VEIL OF CONSPIRACY

Il lyric video di Mine Forever, dall’album Me, Us and Them in uscita a febbraio (Revalve Records).

Il lyric video di Mine Forever, dall’album Me, Us and Them in uscita a febbraio (Revalve Records).

Enjoy the first lyric video Mine Forever of the new Veil of Conspiracy album Me, Us and Them that will be released on February 8th via Revalve records.

Pre-order the album here: https://player.believe.fr/v2/3615936280517
iTunes: https://apple.co/2TW4VlT
Cd: https://bit.ly/2T32ttK
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https://www.revalverecords.com/VeilOfConspiracy.html

Formed in 2016, Veil of Conspiracy has gone through different musical phases to reach a more mature and defined sound in 2017, composing songs increasingly influenced by an obscure but at the same time elegant and refined mood. Inspired by big names like Katatonia, Opeth, Nevermore and Soen, Veil of Conspiracy is a unique musical reality in the Italian metal scene, merging the Nordic power of the guitars with the attention to the melody and a progressive elegance, without neglecting the importance of the lyrics.

CONGIURA

Il lyric video del brano “Bloodforge”, dall’album di prossima uscita “Requiem”.

Il lyric video del brano “Bloodforge”, dall’album di prossima uscita “Requiem”.

I Death metallers Congiura hanno pubblicato il lyric video ufficiale del brano “Bloodforge”, contenuto nel prossimo album “Requiem”.
Il nuovo full length, il secondo della band, miscela un sound oscuro “Old School” con un Death Metal epico e melodico, che richiama alla mente band quali At The Gates, Bloodbath, Insomnium ed esprime il punto di vista dei Congiura sui disordini mentali e le battaglie degli esseri umani.

Lyric video realizzato da Stefano Mastonicola e Cult Of Parthenope.

“Requiem” è stato registrato, mixato e masterizzato presso i Kick Recording Studio a Roma da Marco Mastrobuono (Fleshgod Apocalypse, Hour Of Penance). L’album vede come ospite alle backing vocals di Alessio Pacifici (Dr. Gore) sul brano “Dead Oak” e Marco Mastrobuono lead guitars sulla traccia “Requiem For Humanity”.

Cover Artwork di Davide Mancini at DARTWORKS.

L’album uscirà nel 2019.

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Sönambula – Bicéfalo

Bicéfalo è un album che, fin dalla prima nota, si rivela grezzo, asciutto, basato su un riffing sempre incisivo e da un supporto ritmico ben in evidenza: l’andamento mediamente sostenuto viene interrotto da bruschi rallentamenti, così come da ottime sortite metodiche delineate dalla chitarra solista.

Il death doom nella sua forma più asciutta ed essenziale proposto ai giorni nostri è un qualcosa che ha il pregio di lasciarsi ascoltare con piacere ma, al contempo, ha il difetto di risultare ben difficilmente un qualcosa capace di lasciare un segno indelebile.

Tali considerazioni valgono anche per questo secondo full length dei baschi Sönambula, band guidata dall’esperto chitarrista e vocalist Rapha Decline.
Bicéfalo è un album che, fin dalla prima nota, si rivela grezzo, asciutto, basato su un riffing sempre incisivo e da un supporto ritmico ben in evidenza: l’andamento mediamente sostenuto viene interrotto da bruschi rallentamenti, così come da ottime sortite metodiche delineate dalla chitarra solista.
In tali frangenti il musicista di Bilbao dimostra d’essere un buon interprete dello strumento e questo ci fa pensare che, forse, dando un maggiore sfogo a passaggi più ariosi il risultato complessivo avrebbe potuto risentirne positivamente.
I brani sono tutti abrasivi il giusto, il ringhio di Rapha non fa sconti e mentre si ascolta il disco si scapoccia il giusto ma arrivati al termine sorge spontanea una domanda: quante volte lo ascolterò ancora?
L’uniformità stilistica dei Sönambula è un punto di forza, per il suo essere coerente ai dettami del genere, e di debolezza per il fatto che dopo la prima canzone sarà ben chiaro che il canovaccio seguito resterà inevitabilmente quello.
Ciò che ne scaturisce è comunque un lavoro valido e che sicuramente troverà il dovuto apprezzamento da parte di chi predilige questo tipo di sonorità estreme.

Tracklist:
1. Mutación sintética
2. Héroe sangriento
3. Huesos
4. Nostromo
5. Detritus
6. Colección macabra
7. Bicéfalo

Line-up:
Rapha Decline – Guitar/Vocals
Errapel Kepa – Bass
Maider – Drums

SONAMBULA – Facebook

Original Sin – Space Cowboy

Gli Original Sin non si discostano molto da quanto fatto nel recente passato, con un sound ispirato all’hard & heavy tradizionale e influenzato dalla scena britannica degli anni ottanta.

Vi avevamo parlato dei ravennati Original Sin diversi mesi fa, in occasione del loro debutto, il buon Story Of A Broken Heart che metteva in evidenza l’attitudine hard & heavy del quartetto con nove brani diretti dalle radici ben salde negli anni ottanta, ma con impatto e prepotenza da guerrieri del nuovo millennio.

