Minority Sound – Toxin

La dote principale dei Minority Sound è quella di offrire un metal industrializzato ma, allo stesso tempo, ben fruibile attingendo ai nomi di punta del settore senza richiami espliciti ma fondendo efficacemente il tutto.

Ritroviamo dopo quattro anni i praghesi Minority Sound alle prese con il loro ottimo elettro metal, già efficacemente portato all’attenzione dell’audience con tre album nel corso di questo decennio ultimo dei quali appunto Drowner’s Dance.

Toxin è un nuovo tassello nell’opera del quartetto che va a consolidare un percorso magari non particolarmente innovativo ma dalla notevole qualità media ed altrettanta consistenza.
La dote principale dei Minority Sound è quella di offrire un metal industrializzato ma, allo stesso tempo, ben fruibile attingendo ai nomi di punta del settore senza richiami espliciti ma fondendo efficacemente il tutto.
Se vogliamo esemplificare al massimo, i cechi riescono a collocarsi in un ideale punto d’incontro tra tra l’orecchiabilità elettronica dei Deathstars, il riffing squadrato dei Rammstein, la vis sperimentale ed evocativa dei primi Fear Factory  e la visionarietà dei Mechina; ovviamente l’esito cambia a seconda del dosaggio degli ingredienti utilizzati, come dimostra la cadenzata e catchy title track che porta con sé persino rimandi dei Moonspell del controverso (non per me) Sin/Pecado.
L’elettronica ruffiana di Bipolar non lascia scampo, così come in definitiva tutti questi otto brani composti ed eseguiti con la perizia di chi il genere lo conosce e lo manipola con disinvoltura.
Tutto questo dovrebbe bastare ed avanzare per collocare i Minority Sound tra gli ascolti preferiti quando si vuole ascoltare metal moderno e ragionevolmente infuso di elettronica

Tracklist:
1. Deeds of Hate
2. Scarecrow
3. Toxin
4. Bipolar
5. Sunlight. Be Me! Sunlight Begone!
6. Love & Mayhem
7. Disconnected Sympathy
8. Empty Sands

Line-up:
Otus Hobst – Guitar
Ales Hampl – Vocals, guitar
Petr Blaha – Bass
Tomas “Dharm” Furst – Drums

MINORITY SOUND – Facebook

GosT – Skull 2019

A parte i generi, la cosa importante è che Skull 2019 ha un suono unico e molto affascinante, un’allegra messe di sangue compiuta da macchine impazzite, o che forse finalmente seguono la loro vera natura.

Riedizione su Century Media Records dell’ep Skull del produttore synthwave e retrowave GosT, in compagnia del suo fedele alterego Baalberith.

Il loro suono è una poderosa armata delle tenebre che si è impossessata di computer, tastiere e soprattutto sintetizzatori e sta suonando la colonna sonora di un bel massacro. GosT è un produttore che è da anni sulla scena, ed è uno dei trait d’union fra la scena synthwave e quella del metal, ambienti che sembrano inconciliabili mentre hanno moltissimi punti in comune, soprattutto hanno persone che passano da uno all’altro: lo stesso GosT da giovane ha suonato in diversi gruppi metal e ha sempre portato dentro di sé quell’attitudine, che si può sentire molto chiaramente in Skull 2019. Il disco è la riedizione in vinili colorati e limitati del suo ep chiamato appunto Skull, ed è un’ottima introduzione per chi ancora non lo conoscesse, mentre invece per chi ha la fortuna di seguire da anni questa scena è un’ottima maniera per riprendere in mano un ottimo lavoro. Skull 2019 possiede una varietà di suoni molto più estesa della media dei gruppi di questo genere, l’attitudine è fortemente metal, e tutto ciò porta ad un’elettronica molto oscura e dal grande fascino. La retrowave e synthwave di GosT è fatta per essere ballata, infatti rispetto a tante altre produzioni ha un tocco di melodia molto più accentuato ed un ritmo molto particolare. GosT usa codici di generi diversi per costruire un qualcosa che è originale ed unico, e che fa incontrate diversi ma con un immaginario molto simile. I metallari qui potranno sentire un esempio di come possa suonare il metal fatto in un’altra maniera, e chi ascolta elettronica qui può capire cosa possa essere un approccio metal. A parte i generi, la cosa importante è che Skull 2019 ha un suono unico e molto affascinante, un’allegra messe di sangue compiuta da macchine impazzite, o che forse finalmente seguono la loro vera natura.

Tracklist
A:
1. Chasm
2. Cursed
3. They
4. Oddened

B:
1. Skull
2. Manic
3. She Lives in Red Light
4. The Call Of The Faithful

GOST – Facebook

Chiral – The Twilight Songs (Part I)

The Twilight Songs (Part I) rappresenta una sorta di oasi sonora ma è, in fondo, sempre musica volta a toccare le corde più profonde del nostro animo, un fine che viene raggiunto percorrendo una strada meno impervia e dolorosa rispetto al black o al doom, ma che conduce infine ad uno stesso approdo.

Questo a nome Chiral non è l’ultimo lavoro in ordine di tempo offerto della one man ban italiana dedita normalmente ad un black metal atmosferico ma è, in realtà, la riedizione dell’ep The Twilight Songs (Part I), originariamente pubblicato nel 2017.

Questa uscita, peraltro, rappresenta a suo modo un’anomalia nella produzione del musicista emiliano, visto che Monumental, l’unico e lungo brano di trenta minuti esatti suddiviso in diversi movimenti, è in effetti maggiormente riconducibile ad un folk acustico con diverse digressioni addirittura in ambito country.
Se la cosa può risultare spiazzante ad un primo approccio, va detto che il talento compositivo di Chiral e il suo delicato e poetico approccio strumentale riescono ugualmente ad offrire un davvero pregevole interludio da frapporre alle sonorità offerte normalmente.
Chi conosce l’opera di Matteo Gruppi con questo monicker, oppure con il suo progetto funeral Il Vuoto, non dovrebbe stupirsi per un’offerta che, se esula in parte da quanto ci ha abituato ad ascoltare, altro non è che una delle molteplici sfaccettature della sensibilità compositiva esibita regolarmente dal musicista piacentino.
The Twilight Songs (Part I) rappresenta una sorta di oasi sonora ma è, in fondo, sempre musica volta a toccare le corde più profonde del nostro animo, un fine che viene raggiunto percorrendo una strada meno impervia e dolorosa rispetto al black o al doom, ma che conduce infine ad uno stesso approdo.
Peraltro è proprio di questi giorni l’uscita di un nuovo singolo a nome Chiral, The Loner, le cui caratteristiche contigue all’ep oggetto di queste righe fanno pensare che il nostro intenda sviluppare ulteriormente questo intrigante filone compositivo.

