FIDDLER’S GREEN – Heyday

Sedicesimo album per i re dello Speed Folk teutonico. Una carriera formidabile, costruita su ben 16 album, che dal folk basilare delle origini, ha saputo evolversi nel sound attuale, aggressivo ma melodico, incalzante ma soave ed armonioso nel contempo, decretandone per la band il successo planetario e divenendo fonte di ispirazione nell’ambito del genere Celtic Folk.

Quando nei primi anni ’80 nacque quello che allora veniva semplicemente chiamato Irish Folk con approccio Punk, ad opera dell’iconografico Shane MacGowan (nel lontano 1980, leader e fondatore dei Nipple Erectors, poi Pogue Mahone, anglicizzazione del provocatorio termine gaelico irlandese póg mo thóin (“baciami il sedere”), infine, finalmente, The Pogues), nessuno si sarebbe mai aspettato il successo che il genere, ad oggi, ha ottenuto. Migliaia di fan da tutto il Mondo, migliaia di band da tutto il Globo.

Fondere sonorità tradizionali, che trovano profonde radici negli antichi suoni della verde Irlanda, di popoli di cui si è oramai quasi perso memoria, abbinando antichi strumenti delicati, e al contempo spesso allegri e scanzonati, capaci di proiettare l’ascoltatore in epoche remote e fiabesche, tra verdi boschi abitati da creature leggendarie, con l’aggressività di un genere crudo, grezzo, ma soprattutto molto disincantato e realistico, dipinto spesso di quell’opaco grigiore che ben rappresentava lo stato d’animo del rivoluzionario movimento punk quando nacque, nei lontani anni ’70, apparve subito quanto di più azzardato, si potesse approcciare da un punto di vista meramente musicale.
Eppure, proprio grazie a quei ragazzacci di King’s Cross, oggi possiamo deliziarci con una miriade di band da tutto il mondo che, in maniere più o meno personali, ci propongono quello che oramai oggi viene definito più in senso generale, “Irish Punk” o meglio ancora “Celtic Punk”. Sì, anche perché seppur vero che il suono trova radici profonde nella Verde Terra, occorre ricordare che la musica celtica, da cui nasce la stessa musica popolare irlandese, si sviluppò un po’ in tutta Europa (dal IV al III secolo A.C.); ovunque la popolazione dei Celti si spostasse – come del resto qualsiasi popolazione, faceva nell’antichità – portava con sé usi e costumi, tra cui – appunto – la propria musica. Isole Britanniche, Gallia, Pannonia (l’attuale territorio occupato da Ungheria, Repubblica Ceca, Austria, Croazia e Slovenia) ed Iberia, costituivano all’epoca le loro terre e, non dimenticando le influenze che ebbero i contatti con i Germani e i Romani stessi, non possiamo oggi pertanto stupirci, che le band che seguono questo filone, provengano un po’ da tutto il Vecchio Continente e non solo dall’attuale Gran Bretagna. Miscelando sapientemente le proprie tradizioni più antiche, i loro tipici strumenti musicali con il tradizionale Folk Irlandese (cornamusa, violino, fisarmonica, tin whistle, fiddle, mandolino, banjo ecc.), sempre sorretti dalla semplicità della struttura Punk britannica, creano il genere Celtic Punk, appunto; sicuramente uno dei generi musicali più ballabili, spensierato e spesso spregiudicato, ma al contempo ricchissimo di pathos e di antiche atmosfere pagane, che la Musica oggi possa annoverare.
Non dobbiamo neanche dimenticare che Paesi come gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, terre che hanno conosciuto l’immigrazione britannica sin dall’800 (per tacer dell’immensa invasione irlandese del 1879, a seguito della Grande Carestia che subì l’Isola), hanno da sempre goduto del l’influenza delle tradizionali musiche della Terra d’Albione (non mi soffermo per ragioni di spazio, su quanto l’Irish abbia condizionato la nascita del Country, non basterebbe un libro di 1000 pagine…).
Ciò che è curioso e molto particolare, è che al giorno d’oggi, le band più famose (eccezion fatta per i Pogues, ovviamente) provengono da ogni, ma molto meno dalla Gran Bretagna. Mentre nell’Isola rimangono forti gli accenti più tradizionali del Folk puro ed incontaminato, forse, e dico forse, il Celtic Punk ha trovato terra fertile proprio tra i discendenti stessi degli immigranti, sparsi un po’ in tutto il mondo che, quasi presumibilmente spinti da uno spirito reazionario, hanno voluto urlare le origini delle loro terre natie (in maniera diremmo rivoluzionaria, come vuole il Punk, del resto), tristemente e obbligatoriamente abbandonate secoli or sono, spinti dalla miseria, alla ricerca di uno scampolo di felicità e di speranza.