Space Cowboy è il secondo lavoro del gruppo la cui formazione vede sempre all’opera il cantante e chitarrista Matteo Berti, il chitarrista Federico Maioli, il batterista Luca Canella ed il bassista Manuel Montanari.
L’album parte con la title track, un mid tempo che fatica a decollare, ma già dalla seconda traccia Save What Is Yours la band torna a fare metal diretto e graffiante, con Back To The Past che poi ci investe con il suo hard & heavy risultando il brano più riuscito dell’opera, mentre Into The World è una cavalcata in crescendo e The Long Travel si rivela l’altro pezzo da novanta di Space Cowboy.
Gli Original Sin non si discostano molto da quanto fatto nel recente passato, con un sound ispirato all’hard & heavy tradizionale e influenzato dalla scena britannica degli anni ottanta; come nel precedente album i pregi superano di gran lunga i difetti, rendendo questi ultimi dei dettagli che non inficiano quanto di buono offerto in questo nuovo lavoro.
Se siete amanti dell’hard & heavy old school targato Regno Unito, Space Cowboy merita la vostra attenzione.

Tracklist
1.Space Cowboy
2.Save What Is Yours
3.Back To The Past
4.Into The World
5.Streets Of Terror
6.The Long Travel
7.The Music
8.I Can’t Live

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook

METEORE: ASGARD

Ottima e coraggiosa band di speed metal progressivo proveniente dalla Germania di fine anni ’80, autrice di un unico classico ingiustamente dimenticato.

Nel 1987, a Giessen, in Germania Ovest, si formarono gli Exray, che presto diventarono gli Asgard, un fantastico e promettente quintetto, che spingeva in una direzione nuova e progressiva la classica tradizione dello speed e del metal teutonico anni Ottanta.

Doti compositive ed esecutive non comuni portarono presto il gruppo al debutto sulla lunga distanza. Malgrado le qualità indiscutibili di Dark Horizons, i riscontri furono però minimi e solo da parte della critica più attenta. Gli Asgard, che si segnalavano anche per la bellezza dei testi (ispirati alla storia europea ed alle saghe vichinghe), furono costretti a sciogliersi e la loro rimase, quindi, una splendida meteora, a cui soltanto alcuni anni la Karthago ha reso giustizia con una doverosa ristampa laser, divenuta purtroppo anch’essa rara come il disco della band germanica. Dei membri di quest’ultima, solo il bassista Tomi Gottlich è rimasto nel giro della musica, entrando poi nei Grave Digger.

Tracklist
1- Rainbow Bridge
2- Hero’s Tears
3- Fighting ‘Em Back
4- Dark Horizons
5- Soldier’s Waltz
6- Back To You
7- Hungry Hearts
8- Riders of the Storm
9- The River

Line up
Olaf Dietzel – Vocals
Martin Winter – Drums
Tomi Gottlich – Bass
Jorg Gehlaar – Guitars
Andreas Puschel – Guitars

1988 – Metal Enterprises Records

Autori Vari – Marijuanaut Vol.V

In Italia, ormai da anni, nella musica pesante ci sono delle cose notevoli, è un flusso che scorre e che si deve ascoltare con attenzione, perché nasce dalla vera indipendenza e dalla passione.

Puntuale come la morte e la buona musica, ecco arrivare al termine del 2018, come da cinque anni a questa parte, la raccolta del meglio del sotterraneo italiano negli ambiti stoner doom e sperimentale, con la compilation della webzine Doomabbestia.

Quest’ultima è una delle migliori espressioni di giornalismo musicale fatte da appassionati per amanti di questi generi. Doomabbestia è il frutto di divertimento, perché quando si trattano le cose che si amano si fanno meglio, ma anche di sacrificio, perché non essendo professionisti si deve sacrificare qualche ambito della nostra vita per poter rincorrere la musica. Da anni questo spazio di critica e di proposta musicale è quanto di meglio un amante delle sonorità heavy in quota psichedelica possa trovare e questa bellissima raccolta in download libero ne è la testimonianza più lampante. Ascoltando gli episodi precedenti si aveva una fotografia molto precisa e puntuale della scena underground italiana per quanto riguarda i sottogeneri che vanno dallo stoner al doom, passando per lo psych ed il fuzz ed andando oltre. Questo quinto episodio incarna la grande qualità di quelli precedenti, ma li supera perché qui ci sono gruppi davvero notevoli, che ci fanno ascoltare come in Italia ci sia una vibrazione che è presente in molte cantine e garage, e che dà vita a qualcosa di assolutamente originale e vibrante. Non si vuole nominare un gruppo in particolare, sia perché sono tutti eccezionali, sia perché questa raccolta può essere ascoltata come un album classico, dato che c’è un filo conduttore comune a tutte le tracce che è quello della creatività e della bravura. Si spazia tantissimo in questa raccolta che è attesa con ansia ogni fine anno dagli appassionati di musica pesante e pensante, e con ragione, poiché qui ce n’è per tutte le inclinazioni. In Italia, ormai da anni, in tale ambito emergono cose notevoli, è un flusso che scorre e che si deve ascoltare con attenzione, perché nasce dalla vera indipendenza e dalla passione. Il meglio delle uscite italiane di musica pesante secondo i ragazzi di Doomabbestia, e non finisce qui per cui, come dicono loro, alzate il volume e accendetene una.

Tracklist
1.Greenthumb – The Black Court
2.Mr Bison – Sacred Deal
3.LORØ – Last Gone
4.Sabbia – Manichini
5.Messa – Leah
6.The Turin Horse – The Light That Failed
7.Killer Boogie – Escape From Reality
8.John Malkovitch! – Nadir
9.Go!Zilla – Peeling Clouds
10.Tons – Sailin’ the Seas of Buddha Cheese
11.Suum – Black Mist
12.Haunted – Mourning Sun
13.Organ – Aidel
14.Satori Junk – The Golden Dwarf
15.Sherpa – Descent of Inanna to the Underworld

DOOMMABESTIA – Facebook

Arsis – Visitant

Un album che ha molte luci ma pure qualche ombra, comunque sicuramente riuscito dal punto di vista di chi apprezza il metal estremo tutto tecnica e velocità.

