Green Oracle – Green Oracle

I brani sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno

I Green Oracle sono uno di quei gruppi che appartengono alla schiera degli sciamani musicali, iniziati che mettono in musica riti per accedere a dimensioni diverse dalla nostra.

Il disco omonimo è il loro debutto, esce per Argonauta Records e le tre canzoni sono già un proclama fin dai titoli, Please, Do, Hallucinogens. E infatti la loro musica è molto forte ed evocativa, con lunghe jam che sono canali di chiamata per spiriti interdimensionali ma che, alla fine, hanno lo scopo ultimo di cambiarci e di non lasciarci come prima. Musicalmente non ci sono frontiere ma solo limiti da superare, la musica è totale e avviluppa ogni cosa con potenza e dolcezza. Di fondo si potrebbe definirli degli Zu maggiormente rituali e profondi, ad esempio i giochi che fanno con le voci sono profondamente sciamanici, un esempio di qualcosa di molto antico che giace ancora dentro di noi se lo si vuole guardare. Le litanie musicali di Green Oracle sono vicine alla tradizioni ritual doom, ma vanno oltre. Le canzoni qui diventano altro, mutando a seconda delle intenzioni plasmatrici del creatore, offrendo una visione della musica rituale a trecentosessanta gradi. Sono presenti in maniera molto interessante e feconda dei sintetizzatori, che sono dei mezzi molto adeguati per indurre una trance. Incredibili anche le sezioni delle canzoni in cui le chitarre in drone si uniscono con le percussioni. La produzione è primitiva e raccoglie tutto il furore e l’urgenza di composizioni che vanno oltre la forma canzone. I tempi si dilatano e il sangue scorre meno velocemente, mentre il nostro cervello acquista potere ed una superficie psichica maggiore. Sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno. Una bella congiunzione fra musica rituale e musica pesante, operata da un collettivo che ha ottime idee.

Tracklist
1. Please
2. Do
3. Hallucinogens

Line-up
Thomas Santarsiero
Matteo Anguillesi
Vanni Anguillesi
Giulia Mannocci

GREEN ORACLE – Facebook

Krypts – Cadaver Circulation

Titolo appropriato per un’opera di death doom fangosa, gelida e putrescente.I Krypts, al loro terzo album, si dimostrano ispirati e dannatamente angoscianti.

Il metallo della morte e la Dark Descent proseguono il loro insano rapporto per portare ai nostri padiglioni auricolari quanto di meglio il panorama death mondiale possa proporre; avvicinarsi al catalogo della label americana per un cultore dell’estremo significa rimanere estasiati e sconvolti dalla bontà delle proposte e io non ricordo una solo opera che non mi abbia soddisfatto appieno.

Anche stavolta il piatto proposto è cucinato con ingredienti di alta qualità e i finlandesi Krypts, già dal 2013 attivi per questa etichetta con Unending Degradation, ci riportano in territori death costantemente affogati in putrescenze doom; nessun lato melodico classicamente inteso, qui la materia è carnale,viscerale , la morte si stacca letteralmente da ogni nota e ci fa sentire il suo fetore. Il quartetto finlandese, da sempre guidato dal vocalist e bassista Antti Kotiranta, ci ha sempre nutrito con questa malsana miscela sonora dove la pesantezza e la soffocante lentezza rendono l’aria irrespirabile e priva di luce e anche questa volta ci offrono un trip similare, in cui sono amalgamati ed equliibrati al meglio tutti gli ingredienti usati. Rispetto al precedente e notevolissimo Remnants of Expansion del 2016, forse, ma si tratta di minuzie, la direzione sonora è appena più ragionata, non mancano momenti più classicamente death come l’inizio di Sinking Transient Waters ma la matrice sonora rimane sempre quella sinistra e terrificante del death doom, le cui decelerazioni fangose e glaciali fanno accapponare la pelle e raggelare il sangue.Un brano come Echoes Emanate Forms, con il suo lento e inesorabile incedere, tramortisce ogni resistenza. Questa è musica che ha il compito di aprire portali dove orrori soprannaturali attendono di poter passare; la band conosce molto bene la materia, è sempre ispiratissima e in scarsi quaranta minuti colpisce senza fare prigionieri. Siamo in terre battute in passato da acts quali Incantation e dai greci Dead Congregation nei loro momenti più lenti e riflessivi, il tutto condito da melodie malsane, paludose e ferali come solo in Finlandia riescono a creare (ricordiamoci di Hooded Menace e Swallowed). Sei brani di media lunghezza con punte notevoli in Vanishing, immane allucinazione, e Circling the Between, glaciale e misteriosa nel suo sviluppo. Altra grande conferma per questi artisti finlandesi: bisognerà ricordarsi anche di loro nelle classifiche di fine anno.

Tracklist
1. Sinking Transient Waters
2. The Reek of Loss
3. Echoes Emanate Forms
4. Mycelium
5. Vanishing
6. Circling the Between

Line-up
Jukka Aho – Guitars
Otso Ukkonen – Drums
Ville Snicker – Guitars
Antti Kotiranta – Vocals, Bass

KRYPTS – Facebook

Moonlight Haze – De Rerum Natura

Da esperti del genere arriva un nuovo progetto made in Italy di Symphonic Metal moderno, dinamico ed estremamente curato; un mix di classico e di nuovo, unito in un concept accattivante e seducente.

Qui si va sul sicuro ed è un buon punto di partenza: i Moonlight Haze sono una nuova realtà italiana nata nel 2018 da membri o ex componenti di Temperance, Elvenking, Sound Storm, Teodasia and Overtures, quindi è facile intuire che la proposta sia inserita nell’ambito di un Symphonic Metal fresco, moderno ed estremamente curato a livello di arrangiamenti e produzioni.

