Inanimate Existence – Clockwork

Gli Inanimate Existence migliorano quanto già espresso sul precedente Underneath a Melting Sky, confermando la loro sagacia nel saper esprimere la propria tecnica, rimanendo confinati in una forma canzone che vede il death metal nato nella storica area, pregno di spunti progressivi.

Nuovo lavoro per gli Inanimate Existence, trio californiano arrivato con Clockwork al quinto lavoro sulla lunga distanza.

Death metal tecnico e progressivo dunque, niente di nuovo ma assolutamente in grado di dire la sua nel panorama underground estremo grazie ad un buon talento per il songwriting che, pur tra le cascate di note dalla difficoltà sovrumana rimane leggibile per chi ascolta.
Violento ed estremo, il sound del gruppo della bay Area si sviluppa su scale iperboliche e progressive, la bravura strumentale dei musicisti alle prese con un death metal senza compromessi non lascia scampo tra le trame di brani come Voyager o Diagnosis, ispirati dai capisaldi del genere.
Gli Inanimate Existence migliorano quanto già espresso sul precedente Underneath a Melting Sky, confermando la loro sagacia nel saper esprimere la propria tecnica, rimanendo confinati in una forma canzone che vede il death metal nato nella storica area, pregno di spunti progressivi.
Il sound del trio ha molto del gruppo del compianto Chuck Schuldiner, portato ad una dimensione ancor più progressiva come nella conclusiva e spettacolare Liberation.
Una band che conferma quanto di buono fatto in passato, consigliata a ai fans del death metal tecnico e progressivo.

Tracklist
1. Clockwork
2. Voyager
3. Apophenia
4. Desert
5. Solitude
6. Diagnosis
7. Ocean
8. Liberation

Line-up
Cameron Porras – Guitar, Vocals
Scott Bradley – Bass, Vocals
Ron Casey – Drums (Continuum, ex-Brain Drill)

INANIMATE EXISTENCE – Facebook

Tacocat – This Place Is A Mess

Con This Place Is A Mess si torna a quando ascoltare indie era una continua sorpresa, e non come oggi che è la continua reiterazione di un qualcosa di mediocre e rigidamente codificato.

Freschissimo indie pop fatto molto bene da tre ragazze ed un ometto.

La forza di questo gruppo che esce per la Sub Pop è la grande capacità di fare pop credibile e molto orecchiabile, di grande presa e molto piacevole, quel tipo di musica che riesce a lasciarti un buon umore anche in giornate non facili. Non c’è solo il buonumore, anzi i Tacocat partono da un passato punk grunge e lo si può sentire bene nelle loro strutture sonore, la loro musica è luminosa ma parla anche del lato oscuro, sopratutto di quello che si porta dietro l’America di Trump. La loro alta orecchiabilità è data anche dalla ricerca sonora, è un disco che solo in apparenza sembra facile, ma ha salde radici nella musica anni sessanta americana, con accenni non sporadici di surf music, che aggiunge sostanza al tutto. Aiuta anche il fatto che siano di Seattle, e che siano cresciuti in un humus musicale da sempre molto fertile per la buona musica. Il grunge entra soprattutto a livello compositivo, nel senso che ci sono alcuni momenti che prendono le mosse da lì, come la bellissima traccia Little Friend, che usa in maniera adeguata e molto dinamica il contrasto tra chitarra distorta e pulita per dare un tocco molto speciale. La produzione di Erik Blood riesce a tirare fuori il meglio da una band che possiede un’impostazione profondamente indie, ma che ha un’anima errante che la porta a costruire un suono composito, originale e profondo. Con This Place Is A Mess si torna a quando ascoltare indie era una continua sorpresa, e non come oggi che è la continua reiterazione di un qualcosa di mediocre e rigidamente codificato. Un album dagli ottimi contenuti e da un suono molto bello e sottilmente godurioso, dato sicuramente dalla preponderante presenza femminile nel gruppo.

Tracklist
1.Hologram
2.New World
3.Grains of Salt
4.The Joke of Life
5.Little Friend
6.Rose-Colored Sky
7.The Problem
8.Crystal Ball
9.Meet Me at La Palma
10.Miles and Miles

Line-up
Emily Nokes
Eric Randall
Bree McKenna
Lelah Maupin

TACOCAT – Facebook

Wheels Of Fire – Begin Again

Musica che fa bene al cuore, quella del quintetto di rockers nostrani, che confezionano un piccolo gioiello melodico, tra aor e arena rock da spellarsi le mani in sinceri applausi.

Ennesimo album imperdibile per tutti gli amanti dell’hard rock melodico licenziato dalla Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group, punto di riferimento importante per queste sonorità e non solo nel nostro paese.