Attivi fin dall’alba del nuovo millennio gli statunitensi Arsis, tornano con un nuovo lavoro a distanza di cinque anni dal precedente Unwelcome con il sesto album della loro discografia.

Visitant, accompagnato da una copertina che fa tanto vecchia scuola (Mark Riddick), è stato registrato, mixato e masterizzato dal produttore Mark Lewis (Whitechapel, Devildriver, Cannibal Corpse), e licenziato dalla Agonia Records.
Come ormai ci ha abituato la band di Virginia Beach, il sound di questo nuovo lavoro è una death metal tecnico e melodico, molto meno moderno di quello che si potrebbe intuire dal passato del gruppo e più vicino al death metal classico, come già era successo con il precedente album.
La band del funambolico chitarrista James Malone ci regala un album altamente tecnico, improntato su ritmiche thrash/death e sui solos che a tratti sfiorano lo shredding, melodici e spettacolari, di fatto il marchio di fabbrica degli Arsis.
Visitant si specchia in queste caratteristiche, magari anche troppo, ma è indubbio che la tecnica messa in mostra dal gruppo sia di primordine, non solo quella del chitarrista e cantante ma anche dei tre musicisti che compongono il nucleo degli Arsis, Brandon Ellis alla seconda chitarra, Noah Martin al basso e Swan Priest alla batteria.
Tricking The Gods apre l’album e veniamo subito travolti da un turbinio di ritmiche forsennate, da uno scream rabbioso e dalla chitarra del leader che vomita solos indiavolati.
Il seguito segue pedissequamente queste caratteristiche, con brani che risultano ragnatele di note estreme come As Deep As Your Flesh, Funeral Might e Unto the Knife.
Gli Arsis sono una band inattaccabile per quanto riguarda la tecnica esecutiva, ma alla lunga lasciano che la loro principale virtù diventi troppo ingombrante, soffocando leggermente il songwriting.
Un album che ha molte luci ma pure qualche ombra, comunque sicuramente riuscito dal punto di vista di chi apprezza il metal estremo tutto tecnica e velocità.

Tracklist
1. Tricking The Gods
2. Hell Sworn
3. Easy Prey
4. Fathoms
5. As Deep As Your Flesh
6. A Pulse Keeping Time With The Dark
7. Funeral Might
8. Death Vow
9. Dead Is Better
10. Unto The Knife
11. His Eyes (Pseudo Echo Cover)

Line-up
James Malone – Guitar/Vocals
Brandon Ellis – Guitar
Noah Martin – Bass
Shawn Priest – Drums

ARSIS – Facebook

Riccardo Tonoli – City Of Emeralds

La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.

City Of Emeralds è il primo lavoro strumentale del chitarrista Riccardo Tonoli, da più di dieci anni in forza ai Tragodia, ex di Bladhe, D-Vines ed Hand of Glory e in veste di collaboratore con i norvegesi To Cast a Shadow e Gravøl e i nostrani Take Me Out e Dark Horizon.

Prodotto da Daniele Mandelli e dallo stesso Tonoli, l’album parla di Dorothy, che dopo essere stata travolta da un tornado si ritrova in un mondo fatato, nel quale incontrerà personaggi di ogni tipo, raccontato dalla chitarra del musicista lombardo, aiutato da Luca Paderno al basso ed Arin Albiero alla batteria.
Il lavoro, strumentale, mette in evidenza la tecnica sopraffina di questo chitarrista: City Of Emeralds è forse l’album più shred oriented che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, anche se Tonoli mantiene un approccio al songwriting lineare quanto basta per permettere anche a chi non è avvezzo alle opere del genere di carpire le atmosfere regnanti sui tredici brani che compongono l’opera.
Metal progressivo di alta scuola, ricamato da evoluzioni strumentali e raffinate sfumature shred sono comunque le qualità principali dell’album che attrae e rapisce grazie alle atmosfere fantasy che disegnano luoghi meravigliosi nell’immaginario di chi ascolta.
La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.
Tra i bani segnalo Through The Looking Glass, Mad Hatter, The Garden Of Light Flowers, The Rabbit Hole, anche se City Of Emeralds è opera da ascoltare nella sua interezza, quindi prendetevi un’oretta, mettetevi comodi ed esplorate questo mondo fiabesco in compagnia di Dorothy, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Meeting The Kalidahs
2.Live Together, Die Alone
3.Through The Looking Glass
4.City Of Emeralds
5.Mad Hatter
6.There’s No Place Like Home
7.Walkabout
8. The Garden Of Light Flowers
9.The Pattern
10 A Road With Yellow Bricks
11.The Rabbit Hole
12.The Myth Of The Cave
13.There’s More Than One Of Everything

Line-up
Riccardo Tonoli – chitarre, basso, programming e arrangiamenti
Luca Paderno – basso
Arin Albiero – batteria

RICCARDO TONOLI – Facebook

Heterogeneous Andead – Deus Ex Machina

Deus Ex Machina si rivela un gradita sorpresa per gli amanti del genere: a suo modo originale la band si allontana dai soliti cliché gotici per travolgere l’ascoltatore sotto valanghe di note thrash/death, risultando una macchina da guerra metallica

Gli Heterogeneous Andead sono una extreme metal band fondata da Yusuke Kiyama cinque anni fa e arrivata ora all’esordio su lunga distanza per Wormholedeath.