Si sente infatti il tocco dell’ottimo producer Simone Mularoni che regala grande vivacità ed un suono grandioso ed impeccabile. De Rerum Natura si presenta alla grande fin dall’artwork di copertina che unisce elementi naturistici ad altri più futuristici e tecnologici, ed è perfetto per descrivere la musica all’interno contenuta. Merito certamente della voce versatile e squillante di Chiara Tricarico, del mare di tastiere di Giulio Capone, che riesce a stratificare il sound della band con grande sapienza, della coppia prodigiosa di chitarristi Marco Falanga ed Alberto Melinato, sempre a servizio delle canzoni e mai strabordanti, e della sezione ritmica di Giulio Capone alla batteria (ancora lui) e Alessandro Jacobi al basso, di grande intensità esecutiva, che riesce a “contenere” e valorizzare le performance di tutto il gruppo. Un perfetto lavoro di squadra che culmina in piccole grandi perle musicali come A Shelter From The Storm, ballata dal feeling notturno e quasi fatato, oppure nella galoppante Goddess, dove la melodia non si perde nella vorticosa velocità di esecuzione. Grandi cori ed armonie vocali che si ripetono nella magistrale To The Moon and Back, manifesto perfetto della solidità dei Moonlight Haze. Se Odi et Amo riesce ad essere romantica e sensuale insieme, The Butterfly Effect possiede un refrain catchy e difficilmente dimenticabile, degno dei migliori Nightwish. Time invece, anche grazie al contributo degli ospiti Mark Jansen (Epica e MaYaN) e Laura Macrì (MaYaN), offre sprazzi imperiosi dove si fondono prog metal, musica operistica e classica, per un connubio di grande fascino e forza. I Moonlight Haze passano anche l’esame della suite, perché Dark Corners Of Myself (posta stranamente a metà album) è un racconto di più di nove minuti che non annoia mai e tocca anche lidi musicali del tutto inaspettati, dimostrazione della grande maturità della band. De Rerum Natura è un esordio di grandissima qualità lirica e musicale, noi speriamo che questo non sia solo un progetto estemporaneo ma il primo capitolo di un lungo e glorioso cammino a sette note.

Tracklist:
1. To The Moon and Back
2. Ad Astra
3. Odi et Amo
4. The Butterfly Effect
5. Time
6. Dark Corners of Myself
7. A Restless Mind
8. Deceiver
9. A Shelter from the Storm
10. Goddess

Line-up:
Chiara Tricarico – vocals
Giulio Capone – drums, keyboards
Marco Falanga – guitars
Alberto Melinato – guitars
Alessandro Jacobi – bass

MOONLIGHT HAZE – Facebook

Deathspell Omega – The Furnaces Of Palingenesia

Il settimo disco dei Deathspell Omega, The Furnaces of Palingenesia, continua sul solco stilistico tracciato dal precedente The Sinarchy Of Molten Bones, ovvero un rallentamento del loro caos sonoro, ma più che un frenare è un recidere maggiormente in profondità, un’autopsia demoniaca di entità dannate.

I Deathspell Omega sono uno dei gruppi maggiormente paradigmatici dell’intero movimento black metal.

La centralità della loro opera è la musica e qualche scarna rappresentazione grafica, ma la cosa davvero importante, l’unica che conta, sono gli abissi che ci mostra. Si sa qualcosa dei membri che compongono il gruppo, ma i Deathspell Omega non hanno mai fatto concerti, non hanno mai rilasciato inutili interviste o altre promozioni, hanno fatto video minimali ma molto ben centrati. La musica è al centro di tutto, anzi il black metal è al centro di tutto, ed è importante e non solo di facciata il discorso esoterico e satanista che portano avanti da anni. Il loro settimo disco, The Furnaces of Palingenesia continua sul solco stilistico tracciato dal precedente The Sinarchy Of Molten Bones, ovvero un rallentamento del loro caos sonoro, ma più che un frenare è un recidere maggiormente in profondità, un’autopsia demoniaca di entità dannate. Le strutture sonore sono sempre molto bilanciate e ascoltando e riascoltando il disco si colgono molti elementi che portano il suono dei Deathspell Omega ancora più avanti, in quella poetica musicale progressiva che è sempre stata al centro dei pensieri di questo gruppo. L’ensemble francese ha sempre tracciato la via, e con questo nerissimo settimo disco lo fa più che mai. Ogni canzone è un tassello che forma un disegno superiore di musica malata e satanica: qui i Deathspell Omega alzano l’asticella, e abbandonano la forma caotica, che comunque affiora spesso andando anche a lambire momenti di chaotic hardcore, per comporre un suono che si contorce come un serpente ricordandoci, come nell’iniziale Neither Meaning Nor Justice, che la razza umana basa le sue fondamenta su illusioni bestiali. L’umanità, specie negli ultimi duecento anni, ha avuto una fede quasi cieca nelle sue sorti progressive, ovvero che sarebbe andato tutto bene, anzi meglio, mentre il disastro è sotto gli occhi ed i piedi di tutti. I Deathspell Omega sono qui a ricordarcelo come solo loro sanno fare, con una cattiveria ed un abbandono totale, tuffandosi in un nero vortice che è l’unica risposta al tumore chiamato vita. The Furnaces Of Palingenesia è un disco che assume valore in ogni singola nota, in ogni passaggio, in ogni parola trasmutata fuori dal corpo di un cantante che altro non è che un medium. Oltre ai momenti di furia e di abisso cosmico, i migliori momenti sono quelli in cui tutto sembra esplodere ed invece continua a strisciare verso l’annullamento totale, come nella traccia 1523. Il gruppo francese fa un altro disco che ne rafforza la leggenda, la fama e la credibilità costruita con il sangue ed i sentimenti, forgiando un black metal che rimane incollato. Il loro progetto sonoro si arricchisce di un episodio che non è il migliore solo perché tutti i loro dischi sono dei capisaldi del nero metallo, ma rappresenta la continuazione di una nuova via sonora. Se si vuole ascoltare della musica che va avanti queste sono le vostre fornaci.

Tracklist
1.Neither Meaning nor Justice
2. The Fires of Frustration
3.Ad Arma! Ad Arma!
4.Splinters from Your Mother’s Spine
5.Imitatio Dei
6.1523
7.Sacrificial Theopathy
8.Standing on the Work of Slaves
9.Renegade Ashes
10.Absolutist Regeneration
11.You Cannot Even Find the Ruins…

DEATHSPELL OMEGA – Facebook

Cats In Space – Day Trip To Narnia

Immaginate tutto il meglio di Queen, Electric Light Orchestra, Supertramp, Yes, Kiss ed Elton John, aggiungetevi l’enorme talento del gruppo britannico ed avrete uno dei dischi di rock classico più belli usciti da quando siamo entrati nel nuovo millennio.

