Banco del Mutuo Soccorso – Transiberiana

Transiberiana ci riporta virtualmente indietro di mezzo secolo ai capolavori dei primi anni settanta non tanto per le sonorità, il cui legame è comunque evidente pur se inserito in un contesto del tutto moderno, ma soprattutto perché proprio come in quei tempi aurei il disco, per arrivare alla sua naturale destinazione che sono le corde più intime dell’animo, non può essere trattato come un qualsiasi prodotto di veloce ed effimero consumo.

Premetto che, per commentare in maniera più equilibrata e meno condizionata questo ritorno del Banco del Mutuo Soccorso a 25 anni dall’ultimo full length, forse il compito dovrebbe essere idealmente affidato ad un soggetto più giovane, per il quale l’opera della band capitolina rivesta un significato meno intimo, non avendone potuto vivere l’epopea in tempo reale come è accaduto invece al sottoscritto.

Transiberiana è anche il primo lavoro, ovviamente, nel quale la voce che ascoltiamo non appartiene all’immenso Francesco di Giacomo; del resto l’ultimo decennio è stato quanto mai difficile per una delle band più iconiche del prog italiano, prima con la morte del vocalist, poi la malattia dello stesso Nocenzi, per finire con la scomparsa dell’altro membro storico Rodolfo Maltese.
Sarebbe bastato molto meno per chiudere definitivamente la storia di un gruppo che la “Storia”, peraltro, l’aveva già ampiamente scritta, ma Nocenzi, come in qualche modo ci fa capire con il brano L’imprevisto, proprio dalle avversità ha tratto la forza per ripartire con una band che oggi è un perfetto mix tra musicisti di grande esperienza ed altri relativamente più giovani, senza che in alcun modo ne vengano intaccati i tratti peculiari.
E chiaro che, fatto salvo l’intatto talento strumentale e compositivo del leader (coadiuvato in quest’ultimo aspetto dal figlio Michelangelo), lo snodo era proprio quello di capire come se la sarebbe cavata il buon Tony D’Alessio alle prese con il pesante confronto rappresentato dall’eredità di Di Giacomo.
Detto subito che il nuovo cantante si tiene alla larga da qualsiasi tentativo di imitazione esibendo un timbro proprio e ben definito, non si può fare a meno di notare come talvolta abbia dovuto fare i salti mortali per adattare i bellissimi testi all’interno della struttura musicale; questo perché Transiberiana è un album complesso, nervoso, dai misurati benché fulgidi slanci melodici (esibiti per lo più nella magistrale Eterna Transiberiana e soprattutto nella commovente Campi di Fragole) e dominato ovviamente dal sempre magistrale tocco tastieristico di un Nocenzi coadiuvato da un supporting cast di primissimo ordine.
Il ricorso a brani di lunghezza non eccessiva (mai oltre i sette minuti) al contrario di quanto accadeva in passato, favorisce solo in parte un’assimilazione che, come è giusto e normale che sia in questo ambito, si concretizza solo dopo diversi attenti ascolti.
Questa allegoria esistenziale che è il viaggio lungo la Transiberiana è ricco di sorprese, di passaggi trascinanti e di intuizioni folgoranti sia a livello musicale che lirico, aspetto questo che riveste un ruolo di grande importanza tra struggenti slanci poetici e passaggi che, per chi vuole ricercarne il vero significato, celano una critica feroce a quelli che sono i tempi in cui viviamo (anche e soprattutto nel nostro “bel paese”, con L’Assalto dei Lupi e I Ruderi del Gulag che sembrano più delle sentenze che non semplici presagi).
Ecco perché Transiberiana ci riporta virtualmente indietro di mezzo secolo ai capolavori dei primi anni settanta non tanto per le sonorità, il cui legame è comunque evidente pur se inserito in un contesto del tutto moderno, ma soprattutto perché proprio come in quei tempi aurei il disco, per arrivare alla sua naturale destinazione che sono le corde più intime dell’animo, non può essere trattato come un qualsiasi prodotto di veloce ed effimero consumo.
La descrizione musicale nei dettagli la lascio volentieri a chi ne possiede in tutto e per tutto le competenze (al riguardo consiglio di reperire l’esauriente e del tutto condivisibile articolo scritto da Fabio Zuffanti per La Stampa}, mentre per quanto mi concerne posso soltanto affermare senza alcun pudore che un musicista come Vittorio Nocenzi, in un paese normale, troverebbe posto nei libri di storia, perché tra un “salvadanaio” e l’altro in copertina sono trascorsi quasi cinquant’anni e, probabilmente, solo chi questa cifra l’ha superata anche anagraficamente riesce effettivamente a comprendere la portata di un simile dato.
L’album viene chiuso da due bonus track (Metamorfosi e Il Ragno) registrate dal vivo al Festival di Veruno nel 2018: nulla più di un gradito cadeau che ha però la duplice funzione di farci capire sia quanto Tony D’Alessio possieda la necessaria caratura anche per reintepretare le immortali tracce della band, sia quanto del Banco del Mutuo Soccorso ce ne sia sempre bisogno, dal vivo o su disco, anche nell’anno domini 2019.