Il sound che poggia le sue fondamenta su un death/thrash veloce e devastante su cui la band inserisce parti sinfoniche ed elettroniche e l’uso della doppia voce (mezzo soprano e growl) ad opera della cantante Haruka.
Deus Ex Machina si rivela un gradita sorpresa per gli amanti del genere: a suo modo originale la band si allontana dai soliti cliché gotici per travolgere l’ascoltatore sotto valanghe di note thrash/death, risultando una macchina da guerra metallica.
Il growl risulta leggermente forzato invero, mentre il tono classico si erge sopra ritmiche indiavolate, solos taglienti come katane e sinfonie progressive a nobilitare un sound che risulta un vero massacro.
Non si lasciano intimorire dal debutto gli Heterogeneous Andead, ma con personalità affrontano il metal estremo con una serie di diavolerie compositive ed un bagaglio tecnico eccellente, così che devastanti ed intricati brani come l’opener Flash Of Calamity, Tentacles o la cavalcata di quasi dieci minuti intitolata Demise Of Reign diventano per l’ascoltatore una sorta di montagne russe metalliche, tra discese a velocità folle e paraboliche musicali spettacolari.
Originale quel tanto che basta per non esibire espliciti punti di riferimento, il gruppo nipponico risulta il solito colpo gobbo di un’etichetta sempre sul pezzo quando si tratta di proporre realtà interessanti reclutate in tutto il mondo.

Tracklist
1.Flash of Calamity
2.Denied
3.Hallucination
4.Tentacles
5.Automaton
6.Unleashed
7.Tyrant
8.Obfuscation
9.Demise of Reign
10.Fleeting Dawn

Line-up
Haruka – Vocals
Yusuke Kiyama – Guitars, Synth, Programming
Masaya Kondoh – Guitars
Takashi Onitake – Bass

HETEROGENEOUS ANDEAD – Facebook

Elegiac – Pagan Storm

Se fossimo al cospetto di una band alle primissime uscite, un disco come Pagan Storm potrebbe essere considerato un’interessante tappa di consolidamento, ma per un progetto solista dalla discografia così ampia permane il dubbio che i margini di miglioramento non siano poi moltissimi, al netto degli inevitabili alti e bassi ai quali sono soggetti i musicisti estremi dalla prolificità ben al si sopra della media.

Elegiac è il monicker di questa one man band statunitense che, negli ultimi cinque anni, ha invaso il mercato con numerosi split album ed ep oltre a cinque full length, dei quali l’ultimo è questo Pagan Storm del quale andremo a parlare.

Nonostante le citate caratteristiche indirizzino verso un progetto piuttosto dispersivo, va detto che l’impatto che il buon Zane Young immette nel suo black metal è tutt’altro che trascurabile.
A parte l’incipit da sanatorio, con colpi di tosse e scatarrate assortite, la prima traccia Rituals of War si dipana in maniera ficcante, ma non abbastanza per lasciare il segno, mentre già la successiva Allegiance and Honor offre un’interpretazione del genere più cupa e non priva di una sua idea melodica, prima di inarcarsi in un tetragono finale di matrice death.
Il meglio del lavoro, in effetti, arriva quando i ritmi di attestano sul mid tempo come avviene in Somber Morning, anche se la furia ottundente di un brano come Golden Fires of Victory ha effetti piuttosto urticanti.
Il buon impatto ritmico della title track e l’interessante discontinuità stilistica, tra accenni doom e folk, che affiora a tratti nella conclusiva Ancient Spirit sono altri elementi che vanno a costruire un quadro non disprezzabile per la convinzione e la ferocia che Zane immette in ogni singola nota.
La mancanza di una certa sintesi, prevedibile in un simile soggetto, peraltro coinvolto come se non bastasse in numerose altre band, impatta comunque sulla fruizione di un album che, scremato di alcuni episodi (uno su tutti lo sconclusionato Through) avrebbe potuto incidere maggiormente.
In certi passaggi dell’album, peraltro, sembra di ascoltare una versione molto più cruda e altrettanto meno curata dei Forgotten Tomb attuali, e questo di per sé non può essere affatto un male anche se rispetto a certi livelli il solco da colmare appare ancora molto profondo.
Se fossimo al cospetto di una band alle primissime uscite, un disco come Pagan Storm potrebbe essere considerato un’interessante tappa di consolidamento, ma per un progetto solista dalla discografia così ampia permane il dubbio che i margini di miglioramento non siano poi moltissimi, al netto degli inevitabili alti e bassi ai quali sono soggetti i musicisti estremi dalla prolificità ben al si sopra della media.

Tracklist:
1. Rituals of War
2. Allegiance and Honor
3. Somber Morning
4. Through Ancient Eyes
5. Purity of Winter
6. Golden Fires of Victory
7. Pagan Storm
8. Ancient Spirit

Line-up:
Zane Young – Everything

ELEGIAC – Facebook

NEVROREA

Il video di “Karmaboy”, dall’album “Diva” (Suburban Sky Records / Red Cat).

Il video di “Karmaboy”, dall’album “Diva” (Suburban Sky Records / Red Cat).