Il rock è morto: questo affermano da anni i suoi detrattori e non pochi addetti ai lavori presenziano alle varie cerimonie funebri ogni qualvolta ne hanno la possibilità, tappandosi le orecchie per ignorare la quantità di musica di altissimo livello che ancora oggi (dal più melodico al più estremo) il genere in ogni sua sfaccettatura sa ancora regalare.

La possibilità di scrivere per una webzine offre infatti, a chi con passione cerca nel suo piccolo di supportare la musica più importante ed influente degli ultimi settant’anni, la possibilità di ascoltare opere straordinarie, dalle atmosfere e sfumature distanti tra loro ma che hanno nel saper emozionare il loro comune denominatore.
Anche quest’anno (e siamo solo a metà) gli album che hanno regalato qualcosa di “speciale” non sono mancati e tra questi annoveriamo Day Trip To Narnia, nuovo lavoro dei Cats In Space che è sicuramente tra i più accreditati ad una posizione di prestigio nella classifica di fine anno.
Un vero capolavoro per una band dal nome buffo ma dalle qualità enormi, che vede tra i suoi protagonisti il cantante Paul Manzi (Arena), il chitarrista Greg Hart (Mike Olfield, Asia) ed il batterista Steevi Bacon (Robin Trower), accompagnati in questa avventura nello spazio da Den Howard (chitarra), Jeff Brown (basso), Andy Stewart (piano, synth) e con la collaborazione di Mike Wilson degli storici 10cc.
I sei gatti si aggirano così nello spazio, su una navicella che li porta in giro per gli ultimi cinquant’anni di musica, partendo dal rock di fine anni settanta, nutrendosi degli impulsi ottantiani e portandoli a noi, nel nuovo millennio.
Una musica piena, una cascata di hard rock progressivo e melodico, ricco di cori, atmosfere pompose sfumature da musical in un contesto di note apparentemente derivative ma a loro modo geniali, difficili da paragonare a qualsiasi realtà odierna.
La forza di Day Trip To Narnia sta nel suo rendere gli arrangiamenti pomposi e barocchi ma perfettamente fluidi, laddove cori e controcanti elargiscono una lezione di rock d’alta scuola.
Per chi non conoscesse la band britannica va detto che, l’avventura dei nostri inizia con To Many Gods, debutto del 2015, seguito dal bellissimo Scarecrow, licenziato due anni dopo, con entrambi i lavori poi immortalati in Cats Alive!, disco dal vivo uscito lo scorso anno.
Ma la band, in stato di grazia compositivo, non si è fermata e oggi esce con Day Trip To Narnia, album diviso in due parti: la prima composta da sette splendidi brani, la seconda invece proponendo un vero e proprio concept di altre sette tracce intitolato The Story Of Johnny Rocket, la storia di un bambino dagli spessi occhiali e dai grandi sogni.
Senza scendere nei dettagli dei brani, l’album risulta una spettacolare opera rock nella quale, se nella prima parte le varie Narnia, Hologram Man e Chasing Diamonds viaggiano splendidamente autonome, nella seconda è il concept che provoca il susseguirsi di emozioni straordinarie, già vissute nelle grandi opere rock della storia.
Immaginate tutto il meglio di Queen, Electric Light Orchestra, Supertramp, Yes, Kiss ed Elton John, aggiungetevi l’enorme talento del gruppo britannico ed avrete uno dei dischi di rock classico più belli usciti da quando siamo entrati nel nuovo millennio.

Tracklist
1. Narnia
2. She talks too much
3. Hologram man
4. Tragic alter ego
5. Silver and gold
6. Chasing diamonds
7. Unicorn
8. The story of Johnny Rocket I: Space overture
9. The story of Johnny Rocket II: Johnny Rocket
10. The story of Johnny Rocket III: Thunder in the night
11. The story of Johnny Rocket IV: One small step
12. The story of Johnny Rocket V: Twilight
13. The story of Johnny Rocket VI: Yesterday’s news
14. The story of Johnny Rocket VII: Destination unknown

Line-up
Paul Manzi – Lead Vocals
Greg Hart – Guitars, Vocals
Steevi Bacon – Drums, Percussion, Vocals
Den Howard – Guitars, Vocals
Jeff brown – Bass, Vocals
Andy Stewart – Piano’s, Synthesizers

CATS IN SPACE – Facebook

Sinnrs – Profound

Il duo danese si pone all’attenzione degli ascoltatori con un’opera di discreta fattura: le atmosfere pregne di malvagia oscurità sono quelle già ascoltate in passato, la parte sinfonica è ben inserita nel contesto estremo del sound e a tratti Profound offre momenti di intenso ed oscuro fascino.

I Sinnrs sono una giovane e misteriosa entità oscura proveniente dalla Danimarca e Profound è il loro album di debutto.

Nero e Maestus sono i due musicisti che danno vita a questo progetto dal sound che trova le sue ispirazioni principalmente nel black metal sinfonico dei Dimmu Borgir, anche se la musica del combo si nutre pure di death metal e black/death di scuola Behemoth, divenuti una delle principali fonti a cui attingono le nuove leve del metal estremo di matrice sinfonica e melodica di stampo black.
Fredde atmosfere che scendono dalla vicina Scandinavia si mescolano al death metal dei primi masterpiece del gruppo di Nergal, mantenendo sempre un’attitudine melodica che valorizza le oscure ed estreme strade che portano Profound nel nero abisso della fiamma nera.
Dieci brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al genere suonato, dal songwriting che ha il solo limite di risultare altamente derivativo, ma in grado di non deludere gli amanti di queste sonorità e con almeno tre brani sopra la media, Lift My Bones, No Promise To Mankind e Et Sic Incipit.
Il duo danese si pone all’attenzione degli ascoltatori con un’opera di discreta fattura: le atmosfere pregne di malvagia oscurità sono quelle già ascoltate in passato, la parte sinfonica è ben inserita nel contesto estremo del sound e a tratti Profound offre momenti di intenso ed oscuro fascino.

