan Tien.
Un disco orchestrale e classico nel senso più puro del termine, nel quale Anneke si cimenta in brani che ripercorrono una carriera assolutamente fuori da ogni gossip e concentrata sulla sola immensa arte.
E Symphonized non può che risultare uno scrigno di emozionante musica fuori dai soliti canoni a cui siamo abituati: Anneke ci strega ed ammalia con la sua voce, baciata da una raffinatezza ed eleganza difficile da trovare anche nelle cantanti di tali sonorità, figuriamoci nel rock di cui, ricordo, è stata una delle ispirazioni principali per una buona fetta di giovani sirene.
Siamo trasportati su una nuvola bianca e dolcemente leggera, presi per mano dalla cantante che, con il suo magico sorriso in cui ci vorremmo perdere, dà il via a questa emozionante ora di grande musica.
Amity, Travel e Forgotten sono prese dalla discografia dei The Gathering, Your Glorious Light Will Shine-Helsinki e Freedom-Rio dai Vuur, mentre la conclusiva 07 proviene dal grandioso progetto in coppia con Arjen Anthony Lucassen chiamato The Gentle Storm, ma quelli citati sono solo alcuni dei molti momenti magici di questo splendido lavoro.
Il concetto di bellezza rimane assolutamente soggettivo, ma sfido chiunque a non rimanere estasiato da tanto raffinato talento artistico.

Tracklist
01. Feel Alive
02. Amity (THE GATHERING)
03. Your Glorious Light Will Shine – Helsinki (VUUR)
04. Two Souls (LORRAINVILLE)
05. When I Am laid In Earth (HENRY PURCELL)
06. Travel (THE GATHERING)
07. Zo Lief
08. You Will Never Change
09. Freedom – Rio (VUUR)
10. Forgotten (THE GATHERING)
11. Shores Of India (THE GENTLE STORM)

Line-up
Anneke Van Giersbergen – Vocals

ANNEKE VAN GIERSBERGEN – Facebook

Petrolio – L + Esistenze

Musica che si raccoglie in cristalli che mutano in continuazione, per un’opera che mancava da tempo nel panorama italiano, un qualcosa di grande profondità e ricerca musicale, fatta con tanti musicisti eccezionali e prodotta grazie ad una cospirazione do it yourself.

Il nuovo disco di Petrolio, aka Enrico Cerrato già bassista degli Infection Code, è un contenitore di vite musicali, esistenze terrene e viaggi onirici.

Petrolio ha esordito nel 2017 con il disco Di Cosa Si Nasce, l’inizio di un progetto ben preciso, una grande mappa di rumori ed emozioni, dove l’uomo è misura di tutte le cose che possono essere suonate. Da tempo mancava in Italia un produttore con questa cifra, un musicista che si mette in gioco prima fra le proprie mura domestiche e poi si mette insieme ad altri che la vedono come lui per continuare il viaggio. Questo disco presenta diverse visioni nate da diverse esistenze messe assieme, accomunate da un comune sentire della musica e da una totale originalità di ogni visione. Petrolio è il minimo comune denominatore, al quale si aggiungono molti ospiti tutti davvero d’eccezione e di grande resa, come Jochen Arbeit (Einstürzende Neubauten , Automat , AADK , Soundscapes ), Fabrizio Modonese Palumbo (( r ), Almagest !, Blind Cave Salamander , Coypu , Larsen , XXL ), Aidan Baker ( Nadja ), Sigillum S, MaiMaiMai e N Ran, veramente fra il meglio della scena noise elettronica. Praticamente inutile tentare di rinchiudere in qualche genere musicale ciò che viene fuori da questo lavoro, che è uno grande sforzo perfettamente compiuto, poiché riesce a coniugare diverse visioni e soprattutto da vita ad un grande disco, che si avvicina ai territori dark ambient, power electronics, ed elettronica altra ma va oltre, molto oltre. Il disco esce sia in vinile che in cassetta, e ha due tracklist differenti, in maniera che per avere il lavoro completo si devono avere entrambi i formati. Ogni pezzo ha un grande valore, ogni canzone suscita differenti emozioni, in un rimbalzo continuo fra cuore e cervello, reni e chakra, con continue vibrazioni di corpo e mente, perché tutto è collegato. Musica che si raccoglie in cristalli che mutano in continuazione, per un’opera che mancava da tempo nel panorama italiano, un qualcosa di grande profondità e ricerca musicale, fatta con tanti musicisti eccezionali e prodotta grazie ad una cospirazione do it yourself di diverse etichette.