Esce oggi il nuovo singolo dei Nevrorea, “Karmaboy”, un brano che ha conquistato da subito il pubblico ai loro live e lodato anche dalla critica di settore. Karmaboy è il terzo singolo estratto da “Diva”, album d’esordio della band, uscito lo scorso 12 Ottobre per Suburban Sky Records (Red Cat).
Il brano è accompagnato da un bellissimo videoclip in animazione, realizzato da Giorgio Di Pasquale (Yoyo Animation) e presentato in anteprima dal sito di Rockerilla.

“Sei il giovane che gioca a perdersi, fino all’esserti perso davvero, che mangia le ombre e insegue gli impulsi, da sempre colui che si guardandosi dentro, finisce a scontrarsi solo con sè stesso.”

Symptoms Of The Universe – Demo

Non è facile né consueto trovare un gruppo che ha una vastità tale al suo interno, partendo da una certa tradizione underground italiana per spaziare in territori che non sono consueti per le nostre latitudini, il tutto in maniera personale, urgente ed impetuosa.

I Symptoms of the Universe sono un quartetto barese che ha pubblicato online il primo demo il, disponibile in download libero nel loro bandcamp.

Ciò che stupisce di più in questo do è solo l’inizio. Il loro suono si compone di moltissime cose, tra cui il black metal più etereo e meno convenzionale, infatti una loro canzone si intitola A Forest Of Stars, chiaro riferimento al magnifico gruppo inglese. Come definizione del loro genere si potrebbe parlare di post black metal, ma è davvero riduttivo. Ci sono momenti di grande creatività, invenzioni sonore di grande spessore, e grazie alla musica acquista valore anche il non detto, silenzi che fanno scaturire poi note bellissime. I quattro respirano allo stesso modo, l’affiatamento è notevole, le canzoni sono quasi tutte di lunga durata e dimostrano notevole capacità compositiva, così come quella di cambiare registro più volte nel corso della stessa canzone che è propria solo di chi volge lo sguardo al cielo che sta sopra di noi. La produzione è ancora da saletta prove, ma ciò non è assolutamente un problema, fa anzi parte del fascino di questo gruppo. Non è facile né consueto trovare una band che abbia una vastità tale al suo interno, partendo da una certa tradizione underground italiana per spaziare in territori che non sono consueti per le nostre latitudini, il tutto in maniera personale, urgente ed impetuosa. Anche gli errori aggiungono bellezza al tutto. Un fuoco che arde con passione, un demo molto prezioso e che potrebbe essere l’inizio di qualcosa di grande, perché qui c’è davvero moltissimo.

Tracklist
1.Intro
2.The Dead
3.Tears of a Careful Graverobber
4.Letters
5.Interlude
6.A Forest of Stars (pt.1 – The Rise; pt. 2 – The Fall)
7.Per Anna
8.The Knight That is Not
9.Outro

Line-up
Antonio – Rythm Guitars
Francesco – Bass
Wizard – Harsh Vocals
Giovanni – Clean and Harsh Vocals
Ermanno – Drums
Michele – Lead Guitar

SYMPTOMS OF THE UNIVERSE – Facebook

Slugdge – Esoteric Malacology

Cover straniante e titolo misterioso ci fanno scoprire un duo albionico,capace di sfregiare la materia death con mille influenze,per un risultato vibrante e multiforme.

Il circuito underground, lo sappiamo, è infinito e inarrestabile nelle sue uscite e chiaramente è impossibile riuscire a dragarlo sempre con efficacia e piacere; fino a qualche tempo fa non sapevo neanche dell’ esistenza di questo gruppo, ora un duo, che ci propone con il suo quarto album un incendiario death miscelato con sludge, qualcosa di black e mille altre influenze.

Poco più che trentenni, i due musicisti dimostrano una notevole preparazione tecnica e una ispirazione di livello superiore che copre interamente gli abbondanti cinquanta minuti del nuovo Esoteric Malacology dedito alla celebrazione della malacologia (ramo della zoologia che studia la vita dei molluschi); un lato ironico e divertente è presente anche nei titoli del platter, ma la musica che ne fuoriesce dimostra invece una potenza e fluidità invidiabile. L’attacco killer di War Squids è vibrante, dimostra una notevole tecnica sempre al servizio di un suono che fuoriesce fluido ed entusiasmante, per un brano che rappresenta nel suo sviluppo cangiante un perfetto opener per un disco che svelerà nel corso dei brani di essere abbastanza imprevedibile. Un gusto melodico particolare caratterizza ogni brano, mantenendo sempre alta la tensione, gli intrecci chitarristici sono martellanti e complessi, il “core” è sempre death ma circondato e ampliato da molteplici influenze che si amalgamano senza forzature. Le note di basso insinuanti e ipnotiche di Crop Killer ci ricordano a quanto fatto da Les Claypool con i suoi Primus, le vocals in alternanza con il growl danno un fascino misterioso al brano che si dimostra avventuroso e dal grande impatto. Veramente non si sa cosa aspettarsi di brano in brano, gli ingredienti sono noti ma la grande fluidità con cui sono usati è sempre al servizio di songs compatte, inarrestabili e coinvolgenti. Tecnica ai massimi livelli, riff ora cerebrali ora più viscerali costruiscono brani di tech prog death impattanti come The Spectral Burrows. Fiumi in piena come Slave Goo World ci trascinano in gorghi caotici, dove non si riesce a respirare, mentre la ritmica martellante e precisa si conficca nei nostri gangli neuronali fino a sfibrarli. Otto brani lunghi nei quali la band, di origine albionica, non teme cali di ispirazione e riesce con veemenza e precisione a definire il proprio suono; la splendida e misteriosa Salt Thrower con il suo andamento appena più pacato sublima l’essenza del loro suono, immergendosi in territori sognanti prima di esplodere in intricati passaggi strumentali. Opera notevole e meritevole di attenzione anche recuperando The Cosmic Cornucopia, box contenente le tre precedenti opere.