Tracklist:
1.Monumental

Line-up:
Chiral – Everything

CHIRAL – Facebook

Dreams Of The Drowned – Dreams Of The Drowned I

Come spesso accade nei dischi più illuminati, il black metal è un punto di partenza per qualcosa che va oltre e che abbraccia molte vie musicali, trattando di vecchie leggende europee, con una forte valenza della natura.

Dreams Of The Drowned è il progetto avantgarde black metal di Camille, musicista francese che l’ha fondato nel 2007 e che, dopo svariati demo, è approdato al debutto sulla lunga distanza.

Dreams Of The Drowned I è un disco che contiene moltissime cose, dal black metal più avanzato, allo shoegaze, alla new wave e a tanto altro.
Le coordinate sono in continuo movimento e il suono generato da Camille, che in pratica fa tutto da solo tranne l’utilizzo della voce di Aldrahn nella cover Midnattskogens Sorte Kjern dei Dodheimsgard, uno dei gruppi di riferimento del progetto. Ascoltando il disco non si sa mai cosa verrà dopo, e ciò giova enormemente alla soddisfazione dell’ascoltatore. Si potrebbe intendere il lavoro come una narrazione di un qualcosa che noi umani riusciamo a malapena a percepire, ed infatti viviamo tutto come un sogno, un riverbero della realtà. Nonostante ci siano moltissime strade diverse in questo disco, Camille riesce a dar vita a qualcosa di organico e ben strutturato, con una coerenza ed una forza invidiabili. Il progetto raggiunge vette notevoli e assai interessanti, il suono è qualcosa che crea dipendenza e non annoia mai, in una continua mutazione di suoni. La cosa che colpisce di più è questo muro sonoro, un monolite che cambia colore e calore a seconda delle accezioni che gli dà Camille, il quale oltre che essere un musicista totale è anche un notevole produttore. Come spesso accade nei dischi più illuminati, il black metal è un punto di partenza per qualcosa che va oltre e che abbraccia molte vie musicali, trattando di vecchie leggende europee, con una forte valenza della natura. Vi sono dei momenti di autentico satori, si raggiunge la luce passando per le tenebre, trascinati dalla forza superiore di questa musica, fatta con passione e grande talento. Ci è voluto molto tempo per arrivare al debutto su lunga distanza di un musicista che impressionerà più di un appassionato di musica pesante che guarda avanti e che garantisce molti ascolti, nei quali si scoprirà sempre qualcosa di nuovo.

Tracklist
01 Dream I
02 Conciliabules
03 The Revolutionary Dead
04 Real and Sound
05 Vieilles Pierres
06 Crawl of Concretes
07 Danced
08 Midnattskogens Sorte Kjerne (Dodheimsgard cover)
09 Dream III

Line-up
Camille – Guitars, Vocals, Bass, Drums, Synths

DREAMS OF THE DROWNED – Facebook

Monovine – D.Y.E

Il sound dei Monovine risulta influenzato dal rock alternativo di primi anni novanta e dal grunge dei Nirvana, la band che influenza ogni nota di D.Y.E.

L’impatto che il rock di Seattle ha avuto sugli ultimi venticinque anni di musica è probabilmente andato oltre alle aspettative di detrattori e non, continuando ad influenzare generazioni di band ispirate dal sound conosciuto ai più come grunge.

Che poi il grunge non fosse solo un modo per fare rock, ma un vero movimento generazionale è un dettaglio, almeno per chi ancora oggi continua a creare rock ispirandosi alle grandi band uscite in quel periodo.
I Monovine arrivano da Patrasso, si sono trasferiti nella scena alternativa di Atene e sono giunti con D.Y.E al loro terzo lavoro, dopo il debutto intitolato Cliche ed uscito nel 2011 ed il precedente Swallow, licenziato nel 2014.
Il loro sound risulta influenzato dal rock alternativo di primi anni novanta e dal grunge dei Nirvana, la band che influenza ogni nota di D.Y.E, album nel quale confluiscono undici brani devoti ala band di Kurt Cobain, tra Bleach ed In Utero, lasciando fuori dallo spartito le sfumature commerciali del must Nevermind ed inserendo scosse noise di matrice Sonic Youth.
I Monovine non lasciano dubbi sull’origine del loro stile che, prendendo in prestito una definizione abusata nel metal classico ed estremo, potremmo chiamare old school.
Brani scarni, produzione minimale ed attitudine punk conferiscono alle varie Mellow, Void, Burn It quell’atmosfera nichilista e tristemente perdente che la rendono adatta a un paesaggio rock bagnato dalla pioggia di Seattle.

Tracklist
1.Mellow
2.Throw Me A Bone
3.For A Sun
4.Void
5.Your Figure Smells
6.Messed Up
7.Burn it
8.Me (Raphe Nuclei)
9.Ring A Bell?
10.Why Don’t You Shoot Me In The Head
11.Haunt

Line-up
Stratos – Voice, Guitars
Xeno – Bass
Sotiris – Drums

MONOVINE – Facebook

Half Life – I’ve Got To Survive

I quattro potentissimi brani sono sorretti da un gioco di squadra che fa degli Half Life una band compatta nella quale ciascun membro si ritaglia uno spazio importante nell’economia del sound, dai cori epici ai taglienti solos di scuola priestiana fino a ritmiche mai troppo veloci ma potentissime.

Con un passato da cover band di classici dell’heavy metal, arrivano al debutto gli Half Life con I’ve Got To Survive, ep di quattro brani licenziato con il prezioso contributo a livello promozionale della Club Inferno Ent.

La band, nata nel 2015, è passata dall’essere un quintetto all’attuale formazione a quattro elementi con Andrea Lippi alla voce, Manolo Cogoni alla batteria, Gianluca Olraitz al basso e Guerrino Mattioni alla chitarra.
Questo ep esibisce chiari riferimenti old school, con l’heavy metal tradizionale che si arricchisce di sfumature epiche e già dalla title track posta in apertura si capisce che il gruppo laziale gioca duro.
I quattro potentissimi brani sono sorretti da un gioco di squadra che fa degli Half Life una band compatta nella quale ciascun membro si ritaglia uno spazio importante nell’economia del sound, dai cori epici ai taglienti solos di scuola priestiana fino a ritmiche mai troppo veloci ma potentissime.
Un heavy metal duro e puro viene esaltato dalla forza bruta di Killing Words, dall’epica atmosfera di Only Shadows e dal crescendo metallico della conclusiva The Judgement: buona la prima per gli Half Life, band che merita d’essere seguita dagli amanti del metallo di scuola ottantiana.