Tracklist Vinyl/ Digital
1 Ne Tuez Pas Les Anges (Petrolio + Aidan Baker)
2 La Maladie Connue (Petrolio + Sigillum S)
Scindere 2 animes (Petrolio + Jochen Arbeit)
3 Fish Fet (Petrolio + MaiMaiMai)
4 L’eterno Non E’ Per Sempre (Petrolio + Fabrizio Modonese Palumbo)
5 Ceralacca E Seta (Petrolio + Naresh Ran)

Tracklist Tape/Digital
1 Heilig Van Blut (Petrolio + Aidan Beker)
2 Peregrinos De Almas (Petrolio + Sigillum S)
3 Wood And The Leaf Rite (Petrolio + Jochen Arbeit)
4 Cut The Moon (Petrolio + MaiMaiMai)
5 Ojos Eyes And L’Ecoute (Petrolio + Fabrizio Modonese Palumbo)
6 Vuoto A Perdre (Petrolio + Naresh Ran)

Line-up
Enrico Cerrato: synth, chitarra, elettronica
Fabrizio Modonese Palumbo: viola elettrica, chitarra, ebow.
 (Registrato da Paul Beauchamp presso l’O.F.F. Studio Torino).
Aidan Baker: chitarra, basso, occult noises
Sigillum S: piano, synth, noises, fool rhithms
Jochen Arbeit: chitarra fx
MaiMaiMai: machines e distorsioni
Naresh Ran: voce, testi, noises

PETROLIO – Facebook

Locus Titanic Funus – Never Pretend

Never Pretend è un disco che trova una sua ragione d’essere nei passaggi più atmosferici, delineati da un buon lavoro chitarristico, ma ciò avviene in maniera troppo sporadica e frammentaria per spingere quest’album dei Locus Titanic Funus oltre una sufficienza di stima.

Secondo full length dei russi Locus Titanic Funus, band guidata da Alexey Mikhaylov, musicista molto attivo in passato all’interno di band minori del panorama metallico moscovita.

Questo nuovo lavoro, che arriva a cinque anni di distanza dall’esordio, di per sé non sarebbe affatto deprecabile, perché il gothic doom offerto presenta momenti dal buon impatto emotivo inseriti, però, all’interno di un contesto eccessivamente corposo e dalle pecche rinvenibili nell’uso della voce e in una produzione non al passo con i tempi.
In sede di presentazione vengono citate diverse band di riferimento, tra le quali i Saturnus, in maniera quanto meno azzardata, e i Desire, storica band portoghese autrice di due magnifiche opere alla fine dello scorso millennio, con i quali invece qualche tratto comune è rintracciabile.
Ma se il growl sgraziato e la produzione un po’ piatta erano accettabili ai tempi, specie se i dischi in questione erano i magnifici Infinity e Locus Horrendus, tali aspetti diventano un boomerang vent’anni dopo se il songwriting non raggiunge o almeno avvicina quei livelli.
A tratti sembra che i Locus Titanic Funus assemblino tutte le loro influenze senza però amalgamarle fino in fondo, per cui si ha l’ impressione di ascoltare band diverse all’opera, talvolta addirittura all’interno del stesso brano. La voce femminile, che di solito non è una soluzione che mi faccia impazzire, qui si sarebbe potuta rivelare invece una buona panacea ma la brava Mila Ionova (anche al violino) viene utilizzata con il contagocce offrendole uno spazio più ampio solo in The Flowertale, traccia di chiusura all’insegna di un folk che con il resto del lavoro c’entra ben poco.
Un’ora e dieci di gothic doom privo di una direzione precisa e, soprattutto, di spunti rimarchevoli è troppo anche per l’appassionato più fedele ed accanito del genere: Never Pretend è un disco che trova una sua ragione d’essere nei passaggi più atmosferici, delineati da un buon lavoro chitarristico, ma ciò avviene in maniera troppo sporadica e frammentaria per spingere quest’album dei Locus Titanic Funus oltre una sufficienza di stima.