Tracklist
1. War Squids
2. Crop Killer
3. The Spectral Burrows
4. Slave Goo World
5. Transilvanian Fungus
6. Putrid Fairytale
7. Salt Thrower
8. Limo Vincit Omnia

Line-up
Kev Pearson – Guitars
Matt Moss – Vocals

SLUGDGE – Facebook

HELEVORN

Il lyric video di “A Sail To Sanity”, dall’album “Aamamata”, in uscita a gennaio (Solitude Productions/BadMoodMan Music).

Il lyric video di “A Sail To Sanity”, dall’album “Aamamata”, in uscita a gennaio (Solitude Productions/BadMoodMan Music).

Exhibiting their elegant and gloomy music around the world, Palma, Spain’s melancholic doom outfit HELEVORN have posted their new lyric video “A Sail To Sanity” in support of their fourth album “Aamamata” due out on January 23rd via Solitude Productions / Bad Moon Music. “Aamamata” follows their 2014 album “Compassion Forlorn”, 2009’s “Forthcoming Displeasures” and 2005 debut full length “Fragments, which have anchored HELEVORN’s place in the global doom scene.

The band comments:

“We think that fans will love the new album. We know that we are not discovering something new, we are creating 90’s goth-doom metal in present times. It should be received like a piece to reborn the scene and for the music to relate on the decadence of humankind through the drama of the refugees that are dying and trying to escape from the hell that the Western countries have put them in.”

With more and more fans craving the somber tones and dreary vocals, HELEVORN has brought their dramatic intensity to many European festivals including Dutch Doom Days, Gothoom Open Air, Wave Gotik Treffen, and Madrid is the Dark Fest. They are also bringing their gloom to Canadian cities this coming May for their first cross country tour with Solitude Productions label mates Mexico’s Majestic Downfall (dates listed below).

HELEVORN’s current lineup consists of Samuel Morales (Guitars), Josep Brunet (Vocals), Xavi Gil (Drums), Enrique Sierra (Keyboards), Sandro Vizcaino (Guitars) and Guillem Morey (Bass).

Vinyl and CD pre-order of “Aamamata” on HELEVORN’s online store here and Solitude Productions here.

Shadows of The North Canada Tour 2019 w/ Majestic Downfall, Helevorn
May 8 – Victoria, BC – Logan’s Pub
May 9 – Nanaimo, BC – TBD
May 10 – Vancouver, BC – Astoria Hastings
May 11 – Kelowna, BC – Munnin’s Post
May 12 – Lethbridge, AB – The Slice
May 13 – Regina, SK – The Exchange
May 14 – Winnipeg, MB – The Park Theatre
May 16 – Sudbury, ON – The Asylum
May 17 – Toronto, ON – Duffy’s Tavern
May 18 – Ottawa, ON – House of Targ
May 19 – Quebec City, QC – L’Anti Bar
May 20 – Trois-Rivieres, QC – Royal Tavern
May 21 – Montreal, QC – Piranha Bar

Track Listing:
1. A Sail To Sanity (5:25)
2. Goodbye, Hope (5:58)
3. Blackened Waves (5:26)
4. Aurora (7:24)
5. Forgotten Fields (5:44)
6. Nostrum Mare (Et deixo un pont de mar blava) (7:28)
7. Once Upon a War (5:55)
8. The Path to Puya (8:38)
9. La Sibil·la (5:05)
Album Length: (57:08)

Album & Live Line Up:
Xavi Gil (Drums)
Will Adrift (Bass)
Sandro Vizcaino (Guitars)
Samuel Morales (Guitars)
Josep Brunet (Vocals)
Enrique Sierra (Keys)

For more info:
http://www.helevorn.com
https://www.facebook.com/helevornband
https://twitter.com/helevornband
https://www.instagram.com/helevornband

Grimaze – Planet Grimaze

Planet Grimaze è un debordante e monolitico lavoro che non lascia spazio a scorciatoie per facilitare l’ascolto, ma che come un carro armato avanza senza fermarsi davanti a nulla travolgendo e triturando ogni cosa senza pietà.

Picchiano come se non ci fosse un domani i Grimaze, band proveniente da Sofia ed attiva da una manciata d’anni, con un ep omonimo alle spalle licenziato nel 2016.

Interessante e pesantissima, la proposta dei bulgari unisce impatto groove e attitudine brutal risultando un monolitico esempio di metal estremo moderno ma legato indissolubilmente alla tradizione.
In poche parole la band ci travolge con pesantissime porzioni di groove metal rese ancora più violente ed estreme da iniezioni di death/thrash spaventosamente brutali.
Un suono magmatico ed impastato fa il resto e Planet Grimaze risulta così un lavoro non facile da digerire se non si è in sintonia con queste sonorità.
Atmosfera che rimane di estrema tensione, riff debordanti e ritmiche pregne di groove del più possente, nonché un growl al limite del brutal sono le caratteristiche che allontanano il sound di Planet Grimaze dalle solite band groove metal da classifica, risultando figlio di un’attitudine brutalmente estrema.
Facendo pensare a Pantera e Gojira alle prese in una jam violentissima con Asphyx e Gorguts, Planet Grimaze è un debordante e monolitico lavoro che non lascia spazio a scorciatoie per facilitare l’ascolto, ma che come un carro armato avanza senza fermarsi davanti a nulla travolgendo e triturando ogni cosa senza pietà.