E allora partiamo in sella del verde destriero a conoscere i Flogging Molly, band losangelina formatasi nel 1997 ad opera di Dave King (già voce dei mitici Fastway, gruppo metal di inizio anni ’80 formato da un certo “Fast” Eddie Clarke dei Motorhead) che prese il nome da un pub di Los Angeles (Molly Malone) intitolato alla leggendaria pescivendola – e non solo…– di Dublino. Sempre dagli USA i Dropkick Murphys ed i Tossers, dal Canada i Real Mckenzies (band fondata da Paul McKenzie, di chiarissime origini scozzesi) o i “polkeggianti” The Dreadnoughts. Un salto (molto lungo) in Australia per i Rumjacks, per poi giungere nel Vecchio Continente in Repubblica Ceca con i Paddy And The Rats, in Svezia con i Sir Reg e addirittura in Italia con i Rumpled e gli Uncle Bard And The Dirty Bastards. Infine, dalla Sassonia (Germania, scusate) gli O’Reilly And The Paddyhats, i Mr.Irish Bastards e soprattutto i Fiddler’s Green bavaresi.
Solo per citarne alcuni…
I Nostri, oggetto di questa recensione escono oggi con il loro sedicesimo album (!) in quasi 30 anni di carriera. Inizi molto folk, per poi subire anche loro – negli anni – le profonde influenze del Punk ma anche della musica Rock europea e soprattutto teutonica, di metà anni novanta. Così – autodefinendosi essi stessi Speed Folk band – , vedono, nel tempo, accrescere il numero di fan, divenendo quello che oggi si potrebbe definire una band Mainstream del genere, a livello mondiale. Heyday è un album fantastico (finito ben settimo nella GfK Entertainment Charts teutonica). Divertente, ballabile sino all’ultima nota. Suonato magicamente da una band che oramai oggi, ha una padronanza degli strumenti pressoché totale. Brani come No Anthem, Limerick Style o la stessa title track trasudano energia, vigore ed un’eccezionale grinta che potrebbe indurre alla danza sfrenata anche un bradipo sudamericano, sino al totale sfinimento e a morte certa. Il duetto vocale tra Patrick “Pat” Priziwara e Ralf “Albi” Albers è semplicemente divino: un botta e risposta dove l’uno domanda e l’altro semplicemente risponde, annullando totalmente il vecchio concetto di main e di backing vocals. Qui esiste un’unica voce, portata d’incanto su tonalità diversissime ma, con egregia maestria, amalgamate nell’Uno, in un amorevole connubio, sebbene mantenendo ognuna, sempre le proprie caratteristiche primigenie (Pat è il ruvido mentre Ralf è il melodico), o più semplicemente, come direbbe Erich Fromm, “sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due”. Drumming quasi rocambolesco e travolgente (Frank Jooss), sostenuto dai bassi toni di Mr. Schulz (basso, appunto), avvolti nel cellophane delle armonie dello stesso Pat (qui come lead guitar), e avviluppati dalle meravigliose eufonie del violino di Tobias Heindl (grandioso!) e dalle fiabesche euritmie della fisarmonica di Stefan Klug, veniamo proiettati direttamente nella festa, ove la birra scorre a fiumi (dal brano Slainte, gaelico termine accostabile al nostro Cin Cin) e l’alcool rappresenta il leitmotiv della nostra serata (da Cheer Up, una sorta di in alto i bicchieri), e dove la meta finale non è conosciuta, ma poco importa (come per il vagabondo di Born To Be A Rover), tanto quello che ci interessa è vivere una bella giornata (One Fine Day) insieme ai nostri amati amici e cari, come tutti fossimo Uno (Together As One).
Null’altro da aggiungere, se non uno spassionato consiglio a chiunque stia passando un periodo grigio o peggio nero, della propria esistenza. Ascoltare Heyday (ed i Fiddler’s Green in generale), significa Vivacità, Vigoria, Vitalità o più semplicemente significa Vita . Un’ora (comprese bonus…) forse rappresenta poco, nel lungo cammino dell’esistenza umana, ma se è vero che la vita è solo un passaggio, in questo passaggio seminiamo almeno fiori, (come ci raccontava Michel De Montaigne), o almeno qualche verde trifoglio…

Tracklist
01. Prelude
02. The Freak of Enniskillen
03. No Anthem
04. Limerick Style
05. Farewell
06. Born to be a Rover
07. The Congress Reel
08. Slainte
09. Better You Say No
10. Cheer Up
11. One Fine Day
12. John Kanaka
13. Heyday
14. Steady Flow
15. Together as One