Tracklist
1.Nihil
2.To Derive Even’s Flame
3.The Storm Of I
4.Lift My Bones
5.Renowed Praetorians
6.No Promise To Mankind
7.It Calls Me
8.Et Sic Incipit
9.Watch Her Soul Burn
10.Commemorate None

Line-up
Neo
Maestus

SINNRS – Facebook

MetalEyes Radio – I DISCHI FONDAMENTALI: System Of A Down – Toxicity

Continua la riproposizione delle opere che hanno cambiato musicalmente la vita a ciascuno di noi. Ovviamente i generi proposti saranno molto variegati, ed è normale che sia così visto che ciò dipende dalla diversa sensibilità di ogni redattore di MetalEyes IYE. Buon Ascolto!

I System Of A Down, piacciano o meno, saranno ricordati come una delle band in assoluto più importanti in ambito musicale (non solo metal) nel primo decennio di questo secolo.
Il successo commerciale, sorprendente per una band dal sound difficilmente inquadrabile ma capace di spaziare a lla velocità della luce tra diverse pulsioni, è solo un indicatore (comunque, non il più importante) di quanto questa band californiana, ma composta da soli musicisti di di origine armena, abbia ricodificato un nuovo sound che per comodità viene inserito nell’informe contenitore dell’alternative/nu metal.
Tra i pochi album pubblicati dai System Of A Down, sicuramente il più importante è il secondo Toxicity, datato 2001, un lavoro al cui interno la band guidata dalle personalità forti e contrastanti di Serj Tankian e Daron Malakian trovava la sintesi ideale tra furiose accelerazioni di stampo hardcore e repentine ed ipnotizzanti aperture melodiche, il tutto senza tralasciare sfumature etniche provenienti da una paese come l’Armenia, posto al confine tra Europa ed Asia.
Una canzone come Chop Suey simboleggia al meglio l’idea musicale del gruppo, mentre l’altra hit Aerials, decisamente meno dirompente, è ancora oggi uno dei brani più gettonati tra le giovani band alternative quando si tratta di proporre una cover.
Quasi 15 anni di silenzio discografico e una sola sporadica reunion per una manciata di concerti all’inizio di questo decennio fanno ritenere che la storia dei System Of A Down sia giunta al capolinea, e le prove soliste dei singoli componenti, per quanto spesso di grande valore (specialmente quelle di Tankian) non reggono comunque il confronto con quelle della band madre.

(Stefano Cavanna)

Tracklist:
Prison Song
Needles
Deer Dance
Jet Pilot
X
Chop Suey!
Bounce
Johnny
Forest
ATWA
Science
Shimmy
Toxicity
Psycho
Aerials

Line-up:
Serj Tankian – voce, tastiera
Daron Malakian – voce, chitarra
Shavo Odadjian – basso, cori
John Dolmayan – batteria

Heaume Mortal – Solstices

Il genere è di per sé ostico, ma è indubbio che il gruppo parigino abbini al sound una certa alternanza di atmosfere che rendono l’ascolto più fluido.

Quando di mezzo c’è la label francese Les Acteurs de l’Ombre non ci si trova mai davanti ad opere banali, trend confermato dal primo lavoro degli Heaume Mortal, gruppo parigino nato dalla mente del polistrumentista Guillaume Morlat, accompagnato in questa avventura dal batterista Jordan Bonnet e dal cantante Julien Henri.

Solstices è composto da sei brani, di cui la metà superano abbondantemente i dieci minuti, immersi nella natura selvaggia, glaciale e violenta ed usata come metafora della vita.
Le sonorità di cui si caricano i brani presenti alternano black metal atmosferico, doom e dark metal, in un crescendo di drammatica tensione: la violenza black viene apparentemente smorzata da passaggi intimisti e doom, lente marce in territori ostili, disperati e tragici momenti di tempeste black ed atmosferiche sfumature post metal formano composizione di non facile ascolto come l’opener Yesteryears, Oldborn e Tongueless (part III).
Il genere è di per sé ostico, ma è indubbio che il gruppo parigino abbini al sound una certa alternanza di atmosfere che rendono l’ascolto più fluido: Solstices rimane comunque un’opera a cui va concesso il giusto tempo per farsi spazio anche negli ascoltatoti più attenti.
A confermare l’atmosfera glaciale ed ostile dell’album, gli Heaume Mortal ci regalano la cover di un brano di Burzum, Erblicket Die Tochter des Firmament dal masterpiece Filosofem, in una loro personale versione assolutamente riuscita.

Tracklist
1.Yesteryears
2.South of No North
3.Oldborn
4.Erblicket die Tochter des Firmament (Burzum cover)
5.Tongueless (Part III)
6.Mestreguiral

Line-up
Jordan Bonnet – Drums
Guillaume Morlat – Guitars, Bass, Synths
Julien Henri – Vocals

HEAUME MORTAL – Facebook

Mirror Of Deception – The Estuary

The Estuary si rivela un valido strumento attraverso il quale il doom può giungere anche ad orecchie non specializzate, il che è già per sé già un grande merito per i Mirror Of Deception, oltre a quello riconosciuto di continuare imperterriti a proporre con grande coerenza, dopo una carriera così lunga, musica sempre di ottima qualità.

I Mirror Of Deception sono probabilmente la più nota tra le band tedesche dedite al doom metal nella sua forma più tradizionali.

Del resto, l’inizio della loro storia risale alla prima metà degli anni novanta anche se tutto i loro full length sono stati pubblicati nel nuovo millennio.
Questo ultimo The Estuary arriva dopo una pausa piuttosto lunga rispetto al precedente A Smouldering Fire, uscito nel 2010, ma a giudicare dall’esito le doti e le competenze precipue dei Mirror Of Deception sono rimaste intatte.
The Estuary è infatti un bellissimo lavoro che esalta l’abilità nella band di nel mettere sempre al primo posto la firma canzone, conferendo and ogni brano una connotazione melodica ben delineata senza snaturare in alcun modo la natura del sound.
Brani come To Drown a King, To Dust e Divine sono del tutto esemplificativi delle caratteristiche dell’album, con una maggiore focalizzazione su chorus dalla notevole presa. The Estuary si rivela così un valido strumento attraverso il quale il doom può giungere anche ad orecchie non specializzate, il che è già per sé già un grande merito per i Mirror Of Deception, oltre a quello riconosciuto di continuare imperterriti a proporre con grande coerenza, dopo una carriera così lunga, musica sempre di ottima qualità.