Tracklist
1.Endless Life Force
2.Inner Engineering
3.Survival of the Fittest
4.Scars
5.Disobey the Primitive
6.Face of the North
7.8000 Meters
8.Bleeding Earth
9.My Vow

Line-up
Nedislav Miladinov – Drums
Melina Krumova – Guitar
Pavel Krumov – Vocals
Anton Dimitrov – Bass

GRIMAZE – Facebook

S.R.L. – Hic Sunt Leones

Hic Sunt Leones si rivela un album pesantissimo ma valorizzato da passaggi strumentali che entrano nell’ascoltatore come lame affilatissime: premere nuovamente il tasto play alla fine dell’outro Omne Ignotum Pro Magnifico diventerà una consolidata abitudine.

Dopo la firma con Rockshots Records è giunto il momento per gli ormai storici thrashers S.R.L. di licenziare un nuovo lavoro, intitolato Hic Sunt Leones (motto usato nell’antica Roma e che indicava i luoghi inesplorati e non ancora conquistati).

Il gruppo umbro arriva così al quarto full length di una discografia iniziata nel 1995 con il primo demo e completata da una manciata di ep, sempre nel segno di un roccioso death/thrash cantato in lingua madre.
Anche per questo nuovo lavoro, la Società a Responsabilità Limitata (monicker che si rifà alle grandi prog rock band italiane degli anni ’70) ci va giù pesante con undici nuove scariche adrenaliniche di metal estremo ben prodotto, attraversato da un’attitudine heavy che permette al gruppo di ricamare le proprie cavalcate con grandi melodie che vivono in simbiosi con la parte più violenta del sound.
Ne esce una raccolta di brani interessanti, decifrabili nel loro impatto estremo grazie ad un lavoro chitarristico di prim’ordine, una sezione ritmica rocciosa e un ottimo uso delle linee vocali, dal growl più profondo allo scream.
Il Museo delle Cere, Rimarremo Da Soli, la tempesta thrash di Demoni, il riff del mid tempo Di Luna e Deserto, brano di stampo melodic death e il terremoto creato dalla devastante Vertigine sono i momenti topici di quest’opera che non ha un momento di pausa, investendoci con una serie micidiale di diretti, puntando a fare male pur mantenendo le redini di questo purosangue metallico ben salde.
Hic Sunt Leones si rivela così un album pesantissimo ma valorizzato da passaggi strumentali che entrano nell’ascoltatore come lame affilatissime: premere nuovamente il tasto play alla fine dell’outro Omne Ignotum Pro Magnifico diventerà una consolidata abitudine.

Tracklist
01. Il Culto
02. Il Museo delle Cere
03. Tenebre
04. Rimarremo da Soli
05. Demoni
06. Un Sasso nel Vuoto
07. Di Luna e Deserto
08. Vertigine
09. L’uomo Senza Volto
10. Mezzanotte
11. Omne Ignotum Pro Magnifico

Line-up
Jerico Biagiotti – Bass
Rodolfo “RawDeath” Ridolfi – Drums
Cristiano “Alcio” Alcini – Guitars
Stefano Clementini – Guitars
Francesco “Khaynn” Bacaro – Vocals

S.R.L. – Facebook

Season Of Ghosts – A Leap Of Faith

I Season Of Ghost fanno un disco che potrebbe essere la colonna sonora di un anime, ma è anche molto di più. A Leap Of Faith è energia e voglia di confrontarsi con tutto ciò che sta là fuori, sapendo che non è per nulla facile.

I Season Of Ghosts sono un gruppo diviso fra Giappone ed Inghilterra, fautori di un modern metal molto melodico e con innesti di elettronica, il tutto con la bella impronta della voce di Sophia Aslanides, calda e potente.

Il suono del gruppo è fortemente improntato alla modernità e spazza via i vecchi schemi, dato che è una fusione tra metal ed elettronica, con una grande attenzione per la melodia. Il risultato è un qualcosa di molto accattivante e trasversale che potrà piacere a chi ama le sonorità più dure e anche a chi ama la melodia di qualità. Come secondo disco sulla lunga distanza A Leap Of Faith ha un’evoluzione costante e continua, aiutato da una capacità tecnica al di sopra della media e dalla voce di una cantante molto brava. Come dicono loro stessi ci sono moltissime cose qui dentro, dal visual kei giapponese, ovvero anime e velocità, al metal europeo e a quello americano più orecchiabile. I ragazzi non si pongono limiti, hanno capacità compositive e di esecuzione e le mettono in campo, producendo un disco piacevole e vario, pieno di azione ma anche di sentimenti. Dentro questo lavoro ci sono molte cose, dalle percezioni più comuni a quelle che solo i giovani di queste generazioni riescono a cogliere in maniera molto più adeguata rispetto a noi. Molto importante è il ruolo rivestito dall’elettronica, che è una delle colonne portanti del disco, così come l’immaginario giapponese: in quella terra gruppi come questo destano sempre molta attenzione, sia perché intercettano i gusti dei giovani, sia perché sono profondamente infusi della filosofia nipponica riguardo il suono e l’immagine. I Season Of Ghosts fanno un disco che potrebbe essere la colonna sonora di un anime, ma è anche molto di più. A Leap Of Faith è energia e voglia di confrontarsi con tutto ciò che sta là fuori, sapendo che non è per nulla facile. Freschezza ed un suono di vero metal moderno.