Tracklist
1. I’ve Got To Survive
2. Killing Words
3. Only Shadows
4. The Judgement

Line-up
Andrea Lippi – Vocals
Manolo Cogoni -Drums
Gianluca Olraitz – Bass
Guerrino Mattioni – Guitars

HALF LIFE – Facebook

Martyrdöd- Hexhammaren

Nel corso dei vari dischi il suono dei Martyrdöd è cambiato, e questa ultima fatica è la sintesi più completa e compiuta di cosa sia questo gruppo, sicuramente uno dei migliori nel proprio genere.

Tornano gli svedesi Martyrdöd, capostipiti e fra i migliori esponenti del d-beat e crust politicizzato.

I Martyrdöd sono in giro da molto tempo, la loro carriera è di grande valore, e ogni nuovo disco non delude, proprio come questo Hexhammaren, la loro ultima fatica, che sta già incontrando favori di critica e pubblico. La formula offerta è un assalto di furioso crust hardcore, che con il passare degli anni ha assorbito un tipo di melodia che lo rende ancora più doloroso e letale. Rispetto alla media dei gruppi del genere crust, i Martyrdöd possiedono un ben più ampio ventaglio di soluzioni, e in questo disco ce le fanno sentire tutte. Ascoltando Hexhammaren si fa una specie di carrellata sulla carriera di questo gruppo, che rispecchia il meglio della sua scena. Questi svedesi sono molto arrabbiati e ne hanno tutte le ragioni, e mettono tutta la loro rabbia per fare una musica che ha grande carica ma anche molta introspezione, sia nei testi che nella musica stessa. La loro grande esperienza (sono in giro dal 2001) permette loro di costruire canzoni che hanno uno sviluppo molto stratificato e ben strutturato, con cui l’ascoltatore viene portato per mano a vedere la descrizione di un mondo che è in decadenza, prima di tutto morale. Hexhammaren potrebbe essere l’inizio di una presa di coscienza di qualche ragazzo che si avvicina ad una musica arrabbiata ma con grandi valori, e tutto ciò in questo disco è presente. Ad esempio c’è una canzone sulla Siria, paese che è attualmente scomparso dai radar di questa schizofrenica società dell’informazione, dove ci viene dettato cosa dobbiamo sostenere e seguire. I Martyrdöd ci presentano il conto di questo sfacelo e non è un bel vedere, facendolo con una musica che è struggente. Nel corso dei vari dischi il loro suono è cambiato, e questa ultima fatica è la sintesi più completa e compiuta di cosa sia questo gruppo, sicuramente uno dei migliori nel proprio genere. Hexhammaren è una deriva, una discesa consapevole e molto affascinante in quello che è il nostro inferno: le nostre vite.

Tracklist
1. Hexhammaren
2. Rännilar
3. Helveteslarm
4. War on Peace
5. Bait and Switch
6. Nästa Syrien
7. Cashless Society
8. In the Dead of Night
9. Den Sista Striden
10. Pharmacepticon
11. Judgement Day
12. Sthlm Syndrom

Line-up
Tim Rosenqvist – Guitar
Jens Bäckelin – D-beat
Mikael Kjellman – Guitar & Vocals
Daniel Ekeroth – Bass

MARTYRDOD – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY

Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni domenica alle 21.30 su Witch Web Radio.
Questa volta è il turno dei siciliani Elevators To The Grateful Sky.

MC Su Overthewall gli Elevators to the Grateful Sky: con noi Sandro, leader e portavoce della band. Partiamo dalle origini: ci racconti la genesi della band?

Ciao Mirella, anzitutto grazie mille per il supporto e per questa intervista. Gli Elevators to the Grateful Sky nascono nella primavera/estate del 2011, da un’idea mia e del bassista, Giuseppe Ferrara. Entrambi avevamo in quegli anni un progetto brutal death chiamato Omega, ma l’amore per certe sonorità di matrice rock ci ha portato, per fortuna, a virare verso qualcosa di estremamente diverso. Ricordo ancora la prima volta che ascoltai Whitewater dei Kyuss, probabilmente fu quello il momento che ci diede maggior stimolo nel suonare stoner. In seguito si sono uniti al progetto, Giulio Scavuzzo alle pelli e Giorgio Trombino alle chitarre (con cui suonavo già in un progetto swedish death, gli Undead Creep e poi con i grinders Cavernicular).

MC Ci sono band del passato che hanno influenzato il vostro modo di comporre?

Sicuramente la scena rock 90’s ha avuto l’impatto maggiore per quanto concerne la composizione delle nostre canzoni. Lo stoner della soleggiata Palm Desert, il grunge della piovosa Seattle. Ovviamente, un ruolo determinante l’ha avuto anche il rock e la psichedelia dei 70’s, su tutti i sempiterni Black Sabbath. Sarebbe davvero arduo citare tutte le band a cui ci ispiriamo, ma a questo giro (e per questo album) sento di nominare le seguenti: Soundgarden, Alice in Chains, Queens of the Stone Age, Kyuss, Yawning Man, Goatsnake, Mastodon, Dead Meadow, Earth, Cathedral, Tool e ovviamente i già citati Black Sabbath.

MC Citiamo la line up completa?

Alle chitarre e alle seconde voci abbiamo Giorgio Trombino del quale, consiglio caldamente di ascoltare e seguire tutti i suoi svariati progetti: Assumption, Haemophagus, Furious Georgie, Dolore, Sixcircles (con Sara dei Messa) ecc… al basso Giuseppe Ferrara, alla batteria Giulio Scavuzzo e alla voce il sotto scritto, Sandro Di Girolamo.

MC Nude è il vostro nuovo album. Chi ha scritto i testi e le melodie?