Una scena che sta regalando grosse soddisfazioni quella tricolore, oggi sugli scudi grazie a questo splendido lavoro, il terzo per gli Wheels of Fire, a sette anni di distanza dal precedente Up For Anything e nove dal clamoroso debutto intitolato Hollywood Rocks.
Musica che fa bene al cuore, quella del quintetto di rockers nostrani, che confezionano (grazie anche ai molti ospiti di spessore) un piccolo gioiello melodico, tra aor e arena rock da spellarsi le mani in sinceri applausi.
Mixato e masterizzato da Roberto Priori (Danger Zone, Raintimes, I.F.O.R., Alchemy), con la collaborazione in fase di scrittura di due talenti del rock melodico made in Italy come Pierpaolo “Zorro” Monti (Raintimes, Shining Line, Charming Grace) e Gianluca Firmo (Room Experience, Firmo), Begin Again vede all’opera una manciata di ospiti come Gianluca Ferro, Ivan Ciccarelli, Susanna Pellegrini, Marcello Spera e Matteo Liberati a dare il loro contributo ad una scaletta di brani bellissimi, ultra melodici, graffianti e dall’appeal clamoroso.
Il via alle danze è qualcosa di imperdibile, con l’opener Scratch That Bitch e l’irresistibile Lift Me Up a darci il benvenuto tra note che ricordano le highway statunitensi e le arene rock dove negli anni ottanta facevano il bello ed il cattivo tempo Bon Jovi, Danger Danger e Firehouse, con un tocco di Whitesnake patinati, specialmente in quei passaggi in cui la chitarra di Stefano Zeni sprizza energia rock.
Suonato e cantato splendidamente (Davide “Dave Rox” Barbieri al microfono è garanzia di grani melodie vocali), con una Done For The Day che avrei visto bene nella colonna sonora di Rock Of Ages, l’album esplode in un arcobaleno di note melodiche grazie alle tastiere di Federico De Biase, a donare sfumature da arena rock o emozionare con delicate note (For You).
Una sezione ritmica precisa come un orologio svizzero (Marcello Suzzani al Basso e Fabrizio Uccellini alla batteria) ed una track list inattaccabile completano un lavoro che non sarà facile da superare nella scalata ad album dell’anno per quanto riguarda queste sonorità, a conferma del valore assoluto della scena melodica tricolore.

Tracklist
1. Scratch That Bitch
2. Lift Me Up
3. Tonight Belongs To You
4. Done For The Day
5. For You
6. Keep Me Close
7. Heart Of Stone
8. You’ll Never Be Lonely Again
9. Another Step In The Dark
10. Call My Name
11. Can’t Stand It
12. Wheels Of Fire (European Bonus Track)

Line-up
Davide “Dave Rox” Barbieri – Vocals
Stefano Zeni – Guitars
Federico De Biase – Keyboards
Marcello Suzzani – Bass
Fabrizio Uccellini – Drums

Special guests:
Gianluca Ferro – Guitar Solo
Ivan Ciccarelli – Percussion
Susanna Pellegrini – Backing Vocals
Maryan – Backing Vocals
Marcello Spera – Backing Vocals
Matteo Liberati – Backing Vocals

WHEELS OF FIRE – Facebook

Vargrav – Reign in supreme darkness

Secondo lavoro per la one-man band di Hyvinkää (Finlandia). Uscito per la prolifica Werewolf, Reign in Supreme Darkness è un riuscito affresco di quanto di più malvagio il Black Metal scandinavo possa oggi proporci.

I Vargrav, one-man band finlandese capitanata dal misterioso V-Khaoz (all’anagrafe Ville Pallonen), è quanto di più arcano ed impenetrabile ci possa oggi capitare tra le mani.