Tracklist:
1.Splinters
2.Orphans
3.At My Shore
4.Magnets
5.To Drown a King
6.To Dust
7.Divine
8.Immortal

Line-up:
Jochen Fopp – Guitars
Michael Siffermann – Guitars, Vocals (lead)
Hans Schwager – Bass, Vocals
Rainer Pflanz – Drums, Vocals

MIRROR OF DECEPTION – Facebook

The Gotobeds – Debt Begins At 30

Una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Nervoso ed affascinante rock che sfocia nel noise e nel grunge, il tutto di alta qualità e con ottimi ospiti.

Si potrebbe descrivere come sopra in maniera assai riduttiva il nuovo disco dei The Gotobeds da Pittsburgh, città che non capita spesso di associare ad un gruppo musicale, patria però dei Pittsburgh Steelers, e non è poco. Il loro nuovo lavoro è un piccolo manuale del migliore noise rock che si può trovare in giro, partendo dalla tradizione americana per arrivare a nuovi standard. Debt Begins At 30 è un lavoro assai notevole, dove ogni canzone è un flusso di energia molto forte e che investe l’ascoltatore. In mezzo a tutta questa energia la melodia non manca, ed è il vero asse portante della loro costruzione sonora. Per darvi una vaga idea di cosa siano i The Gotobeds prendete i Pavement, metteteci un po’ di Sonic Youth e poi mescolate con il meglio grunge di Seattle e avrete un qualcosa che si avvicinerà. Come al solito la migliore rappresentazione possibile è ascoltare il disco, immergendosi in questo suono minimalista eppure molto ricco e potente. Ci sono tracce urgenti con un’attitudine punk hardcore, altre con una tendenza maggiore al noise, ma è tutto bilanciato molto bene e, soprattutto, il quartetto funziona alla perfezione. Notevoli gli ospiti, c’è la voce di Tracy Wilson dei Positive NO! mentre Mike Seamans e la leggenda Bob Weston suonano su Debt Begins at 30. Visto la relazione strettissima tra le due band, no sorprende che i Protomartyr appaiano su un paio di brani, con Joe Casey su Slang Words e Greg Ahee su On Loan. Il chitarrsta dei Silkworm, Tim Midyett, suona su Parallel e sulle altre tracce compaiono Gerard Cosloy, Matt Barnhart dei Tre Orsi, la bellissima Victoria Ruiz dei Downtown Boys, per finire coi poeti di Pittsburgh Jason Baldinger e Scott MacIntyre. Un parterre ricchissimo, che porta un contributo notevole ad un disco già molto interessante, una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Tracklist
1. Calquer The Hound
2. Twin Cities
3. Slang Words
4. 2:15
5. Poor People Are
6. Revolting
7. Debt Begins At 30
8. On Loan
9. Dross
10. Parallel
11. Bleached Midnight
12. Debt Begins At 30 (Alt)

Line-up
COOL-U
Depressed Adult Male
OPEN CARY
HAZY LAZER

THE GOTOBEDS – Facebook

Dawn – Dawn

Di non facile presa, questi tre brani sono sicuramente rivolti agli amanti del genere, formando un prodotto decisamente di nicchia ma tremendamente affascinante.

La BloodRock Records ristampa in cd il primo ep delle Dawn, band australiana composta da quattro streghe in attesa del passaggio dei viandanti al limitare del bosco, luogo di antichi riti ed oscuri rituali.

Originariamente uscito tre anni fa , l’omonimo ep del gruppo proveniente da Sydney è composto da tre tracce, una ventina di minuti scarsi di doom, dai rimandi ambient/stoner, in cui l’atmosfera rimane tesa nel suo lento incedere e la chitarra si riempie di energia solo a tratti, per poi seguire il lento e fluido scorrere delle note.
L’opener The Sun ci accoglie con un riff che si spegne per lasciare spazio ad atmosfere cantilenanti, a tratti sembra riprendere forza, ma la lunga discesa nei meandri della musica delle quattro sacerdotesse porta a Wanting, il brano più vario nel suo andamento, pur se inserito nell’ambito di un ambient/doom dalle sfumature stoner e dai rimandi occult rock.
Zombies, brano conclusivo di questo primo ep, lascia che sia lo stoner a prendere in mano il comando del sound, sempre in un’atmosfera messianica ed un andamento ipnotico che non lascia scampo all’ascoltatore in balia dell’incantesimo musicale procurato dalle Dawn.
Di non facile presa, questi tre brani sono sicuramente rivolti agli amanti del genere, formando un prodotto decisamente di nicchia ma tremendamente affascinante.

Tracklist
1.The Sun
2.Wanting
3.Zombies

Line-up
Emily – Vocals, Guitars
Dharma – Guitars, Vocals
Camilla – Bass, Vocals
Kat – Drums, Vocals

DAWN – Facebook

Vader – Thy Messenger

Pochi minuti bastano allo storico gruppo polacco per fare drizzare le antenne ai propri fans ed agli amanti del death/thrash, cinque brani che mostrano fieri il marchio Vader, sinonimo di qualità e potenza.

I polacchi Vader, creatura estrema del cantate e chitarrista Piotr Wiwczarek, licenziano questo ep di cinque tracce intitolato Thy Messenger: non una novità per il gruppo che può vantare una discografia dai numeri importanti specialmente per quanto riguarda ep, live e compilation, oltre ovviamente a quattordici devastanti full length all’insegna di un death/thrash che ha fatto scuola nel mondo del metal estremo.

Thy Messenger è dunque una buona ed ennesima parentesi, in attesa di un nuovo lavoro sulla lunga distanza, successore dell’ultimo Dark Age uscito due anni fa.
Death e thrash come al solito si alleano per trionfare nel mondo del metal estremo, sostenuti da una band che risulta una garanzia di macello musicale, una war machine che piazza in meno di un quarto d’ora cinque mine anti uomo dagli effetti devastanti.
L’opener Grand Deceiver, insieme alla coppia thrash formata da Emptiness e Despair, sono il trio di inediti che confermano la salute di un gruppo arrivato ormai ai trentacinque anni di battaglie musicali, con un tris di brani diretti e potenti che ricordano gli Slayer più feroci degli storici album degli anni ottanta.
Litany è la nuova versione della title track dell’album uscito nel 2000, mentre i Vader lasciano alla cover di Steeler dei Judas Priest il compito di chiudere l’ep e darci appuntamento ad un nuovo monolite death/thrash che sicuramente non tarderà ad arrivare.
Pochi minuti bastano quindi allo storico gruppo polacco per fare drizzare le antenne ai propri fans ed agli amanti del death/thrash, grazie a cinque brani che mostrano fieri il marchio Vader, sinonimo di qualità e potenza.

