Geezer – Spiral Fires

Tradizione americana ma anche tanto altro per una band che possiede un groove piacevole e che ben si sposa con la forma dell’uscita discografica dell’ep, attraverso il quale riesce a comporre musica notevole senza dispersioni, facendo concentrare l’ascoltatore sul risultato.

Il trio statunitense Geezer è uno di quei gruppi che ad ogni nuova pubblicazione alza lo standard del proprio genere, in questo caso lo stoner con forti influenze blues e psych.

In questo nuovo ep la band fa quello che le riesce meglio, ovvero musica pesante con un groove importante. La miscela sonica dei Geezer raccoglie vari elementi dagli ultimi cinquant’anni di musica psichedelica americana, a partire dalle visioni sonore degli anni sessanta e settanta, arrivando ad un certo doom degli anni ottanta, scarno e molto vicino al blues. Tutto ciò ed altro ancora lo possiamo ritrovare in questo disco, che nasconde molte sorprese. Spiral Fires ha degli uncini che vi trascineranno lontano, le distorsioni sono tutte al loro posto e hanno un gran bell’effetto sulle nostre menti assetate di viaggi psichedelici. Non a caso questo disco esce per Kozmik Artifactz, un’etichetta che ha sempre prodotto psichedelia pesante in molte declinazioni diverse. Rispetto all’ultimo disco del 2017, Psycchoriffadelia, le atmosfere sono simili ma c’è una presenza inferiore della componente blues, anche se mantengono sempre una struttura musicale fortemente debitrice al suono del delta del Mississipi. Le frequenze dei Geezer non appartengono tutte a questa dimensione e vi porteranno oltre i vostri sensi. Nell’ambito underground i Geezer rappresentano una sicurezza, un gruppo che non sbaglia mai un disco, essendo animati da sincera passione per la musica ma anche baciati da una capacità di composizione non comune. Tradizione americana ma anche tanto altro per una band che possiede un groove piacevole e che ben si sposa con la forma dell’uscita discografica dell’ep, attraverso il quale riesce a comporre musica notevole senza dispersioni, facendo concentrare l’ascoltatore sul risultato.

Tracklist
1.Spiral Fires Part 1
2.Spiral Fires Part 2
3.Darkworld
4.Charley Reefer

Line-up
Richie
Turco
Pat

GEEZER – Facebook

Hellraiser – Heritage

Heritage è un lavoro riuscito, imperdibile per i fans dell’heavy metal di ispirazione maideniana.

Nel segno dell’heavy metal più classico gli umbri Hellraiser pubblicano il loro secondo full length per Underground Symphony.

La band, che affonda le sue origini all’alba del nuovo millennio, dà un seguito a quello che fino ad ora era il suo unico lavoro, il debutto Revenge Of The Phoenix, uscito cinque anni fa.
Heritage è una sorta di concept in cui ogni brano è una storia proveniente da diversi luoghi e da epoche diverse, un’eredità culturale che l’uomo si tramanda da secoli e che di fatto è la storia di tutti i popoli della terra.
L’album è stato registrato da Cesare Capaccioni ai Barfly Studio, mixato da Ronny Milianowicz agli Studio Seven e masterizzato da Tony Lindgren ai Fascination Street Studios, una squadra che ha valorizzato il gran lavoro del quintetto.
L’album è composto da undici brani di heavy metal ispirati dal sound maideniano, una serie di cavalcate metalliche old school, assolutamente classiche sia nell’impatto che in un sound magari non originale, ma perfetto nel suo seguire i dettami del leggendario gruppo inglese in opere come Powerslave ed in parte il bellissimo Brave New World.
I musicisti forniscono prestazioni eccellenti e Heritage corre verso la sua conclusione senza stancare, tra cavalcate heavy, solos taglienti e mid tempo da brividi come la robusta ed evocativa Delvcaem.
Ancora le ottime Plagues Of The North, Fairy Veil e la conclusiva Lady In White spiccano in una tracklist che non trova ostacoli, rendendo Heritage un lavoro riuscito, imperdibile per i fans dell’heavy metal di ispirazione maideniana.

Tracklist
1.Heritage
2.Plagues of the North
3.Ritual of the Stars
4.Fairy Veil
5.Mother Holle
6.Preludio
7.Delvcaem
8.Balance of the Universe
9.Voice in the Wind
10.Zephyr’s Palace
11.Lady in White

Line-up
Cesare Capaccioni – Vocal
Michele Brozzi – Guitar
Marco Tanzi – Guitar
Francesco Foti – Bass
Riccardo Perugini – Drums

HELLRAISER – Facebook

Altar Of Oblivion – The Seven Spirits

L’unione tra heavy metal old school, doom classico ed epic metal è la ricetta usata dagli Altar Of Oblivion, in apparenza semplice ma non così facile da mettere in pratica.

Per gli amanti della musica del destino di stampo classico, il ritorno dei danesi Altar Of Oblivion non può che essere un appuntamento imperdibile in questa prima metà dell’anno.

Gruppo di culto nella scena epic doom, il quintetto torna sul mercato tramite la Shadow Kingdom Records (label che di sonorità classiche se ne intende) a distanza di tre anni dall’ep Barren Grounds e a sette dall’ultimo lavoro su lunga distanza, Grand Gesture of Defiance.
Con il suo heavy doom metal dal piglio epico, anche questo nuovo The Seven Spirits non delude le aspettative grazie a sette capitoli che, come da tradizione, si rivelano impregnate della pesante atmosfera del doom ed esaltate da sfumature epiche.
L’ottima prova del singer Mik Mentor, teatrale ed ispirato dai cantanti che hanno fatto la storia del genere, è assecondata da un buon songwriting che permette a brani come Solemn Messiah, Gathering At The Wake e Grand Gesture Of Defiance di farsi ricordare positivamente dall’ascoltatore.
L’unione tra heavy metal old school, doom classico ed epic metal è la ricetta usata dagli Altar Of Oblivion, in apparenza semplice ma non così facile da mettere in pratica: la band danese riesce nell’intento di regalare agli amanti del genere un album piacevole e senza sbavature, portando nel nuovo millennio le sonorità dei vari Candlemass, Count Raven, Atlantean Codex e Solitude Aeturnus.