Tracklist:
1. Deadly Sun Wretched Skies
2. Sweet Embrace of Cowardice
3. When the Robins Fall
4. Asphalt
5. Piper
6. You Are My Despair
7. Eornion… My Dear Phantasm
8. The Flowertale
9. Forgive Us

Line-up:
Alexey Kuznetsov – bass guitar, vocals
Alexey Mikhailov – drums, vocals
Mila Ionova – vocals, violin
Denis Andrianov – guitars

LOCUS TITANIC FUNUS – Facebook

NEW HORIZONS

Il lyric video di Bordelands pt.2, dall’album Inner Dislocations (Revalve Records).

Il lyric video di Bordelands pt.2, dall’album Inner Dislocations (Revalve Records).

New Horizons just released a brand new Lyric video for their song Bordelands pt.2!

The track is taken off of the band’s last album Inner Dislocations, which is available here: https://www.revalverecords.com/NewHorizons.html

https://www.facebook.com/newhorizonsprogband/

New Horizons born in November 2013, after a period of studies and line-up instability. With the arrival of Federico Viviani (drums, Rusty Nails, Sulfur), then, the musical project turned on by Luca Guidi (keyboards, Fall of Darkness), Giacomo Froli (solo guitar), Nicola Giannini (rythmic guitar) and Claudio Froli, began to take shape and finding the right direction. In April 2014. was released the demo ‘The Trail of Shadows’ at Borderline (Pisa), and at the end of a period of meticulous recruiting, the band completed the line-up with the entrance of Oscar Nini (vocals). The following year, the band worked hard to perfect instrumental sheets and to define lyrics and vocal lines. in October 2015 New Horizons plyaed at the prestigious Blitz (Cascina, PI) in order to present a foretaste of the future album. In March 2016, the recordings of ‘Inner Dislocation’ took place at Magnitudo Studios of Ghezzano (Pisa). In 2017 the mixing was finished at Seven7Studio of Calenzano (Florence), and the work was definitively completed with the mastering at Domination Studio (San Marino) of Simone Mularoni (guitarist of DGM). Among the many concerts in Tuscany, it’s worth mentioning the concert at Cycle Club in Calenzano (FI) on 15 April 2015, opening to DGM (masters of italian prog-power metal).

The Cascades – Phoenix

I The Cascades regalano tredici brani davvero gradevoli e ben costruiti, per un risultato finale che non può esser imprescindibile per la sua marcata derivatività ma che resta decisamente pregevole ed oltremodo ben accetto da parte di noi “diversamente giovani”.

Molti tra quelli un po’ meno giovani che, a cavallo tra gli ani ottanta e novanta, si sono beati delle sonorità gotiche che diedero una meritata fama ai Sisters Of Mercy prima e poi ai The Mission, sono inevitabilmente attratti reunion estemporanee, concerti o nuove uscite dagli esiti contraddittori che vedono ancora all’opera antichi eroi come Andrew Eldritch o Wayne Hussey.

A colmare la voglia di riascoltare qualcosa di simile, ma in una verse più attuale, arrivano i tedeschi The Cacasdes, band tutt’altro che composta da giovanotti imberbi, visto che la sua nascita è avvenuta sempre in quei formidabili anni anche se la trentennale carriera è stata molto meno fortunata rispetto a quella dei mostri sacri citati.
Dopo un lungo silenzio il gruppo guidato da Markus Wild ritorna con un lavoro di inediti che si rivela un vero godimento per chi, ai tempi, consumò le proprie copie viniliche di First And Last And Always e Gods’ Own Medicine; da questi questi indizi si può facilmente dedurre che Phoenix potrà avere tuti i pregi di questo mondo fuorché l’originalità ma, sinceramente, non ce ne può importare di meno.
Brani come Dark Daughter’s Diary e Phase 4 entrano sottopelle a grande velocità e fanno precipitare la memoria in un immaginario fatto di personaggi nero vestiti sempre affascinanti e carismatici, anche se a qualcuno oggi potrebbero apparire irrimediabilmente obsoleti.
Essendo un album uscito nel 2018, Phoenix non si nutre esclusivamente di quelle più antiche pulsioni, ma si aggiorna anche alle derive che il gothic sound ha preso in questi tempi, acquisendo il più lascivo incedere melodico dei The 69 Eyes (The World Is Yours) ma anche le asprezze che coincidono soprattutto con gli episodi in lingua madre (Ihr Werdet Sein), senza dimenticare di omaggiare una band formidabile, pur se avulsa da tale contesto, come gli Hüsker Dü coverizzandone in maniera eccellente il brano Diane.
In definitiva, i The Cascades regalano tredici brani davvero gradevoli e ben costruiti, per un risultato finale che non può esser imprescindibile per la sua marcata derivatività ma che resta decisamente pregevole ed oltremodo ben accetto da parte di noi “diversamente giovani”.