Tracklist
01. Grand Deceiver
02. Litany
03. Emptiness
04. Despair
05. Steeler

Line-up
Peter – Vocals, Guitars
Spider – Guitars
Hal – Bass
James – Drums

VADER – Facebook

Archaic Decapitator – The Apothecary

Quattro brani più intro per gli Archaic Decapitator, partiti agli inizi di carriera con un sound incentrato sul death metal classico e con il tempo plasmato e trasformato in un melodic death metal dalle influenze nord europee.

Accompagnato dalla splendida copertina creata da Caelen Stokkermans, The Apothecary è il terzo ep pubblicato dai deathsters statunitensi Archaic Decapitator, quintetto proveniente dal Connecticut con alle spalle un full length licenziato nel 2011 (Impalement Ceremonies) ed appunto due ep tra il 2015 e l’anno successivo (The Catherine Wheel e Light Of A Different Sun).

Quattro brani più intro per gli Archaic Decapitator, partiti agli inizi di carriera con un sound incentrato sul death metal classico e con il tempo plasmato e trasformato in un melodic death metal dalle influenze nord europee.
Skyward non lascia dubbi sulle coordinate stilistiche del quintetto, un melodic death metal furioso dove ritmiche mozzafiato fanno da tappeto sonoro ad una cascata di riff dalle melodie valorizzate dall’uso delle tastiere, presenti ma non preponderanti.
Il mid tempo su cui poggia l’ottima Diminishing Returns, risulta una cavalcata metallica a tratti esaltante, così come la devastante e velocissima prima parte della title track, dai rimandi che trovano i natali tra le opere di Dimension Zero, ultimi Naglfar ed Old Man’s Child.
The Apothecary conferma l’ottima proposta degli Archaic Decapitator per i quali sembra giunto il momento per la pubblicazione di un secondo full length che aspettiamo fiduciosi.

Tracklist
1. Circadian Promise
2. Skyward
3. Cruelty of the Host Star
4. Diminishing Returns
5. The Apothecary

Line-up
Kyle Quintin- Vocals
Yegor Savonin- Lead Guitar
Chris Ridley- Rhythm Guitar
Craig Breitsprecher- Bass, Backing Vocals
Gary Marotta- Drums

ARCHAIC DECAPITATOR – Facebook

Kval – Laho

Un lavoro di buona fattura che riesce nell’intento del suo autore di voler trasmettere il dolente sentire di chi è condannato da una sensibilità superiore a sminuzzare all’infinito ogni frammento dell’esistenza.

Laho è il titolo del secondo full length della one man band Kval, guidata dall’omonimo musicista finlandese.

L’album mostra un approccio al black metal decisamente atmosferico ed ammantato di quel velo di malinconia che accompagna, nella maggior parte dei casi, le opere musicali provenienti dal paese dei mille laghi. Anche se certe soluzioni le abbiamo già sentite innumerevoli volte, non si può fare a meno di apprezzare il lavoro del giovane Kval per il gusto melodico che dimostra in ogni frangente e per un inserimento efficace di elementi folk con l’utilizzo di strumenti tradizionali. I quattro lunghi brani sono decisamente validi con menzione d’onore per la title track con la sua alternanza tra passaggi acustici ed ariose aperture melodiche. La bonus track, ripresa strumentale del brano d’apertura Valosula, nulla aggiunge ad un lavoro di buona fattura (e la cosa non sorprende quando un album esce sotto l’egida della Hypnotic Dirge) che riesce nell’intento del suo autore di voler trasmettere il dolente sentire di chi è condannato da una sensibilità superiore a sminuzzare all’infinito ogni frammento dell’esistenza.

Tracklist:
1.Valosula
2.Laho
3.Pohjanriitti
4.Kaihon Kuiskaus
5.Bonus Track

Line-up:
Kval – All instruments

KVAL – Facebook

Darkthrone – Old Star

Permangono alcuni elementi che legano queste canzoni alla storia passata dei Darkthrone e che compongono il filo nero di una carriera che non ha eguali, nella quale Old Star è un punto molto luminoso e soprattutto un monito a tutti : potete fare ciò che vi pare, ma il metal è questo.

Tornano i Darkthrone, uno dei gruppi che hanno maggiormente tracciato la storia del metal nel bene e nel male.

Old Star è la nuova fatica di Fenriz e di Nocturno Culto ed è un disco vecchia scuola nella sua essenza e nella sua epifania. Innanzitutto è un lavoro molto godibile, abbastanza lontano dal black, è solo metal al cento per cento andandone a recuperare gli elementi più puri, vicini ai Celtic Frost soprattutto quando si tratta delle linee di chitarra oppure di natura speed thrash per quando riguarda il resto. Tutto ciò non stupisce più di tanto, essendo Fenriz uno dei veri dispensatori mondiali di metal antico e veloce, come si può sentire nel suo programma radiofonico su NTS. L’amore di Fenriz per il metal vecchio stile è totalizzante ed esce fuori prepotentemente in questo disco, che fin dal titolo è una dichiarazione d’amore per le vecchie vibrazioni. In Old Star tutto è volutamente vintage, ma è più preciso dire che è metal nella sua essenza più pura. Non si cerca la velocità a tutti i costi, prediligendo una costruzione della canzone in maniera che sia una crescita costante, attraverso un vortice di riff e una sezione ritmica che portano l’ascoltatore nelle regioni maledette a sud del paradiso. Era da tempo che il duo norvegese non produceva un disco così coinvolgente e completo, una vera e propria dichiarazione stilistica. Old Star è un lavoro affatto anacronistico, è credibile e molto ben prodotto, è metal marcio e sanguinolento, con giri di chitarra che penetrano il cervello, spazzando via le cazzate sul metal come zona di comfort, perché qui è sempre guerra, ossa e sangue. Permangono comunque alcuni elementi che legano queste canzoni alla storia passata dei Darkthrone e che compongono il filo nero di una carriera che non ha eguali, nella quale Old Star è un punto molto luminoso e soprattutto un monito a tutti : potete fare ciò che vi pare, ma il metal è questo.