Line-up
Ralf “Albi” Albers – voce, chitarra acustica, bouzouki, mandolino, banjo
Pat Priziwara – voce, chitarra, bouzouki, mandolin, banjo
Tobias Heindl – violino
Stefan Klug – accordion, bodhran
Rainer Schulz – bass
Frank Jooss – batteria

FIDDLER’S GREEN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=hLwK6bOzQOA

Blueside – Small Town, Good Wine & Sad People

I Blueside mostrano il dito medio in maniera molto intelligente, con testi in italiano ed in inglese: canzoni come Fuori e Notorietà sono geniali, ma tutto il disco è molto al di sopra della media, e soprattutto è un qualcosa finalmente di dissacrante, da parte di un gruppo che non ha pose ma molta sostanza, riuscendo inoltre a fare qualcosa di nuovo di un genere trito e ritrito.

Interessante progetto di punk rock e melodic hardcore da Sonnino, provincia di Latina.

La provenienza è molto importante perché il disco tratta appunto della vita in provincia, fucina di talenti e fornace creatrice di frustrazione e rabbia. Tutto ciò i Blueside lo vivono quotidianamente ma hanno fatto un qualcosa di molto punk, ovvero prendere il tutto con seria ironia. Là fuori onestamente è una merda, ma se almeno lo sottolineiamo pigliandovi e pigliandoci in giro forse ci salviamo. Ancora meglio se lo si fa con un gran bel punk rock che incontra l’hardcore melodico, con quella facilità che solo i gruppi che stanno bene assieme e che hanno uno scopo possiedono. Ai Blueside viene fuori questo disco di poco più di venti minuti in maniera molto naturale e scorrevole. La vita in una cittadina di provincia come la loro Sonnino, o in tutte quelle dove la maggior parte di noi è cresciuta, è descritta molto bene, ed il disco si presenta come un vero e proprio concept diviso in quattro parti, con ognuna dedicata a un qualcosa che abbiamo vissuto e che è dolorosamente vero. La musica supporta benissimo questo vivere, cercando di uscire da quel no future che in troppe parti della nostra penisola i giovani vivono, e non che a quelli più avanti con l’età vada poi meglio. Il disco dei Blueside, Small Town, Good Wine & Sad People, centra in pieno anche uno dei temi portanti del vivere in Italia, ovvero che il vino è buono, le città sono piccole e la gente è triste, perché la vita è mero sostentamento, ma ti frega il fatto che mangi e bevi bene. Di fronte a questo dilemma i Blueside mostrano il dito medio in maniera molto intelligente, con testi in italiano ed in inglese: canzoni come Fuori e Notorietà sono geniali, ma tutto il disco è molto al di sopra della media, e soprattutto è un qualcosa finalmente di dissacrante, da parte di un gruppo che non ha pose ma molta sostanza, riuscendo inoltre a fare qualcosa di nuovo di un genere trito e ritrito. Fare un album così non è da tutti, solo in provincia è possibile, perché tante cose buone vengono da lì dove si vive in una certa maniera, sta a voi dire se meglio o peggio che in città.

Tracklist
1. Project#1_SmallTown
2. Ci vomito su
3. Project#2_GoodWine
4. Il Moralista
5. I’m Paranoid
6. Project#3_SadPeople
7. Fuori
8. Project#4_WTF
9. Notorietà
10. Rain

Line-up
Simone Cecconi – Voices & Bass
Domenico Rufo – Guitar
Daniele Rufo – Guitar
Mario Talocco – Drum

BLUESIDE – Facebook

GENUS ORDINIS DEI

Il video di Nemesis (Eclipse Records).

Il video di Nemesis (Eclipse Records).

Genus Ordinis Dei reveal new video & single for ‘Nemesis’ featuring Melissa VanFleet
Watch the band’s latest music video Nemesis via YouTube and stream the single via Spotify, Apple Music, or Deezer

After wrapping up a very successful European tour supporting Evergrey, symphonic death metal quartet Genus Ordinis Dei have revealed a brand-new music video for their latest single, Nemesis. The song features alternative metal singer/songwriter Melissa VanFleet on guest vocals, and was produced by Tommaso Monticelli at Sonitus Studios.

Nemesis is out now via Spotify, Apple Music, Deezer, iTunes, Amazon, Google Play, Pandora, iHeartRadio and more! The music video was directed by Steve Saints. Watch it now at this location.

“It was an absolute pleasure to work with Melissa on this song,” says vocalist Nick Key. “The contrast between our voices create a very deep atmosphere and it feels great… she’s perfect for it!” Melissa VanFleet added, “when Genus Ordinis Dei approached me about singing on Nemesis, I was curious to see how my ethereal style would blend with their death metal sound. The passion that pours out of their music is contagious and I’m proud to have contributed my voice to this track!”