Tracklist:
01. Avalanche
02. Blood Is Thicker Than Blonds
03. Dark Daughter’s Diary
04. Phase 4
05. Station No. E
06. Phoenix
07. Behind The Curtain
08. This World Is Yours
09. Superstar
10. Ihr Werdet Sein
11. Zeros And Ones
12. Diane (Hüsker Dü cover)
13. Für F.

Line-up:
M. W. Wild – Vocals
Morientes daSilva – Guitars
Markus Müller – Keyboards / Programming

THE CASCADES – Facebook

MARTYR LUCIFER

Il lric video di Wolf of the Gods, dall’album “Gazing at the Flocks” (Seahorse Recordings).

Il lric video di Wolf of the Gods, dall’album “Gazing at the Flocks” (Seahorse Recordings).

Martyr Lucifer recently released the lyric video for “Wolf of the Gods”

The video has been accomplished by Ciancio Graphics and is the second excerpt from “Gazing at the Flocks”, album released this year by Seahorse Redordings and featuring Adrian Erlandsson (At the Gates, former Paradise Lost) on drums.

Acolytes Of Moros – The Wellspring

C’è un qualcosa nella musica degli svedesi Acolytes Of Moros che fa capire subito che ci si trova di fronte ad un grande gruppo, con un modo di comporre rivolto al cielo più che alla terra.

C’è un qualcosa nella musica degli svedesi Acolytes Of Moros che fa capire subito che ci si trova di fronte ad un grande gruppo, con un modo di comporre rivolto al cielo più che alla terra.

Il trio svedese fa un doom metal molto poco canonico, nel senso che le basi di partenza sono quelle classiche del genere, ma poi si continua per strade non ancora battute. Ad un primo ascolto il suono di The Wellspring potrebbe sembrare minimale, ma è uno dei suoi punti di forza, perché con uno suono ben poco prodotto riescono a tirare fuori delle melodie e delle atmosfere incredibili e molto coinvolgenti. Il groove di questo gruppo è particolare e molto originale, c’è un incessante ricerca di un flusso sonoro che accompagna l’ascoltatore per tutta la durata del disco. Le tracce sono tutte di lunga durata, le narrazioni sono di ampio respiro, ascoltandole non si percepisce che durano molto perché si è totalmente assorti in un suono che ci riporta indietro, in una natura pressoché incontaminata, in cui le stelle alla notte si vedevano ancora e le tenebre erano parte di noi, no n qualcosa da cui fuggire bensì un modo per avanzare nella nostra conoscenza. Come riferimenti musicali si potrebbe dire che c’è molto del doom e qualcosa di gruppi come gli Yob, che spuntano sempre quando le composizioni sono intelligenti e costruite seguendo una struttura. Nonostante esistano dal 2010, questo è l’esordio sulla lunga distanza per gli Acolytes Of Moros, ed è giusto così perché gruppi con questo passo sonoro non possono comporre in fretta, ma necessitano del giusto tempo per far decantare le loro composizioni. Le parti vocali sono eseguite in un modo che accompagna molto bene la musica, come un bardo che canta le sue storie in un ambiente simile a quello raffigurato nella loro copertina. Un disco nettamente sopra la media delle uscite doom metal, comunque in genere di buon livello, e sicuramente molto diversa e assai godibile.

Tracklist
1.Disenthralled from the Trammels of Deception
2.A Yen to Relinquish and Evanesce
3.Forbearance
4.Quotidian
5.Venerate the Dead

Line-up
Christoffer Frylmark – Bass, Vocals
Rasmus Jansson – Drums
Simon Carlsson – Guitars

ACOLYTES OF MOROS – Facebook

La New Wave of Finnish Heavy Metal

Dalla nostra retrospettiva sulla storia culturale e musicale della Finlandia moderna, volta per lo più a presentare una scena notevole ed importante, sono rimasti intenzionalmente fuori alcuni gruppi, di valore, lasciati da parte solo e appunto per trattarli in una sede apposita e appropriata: la presente.