Tracklist
1 I Muffle Your Inner Choir
2 The Hardship Of The Scots
3 Old Star
4 Alp Man
5 Duke Of Gloat
6 The Key Is Inside The Wall

Line-up
Gylve Fenriz Nagell
Nocturno Culto

DARKTHRONE – Facebook

Wildroads – No Routine Lovers

Riding On a Flamin’ Road è un lavoro riuscito e un notevole passo avanti per il quintetto di rockers nostrani che avranno di che far divertire i rockers in giro per i palchi della penisola in questa calda estate metallica.

Tornano i toscani Wildroads con il secondo lavoro su lunga distanza: il gruppo guidato dal chitarrista e produttore Nick Capitini torna in forma smagliante con questa nuova raccolta di brani che unisce attitudine tradizionale ed impatto moderno, dando vita ad un lavoro spumeggiante.

No Routine Lovers, licenziato dalla Volcano Records, risulta infatti una detonazione rock’n’roll, una graffiante botta di vita divisa in una decina di brani che uniscono hard rock, sleaze metal e classic rock.
La band non risparmia energia, parte in quarta con Bad Girls Got The Fire, brano diretto e melodico il giusto per catturare fin da subito l’attenzione, continuando nella sua personale riproposizione di stilemi cari alla scena hard & heavy statunitense degli anni ottanta, in una versione più moderna e catchy.
Melodie, sferzate metalliche ed attitudine street rock’n’roll fanno parte del dna di questa raccolta di brani che non concedono tregua, tenendo alta la tensione con scariche elettriche in un sound che, oltre ad una serie di mitragliate rock/metal, regala perle come Way To God, cavalcata metallica dalle atmosfere arabeggianti molto suggestiva.
No Routine Lovers è un lavoro riuscito e un notevole passo avanti per i Wildroads che avranno di che far divertire i rockers in giro per i palchi della penisola in questa calda estate musicale.

Tracklist
1.Bad Girls Got The Fire
2.Rollercoaster
3.Rules Of The World
4.Bring You To The Stars
5.Lords Of Babylon
6.Mindfucked
7.Way To God
8.Mr. Grey
9.Love Song
10.The Night Belongs To The Wild

Line-up
Nik Capitini – Guitars
Giulio Antonelli – Guitars
Kenny Carbonetto – Bass
Michael Cavallini – Voices
Stefano Morandini – Drums

WILDROADS – Facebook

Thunder Brigade – Spirit Of The Night

I Thunder Brigade offrono un personale rilettura del rock americano, lasciando per una volta le solite e scontate ispirazioni post grunge e stoner per inoltrarsi in sonorità dai tratti talvolta cantautorali.

Spirit Of The Night è il primo album dei Thunder Brigade, band formata da Stefano Cascioli (voce e chitarra), Stefano Bigoni (chitarra e lapsteel) e Stefano Lecchi (batteria e percussioni) che ha dato vita ad una raccolta di brani bellissimi in bilico tra rock, blues, southern e psych rock.

L’album, intitolato Spirit Of The Night e licenziato dalla Bagana Records/Pirames International, ci regala una personale rilettura del rock americano, lasciando per una volta le solite e scontate ispirazioni post grunge e stoner per inoltrarsi in sonorità d’autore o ancor meglio cantautorali, se mi si permette il termine.
Un rock acustico dalle atmosfere country, in un clima di tensione emotiva che è uno degli assi nella manica di questa raccolta di brani, un viaggio che riempie di polvere la gola.
Spirit Of The Night lascia un forte sapore di rock classico, assolutamente a stelle e strisce fin dalle prime battute dell’opener Rattlesnakes, nella qualee l’atmosfera è elettrica e southern.
I brani dalle trame acustiche avvicinano i Thunder Brigade al rock di Johnny Cash e Tom Petty, mentre Set You Sails rilassa l’atmosfera dopo una Redemption Road da brividi, tra Lynyrd Skynyrd e Urge Overkill.
La title track è un’altra traccia acustica che unisce il rock sudista al blues e al country, intrisa di atmosfere notturne che trovano un contraltare nelle più ariose e vitali Boogie #7 e soprattutto Rust & Gold, un blues rock d’autore e brano sanguigno oltre misura.
Un plauso va alla sentita interpretazione del cantante Stefano Cascioli, bravo nel saper donare con la sua voce sporcata di attitudine blues/rock il feeling perfetto ad una raccolta di brani da non perdere assolutamente se si è amanti del rock classico a stelle e strisce.

Tracklist
1.Rattlesnakes
2.Beat a Dead Horse
3.Redemption Road
4.Set Your Sails
5.Spirit of the Night
6.Boogie #7
7.Rust & Gold
8.The Wanderer
9.Alright (in the end)

Line-up
Stefano Cascioli – Vocals, Guitars
Stefano Bigoni – Guitars, Lapsteel
Stefano Lecchi – Drums, Percussions

THUNDER BRIGADE – Facebook

VV.AA. – Doomed & Stoned In Australia

Da qualche anno i ragazzi di Doomed And Stoned, che fanno pure un bellissimo podcast su Mixcloud, mettono sul loro bandcamp in download libero bellissime raccolte divise per luoghi, con dentro una miriade di gruppi notevoli.

Incredibile raccolta in download libero dal bandcamp di Doomed And Stoned, un sito di divulgazione scientifica su tutto ciò che è musica pesante, e che è anche fra i promotori e curatori delle mitiche doom charts che trovate qui doomcharts.com/ e che, ogni mese, fanno conoscere al mondo dischi fantastici di musica dai tanti decibel.