Il processo compositivo è gestito principalmente da me e Giorgio, ma anche Giuseppe scrive molti riff che hanno avuto un ruolo determinante. Per quanto riguarda i testi, sono tutti quanti “farina del mio sacco”. Giorgio suole dire sempre che: “gli Elevators sono il diario personale di Sandro”. Metto tutto me stesso e l’amore per la musica nel scriverli. Sono veramente parte di me e spero che gli ascoltatori riescano a percepirlo. Se penso ai versi scritti da Chris Cornell, Layne Staley, Scott Weiland, Peter Steele, Mark Lanegan, Josh Homme ecc… non posso fare a meno di dire quanto mi abbiano davvero formato e aiutato, soprattutto in periodi della mia vita non proprio così esaltanti.

MC Voi siete siciliani, di Palermo. Riuscite a trovare facilmente spazi dove esibirvi?

La situazione a Palermo è stata difficile in questi anni, ma grazie all’impegno e alla dedizione di persone come Vincenzo Frisella (Krust, Alibi), Marco Bianco (Rocket) e a tutti i ragazzi della V.O.V. Eventi le cose stanno cambiando.

MC Ci saranno dei live a supportare il nuovo album?

Ahimè viviamo una situazione complessa a livello di band. Giuseppe vive a Malta, Giorgio a Treviso e Giulio (pur se a Palermo) è molto impegnato con i suoi impegni al Conservatorio e con la band jazz di Palermo. Cercheremo sicuramente, di organizzare una data a Palermo e un mini tour in Italia, nei prossimi mesi.

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?

Principalmente sulla nostra pagina facebook e profilo bandcamp, ma anche su itunes, spotify, youtube ecc…

MC Grazie di essere stato con noi.

Grazie mille e spero che vi piaccia il nostro Nude, mi raccomando, sempre comfort e rock!

Sühnopfer – Hic Regnant Borbonii Manes

La one man band di Ardraos ritorna dopo cinque anni, proponendoci il suo medieval black metal che ci immerge in atmosfere ancestrali, colme di furore e melancolia.

Ricompare, dopo cinque anni di silenzio, la creatura di Florian Denis, in arte Ardraos, con il terzo full length del suo progetto solistico Suhnopfer, mantenendo la stessa forza e ispirazione: attitudine black innanzitutto, con un suono che ci porta indietro nel tempo, ci astrae dalla realtà per farci immergere in un mondo estremo fatto di oscurità, ferocia e dove sono miscelati ad arte atmosfere e paesaggi medievali con la forza del black primigenio.

Ardraos conosce perfettamente la materia, vive e suona black da una vita, considerando la sua militanza come batterista in band importanti come Peste Noire, Christicide (da recuperare assolutamente i loro due album) e Aorlhac. I testi in francese antico aggiungono quel quid particolare a un opera che ripercorre con grande energia il filone del Medieval Black Metal, cripta dove si nascondono band come i francesi Darkenhold, gli svizzeri Ungfell, gli americani Obsequiae, tra gli altri. Ardraos compone e suona tutti gli strumenti e ci propone da sempre un black viscerale, sporco, basato su ritmiche forsennate e incessanti intessute con un grande lavoro di chitarra abile a ricreare atmosfere gelide e feroci, impreziosite da momenti acustici e classici di grande bellezza; break madrigaleschi disegnano atmosfere melanconiche prima che le chitarre riprendano il sopravvento. Sette brani, di durata considerevole tranne l’intro, che hanno un andamento piuttosto simile, ma possiedono un feeling e un’esaltazione considerevole: fino dall’ opener Penitences et Sorcelages con la sua atmosfera e i suoi cambi di tempo si è proiettati in un altro mondo dove rifulgono atmosfere ancestrali, nostalgiche e fiere. Lo scream di Ardraos è furore allo stato puro, è indomabile e invincibile e marchia a fuoco ogni brano; colpisce inoltre il fatto che Ardraos suoni bene ogni strumento e il risultato sembra più il frutto di una band e non di un solo musicista. Lavoro esaltante, a patto di prestarvi la dovuta attenzione e competenza.

Tracklist
1. Invito Funere (Introduction)
2. Pénitences et sorcelages
3. Hic Regnant Borbonii Manes
4. La Chasse Gayère
5. Je vivroie liement
6. Dilaceratio Corporis
7. L’Hoirie de mes ancêstres

Line-up
Ardraos – Everything

SUHNOPFER – Facebook

Jesus Chrüsler Supercar – Lucifer

Confermando totalmente le aspettative, Lucifer si candida come album dell’anno per quanto riguarda queste sonorità, resta solo la curiosità di vedere cosa di cosa siano capaci i Jesus Chrüsler Supercar in sede live, assieme al timore di non uscire vivi da cotanta potenza rock’n’roll.

Sono passati pochi mesi dalla pubblicazione di Holy Chrüst-Horn Alley Live Session, ep che vedeva i Jesus Chrüsler Supercar alle prese con quattro cover di altrettante icone del rock e del metal come Bob Dylan, Danzig, Motorhead e MC5, e la band svedese ritorna sul mercato con il nuovo full length intitolato Lucifer.

La registrazione ai Sunlight Studio e la leggenda Tomas Skogsberg al mix (in collaborazione con Fred Forsberg, fratello del batterista Nicke) sono più di un indizio riguardo al fatto che segno che il quartetto scandinavo faccia più che mai fa sul serio.
Infatti Lucifer è una devastante arma di distruzione death’n’roll, figlia di quel Wolverine Blues, con cui gli Entombed diedero una robusta spallata al metal estremo made in Sweden, e di Ace Of Spades dei Motorhead, con i The Hellacopters e Corrosion Of Conformity a fare da ideali padrini al nuovo nato.
In teoria saremmo giunti alla fine, il genere è quello senza compromessi e freni, una detonazione rock’n’roll potentissima dove chitarre di matrice Gothenburg sound formano un muro sonoro su ritmiche motorheadiane, strappi rock e rallentamenti possenti che ricordano i appunto i Corrosion Of Conformity del sottovalutato IX.
Nella sua totale ed irrefrenabile follia, Lucifer mantiene una qualità elevatissima facendo dei Jesus Chrüsler Supercar una delle realtà più interessanti di un genere che, spinto al limite e valorizzato da brani esagerati come Flesh’n’Bones, Boogeyman e la coppia da oscar Out Of My Head/Form Death To Dawn, a livello di potenza distruttiva non è secondo a nessuno.
Confermando totalmente le aspettative, Lucifer si candida come album dell’anno per quanto riguarda queste sonorità, resta solo la curiosità di vedere cosa di cosa siano capaci i Jesus Chrüsler Supercar in sede live, assieme al timore di non uscire vivi da cotanta potenza rock’n’roll.