Già il nome scelto, porta con sé enigmatici occulti significati. Secondo Mr. Pallonen, intanto, il nome deriva dalla parola svedese varg (lupo) e grav (tomba); inoltre Vargrav è un palindromo (si legga al contrario, non cambia nulla) composto da 7 lettere. Sette, come ben sappiamo è il numero – tra gli altri – più spirituale, il numero magico per eccellenza, della ricerca e dell’analisi mistica. Pensiamo solamente a quante volte il numero sette compare nell’Antico Testamento oppure nella nostra vita. Per fare alcuni esempi, ricordiamo che 7 sono i giorni della settimana, 7 i pianeti sacri, 7 le virtù e i vizi capitali, 7 i Sacramenti, 7 le braccia del candelabro ebraico, 7 gli anni di disgrazia provocati, secondo la tradizione, dalla rottura di uno specchio, 7 gli anni necessari affinché il corpo si rigeneri, 7 gli attributi fondamentali di Allah (tant’è vero che il 7 è numero della perfezione nell’Islam), e ancora, i sette colori che compongono l’arcobaleno, le sette note musicali, i sette passi del Buddha, i 7 Chakra e così via. Inoltre non dobbiamo dimenticare che 7 deriva dall’unione del 3 (il ternario divino) con il 4 (il quaternario terrestre). Guarda caso è anche il numero della Piramide, che è formata dal triangolo, 3, su quadrato, 4. Infine – come diceva Ippocrate – Il sette, per le sue virtù celate, mantiene nell’essere tutte le cose; esso è dispensatore di vita, di movimento ed è determinante nell’influenzare gli esseri celesti.
Insomma, comunque si guardi il nome Vargrav, si viene magicamente catapultati nel misticismo simbolico, non solo religioso, nell’introversa introspettiva analisi del tutto, del mondo terreno, del mondo spirituale. E la sua musica, il suo secondo sforzo discografico (dopo un buon Netherstorm del 2018), non poteva che assumersi il gravoso incarico di rappresentare ed esprimere quanto il suo stesso monicker rappresenta. Ovviamente, trattandosi di Black Metal, il tutto viene qui corredato da atmosfere profondamente maligne e malignamente profonde. Sì, perché Reign in Supreme Darkness è un epicureo dell’orrore, ma di sensismo opposto, ove il criterio del bene viene implacabilmente rimpiazzato dal piacere del male. Un album che sgorga malvagità da ogni singola nota, epicamente catapultato in epoche antiche di cavalieri neri, di castelli maledetti, di demoniache creature, e di crudeli battaglie senza fine, sovrastate da un empireo nero e viola e da una luna piena, in parte offuscata dall’immagine di una crudele magica Nera Mietitrice (si veda all’occasione, la cover dell’album). Un Black Metal imponente, maestoso, corroborato da un uso costante dei synth, che qui non vivono di vita propria, non servono per creare singoli momenti dark ambient, di scontata atmosfera black lounge; divengono invece – in brani come In Streams from Great Mysteries o The Glory of Eternal Night ad esempio – parte integrante ed inseparabile di tutta la struttura musicale, accompagnando in solido chitarre e basi ritmiche – il tutto attestato sulle stesse medesime frequenze , com’è d’altronde tipico del Black Metal – in un oscuro viaggio sonoro, immaginifico (come potrebbe dirci D’Annunzio) e pertanto abile creatore e suscitatore di immagini, nere, tetre, malevole, diaboliche, inumane. L’iniqua Arcane Stargazer che chiude l’album, è il pezzo più riuscito. Più di otto minuti glaciali, in un ossimoro di gelido calore avernale, di puro Black nordico che, ricolmo di annichilente solitudine (alone in this cold tower), conduce l’ascoltatore alla ricerca vana di risposte dagli astri (i seek for answers from the stars), avvolto dalle tenebre più totali (in the absence of light), prima di un ultimo saluto alla Nera Mietitrice (i greet the glorious death).
Da Crowned by Demonstorms: Coronati ad tenebras / de gremio, sedens super peccatum / atria morte / chorus triumphi claritate / tollens ad sidera gladio / novam periodum incipere (Circondati dalle tenebre / dal grembo, siede sopra il peccato / atrio della morte / con lo splendore di cori trionfali / colui che ascende alle stelle con la spada / per l’inizio di una nuova era), che altro aggiungere?

Tracklist
1. Intro – Et in Profundis Mysteriis Operta
2. The Glory of Eternal Night
3. Dark Space Dominion
4. In Streams from Great Mysteries
5. As the Shadows Grow Silent
6. Crowned by Demonstorms
7. Godless Pandemonium
8. Arcane Stargazer