Tracklist
1.Created in the Fires of Holiness
2.No One Left
3.Gathering at the Wake
4.The Seven Spirits
5.Language of the Dead
6.Solemn Messiah
7.Grand Gesture of Defiance

Line-up
Mik Mentor – Lead & backing Vocals
Martin Meyer Sparvath – Guitars, backing Vocals & additional Keyboards
Jeppe Campradt – Guitars and Keyboards
Cristian Nørgaard – Bass
Danny Woe – Drums

ALTAR OF OBLIVION – Facebook

Minority Sound – Toxin

La dote principale dei Minority Sound è quella di offrire un metal industrializzato ma, allo stesso tempo, ben fruibile attingendo ai nomi di punta del settore senza richiami espliciti ma fondendo efficacemente il tutto.

Ritroviamo dopo quattro anni i praghesi Minority Sound alle prese con il loro ottimo elettro metal, già efficacemente portato all’attenzione dell’audience con tre album nel corso di questo decennio ultimo dei quali appunto Drowner’s Dance.

Toxin è un nuovo tassello nell’opera del quartetto che va a consolidare un percorso magari non particolarmente innovativo ma dalla notevole qualità media ed altrettanta consistenza.
La dote principale dei Minority Sound è quella di offrire un metal industrializzato ma, allo stesso tempo, ben fruibile attingendo ai nomi di punta del settore senza richiami espliciti ma fondendo efficacemente il tutto.
Se vogliamo esemplificare al massimo, i cechi riescono a collocarsi in un ideale punto d’incontro tra tra l’orecchiabilità elettronica dei Deathstars, il riffing squadrato dei Rammstein, la vis sperimentale ed evocativa dei primi Fear Factory  e la visionarietà dei Mechina; ovviamente l’esito cambia a seconda del dosaggio degli ingredienti utilizzati, come dimostra la cadenzata e catchy title track che porta con sé persino rimandi dei Moonspell del controverso (non per me) Sin/Pecado.
L’elettronica ruffiana di Bipolar non lascia scampo, così come in definitiva tutti questi otto brani composti ed eseguiti con la perizia di chi il genere lo conosce e lo manipola con disinvoltura.
Tutto questo dovrebbe bastare ed avanzare per collocare i Minority Sound tra gli ascolti preferiti quando si vuole ascoltare metal moderno e ragionevolmente infuso di elettronica

Tracklist:
1. Deeds of Hate
2. Scarecrow
3. Toxin
4. Bipolar
5. Sunlight. Be Me! Sunlight Begone!
6. Love & Mayhem
7. Disconnected Sympathy
8. Empty Sands

Line-up:
Otus Hobst – Guitar
Ales Hampl – Vocals, guitar
Petr Blaha – Bass
Tomas “Dharm” Furst – Drums

MINORITY SOUND – Facebook

GosT – Skull 2019

A parte i generi, la cosa importante è che Skull 2019 ha un suono unico e molto affascinante, un’allegra messe di sangue compiuta da macchine impazzite, o che forse finalmente seguono la loro vera natura.

Riedizione su Century Media Records dell’ep Skull del produttore synthwave e retrowave GosT, in compagnia del suo fedele alterego Baalberith.

Il loro suono è una poderosa armata delle tenebre che si è impossessata di computer, tastiere e soprattutto sintetizzatori e sta suonando la colonna sonora di un bel massacro. GosT è un produttore che è da anni sulla scena, ed è uno dei trait d’union fra la scena synthwave e quella del metal, ambienti che sembrano inconciliabili mentre hanno moltissimi punti in comune, soprattutto hanno persone che passano da uno all’altro: lo stesso GosT da giovane ha suonato in diversi gruppi metal e ha sempre portato dentro di sé quell’attitudine, che si può sentire molto chiaramente in Skull 2019. Il disco è la riedizione in vinili colorati e limitati del suo ep chiamato appunto Skull, ed è un’ottima introduzione per chi ancora non lo conoscesse, mentre invece per chi ha la fortuna di seguire da anni questa scena è un’ottima maniera per riprendere in mano un ottimo lavoro. Skull 2019 possiede una varietà di suoni molto più estesa della media dei gruppi di questo genere, l’attitudine è fortemente metal, e tutto ciò porta ad un’elettronica molto oscura e dal grande fascino. La retrowave e synthwave di GosT è fatta per essere ballata, infatti rispetto a tante altre produzioni ha un tocco di melodia molto più accentuato ed un ritmo molto particolare. GosT usa codici di generi diversi per costruire un qualcosa che è originale ed unico, e che fa incontrate diversi ma con un immaginario molto simile. I metallari qui potranno sentire un esempio di come possa suonare il metal fatto in un’altra maniera, e chi ascolta elettronica qui può capire cosa possa essere un approccio metal. A parte i generi, la cosa importante è che Skull 2019 ha un suono unico e molto affascinante, un’allegra messe di sangue compiuta da macchine impazzite, o che forse finalmente seguono la loro vera natura.

Tracklist
A:
1. Chasm
2. Cursed
3. They
4. Oddened

B:
1. Skull
2. Manic
3. She Lives in Red Light
4. The Call Of The Faithful

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