Tracklist
1. Lucifer
2. Flesh ’n’ Bones
3. Never Sleep Again
4. High Times For Low Crimes
5. Boogeyman
6. Suck On My Balls
7. Out Of My Head
8. From Death To Dawn
9. Straight To Hell
10. You Can‘t Spell Diesel Without Die
11. Black Blood

Line-up
Robban Bergeskans – Vocals, Bass
Tobbe Engdahl – Guitars
Pär Jaktholm – Guitars
Nicke Forsberg – Drums

JESUS CHRUSLER SUPERCAR – Facebook

Bright Delight – Let’s Make It Real

Pericoloso e graffiante come un piccolo batuffolo felino, il sound dei Bright Delight sa tanto di pop, e nonostante le apparenze non trova sponda in nessuno dei generi che formano la famiglia del rock/metal moderno, dal metal core, all’hardcore passando per l’alternative metal.

La Sliptrick Records vola in Russia e si porta a casa questi sei ragazzi di Mosca, al debutto con Let’s Make It Real, una mezz’ora di facili melodie tra rock alternativo, elettronica e la solita alternanza tra toni estremi e coretti puliti da cantare tutti in coro in mezzo alla pista da ballo come se non ci fosse un domani.

Pericoloso e graffiante come un piccolo batuffolo felino, il sound dei Bright Delight sa tanto di pop, e nonostante le apparenze non trova sponda in nessuno dei generi che formano la famiglia del rock/metal moderno, dal metal core, all’hardcore passando per l’alternative metal.
Dalla title track posta come intro fino alla conclusiva Last Goodbye la musica del gruppo russo è un susseguirsi di melodie danzerecce su una base pop/rock adolescenziale, troppo poco per creare interesse in chi ama le sonorità moderne che hanno invaso il mercato del rock e del metal in questi ultimi anni: sarà più facile quindi raccattare fans tra i quattordicenni con le caviglie scoperte a gelare nel freddo della madre Russia e di qualche capitale europea.

Tracklist
01. Lets make it real
02. Follow the dream
03. Let me burn
04. Reasons to fight
05. Not Alone
06. Reality
07. Recall
08. Faith
09. Last Goodbye

Line-up
Stan
Alex
Alex
Den
Michael
Jorge

BRIGHT DELIGHT – Facebook

FIDDLER’S GREEN – Heyday

Sedicesimo album per i re dello Speed Folk teutonico. Una carriera formidabile, costruita su ben 16 album, che dal folk basilare delle origini, ha saputo evolversi nel sound attuale, aggressivo ma melodico, incalzante ma soave ed armonioso nel contempo, decretandone per la band il successo planetario e divenendo fonte di ispirazione nell’ambito del genere Celtic Folk.

Quando nei primi anni ’80 nacque quello che allora veniva semplicemente chiamato Irish Folk con approccio Punk, ad opera dell’iconografico Shane MacGowan (nel lontano 1980, leader e fondatore dei Nipple Erectors, poi Pogue Mahone, anglicizzazione del provocatorio termine gaelico irlandese póg mo thóin (“baciami il sedere”), infine, finalmente, The Pogues), nessuno si sarebbe mai aspettato il successo che il genere, ad oggi, ha ottenuto. Migliaia di fan da tutto il Mondo, migliaia di band da tutto il Globo.