Line-up
V-Khaoz – All instruments

VARGRAV – Facebook

COMUNICATO

Quasi tre anni di attività intensa e qualche migliaio di recensioni pubblicate hanno consentito alla nostra webzine di ritagliarsi uno piccolo spazio nello sterminato universo di chi, dando sfogo alle proprie passioni, cerca di fornire un servizio agli appassionati di metal e rock.
Il fatto che il nostro operato sia stato apprezzato anche da chi ne beneficia, direttamente o indirettamente ( parliamo quindi di musicisti, etichette e agenzie di promozione), ci ha portato nel corso dell’ultimo periodo ad essere letteralmente inondati da una quantità di materiale da recensire tale che, per potervi far fronte, sarebbe necessario avvalersi di almeno una quindicina di prolifici collaboratori e di un editor che avesse la possibilità di svolgere la sua attività a tempo pieno.
Così non è, e la condizione necessaria per proseguire la nostra avventura senza snaturarci e, soprattutto, far sì che il tutto resti un impegnativo ma piacevole hobby, è quella di ricalibrare gli obiettivi in maniera più realistica e confacente alle nostre possibilità.
Pertanto, a partire da oggi, il nostro focus sarò rivolto quasi esclusivamente alle recensioni, lasciando spazio alle interviste solo per quanto riguarda quelle tratte dalla trasmissione Overthewall, in onda settimanalmente su Witch Web Radio, alla quale peraltro collaboriamo con una nostra rubrica; quindi non pubblicheremo più video o news di varia natura, salvo ovviamente eccezioni qualora lo si ritenga necessario.
Sporadicamente potremo pubblicare annunci di eventi live dei quali saremo partner, oppure articoli retrospettivi o altro ancora ma senza che questo ci vincoli in alcun modo rispetto a qualsiasi tipo di richiesta.
La cosa più difficile è però scegliere quali dischi recensire, perché quelli che vengono trattati sono solo una minima parte rispetto a quanto ci viene proposto e quando la richiesta supera la capacità dell’offerta è necessario fornirsi di opportuni criteri di selezione; in questi anni abbiamo pensato che fosse giusto e naturale dare prioritariamente  spazio ai gruppi e alle etichette italiane ma questo, alla fine, ci ha fatto perdere di vista l’obiettivo primario di MetalEyes che è invece quello di divulgare a prescindere musica che sia di qualità e che, soprattutto, dia anche soddisfazione a chi deve scriverne.
In fondo non c’è nulla di più universale della musica e adottare un mero criterio geografico per scegliere cosa recensire si rivela quanto mai limitante, fermo restando che per ovvi motivi le produzioni provenienti dal nostro paese godranno sempre e comunque di un’attenzione particolare, come è normale che sia.
Invitiamo, quindi, chiunque voglia sottoporci del materiale musicale per una recensione ad inviarci, senza particolari preamboli, un promo digitale scaricabile all’indirizzo e-mail stefano.metaleyes@gmail.com .
Il riscontro è probabile ma non assicurato, quanto meno non lo sarà in tempi rapidi, ma sicuramente un lavoro meritevole avrà molte più possibilità d’essere recensite.
Tanto vi dovevamo al fine di rendere trasparente un modus operandi che, non dovendo rispondere ad alcun editore od inserzionista pubblicitario, ci consente di effettuare le nostre scelte in totale autonomia e libertà.

Lo staff di MetalEyes

Oigres – Psycho

Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Oigres è il nuovo progetto solista che vede all’opera Sergio Vinci, conosciuto nell’ambiente estremo italiano anche per essere stato il leader degli ottimi Lilyum, una delle migliori espressioni nazionali a mio avviso per quanto riguarda il black metal nelle sue vesti più ortodosse.

I brani contenuti in questo lavoro hanno però ben poco a che vedere con quell’esperienza, se non per l’approccio diretto e rabbioso che qui si estrinseca sotto forma di un thrash/groove hardcore cantato prevalentemente in italiano e che, anche per questo, rimanda a livello attitudinale a gruppi come i Negazione e relativa genia di provenienza piemontese.
I testi abrasivi, ma non privi di slanci poetici, sono sorretti da un sound che non si perde in preamboli ma va dritto all’obiettivo lasciando spazio a tempi più diluiti solo nella pregevole traccia ambient di chiusura, Outro – Openclosed.
Come detto, il nome Lilyum vale qui essenzialmente quale sorta di garanzia della bravura e della sincerità di un musicista come Sergio, che qui si disimpegna in maniera lineare ma alquanto efficace anche nelle vesti di cantante.
Brani come Fermo, Lontano Da Me e Stella, in particolare, sono sferzate di energia contenenti un’urgenza espressiva che, probabilmente, all’interno di una band rischiava d’essere in qualche modo mediata o filtrata, mentre lo stesso monicker prescelto testimonia ampiamente come questa nuova avventura sia, per Sergio Vinci, un qualcosa di intimo, al riparo da qualsiasi interferenza esterna dal punto di vista prettamente compositivo.
Psycho convince per il suo essere diretto, essenziale ma non banale: anche se, come si può intuire dalla mia premessa, non posso considerare la fine dei Lilyum come una buona notizia, la svolta attuata dal musicista torinese è del tutto condivisibile e non dà spazio ad alcun tipo di recriminazione, lasciando aperti al contrario diversi interessanti scenari da esplorare nel prossimo futuro.

Tracklist:
1. Intro – Lifog
2. Fermo
3. Lontano Da Me
4. Stella
5. I Am
6. Scivola Via
7. No Fear, No Truth
8. Outro – Openclosed

Line-up:
Sergio Vinci

OIGRES – Facebook