Tracklist:
1. Stelle sulla terra
2. L’imprevisto
3. La discesa dal treno
4. L’assalto dei lupi
5. Campi di Fragole
6. Lo sciamano
7. Eterna Transiberiana
8. I ruderi del gulag
9. Lasciando alle spalle
10. Il grande bianco
11. Oceano: Strade di sale
12. Metamorfosi (Live at Festival Prog di Veruno 2018)
13. Il ragno (Live at Festival Prog di Veruno 2018)

Line-up:
Vittorio Nocenzi – piano, keyboards and voice
Filippo Marcheggiani – guitar
Nicola Di Già – rhythm guitar
Marco Capozi – bass
Fabio Moresco – drums
Tony D’Alessio – lead vocal

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The Mute Gods – Atheists And Believers

Atheists And Believers è un album apprezzabile per gli amanti di un rock progressivo, ormai sempre più elaborato in una fusione tra sonorità classiche e nuovi impulsi elettrici.

Tornano i progsters The Mute Gods, creatura del polistrumentista e cantante Nick Beggs, a lungo collaboratore di Steve Hackett e di altri mostri sacri del genere come Steve Wilson, John Paul Jones, Rick Wakeman, Steve Howe e Gary Numan, tra gli altri.

Atheists And Believers è il terzo lavoro del gruppo, dopo Do Nothing Till You Hear from Me del 2016 e Tardigrades Will Inherit the Earth del 2017, segno di una vena creativa tutt’altro che in procinto di estinguersi.
Impreziosito da ospiti di primo piano come Alex Lifeson, Craid Blundell e Rob Townsend, Atheists And Believers risulta un album progressive di tutto rispetto, lineare e piacevole nell’ascolto, molto vario anche nelle tematiche incentrate su un’aspra critica del genere umano ed il suo devastante rapportarsi al mondo circostante e alla sua quotidianità.
Progressive rock d’autore quindi, tanta melodia al servizio di una raccolta di tracce che mettono in evidenza il mestiere e la personalità dei musicisti coinvolti, che suggellano con la loro presenza l’ottima musica proposta.
La title track e la bellissima One Day costituiscono l’ottimo biglietto da visita del lavoro, Envy The Dead, Old Men, ballad progressiva che sa tanto di primi King Crimson, la più moderna Iridium Heart, sono i momenti più importanti di questo Atheists And Believers, album apprezzabile per gli amanti di un rock progressivo, ormai sempre più elaborato in una fusione tra sonorità classiche e nuovi impulsi elettrici.

Tracklist
1. Atheists and Believers
2. One Day
3. Knucklehed
4. Envy the Dead
5. Sonic Boom
6. Old Men
7. The House Where Love Once Lived
8. Iridium Heart
9. Twisted World Godless Universe
10. I Think of You

Line-up
Nick Beggs – Basses, guitars, Chapman Stick, programming, keyboards and vocals
Roger King – keyboards, programming, guitars, backing vocals, production and mastering
Marco Minnemann – drums, additional guitars

Alex Lifeson – assorted stringed instruments
Craig Blundell – drums
Rob Townsend – flute, soprano
saxophone, bass clarinet
Lula Beggs – backing vocals

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Absolute Valentine – Omega

Un grande album di elettronica che parte dalla synthwave per andare molto oltre.