Fondere sonorità tradizionali, che trovano profonde radici negli antichi suoni della verde Irlanda, di popoli di cui si è oramai quasi perso memoria, abbinando antichi strumenti delicati, e al contempo spesso allegri e scanzonati, capaci di proiettare l’ascoltatore in epoche remote e fiabesche, tra verdi boschi abitati da creature leggendarie, con l’aggressività di un genere crudo, grezzo, ma soprattutto molto disincantato e realistico, dipinto spesso di quell’opaco grigiore che ben rappresentava lo stato d’animo del rivoluzionario movimento punk quando nacque, nei lontani anni ’70, apparve subito quanto di più azzardato, si potesse approcciare da un punto di vista meramente musicale.
Eppure, proprio grazie a quei ragazzacci di King’s Cross, oggi possiamo deliziarci con una miriade di band da tutto il mondo che, in maniere più o meno personali, ci propongono quello che oramai oggi viene definito più in senso generale, “Irish Punk” o meglio ancora “Celtic Punk”. Sì, anche perché seppur vero che il suono trova radici profonde nella Verde Terra, occorre ricordare che la musica celtica, da cui nasce la stessa musica popolare irlandese, si sviluppò un po’ in tutta Europa (dal IV al III secolo A.C.); ovunque la popolazione dei Celti si spostasse – come del resto qualsiasi popolazione, faceva nell’antichità – portava con sé usi e costumi, tra cui – appunto – la propria musica. Isole Britanniche, Gallia, Pannonia (l’attuale territorio occupato da Ungheria, Repubblica Ceca, Austria, Croazia e Slovenia) ed Iberia, costituivano all’epoca le loro terre e, non dimenticando le influenze che ebbero i contatti con i Germani e i Romani stessi, non possiamo oggi pertanto stupirci, che le band che seguono questo filone, provengano un po’ da tutto il Vecchio Continente e non solo dall’attuale Gran Bretagna. Miscelando sapientemente le proprie tradizioni più antiche, i loro tipici strumenti musicali con il tradizionale Folk Irlandese (cornamusa, violino, fisarmonica, tin whistle, fiddle, mandolino, banjo ecc.), sempre sorretti dalla semplicità della struttura Punk britannica, creano il genere Celtic Punk, appunto; sicuramente uno dei generi musicali più ballabili, spensierato e spesso spregiudicato, ma al contempo ricchissimo di pathos e di antiche atmosfere pagane, che la Musica oggi possa annoverare.
Non dobbiamo neanche dimenticare che Paesi come gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, terre che hanno conosciuto l’immigrazione britannica sin dall’800 (per tacer dell’immensa invasione irlandese del 1879, a seguito della Grande Carestia che subì l’Isola), hanno da sempre goduto del l’influenza delle tradizionali musiche della Terra d’Albione (non mi soffermo per ragioni di spazio, su quanto l’Irish abbia condizionato la nascita del Country, non basterebbe un libro di 1000 pagine…).
Ciò che è curioso e molto particolare, è che al giorno d’oggi, le band più famose (eccezion fatta per i Pogues, ovviamente) provengono da ogni, ma molto meno dalla Gran Bretagna. Mentre nell’Isola rimangono forti gli accenti più tradizionali del Folk puro ed incontaminato, forse, e dico forse, il Celtic Punk ha trovato terra fertile proprio tra i discendenti stessi degli immigranti, sparsi un po’ in tutto il mondo che, quasi presumibilmente spinti da uno spirito reazionario, hanno voluto urlare le origini delle loro terre natie (in maniera diremmo rivoluzionaria, come vuole il Punk, del resto), tristemente e obbligatoriamente abbandonate secoli or sono, spinti dalla miseria, alla ricerca di uno scampolo di felicità e di speranza.
E allora partiamo in sella del verde destriero a conoscere i Flogging Molly, band losangelina formatasi nel 1997 ad opera di Dave King (già voce dei mitici Fastway, gruppo metal di inizio anni ’80 formato da un certo “Fast” Eddie Clarke dei Motorhead) che prese il nome da un pub di Los Angeles (Molly Malone) intitolato alla leggendaria pescivendola – e non solo…– di Dublino. Sempre dagli USA i Dropkick Murphys ed i Tossers, dal Canada i Real Mckenzies (band fondata da Paul McKenzie, di chiarissime origini scozzesi) o i “polkeggianti” The Dreadnoughts. Un salto (molto lungo) in Australia per i Rumjacks, per poi giungere nel Vecchio Continente in Repubblica Ceca con i Paddy And The Rats, in Svezia con i Sir Reg e addirittura in Italia con i Rumpled e gli Uncle Bard And The Dirty Bastards. Infine, dalla Sassonia (Germania, scusate) gli O’Reilly And The Paddyhats, i Mr.Irish Bastards e soprattutto i Fiddler’s Green bavaresi.
Solo per citarne alcuni…
I Nostri, oggetto di questa recensione escono oggi con il loro sedicesimo album (!) in quasi 30 anni di carriera. Inizi molto folk, per poi subire anche loro – negli anni – le profonde influenze del Punk ma anche della musica Rock europea e soprattutto teutonica, di metà anni novanta. Così – autodefinendosi essi stessi Speed Folk band – , vedono, nel tempo, accrescere il numero di fan, divenendo quello che oggi si potrebbe definire una band Mainstream del genere, a livello mondiale. Heyday è un album fantastico (finito ben settimo nella GfK Entertainment Charts teutonica). Divertente, ballabile sino all’ultima nota. Suonato magicamente da una band che oramai oggi, ha una padronanza degli strumenti pressoché totale. Brani come No Anthem, Limerick Style o la stessa title track trasudano energia, vigore ed un’eccezionale grinta che potrebbe indurre alla danza sfrenata anche un bradipo sudamericano, sino al totale sfinimento e a morte certa. Il duetto vocale tra Patrick “Pat” Priziwara e Ralf “Albi” Albers è semplicemente divino: un botta e risposta dove l’uno domanda e l’altro semplicemente risponde, annullando totalmente il vecchio concetto di main e di backing vocals. Qui esiste un’unica voce, portata d’incanto su tonalità diversissime ma, con egregia maestria, amalgamate nell’Uno, in un amorevole connubio, sebbene mantenendo ognuna, sempre le proprie caratteristiche primigenie (Pat è il ruvido mentre Ralf è il melodico), o più semplicemente, come direbbe Erich Fromm, “sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due”. Drumming quasi rocambolesco e travolgente (Frank Jooss), sostenuto dai bassi toni di Mr. Schulz (basso, appunto), avvolti nel cellophane delle armonie dello stesso Pat (qui come lead guitar), e avviluppati dalle meravigliose eufonie del violino di Tobias Heindl (grandioso!) e dalle fiabesche euritmie della fisarmonica di Stefan Klug, veniamo proiettati direttamente nella festa, ove la birra scorre a fiumi (dal brano Slainte, gaelico termine accostabile al nostro Cin Cin) e l’alcool rappresenta il leitmotiv della nostra serata (da Cheer Up, una sorta di in alto i bicchieri), e dove la meta finale non è conosciuta, ma poco importa (come per il vagabondo di Born To Be A Rover), tanto quello che ci interessa è vivere una bella giornata (One Fine Day) insieme ai nostri amati amici e cari, come tutti fossimo Uno (Together As One).
Null’altro da aggiungere, se non uno spassionato consiglio a chiunque stia passando un periodo grigio o peggio nero, della propria esistenza. Ascoltare Heyday (ed i Fiddler’s Green in generale), significa Vivacità, Vigoria, Vitalità o più semplicemente significa Vita . Un’ora (comprese bonus…) forse rappresenta poco, nel lungo cammino dell’esistenza umana, ma se è vero che la vita è solo un passaggio, in questo passaggio seminiamo almeno fiori, (come ci raccontava Michel De Montaigne), o almeno qualche verde trifoglio…

Tracklist
01. Prelude
02. The Freak of Enniskillen
03. No Anthem
04. Limerick Style
05. Farewell
06. Born to be a Rover
07. The Congress Reel
08. Slainte
09. Better You Say No
10. Cheer Up
11. One Fine Day
12. John Kanaka
13. Heyday
14. Steady Flow
15. Together as One

Line-up
Ralf “Albi” Albers – voce, chitarra acustica, bouzouki, mandolino, banjo
Pat Priziwara – voce, chitarra, bouzouki, mandolin, banjo
Tobias Heindl – violino
Stefan Klug – accordion, bodhran
Rainer Schulz – bass
Frank Jooss – batteria

FIDDLER’S GREEN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=hLwK6bOzQOA

Blueside – Small Town, Good Wine & Sad People

I Blueside mostrano il dito medio in maniera molto intelligente, con testi in italiano ed in inglese: canzoni come Fuori e Notorietà sono geniali, ma tutto il disco è molto al di sopra della media, e soprattutto è un qualcosa finalmente di dissacrante, da parte di un gruppo che non ha pose ma molta sostanza, riuscendo inoltre a fare qualcosa di nuovo di un genere trito e ritrito.

Interessante progetto di punk rock e melodic hardcore da Sonnino, provincia di Latina.