Discography
Hail and Kill (single) – 2018
Great Olden Dynasty (LP) – 2017
EP 2016 (EP) – 2016
The Middle (album) – 2015

For more information on Genus Ordinis Dei, please visit them on Facebook, Twitter, or Eclipse Records, and follow them on Spotify, Apple Music, or Deezer. For more information on Melissa VanFleet, visit her on Facebook, Twitter, or online, and follow her on Spotify, Apple Music, or Deezer.

Hellnite – Midnight Terrors

Si passa con disinvoltura da cavalcate heavy metal a brani diretti e speed thrash, in parte penalizzati dalla poco curata parte cantata, mentre la buona preparazione al basso ed alla chitarra alzano di qualche punto il valore di un album assolutamente rivolto ai soli appassionati del genere.

Proposta all’insegna del più puro underground quella di questa one man band di origine messicana denominata Hellnite, creatura del polistrumentista Paolo Belmar.

Attivi come band dal 2013, con l’uscita dell’ep Manipulator, gli Hellnite ricominciano dal Canada dove Belmar si è trasferito per poi esordire con questo full length intitolato Midnight Terrors, licenziato dalla Sliptrick Records.
L’album si compone di nove brani dalle ispirazioni heavy/thrash old school: discreto il songwriting, buona la prova strumentale, ma poco incisiva la prova al microfono, questi sono in poche parole i pregi ed i difetti di Midnight Terrors, album che potrebbe trovare buoni riscontri tra gli amanti del thrash metal anni ottanta.
Si passa con disinvoltura da cavalcate heavy metal a brani diretti e speed come Thrash Of The Living Death, in parte penalizzati dalla poco curata parte cantata, mentre la buona preparazione al basso ed alla chitarra alzano di qualche punto il valore di un album assolutamente rivolto ai soli appassionati del genere.
Iron Maiden, Slayer, Sodom e Destruction sono le band storiche che escono prepotentemente dall’ascolto di Midnight Terrors, mentre lo strumentale Darker Than Black e l’aggressiva Necromancer si rivelano i brani più riusciti.
La strada è lunga e difficile per il musicista messicano, anche se tra i solchi dell’album non mancano quegli spunti interessanti su cui poter lavorare in futuro.

Tracklist
1.Projection
2.Phantom Force
3.Spirits Prevail
4.Beasts From The Deep
5.Thrash Of The Living Dead
6.Darker Than Black
7.Stage On Fire
8.The Necromancer
9.Midnight Terrors

Line-up
Paolo Belmar – Guitars, Vocals, Bass

HELLNITE – Facebook

Seax – Fallout Rituals

La giostra gira vorticosa, le tracce si susseguono spazzando via tutto come sferzate di un vento metallico tempestoso dove i tanti cenni ai maestri dell’heavy thrash metal anni ottanta non fanno che confermare l’assoluta dedizione e attitudine dei Seax.

Attivi da una decina d’anni e con tre full length rilasciati tra il 2012 ed il 2016, tornano con il loro speed/thrash metal vecchia scuola i Seax, band proveniente da Worchester in Massachusetts.

Licenziato dalla Shadow Kingdom Records, il nuovo album intitolato Fallout Rituals nulla aggiunge e nulla toglie non solo al quartetto statunitense ma a tutto un genere, radicato nella scena underground degli anni ottanta.
I Seax non si nascondono certo dietro un dito, sono una band nata per travolgere gli ascoltatori con ritmiche velocissime ed un impatto diretto, lasciando all’esperienza live l’ultima parola sulle proprie capacità.
L’opener Fallout funge da conto alla rovescia prima Rituals ci investa con tutta la sua potenza old school, tra solos vorticosi, voce aggressiva che non rinuncia all’uso del falsetto ed un approccio assolutamente senza compromessi.
Bring Down The Beast, Interceptor e gli altri brani che compongono il nuovo album dei Seax non concedono pause, la giostra gira vorticosa, le tracce si susseguono spazzando via tutto come sferzate di un vento metallico tempestoso dove i tanti cenni ai maestri dell’heavy thrash metal anni ottanta non fanno che confermare l’assoluta dedizione e attitudine della band.
Inutile affermare che Fallout Rituals è pane solo per i denti degli heavy/thrashers dai gusti old school, chiunque non porti ancora jeans stretti, chiodo e scarpe da ginnastica giri alla larga dai Seax e dalla loro musica.

Tracklist
1.Fallout
2.Rituals
3.Killed by Speed
4.Bring Down the Beast
5.Feed the Reaper
6.Interceptor
7.Winds of Atomic Death
8.Legions Arise
9.Riders of the Oldworld
10.Born to Live Fast

Line-up
Carmine Blades – Vocals
Razzle – Guitar
Hel – Guitar
Derek Jay – Drums

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