Nel corso degli ultimi cinque lustri, rock ed in particolare metal hanno visto nascere in Finlandia un eccellente numero di nuove band, tutte o quasi dotate di una buona originalità, quindi in linea con il percorso storico nazionale, che ha visto, quasi sempre, gli artisti dell’antica Lapponia muoversi alla ricerca di un’identità personale, non direttamente assimilabile a modelli svedesi o danesi (e lo stesso discorso può farsi ovviamente per la grande scuola norvegese, non solo in ambito black). La cosa si nota, specialmente, quando si parla di estremo, più di rado nel dominio dell’heavy: ad esempio, vi è molto poco da apprezzare nei ruffiani e ripetitivi Battle Beast, che pure vengono spacciati come la new sensation del power mondiale. Il nostro sguardo deve invece rivolgersi altrove.
Nel campo del doom sono assolutamente da annoverare gli Shape of Despair (da pochi anni tornati a calcare le scene su Season of Mist, dopo un periodo d’inattività seguito al mitico debutto), i grandi Swallow the Sun (magicamente sospesi fra il melodic death, il funeral doom ed il folk nordico), i Minotauri (più legati alla grande tradizione dark-doom dei Seventies e, non a caso, pubblicati dalla nostra Black Widow) ed i Profetus.

Il doom atmosferico, con o senza tocchi ambient, è un genere che va, oggi, molto di moda – persino troppo – ma pochi rammentano che a contribuire a crearlo sono stati anche due gruppi finlandesi dal talento indiscutibile. I primi sono stati i Nattvindens Grat: nel 1995 il loro epico e misterioso debut A Bard’s Tale fu un autentico lampo di melodie ancestrali ed arcane, ritmi cadenzati, suoni cristallini quanto potenti, atmosfere medievali e porzioni più (classicamente) rock, sulla scia degli Amorphis più suggestivi. Un capolavoro irripetibile. Buono, anche se più accattivante, fu il successivo Chaos Without Theory, anche a livello lirico meno giostrato rispetto all’esordio su tematiche rinascimentali di magia naturale nordeuropea. Altro progetto imprescindibile per la nascita e la affermazione di ciò che oggi chiamiamo atmospheric doom fu quello dei Legenda fondati nel 1996 da Kimmo Luttinen (batterista e chitarrista degli Impaled Nazarene): un vero e proprio masterpiece il loro Autumnal, fin dal titolo e dalla malinconica copertina. Il disco, con tocchi gotici in stile primi Paradise Lost, vide la luce nel 1997, bissato l’anno dopo dal suo seguito Eclipse.
Passando al death metal, sono da segnalare gli Omnium Gatherum, con diversi lavori in carniere e non privi di gusto melodico, i pionieri e avanguardistici Demilich (una vera meteora), nonché tutte quelle band, di area totalmente underground, rimaste nell’oscurità, con accordature basse e sonorità tra il cupo e l’ipnotico: Demigod, Abhorrence, Xysma, Disgrace e Convulse. Fantastici e assai più conosciuti i Wolfheart (il cui nome viene dal classico dei Moonspell): death melodico, con aperture black, ogni volta a livelli molto alti, come in occasione dell’ultimo, Constellation of the Black Light (2018). Maggiormente spostati su territori BM, invece, i grandissimi Horna, quindi Musta Surma, Sargeist, Nattfof ed i fenomenali Satanic Warmaster, questi ultimi con aperture in taluni passaggi al più oscuro folk nordico. Da avere, di black metal finnico, pure Verge, Wyrd, Desolate Shrine e Witsaus, tra gli altri, nonché – tra black e doom – i seminali quattro lavori degli Unholy, magistrali ed attivi nella prima metà dei Nineties, incredibilmente evocativi.
Molti gruppi si sono poi mossi, ieri come oggi, sul confine (mobile) tra black death, groove death e death doom. Ricordiamo in proposito, tra meteore del passato e nuove leve odierne, i Depravity, Anguish, Messiah, Putrid, Funebre, Adramelech, Lubrificant, Cartilage, Vomituritium, God Forsaken, Paratroops, Mordicus, Chaosbreed, Purtenance, Corporal Punishment, Hateform, Phlegethon, Necropsy, Obfuscation, Mythos, Protected Illusion, Goretorture, Belial, Nomicon, Sotajumala, Immortal Souls, Infera, Cadaveric Incubator e Deathbound. Grandiosi poi, nella scena death-core, sono i Carnifex.
Una realtà a sé stante sono stati i Beherit, nati addirittura nel 1989, molto legati alle scienze occulte ed alla demonologia siriaca. Sino al 1993, hanno suonato un black-death decisamente underground: quattro demo tape, due mini, uno split e due album, davvero neri e glaciali, che – insieme ai carioca Sarcofago – hanno di fatto fondato il war metal, influenzando acts come Impiety, Grave Desecrator, Revenge, i connazionali Archgoat e naturalmente Blasphemy e Marduk. Tra il 1994 ed il 1995, si è verificata, nel sound e nell’approccio stilistico dei Beherit, la svolta in direzione del dark ambient di matrice elettronica.
Un altro immenso gruppo finnico che è partito dal black per approdare a sonorità sperimentali sono gli Oranssi Pazuzu, il cui nome deriva dalla mitologia babilonese. Nati a Tampere, nel 2007, hanno in discografia quattro album, un EP ed uno split (con i Candy Cane).
Il loro è un eccelso BM, ricco di atmosfere progressive e spaziali, a tutti gli effetti fantascientifiche, siderali e futuristiche.