La provenienza è molto importante perché il disco tratta appunto della vita in provincia, fucina di talenti e fornace creatrice di frustrazione e rabbia. Tutto ciò i Blueside lo vivono quotidianamente ma hanno fatto un qualcosa di molto punk, ovvero prendere il tutto con seria ironia. Là fuori onestamente è una merda, ma se almeno lo sottolineiamo pigliandovi e pigliandoci in giro forse ci salviamo. Ancora meglio se lo si fa con un gran bel punk rock che incontra l’hardcore melodico, con quella facilità che solo i gruppi che stanno bene assieme e che hanno uno scopo possiedono. Ai Blueside viene fuori questo disco di poco più di venti minuti in maniera molto naturale e scorrevole. La vita in una cittadina di provincia come la loro Sonnino, o in tutte quelle dove la maggior parte di noi è cresciuta, è descritta molto bene, ed il disco si presenta come un vero e proprio concept diviso in quattro parti, con ognuna dedicata a un qualcosa che abbiamo vissuto e che è dolorosamente vero. La musica supporta benissimo questo vivere, cercando di uscire da quel no future che in troppe parti della nostra penisola i giovani vivono, e non che a quelli più avanti con l’età vada poi meglio. Il disco dei Blueside, Small Town, Good Wine & Sad People, centra in pieno anche uno dei temi portanti del vivere in Italia, ovvero che il vino è buono, le città sono piccole e la gente è triste, perché la vita è mero sostentamento, ma ti frega il fatto che mangi e bevi bene. Di fronte a questo dilemma i Blueside mostrano il dito medio in maniera molto intelligente, con testi in italiano ed in inglese: canzoni come Fuori e Notorietà sono geniali, ma tutto il disco è molto al di sopra della media, e soprattutto è un qualcosa finalmente di dissacrante, da parte di un gruppo che non ha pose ma molta sostanza, riuscendo inoltre a fare qualcosa di nuovo di un genere trito e ritrito. Fare un album così non è da tutti, solo in provincia è possibile, perché tante cose buone vengono da lì dove si vive in una certa maniera, sta a voi dire se meglio o peggio che in città.

Tracklist
1. Project#1_SmallTown
2. Ci vomito su
3. Project#2_GoodWine
4. Il Moralista
5. I’m Paranoid
6. Project#3_SadPeople
7. Fuori
8. Project#4_WTF
9. Notorietà
10. Rain

Line-up
Simone Cecconi – Voices & Bass
Domenico Rufo – Guitar
Daniele Rufo – Guitar
Mario Talocco – Drum

BLUESIDE – Facebook

GENUS ORDINIS DEI

Il video di Nemesis (Eclipse Records).

Il video di Nemesis (Eclipse Records).

Genus Ordinis Dei reveal new video & single for ‘Nemesis’ featuring Melissa VanFleet
Watch the band’s latest music video Nemesis via YouTube and stream the single via Spotify, Apple Music, or Deezer

After wrapping up a very successful European tour supporting Evergrey, symphonic death metal quartet Genus Ordinis Dei have revealed a brand-new music video for their latest single, Nemesis. The song features alternative metal singer/songwriter Melissa VanFleet on guest vocals, and was produced by Tommaso Monticelli at Sonitus Studios.

Nemesis is out now via Spotify, Apple Music, Deezer, iTunes, Amazon, Google Play, Pandora, iHeartRadio and more! The music video was directed by Steve Saints. Watch it now at this location.

“It was an absolute pleasure to work with Melissa on this song,” says vocalist Nick Key. “The contrast between our voices create a very deep atmosphere and it feels great… she’s perfect for it!” Melissa VanFleet added, “when Genus Ordinis Dei approached me about singing on Nemesis, I was curious to see how my ethereal style would blend with their death metal sound. The passion that pours out of their music is contagious and I’m proud to have contributed my voice to this track!”

Discography
Hail and Kill (single) – 2018
Great Olden Dynasty (LP) – 2017
EP 2016 (EP) – 2016
The Middle (album) – 2015

For more information on Genus Ordinis Dei, please visit them on Facebook, Twitter, or Eclipse Records, and follow them on Spotify, Apple Music, or Deezer. For more information on Melissa VanFleet, visit her on Facebook, Twitter, or online, and follow her on Spotify, Apple Music, or Deezer.

Hellnite – Midnight Terrors

Si passa con disinvoltura da cavalcate heavy metal a brani diretti e speed thrash, in parte penalizzati dalla poco curata parte cantata, mentre la buona preparazione al basso ed alla chitarra alzano di qualche punto il valore di un album assolutamente rivolto ai soli appassionati del genere.

Proposta all’insegna del più puro underground quella di questa one man band di origine messicana denominata Hellnite, creatura del polistrumentista Paolo Belmar.

Attivi come band dal 2013, con l’uscita dell’ep Manipulator, gli Hellnite ricominciano dal Canada dove Belmar si è trasferito per poi esordire con questo full length intitolato Midnight Terrors, licenziato dalla Sliptrick Records.
L’album si compone di nove brani dalle ispirazioni heavy/thrash old school: discreto il songwriting, buona la prova strumentale, ma poco incisiva la prova al microfono, questi sono in poche parole i pregi ed i difetti di Midnight Terrors, album che potrebbe trovare buoni riscontri tra gli amanti del thrash metal anni ottanta.
Si passa con disinvoltura da cavalcate heavy metal a brani diretti e speed come Thrash Of The Living Death, in parte penalizzati dalla poco curata parte cantata, mentre la buona preparazione al basso ed alla chitarra alzano di qualche punto il valore di un album assolutamente rivolto ai soli appassionati del genere.
Iron Maiden, Slayer, Sodom e Destruction sono le band storiche che escono prepotentemente dall’ascolto di Midnight Terrors, mentre lo strumentale Darker Than Black e l’aggressiva Necromancer si rivelano i brani più riusciti.
La strada è lunga e difficile per il musicista messicano, anche se tra i solchi dell’album non mancano quegli spunti interessanti su cui poter lavorare in futuro.

Tracklist
1.Projection
2.Phantom Force
3.Spirits Prevail
4.Beasts From The Deep
5.Thrash Of The Living Dead
6.Darker Than Black
7.Stage On Fire
8.The Necromancer
9.Midnight Terrors

Line-up
Paolo Belmar – Guitars, Vocals, Bass

HELLNITE – Facebook

Seax – Fallout Rituals

La giostra gira vorticosa, le tracce si susseguono spazzando via tutto come sferzate di un vento metallico tempestoso dove i tanti cenni ai maestri dell’heavy thrash metal anni ottanta non fanno che confermare l’assoluta dedizione e attitudine dei Seax.

