Simulacro – SuperEgo

Mai come in questo caso si può affermare che la riedizione di un lavoro sia ben più che opportuna, non fosse altro che per il fatto di poter ascoltare da parte dei Simulacro brani che per certi versi si possono considerare quasi degli inediti.

Nel 2016 i Simulacro non pubblicarono solo il loro secondo full length Echi dall’Abisso, ma non troppo tempo prima vide la luce anche l’ep SuperEgo che, sia per la sua reperibilità solo in formato digitale, sia per la quasi sovrapposizione con l’altro album finì in qualche modo per essere ignorato.

La Third I Rex, etichetta che ha curato l’ultima uscita della band sarda, colma questa lacuna offendo il formato fisico di quel lavoro che ne diviene un valore aggiunto all’interno della discografia.
In poco più di venti minuti il trio isolano offre due magnifici brani come SuperEgo e Et in arcadia ego che fotografano al meglio lo stile di un gruppo capace di manipolare al meglio la materia black aggiungendovi anche sentite e mai banali liriche in italiano (utilizzate in tale occasione per la prima volta). Queste due tracce dimostrano anche la varietà stilistica dei Simulacro, in grado di muoversi nell’alveo più tradizionale del genere così come spaziare su lidi più atmosferici e melodici senza perdere le coordinate di base e, soprattutto, facendolo con spiccata personalità. La stessa cover che chiude questo breve ep la dice lunga sull’approccio del gruppo sardo, visto che Roma Divina Urbs è un magnifico brano inciso originariamente dagli Aborym quando questi erano ancora, seppure sui generis, un gruppo black prima di trasformarsi nell’obliqua entità dark industrial attuale.
Pertanto, mai come in questo caso si può affermare che la riedizione di un lavoro sia ben più che opportuna, non fosse altro che per il fatto di poter ascoltare da parte dei Simulacro brani che per certi versi si possono considerare quasi degli inediti.
Se Echi dall’Abisso era stata nel 2016 una delle uscite più interessanti in ambito estremo nazionale, SuperEgo giunge a puntellare il valore di un band che potrebbe avere in serbo ancora molte sorprese in futuro.

Tracklist:
1. SuperEgo
2. Et in arcadia ego
3. Roma Divina Urbs

Line-up:
Xul – Lead Screaming and Clean Vocals/Guitars/Synthesizers/Programming
Ombra – Bass/Backing Vocals
Anamnesi – Drums/Backing Vocals/Lyrics in “Et In Arcadia Ego”

Guests:
Stefano Porcella – Tromba
Dora Scapolatempore – Arpa in “Roma Divina Urbs”

SIMULACRO – Facebook

BRUJERIA

Il video di “Amaricon Czar”.

Il video di “Amaricon Czar”.

Gli extreme metallers BRUJERIA hanno pubblicato un nuovo singolo, successore del loro famigerato 7” “Viva Presidente Trump!”. La title track del 7” “Amaricon Czar” può essere ascoltata qui: .

Il vinile colorato in edizione limitata può essere acquistato a questo indirizzo http://nuclearblast.com/brujeria-amariconczar

“Amaricon Czar” 7″ – Tracklist
01. Amaricon Czar
02. Lord Nazi Ruso

Inoltre, i BRUJERIA annunciano il loro nuovo tour in Europa e Regno Unito a maggio 2019. Due le date in Italia: 14/05 Roma – Traffic Live Club e 15/05 Milano – Legend Club.

BRUJERIA
VENOMOUS CONCEPT (US/UK)
AGGRESSION (CA)
SANGRE (US)
03.05. NL Tilburg – Netherlands Deathfest*
04.05. NL Sneek – Het Bolwerk
05.05. B Roeselare – De Verlichte Geest
06.05. D Hanover – MusikZentrum
07.05. D Bremen – Tower
08.05. D Berlin – Cassiopeia
09.05. CZ Brno – Melodka
10.05. CZ Prague – Futurum
11.05. D Munich – Feierwerk
12.05. A Dornbirn – Schlachthaus
13.05. CH Sion – Le Port Franc
14.05. I Roma – Traffic Live Club
15.05. I Milano – Legend Club
17.05. F Colmar – Le Grillen
18.05. F Paris – Petit Bain
20.05. UK London – The Underworld Camden
21.05. UK Manchester – Rebellion
22.05. UK Glasgow – Cathouse Rock Club
23.05. UK Birmingham – Mama Roux’s
24.05. F Dommarien – La Niche
25.05. D Mannheim – MS Connexion Complex
26.05. D Essen – Turock
*solo BRUJERIA

L’album più recente dei BRUJERIA, “Pocho Aztlan”, è la prima uscita della band da “Brujerizmo”, pubblicato nel 2000 su Roadrunner. È stato registrato nel corso di molti anni e in diversi studi in tutto il mondo. Il risultato finale è stato mixato da Russ Russell (NAPALM DEATH, THE EXPLOITED).