Tracklist
1. The Road so Far
2. A Place to Call Home
3. Astero (Id)
4. Listen
5. A Leap of Faith
6. How the Story Ends
7. Almost Human
8. What a Time to Be Alive
9. You Are Not Your Pain
10. Listen (To This) [Fatal Fe Remix]

Line-up
Sophia Aslanides – vocals, songwriting, total production
Zombie Sam – guitar
Paul Dark Brown – bass
Max Buell – drums

SEASON OF GHOSTS – Facebook

Piah Mater – The Wandering Daughter

The Wandering Daughter si specchia nelle marcate influenze del gruppo che però sa come emozionare l’ascoltatore, con cascate di note progressive che passano dal metal estremo di marca death/black a lunghe parti atmosferiche, colorate di quelle oscure sfumature dark che i Piah Mater sanno ricamare.

I progsters brasiliani Piah Mater licenziano il loro secondo lavoro, altro splendido esempio di metal estremo progressivo sulla scia di quanto hanno fatto a suo tempo gli Opeth, specialmente nella prima fase della loro carriera.

Un’influenza scomoda quella della band di Mikael Akerfeldt, anche perché il terzetto verdeoro non fa nulla per nascondere la sua totale devozione per il gruppo svedese, dettaglio che per molti sarà sicuramente un limite, superato comunque dalla bellezza di questi sei brani che compongono The Wandering Daughter.
Il gruppo capitanato dal cantante, bassista e chitarrista Liuz Felipe Netto, con Igor Meira alla chitarra e Kalki Avatara alla batteria, regala un successore a Memories Of Inexistence uscito quattro anni fa, un altro lavoro di death/black metal progressivo e dalle atmosfere post rock, intrise di melanconiche sfumature dark, magari fin troppo dipendente dal sound della storica band scandinava, ma in grado di risvegliare emozioni sopite agli amanti del genere.
L’album nel suo piccolo farà discutere, specialmente chi deciderà di non premiare l’alta qualità delle composizioni a causa di una scarsa originalità che a mio parere non inficia la bellezza dell’opera nel suo insieme.
The Wandering Daughter si specchia nelle marcate influenze del gruppo che però sa come emozionare l’ascoltatore, con cascate di note progressive che passano dal metal estremo di marca death/black a lunghe parti atmosferiche, colorate di quelle oscure sfumature dark che i Piah Mater sanno ricamare.
Sei lunghi brani per quasi un’ora di musica, un ottimo uso della voce pulita (dettaglio non così scontato) e almeno tre brani che risultano delle jam prog/death di assoluto valore (Solace In Oblivion, Earthbound Ruins e la conclusiva The Meek’s Inheritance), fanno di The Wandering Daughter un album imperdibile per i fans degli Opeth e per chi non si ferma davanti al superabilissimo ostacolo della poca originalità.

Tracklist
1.Hyster
2.Solace in Oblivion
3.Sprung From Weakness
4.The Sky is Our Shelter
5.Earthbound Ruins
6.The Meek’s Inheritance

Line-up
Igor Meira – Guitars
Luiz Felipe Netto – Vocals, Guitars, Bass, Programming
Kalki Avatara – Drums

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The Savage Rose – Homeless

Fuori dagli abituali ascolti, i The Savage Rose e la loro musica sono un’esperienza d’ascolto tutta da vivere.

Lasciamo i territori metallici per rendere il giusto tributo ad una band ed un’artista straordinarie: Annisette e i The Savage Rose.

La band danese, attiva dagli anni sessanta, fondata da Annisette e Thomas Koppel, ha attraversato quasi mezzo secolo tra grande musica ed impegno sociale, sempre dalla parte dei diseredati e degli homeless come suggerisce il titolo del nuovo, bellissimo lavoro.
In virtù di una discografia immensa e una reputazione live leggendaria, i The Savage Rose nel corso degli anni, pur vincendo premi a profusione non si sono mai svenduti al music biz, rimanendo una band culto per i fans, alle prese con il loro rock infarcito di blues, psichedelia e del talento interpretativo della grande vocalist Annisette, la quale continua a provocare i brividi nonostante la non più verdissima età.
Homeless è un album assolutamente in linea con quanto espresso in passato dal gruppo, un rock intriso di disperazione, sanguigno nella sua anima blues, che a tratti si perde in ritmi soul sempre con la voce della cantante che letteralmente rapisce, dotata com’è di una ruvidità di fondo che risulta dono che la natura ha fatto e che Annisette da anni mette al servizio delle emozioni.
Nove brani che trasportano l’ascoltatore in una catarsi in cui la voce della cantante è sirena sinuosa, raffinata, tragica, sanguigna interprete, mentre la title track dà il via a questo rito musicale che continua imperterrito grazie a capolavori come Woman, Darling Dear e la conclusiva, drammatica, straordinaria Romano.
Fuori dagli abituali ascolti, i The Savage Rose e la loro musica sono un’esperienza d’ascolto tutta da vivere.

Tracklist
1. Homeless
2. We go On
3. Woman
4. Darling Dear
5. Harassing
6. Exit
7. Sorrow
8. That’s Where I’m Going
9. Romano

Line-up
Annisette – Vocal
Naja Rosa Koppel & Amina Carsce Nissen – Background Vocals
Nikolaj Hess – Piano, Hammond and additional keys
Las Nissen – Guitar
Jacob Haubjerg – Bass
Anders Holm – Drums
Frank Hasselstrøm – horns and keys

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