Alcuni degli Oranssi Pazuzu, inoltre, collaborano anche con gli sludge-doomsters Dark Buddha Rising, di fatto i Neurosis della Finlandia, viste le complesse architetture di drone metal occulto che sanno con abilità manipolare.

Chiudiamo con i Circle, lo straordinario gruppo che, non senza orgoglio, è il simbolo stesso della NWOFHM. Nati nel 1991, i finlandesi vantano oggi una discografia a dir poco sterminata, tra mini, dischi, live, partecipazioni a compilation e tributi. Nel loro particolarissimo metal trovano posto tra le altre istanze space e kraut, ambient e prog, math-core e grind. I Circle sono impareggiabili, nella loro disinvolta (e matura) capacità di mescolare le carte, passando dall’hard zeppeliniano ai bagliori cosmici dei primissimi Pink Floyd, dal rumorismo tedesco di Faust/Neu/Can alle oscure dissonanze dei King Crimson (periodo 1973-74). Sono la perfetta sintesi di passato e presente, di art rock e di metal. Attrazione dell’olandese Roadburn Festival, si sono aperti al post rock ed hanno sperimentato con i sintetizzatori come pochi altri, in questi ultimi vent’anni.

I membri dei Circle, inoltre, suonano o hanno suonato anche in altri gruppi o progetti paralleli, di ragguardevole interesse, dedicati a tutti o quasi i generi musicali, che coprono la gamma storica dell’hard & heavy: si va infatti dagli stoners Pharaoh Overlord agli AOR Falcon di Frontier (il miglior disco nel settore in Finlandia, dai tempi degli Heartplay, che uscirono per la tedesca MTM), dai feroci Steel Mammoth agli altrettanto duri Krypt Axeripper (entrambi i gruppi a cavallo tra speed metal, crust punk e black-grind), dagli Iron Magazine agli Extroverde, dai Plain Ride Almosta ai Lusiferiinin, per citare, qui, soltanto alcune delle sigle sotto le quali i Circle hanno operato ed operano tuttora. Qual è il significato di tutto ciò? Dimostrare semplicemente la vitalità del metal finnico e più nella fattispecie illustrare la bellezza di tutti i generi che albergano all’interno di esso, dagli scenari più solari e melodici, sino a quelli dark e sperimentali. Versatili al pari di pochissimi altri, i Circle amano pertanto tutta la musica. Una vera e propria lezione, per coloro che ascoltano, solo in base ai propri gusti soggettivi, unicamente alcuni generi. Oltre al metal – in ogni sua forma e declinazione, come si è detto – i Circle amano alla follia il kraut rock spaziale della Germania anni ’70, su tutti i leggendari Faust. Non casualmente, il rinato gruppo di Wumme ha inciso per la loro etichetta, la Ektro, il live Kleine Welt, registrato nel 2006-07 e prodotto dai Circle nel 2008.
Segnalare in questa sede i migliori dischi dei Circle non è certamente un’impresa facile, alla luce di qualità e quantità delle loro infinite produzioni. Senz’altro, occorre procurarsi senza indugi Rautatie (2010), Hollywood (edito dalla Viva Hate di Berlino), Tulikoira e Forest (forse i loro dischi più dark metal), Telescope (inciso in concerto, al Cairo di Wurzburg, nel 2003), Raunio (naturalistico e quasi folk), Taantumus e Prospekt (orientati sullo sludge-drone), Soundcheck (registrato dal vivo, il 31 di ottobre 2009, nella loro terra) ed i più recenti Sunrise (um omaggio alla West Coast degli anni d’oro) e Terminal (apparso per la Southern Lord nel 2017). Una band veramente formidabile, che sa fare la storia in questo delirante terzo millennio.