La leggenda dei BRUJERIA è proliferata per quasi tre decenni. Quando la band è emersa per la prima volta a Los Angeles nel 1989, la città era sull’orlo del caos. Daryl Gates governava la polizia di Los Angeles con il pugno di ferro, supervisionando una legione di assaltatori in divisa blu che spaccavano teschi marroni e neri ad ogni occasione. Rodney King, le rivolte del ’92 e la propaganda anti immigrati del governatore della California Pete “Pito” Wilson erano all’orizzonte. Gli agitatori messicani-americani dei BRUJERIA hanno catturato l’umore delle minoranze della città con il famigerato e ampiamente bandito debutto del 1993, Matando Güeros (“Uccidere i bianchi”), diventando rapidamente la risposta spagnola ai primi maestri grindcore TERRORIZER e NAPALM DEATH. Guidati dal paroliere e genio Juan Brujo, si vociferava alternativamente che i BRUJERIA fossero dei satanici signori della droga o membri di band metal affermate. La verità, come sempre, stava da qualche parte nel mezzo.

“Pocho Aztlan” è il primo nuovo album dei BRUJERIA in 16 anni. Il titolo si traduce in “terra promessa sprecata”, una combinazione di Aztlán, la leggendaria casa ancestrale degli Aztechi, e il termine pocho, che i messicani nativi usano per riferirsi – non sempre gentilmente – alle loro controparti nate negli Stati Uniti. Lo stesso Brujo è un pocho, un uomo intrappolato tra due mondi. Molti pochos non sono esattamente accettati a braccia aperte in Messico. Nel frattempo, sono troppo spesso considerati cittadini di classe B nella loro terra adottiva americana. Brujo ha trasceso entrambi gli scenari attraverso il potere del grindcore e del death metal senza compromessi dei BRUJERIA. I suoi testi interamente in spagnolo sono tanto vividi quanto efficaci: racconti in buona fede dalle prime linee della guerra alla droga, il divario razziale e la battaglia per il confine. “Un sacco di canzoni dei BRUJERIA sono storie vere”, dice Brujo. “E se non sono ancora accadute, accadranno”.

“Pocho Aztlan” può essere acquistato qui: http://nblast.de/BrujeriaPochoAztlanNB

www.brujeria.com
www.facebook.com/brujeria
www.nuclearblast.de/brujeria

Hecate Enthroned – Embrace of the Godless Aeon

Chi apprezza queste sonorità non potrà fare a meno di ascoltare con moderata soddisfazione l’incedere familiare di alcuni brani ben costruiti, all’interno di un lavoro la cui carenza di personalità non viene sufficientemente compensata da una adeguata brillantezza compositiva.

Quando una band fin dai suoi esordi viene subito additata quale copia di un’altra di successo emersa precedentemente, tale nomea diviene poi molto difficile da scrollarsi di dosso.