A testimoniare il buon successo di cui sta godendo la scena synthwave e retrowave negli ultimi anni, ecco tornare uno dei maggiori nomi della scena, il francese Absolute Valentine con il suo nuovo lavoro Omega.

Il precedente disco, Police Heartbreaker, era arrivato fino al numero della classifica Eletronic di Itunes e al numero 39 delle charts di Beatport per quanto riguarda i generi Indie e Nu Electro. Con Omega, Johann da Marsiglia, aka Absolute Valentine, si supera ed arriva a produrre un disco che detterà le linee guida per la synthwave e retrowave degli anni che verranno. Omega opera una decisa mutazione in un campo che rischiava di diventare stagnante pur rimanendo molto piacevole da ascoltare. Absolute Valentine ha il talento ed il coraggio per portare avanti il discorso stilistico di questo genere, attraverso una riformulazione dei suoi codici. I bassi rimangono sempre importanti, ma qui sono assai tenebrosi e minacciosi. Vengono anche abbassati i batti al minuto, per contribuire a dare un’ambientazione più apocalittica e priva di speranza. L’immaginario è sempre quello giapponese anni ottanta, fin dalla copertina si capisce dove si andrà a parare, e come al solito l’artwork è molto ben curato, come per ogni uscita della Lazerdiscs Records. Si può affermare che qui i temi diventano maggiormente intimistici rispetto ai lavori precedenti di Absolute Valentine, anche se rimane preponderante l’escapismo retro futuristico. L’uso sapiente dei sintetizzatori resta il fulcro saliente di Omega, ce n’è per tutti i gusti e la qualità è molto alta. Molto interessante ed intricata è la storia che sta dietro al concept dell’album, che si sviluppa canzone dopo canzone. Un grande album di elettronica che parte dalla synthwave per andare molto oltre.

Tracklist
1.Resurrect
2.Spitfire
3.Panther
4.Paramount Glamour Myth
5.Omega
6.Your Passenger Forever
7.Powertrust
8.The Impossible
9.Bad Power
10.Strange Hope

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Soulline – The Deep

The Deep vive di un’insieme di ispirazioni e dettagli che fanno di questa tracklist uno degli esempi migliori del genere, sbaragliando i lavori precedenti e confermando i Soulline come gruppo di notevole levatura tra quelli di seconda fascia, in un genere ancora in grado di regalare grosse soddisfazioni.

Con qualche mese di ritardo sull’uscita parliamo dell’ultimo album degli svizzeri Soulline, già apparsi sulla nostra webzine in occasione dell’uscita di Welcome My Sun, precedente lavoro del gruppo che vedeva Dan Swanö alla produzione, così come Peter Tägtgren, altro guru del metal estremo scandinavo, si era occupato di quella di We Curse, We Trust, terza fatica licenziata nel 2012.

Il melodic death metal, genere che offre ormai poco in termini di originalità, ma come tutti i generi che gravitano nel mondo metal, sa regalare opere di spessore quando il songwriting è di altissimo livello come in questo caso.
La band svizzera, d’altronde, ha l’esperienza necessaria per sapere quali corde toccare per non passare inosservata agli amanti di queste sonorità: grandi melodie, cascate di note metalliche, appeal al massimo per la musica prodotta che rimane legata a doppia mandata con il Gothenburg sound e ali gruppi che ne hanno decretato il successo.
Grazie all’ottima tecnica e a belle canzoni ci si dimentica che gli anni novanta sono passati da un pezzo, con gli In Flames che hanno cambiato la loro carta d’identità svedese con quella americana e a difendere l’onore del death metal melodico scandinavo sono rimasti i soli Soilwork ed At The Gates.
The Deep vive di un’insieme di ispirazioni e dettagli che fanno di questa tracklist uno degli esempi migliori del genere, sbaragliando i lavori precedenti e confermando i Soulline come gruppo di notevole levatura tra quelli di seconda fascia, in un genere ancora in grado di regalare grosse soddisfazioni.

Tracklist
01.Leviathan
02.Cool Breeze
03.Nightmare
04.The Fall
05.Filthy Reality
06.Into Life
07.The Game
08.Deepest Me
09.The Deep End
10.Still Mind

Line-up
Ghebro – Vocals
Lore – Guitars
Marco – Guitars
Miles – Bass
Matt – Drums

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