Dazagthot
(in collaborazione con Michele Massari e Massimo Pagliaro)

RED B. – Night’s Callin’

Night’s Callin’ è un’opera senza tempo come senza tempo è un genere come l’hard’n’heavy classico quando è composto da belle canzoni suonate e, soprattutto, cantate alla grande da un’artista di spessore come Red Bertoldini.

Torna a ruggire uno dei personaggi storici del metal tricolore, Red Bertoldini, batterista e cantante dei Dark Lord (è dello scorso anno la reunion) e di un’altra manciata di gruppi, con un nuovo album solista sotto il monicker di RED B.

Night’s Callin’ è il suo terzo lavoro, dopo Red Bertoldini, uscito nel 2014 e Just Another Hero dell’anno successivo: qui il vocalist veneto è accompagnato da tre ottimi musicisti come Tony T. alla batteria, Edo alla chitarra e Gilberto Ilardi al basso.
Night’s Callin’ risulta un graffiante esempio di hard & heavy classico, con le sue radici ben piantate tra gli anni ottanta ed il decennio precedente, con il cantante che non accusa minimamente il passare degli anni e ruggisce da par suo su brani potenti ed agguerriti come Fallin’ Through The Sky ed Everybody, avvio esplosivo di questo ottimo lavoro.
Sfumature southern accompagnano il singer sulle ballad I’ve Been Killing e The End, mentre la conclusiva A Man In The Mirror ricorda la Blindman degli Whitesnake del classico Ready An’ Willing.
Il resto dell’album varia tra scelte stilistiche orientate verso l’hard & heavy ottantiano (Into The Street e la title track) ed altre in cui un’anima blues si impadronisce della bellissima Bad Woman, brano che sembra uscito dalla tracklist dell’unico ed irripetibile album frutto della collaborazione tra David Coverdale e Jimmy Page.
Night’s Callin’ è un’opera senza tempo come senza tempo è un genere come l’hard’n’heavy classico quando è composto da belle canzoni suonate e, soprattutto, cantate alla grande da un’artista di spessore come Red Bertoldini.

Tracklist
1.Fallin’ Though The Sky
2.Everybody
3.I’ve Been Killing
4.Into The Street (Intro)
5.Into The Street
6.Night’s Callin’
7.Lookin’ Stars From The Sea
8.The End
9.Bad Woman
10.A Man In The Mirror

Line-up
Red Bertoldini – Lead Vocal
Tony T. – Drums
Edo – Guitars
Gilberto Ilardi – Bass

RED B. – Facebook

Marius Danielsen – Legend Of Valley Doom-Part 2

Settanta minuti immersi nel mondo epico fantasy creato da Danielsen, per quella che ad oggi è una delle più riuscite opere del genere e che, sul finire degli anni novanta avrebbe sicuramente trovato più gloria: una considerazione che non sminuisce certo il valore artistico di Legend Of Valley Doom-Part 2.

L’Oscuro Lord sconfisse Valley Doom e King Thorgan cadde in battaglia. I Doomiani della Valle sono costretti così a fuggire verso i loro alleati ad ovest, nel regno di Eunomia.
Spetta al Re Guerriero guidare il popolo di Valley Doom verso la salvezza e, insieme King Eunotrian e Arigo the Wise hanno bisogno di trovare un modo per sconfiggere il Signore Oscuro.