Certo che quando si parla di un gruppo come gli Hecate Enthroned, in giro ormai da un quarto di secolo, tutto questo appare paradossale ma è in effetti innegabile che la band inglese abbia vissuto la propria carriera sotto l’ombra ingombrante dei Cradle of Filth, finendo sempre per trovarsi un passo indietro rispetto alle mosse di Dani e soci, anche nei momenti può opachi attraversati da questi ultimi.
Questo ultimo album, Embrace of the Godless Aeon, è solo il secondo negli ultimi 15 anni per gli Hecate Enthroned, e se questo poteva indurre a pensare ad un’evoluzione stilistica o ad uno scostamento rispetto ai propri modelli ci si sbaglia di grosso, perché alla fine tutto appare per assurdo più filthiano di quanto non lo sia oggi la stessa band del Suffolk.
Chiaramente, chi apprezza queste sonorità non potrà fare a meno di ascoltare con moderata soddisfazione l’incedere familiare di brani ben costruiti come Revelations in Autumn Flame e Silent Conversations with Distant Stars, o apprezzabilmente solenni come Erebus and Terror, all’interno di un lavoro la cui carenza di personalità non viene sufficientemente compensata da una adeguata brillantezza compositiva. Lo stesso ricorso ad una voice femminile come quella di Sarah Jezebel Deva, protagonista nei migliori album dei Cradle Of Filth, non è certamente un qualcosa che possa far presupporre un distacco, anche parziale, dal solco stilistico seguito in tutti questi anni.
Poi, a ben vedere, come spesso ribadiamo in tali contesti, la derivatività di una proposta non è mai un ostacolo insormontabile a patto che ciò sia associato ad un impeto ed una freschezza capaci di spazzare via gli strati di polvere che ricoprono sonorità ascoltate centinaia di volte negli ultimi vent’anni.
Per esemplificare ciò che intendo, basti confrontare questo parto degli Hecate Enthroned con quello dei coreani Dark Mirror Ov Tragedy, capaci di inserire su uno scheletro compositivo altrettanto debitore delle band guida del symphonic black tutti quegli elementi di interesse e le brillanti intuizioni melodiche che, purtroppo, si rinvengono solo in minima parte in in questo discreto e poco più Embrace of the Godless Aeon.

Tracklist:
1. Ascension
2. Revelations in Autumn Flame
3. Temples That Breathe
4. Goddess of Dark Misfits
5. Whispers of the Mountain Ossuary
6. Enthrallment
7. The Shuddering Giant
8. Silent Conversations with Distant Stars
9. Erebus and Terror

Line-up:
Nigel – Guitars
Dylan Hughes – Bass
Andy – Guitars
Pete – Keyboards
Gareth Hardy – Drums
Joe Stamps – Vocals

HECATE ENTHRONED – Facebook

Electric Mary – Mother

Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente.

In Australia hanno un tocco particolare per il rock in tutte le sue forme, ma in particolare per quelle più ruvide e vicine allo spirito del blues.

Gli Electric Mary sono appunto australiani e fanno un ottimo hard rock, molto bene suonato e dominato dalla bellissima voce di Rusty, fondatore del gruppo nel 2003. Da una sua particolare visione musicale nasce questa band che con Mother arriva al quarto album, con un seguito sempre maggiore in tutto il mondo. La gente che ama il gruppo oceaniano troverà in Mother un approdo sicuro, un hard rock di alta qualità che vive di momenti diversi, alcuni quasi stoner, altri molto blues, che è poi un po’ la cifra stilistica che lega il tutto. Il suono è ciò che fa smuovere i cuori di molti amanti dell’accezione più ruvida del rock, dove la strada diventa bollente e ci fa muovere gli stivali. Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente. C’è un qualcosa di sensuale e di fisico nelle note di Mother, un richiamo alla nostra vera natura, un riportarci là dove ci sono polvere e sudore. Il gruppo ruota benissimo dietro alla voce blues e maledetta del cantante, e si arriva ad un livello alto; infatti la band ha suonato in giro per il mondo con nomi molto importanti e nella loro Australia sono molto famosi, anche quella nazione ha una grande attenzione per gruppi come gli Electric Mary, dalla formula musicale in apparenza semplice ed in realtà di grande effetto. Non si trova nulla fuori posto in questo disco, tutto scorre bene, ma per ottenere un tale effetto il lavoro è grandissimo e deve essere strutturato molto bene. Venticinque anni fa questo disco avrebbe venduto moltissimo e gli Electric Mary sarebbero stati fissi in America; i tempi sono cambiati, ma un album così apre ancora i cuori di chi ama questi suoni stradaioli e da bar fumosi. L’hard rock continua a produrre buone cose grazie a realtà come queste, figlie della passione e della preparazione tecnica.

Tracklist
1 Gimme Love
2 Hold Onto What You Got
3 How Do You Do It
4 Sorry Baby
5 The Way You Make Me Feel
6 It’s Alright
7 Long Long Day
8 Woman

Line-up
Rusty – vocals
Pete Robinson – guitar and vocals
Alex Raunjak – bass guitar
Brett Wood – guitar and vocals
Paul “Spyder” Marrett – drums

ELECTRIC MARY – Facebook

Owl Company – Iris

Iris è un album che si ascolta piacevolmente, composto da tredici brani potenti ma molto attenti alle melodie, specialmente nei chorus e che, se fosse uscito qualche anno fa, avrebbe sicuramente trovato maggiore attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.