Da qualche anno i ragazzi di Doomed And Stoned, che fanno pure un bellissimo podcast su Mixcloud, mettono sul loro bandcamp in download libero bellissime raccolte divise per luoghi, con dentro una miriade di gruppi notevoli. Questo gruppo di amanti della musica raccoglie con passione e anche grande intuito tracce di band o singoli musicisti di una determinata zona per poi riunirli in una raccolta e lanciarli nell’atmosfera. In questo specifico episodio, che è il penultimo, i ragazzi sono andati in Australia e ne sono tornati con 65 canzoni, che sembrano un’infinità ma del resto l’Australia è molto grande. La raccolta è stata assemblata da Clint Willis, curatore della radio australiana Hand Of Doom che vi consigliamo caldamente, e che dal nome avete già capito di che si tratta. Incredibile la varietà di stili e di musiche che possiamo trovare nella ex colonia britannica. Tutto lo spettro della musica pesante e pensante è contemplato, e non è davvero possibile nominare nemmeno un pugno di gruppi che spiccano fra gli altri, perché la qualità è sorprendente. L’Australia è sempre stata un luogo dove la musica pesante è stata presente e di qualità, e Clint Willis nomina questi gruppi fra quelli storici : Christbait, Clagg, Dern Rutlidge, Budd, Thumlock, Pod People, Peeping Tom, Pillow, Ahkmed, Warped, Blood Duster, Stiff Meat e Rollerball, quindi cercateli. Queste raccolte sono fatte anche per invogliare l’ascoltatore a cercare i dischi di queste band, ed equivalgono ad un enorme ed esaustivo catalogo, con il quale partire dal vostro computer per fare dei bei viaggi. Raccolta fantastica per una terra che regala sempre gioie in campo musicale, il tutto in download libero. In questi giorni è uscito il capitolo dedicato al Perù, ma questa è un’altra storia.

Tracklist
1.Religious Observance – Utter Discomfort
2.SUMERU – Summon Destroyer
3.Summonus – Wormhole
4.DROID – Thunder Mountain Wizard
5.Motherslug – Cave of the Last God
6.Pod People – Back To Reality
7.SORE – Her Last Gasp in the Gallows Part I
8.BØG – Warm Smell Of The Dredge
9.OLMEG – Outer Space
10.Mountains of Madness – Unleash The Beast
11.Indica – Clocking Satellites Disparity 441
12.Pigs of the Roman Empire – Johnny The Boy
13.Holy Serpent – Sativan Harvest
14.Judd Madden – Obliterate
15.Comacozer – Axis Mundi
16.Dark Temple – Black Planet
17.Riff Fist – King Tide
18.Potion – Women of the Wand
19.Acid Wolf – Marisol
20.Borrachero – The Ocean
21.Merchant – Guile as a Vice
22.Cement Pig – Badschool Jazz
23.Creep Diets – EYEHATEYOURGUTS
24.DAWN – The Sun
25.Frown – Witches Coven (live)
26.Arrowhead – Hell Fire
27.Dr. Colossus – Holy Driver
28.Golden Bats – Exsanguination
29.Hawkmoth – Charnel Grounds
30.King Zog – Season in Hell
31.Rituals – Wake of a Dead God’s Robe
32.El Colosso – Cannonball
33.Lamassu – Under The Watch Of A Crow
34.Hobo Magic – Sonic Sword
35.The Ruiner – The Bull
36.Powder for Pigeons – Get It Right
37.BAYOU – Magick Swamp Green
38.Wicked City – Circulating Fire
39.Giant Dwarf – Black Thumb
40.Apollo80 – Apollo
41.Kitchen Witch – Third Eye
42.Chaingun – Mesemerised
43.Hotel Wrecking City Traders – Passage to Agartha
44.The High Drifters – Observer
45.Turtle Skull – Eden
46.WitchCliff – Serpents
47.Planet of the 8s – Nowhere Is Right For Now
48.Khan – Control 09:10
49.Lizzard Wizzard – Chaaaaarles
50.OHM RUNE – ETHER
51.Fumarole – Timelord
52.MONARCHUS – Kaleidoscope
53.Stone Lotus – Swamp Coven
54.Spawn – Forgotten Mountain
55.Fly Agaric – Meteora
56.Vessel – Pyramids
57.Moto – Jolo
58.Dirt – Nightmare From The Sea
59.Sloven – Autogenocide
60.Yanomamo – Neither Man Nor Beast
61.ZONG – Giant Floating Head
62.Lucifungus – 411
63.Jack Harlon & The Dead Crows – Witchcraft
64.Pseudo Mind Hive – Red Earth
65.MONOCEROS – Space Dungeon

DOOMED AND STONED – Facebook

Angel Black – Killing Demons

Album graffiante, abrasivo e potente Killing Demons risulta una partenza convincente per gli Angel Black.

Debuttano su Rockshots records gli statunitensi Angel Black con Killing Demons, album composto da sette brani più la cover dello storico Metal Gods, brano dei maestri Judas Priest.

Ci sono voluti ben sei anni di attività prima che la band desse finalmente alla luce il primo lavoro e Killing Demons non deluderà certo gli amanti del metal classico di matrice Judas Priest, band che insieme ai Primal Fear , risultano le band che più hanno ispirato la creazione di questo lavoro.
Heavy metal tra tradizione ottantiana a tratti potenziata da iniezioni power che avvicinano il sound del gruppo a quello dei Fear di Ralph Scheepers, su Killing Demons non ci si allontana mai da queste coordinate stilistiche e fin dall’opener Strikeforce la strada intrapresa dal gruppo è perfettamente delineata.
Valorizzati dalla prestazione da metal gods del vocalist John Cason, i brani si susseguono potenti e metallici, le chitarre fendono l’aria come mortali katane, mid tempo, power ballad o heavy songs come Black Heart o Killing Me stuzzicano gli appetiti musicali dei fans dell’heavy metal priestiano e dei suoi maggiori interpreti suggellato dalla prestigiosa cover posta in chiusura.
Album graffiante, abrasivo e potente Killing Demons risulta una partenza convincente per gli Angel Black.

Tracklist
1.Strikeforce
2.Cyber Spy
3.Death Mill
4.Black Heart
5.Killing Demons
6.The Dream That Stood aline
7.Killing Me
8.Metal Gods

Line-up
John Cason-Vocals
Mike Jelinek- Guitars
Carl Strohmyer- Bass
Daniel Beck- Drums

ANGEL BLACK – Facebook