La Crime Records licenzia il secondo capitolo della saga fantasy Legend Of Valley Doom, creata dal musicista cantante e compositore norvegese Marius Danielsen, un passato nei Darkest Sins ed un presente a giocarsela con Tobias Sammet ed i suoi Avantasia a chi farà sognare di più gli amanti delle power metal opera.
Legend Of Valley Doom-Part 2 non si discosta né dal primo capitolo né dalle tante opere che qualche anno fa invasero il mercato metallico classico sulla scia dei primi bellissimi lavori di Avantasia, Rhapsody e quello che rimane il maggior responsabile di questa invasione, Land Of The Free, capolavoro inarrivabile dei Gamma Ray.
Epico, piacevolmente orchestrale senza essere ridondante e valorizzato da una serie una quantità di ospiti infinita, l’opera non cambierà sicuramente le sorti della musica ma rimane un bellissimo esempio di power metal che prende ispirazione dalle varie scuole europee, legato indissolubilmente a coordinate stilistiche che conosciamo benissimo.
Si diceva degli ospiti: a parte gli amici e colleghi dei Darkest Sins, già presenti nel primo capitolo, c’è veramente di che stropicciarsi occhi e orecchie per la qualità e la quantità di talenti impegnati a valorizzare gli undici brani dell’album (vi rimando quindi ai dettagli in calce all’articolo), un esercito di musicisti e cantanti chiamati a raccontare le vicende di questo secondo capitolo.
Settanta minuti immersi nel mondo epico fantasy creato da Danielsen, per quella che ad oggi è una delle più riuscite opere del genere e che, sul finire degli anni novanta avrebbe sicuramente trovato più gloria: una considerazione che non sminuisce certo il valore artistico di Legend Of Valley Doom-Part 2.

Tracklist
1. King Thorgan’s Hymn
2. Rise of the Dark Empire
3. Gates of Eunomia
4. Tower of Knowledge
5. Visions of the Night
6. Crystal Mountains
7. By the Dragon’s Breath
8. Under the Silver Moon
9. Angel of Light
10. Princess Lariana’s Forest
11. Temple of the Ancient God
12. We Stand Together
13. Tower of Knowledge (Vinny Appice Version / CD-BONUSTRACK)
14. Crystal Mountains (Vinny Appice Version / VINYL-BONUSTRACK)

Line-up
Vocals:
Michael Kiske (Helloween, Avantasia, Unisonic)
Tim Ripper Owens (ex-Judas Priest)
Blaze Bayley (ex-Iron Maiden, Wolvesbane)
Olaf Hayer (ex-Luca Turilli, Symphonity)
Michele Luppi (Whitesnake, ex-Vision Divine)
Daniel Heiman (ex-Lost Horizon, Harmony)
Mark Boals (ex-Yngwie Malmsteen)
Alessio Garavello (ex-Power Quest, A New Tomorrow)
Mathias Blad (Falconer)
Jan Thore Grefstad (Highland Glory, Saint Deamon)
Diego Valdez (Helker, Iron Mask)
Raphael Mendes (Urizen)
Per Johansson (Ureas)
Kai Somby (Intrigue)
Simon Byron (Sunset)
Anniken Rasmussen (Darkest Sins)
Peter Danielsen (Darkest Sins)
Marius Danielsen (Darkest Sins)

Bass:
Jari Kainulainen (ex-Stratovarius, Masterplan)
Magnus Rosén (ex-HammerFall)
Barend Courbois (Blind Guardian)
Jonas Kuhlberg (Cain’s Offering)
Giorgio Novarino (ex-Bejelit)
Rick Martin (Beecake)

Guitars:
Bruce Kulick (ex-KISS)
Matias Kupiainen (Stratovarius)
Jennifer Batten (ex-Michael Jackson)
Tom Naumann (Primal Fear)
Tracy G (ex-Dio)
Jens Ludwig (Edguy)
Jimmy Hedlund (Falconer)
Timo Somers (Delain)
Olivier Lapauze (Heavenly)
Luca Princiotta (Doro)
Andy Midgley (Neonfly)
Mike Campese
Billy Johnston (Beecake)
Sigurd Kårstad (Darkest Sins)
Marius Danielsen (Darkest Sins)

Keyboards:
Peter Danielsen (Darkest Sins)
Steve Williams (Power Quest)

Drums:
Stian Kristoffersen (Pagan’s Mind)
Vinny Appice (ex-Dio, ex-Black Sabbath) – On bonus tracks
Choirs:
Marius Danielsen (Darkest Sins)
Peter Danielsen (Darkest Sins)
Jan Thore Grefstad (Highland Glory, Saint Deamon)
Anniken Rasmussen (Darkest Sins)
Alessio Perardi (Airborn)

MARIUS DANIELSEN – Facebook