Il Brasile metallico ha quasi sempre parlato la lingua del metal classico e di quello estremo, partendo da due punti fermi come Sepultura e Angra, le band che hanno portato alla ribalta più di altre il metal nato nella terra del samba e del calcio.

Gli Owl Company, invece propongono un alternative rock dai molti spunti metallici, ma legato a doppia mandata con il sound americano arrivato dopo l’enorme successo del rock di Seattle negli anni novanta e chiamato appunto post grunge.
Dei Creed più metallici o, se preferite, dei Nickelback meno commerciali e più rispettosi della tradizione settantiana, ipervitaminizzati da anni di alternative metal, gli Owl Company non deluderanno i fans del genere con questo loro secondo album intitolato Iris, licenziato dalla Eclipse Records dopo il debutto autoprodotto intitolato Horizon uscito lo scorso anno.
Niente di originale dunque, solo del buon rock alternativo, orfano di MTV, ma pur sempre nei cuori dei rockers della generazione a cavallo dei due millenni, ora leggermente in ombra rispetto alle desertiche sonorità stoner.
Iris è un album che si ascolta piacevolmente, composto da tredici brani potenti ma molto attenti alle melodie, specialmente nei chorus e che, se fosse uscito qualche anno fa, avrebbe sicuramente trovato maggiore attenzione da parte di fans e addetti ai lavori.
Boogie Man, Antagonist, Broken Paradigm e Shades sono i brani che spingono l’album verso un giudizio più che buono, se il rock alternativo statunitense fa parte dei vostri abituali ascolti Iris potrebbe essere una piacevole sorpresa.

Tracklist
1.One Last Time
2.Boogie Man
3.Rise
4.Antagonist
5.Shattered Dreams
6.Daw of days
7.Broken Paradigm
8.Disconnected
9.Forbidden Ground
10.The Other Side
11.Shades
12.Doors

Line-up
Enrico Minelli – Vocals
Felipe Ruiz – Guitars
Bruno Solera – Guitars
Fabio Yamamoto – Bass
Thiago Biasoli – Drums

OWL COMPANY – Facebook

Warp – Warp

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco questo trio israeliano che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom.

Questa macchina macina riff chiamata Warp proviene da Tel Aviv e debutta con questa mezzora di stordente e psichedelico lavoro omonimo.

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco i tre musicisti israeliani che corrispondono a Itai Alzaradel (chitarra e voce), Sefi Akrish (basso e voce) e Mor Harpazi (basso e voce), un trio che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom con questa jam di mezzora divisa in otto brani potenti, drogati ed ispirati tanto dall’heavy rock settantiano, quanto dallo stoner/doom anni novanta.
Il riff viene rimesso sul trono del rock dagli Warp, stordente come i raggi del sole che scaldano la sabbia del deserto, accompagnato da liquide parti jammate dove psych e hard rock si fondono tra le rocce arroventate tra le quali stanno in agguato serpi e scorpioni micidiali in attesa del passaggio delle loro vittime.
Licenziato in cd dalla Reality Rehab Records ed in seguito nella versione in vinile dalla Nasoni Records, Warp ci fa viaggiare tra illusioni ottiche in cui appaiono oasi di musica fuori dal tempo, tra atmosfere dilatate, solos incisivi e blues sporco di hard rock stonato a caratterizzare brani come l’opener Wretched, Gone Man, Out Of My Life e la conclusiva Enter The Void.
Sleep, Orange Goblin, Radio Moscow sono i primi nomi che sovvengono tra gli indistinti miraggi che appariranno dopo le troppe ore trascorse al sole.

Tracklist
1.Wretched
2.Into My Life
3.Gone Man
4.”Confusion Will Be My Epitaph” Will Be My Epitaph
5.Intoxication
6.Out Of My Life
7.Hey Littly Rich Boy II
8.Enter The Void

Line-up
Itai Alzaradel – Lead Guitar, Vocals
Sefi Akrish – Bass Guitar, Vocals
Mor Harpazi – Drums, Vocals