Attivi da una decina d’anni e con tre full length rilasciati tra il 2012 ed il 2016, tornano con il loro speed/thrash metal vecchia scuola i Seax, band proveniente da Worchester in Massachusetts.

Licenziato dalla Shadow Kingdom Records, il nuovo album intitolato Fallout Rituals nulla aggiunge e nulla toglie non solo al quartetto statunitense ma a tutto un genere, radicato nella scena underground degli anni ottanta.
I Seax non si nascondono certo dietro un dito, sono una band nata per travolgere gli ascoltatori con ritmiche velocissime ed un impatto diretto, lasciando all’esperienza live l’ultima parola sulle proprie capacità.
L’opener Fallout funge da conto alla rovescia prima Rituals ci investa con tutta la sua potenza old school, tra solos vorticosi, voce aggressiva che non rinuncia all’uso del falsetto ed un approccio assolutamente senza compromessi.
Bring Down The Beast, Interceptor e gli altri brani che compongono il nuovo album dei Seax non concedono pause, la giostra gira vorticosa, le tracce si susseguono spazzando via tutto come sferzate di un vento metallico tempestoso dove i tanti cenni ai maestri dell’heavy thrash metal anni ottanta non fanno che confermare l’assoluta dedizione e attitudine della band.
Inutile affermare che Fallout Rituals è pane solo per i denti degli heavy/thrashers dai gusti old school, chiunque non porti ancora jeans stretti, chiodo e scarpe da ginnastica giri alla larga dai Seax e dalla loro musica.

Tracklist
1.Fallout
2.Rituals
3.Killed by Speed
4.Bring Down the Beast
5.Feed the Reaper
6.Interceptor
7.Winds of Atomic Death
8.Legions Arise
9.Riders of the Oldworld
10.Born to Live Fast

Line-up
Carmine Blades – Vocals
Razzle – Guitar
Hel – Guitar
Derek Jay – Drums

SEAX – Facebook

Thronehammer – Usurper of the Oaken Throne

L’album riesce ad incorporare nelle stesse trame, in modo assolutamente convincente, ispirazioni che vanno dai Bathory, ai Count Raven, dai Celtic Frost ai Saint Vitus, dai Candlemass ai Cathedral, in una sorta di versione sludge dell’epic doom tradizionale.

Un’opera straordinariamente epica ed evocativa, un lungo incedere doom/sludge che non conosce pause ma continua imperterrito nella sua marcia in direzione dell’Olimpo, mentre l’esercito avanza inesorabilmente verso la vittoria o la sconfitta e le note di questo monumentale lavoro accompagnano il passo cadenzato dei guerrieri.

I Thronehammer sono un trio che unisce musicisti provenienti da Germania e Regno Unito e dopo un demo ed uno split, insieme ai Lord Of Solitude, licenziano tramite The Church Within questo monolitico e pesantissimo primo album, intitolato Usurper of the Oaken Throne.
Sette brani per quasi ottanta minuti di musica del destino, davvero suggestiva, pesantissima ed epica al punto di sbaragliare qualsiasi gruppetto tutto scudi e spadoni.
In questo lavoro la parte evocativa ed epica del sound si amalgama perfettamente ad un potentissimo doom/sludge, spesso reso ancora più solenne da tastiere debordanti: la potenza della parte ritmica entra in contatto con un cantato evocativo che accentua l’aspetto epico/guerresco del sound in brani che per lo più superano abbondantemente i dieci minuti.
I diciassette minuti (appunto) dell’opener Behind The Wall Of Frost ci calano in un’atmosfera in cui predomina la forza evocativa di una musica che riesce ad incorporare nelle stesse trame, in modo assolutamente convincente, ispirazioni che vanno dai Bathory, ai Count Raven, dai Celtic Frost ai Saint Vitus, dai Candlemass ai Cathedral, in una sorta di versione sludge dell’epic doom tradizionale.
Il risultato è un lavoro pesantissimo, da affrontare con la dovuta pazienza, cercando di entrare nel mondo creato da Kat Shevil Gillham, Stuart Bootsy West e Tim Schmidt senza perdere nemmeno una nota del loro notevole lavoro.

Tracklist
1.Behind the Wall of Frost
2.Conquered and Erased
3.Warhorn
4.Svarte Skyer
5.Thronehammer
6.Usurper of the Oaken Throne

Line-up
Stuart Bootsy West – Guitars, Synthesizer
Tim Schmidt – Bass, Drums
Kat Shevil Gillham – Vocals

THRONEHAMMER – Facebook

Destrage – The Chosen One

I Destrage sono uno dei gruppi italiani che se la gioca meglio, sia in territorio mainstream che in quello underground, con nomi ben più blasonati ed in alcuni casi altezzosi.

I Destrage tornano con il loro quinto album, il miglior sunto possibile di cosa sia questa band, pronta a prendersi lo scettro vacante di nuovi alfieri del metal moderno.

Se non li avete mai ascoltati immaginate degli Avenged Sevenfold molto più divertenti e vari, con un metalcore molto melodico ma anche potente che si incontra con il modern metal, per un risultato cosmopolita e quindi da esportazione. Infatti i Destrage sono uno dei gruppi italiani che se la gioca meglio, sia in territorio mainstream che in quello underground, con nomi ben più blasonati ed in alcuni casi altezzosi. Con questo disco non sono molti i dubbi del posto che spetta a questo gruppo fieramente milanese. Ascoltando The Chosen One si viene portati in molti luoghi, tra dolcezza, durezza e problemi della vita quotidiana. L’album può essere usato sia da sprone, sia come consolazione per una vita certo non facile come quella quotidiana. La formula del disco è vincente, con la sua miscela di diverse istanze che prendono vita dal metalcore e dal metal moderno. Ci sono ad esempio momenti notevoli alla Dillinger Escape Plan, sfuriate incontenibili o momenti di maggiore melodia. I Destrage non cercano la hit a tutti i costi, suonano al meglio ciò che vogliono e se, poi, ciò incontra il favore del pubblico tanto meglio. La ricchezza del suono e delle linee melodiche, valorizzate al meglio da una produzione che ne fa risaltare le peculiarità, sono le principali caratteristiche di The Chosen One che fa compiere un notevole passo in avanti alla poetica musicale della band lombarda. Non ci sono molti punti ciechi in questo lavoro, la musica dei Destrage avvolge, intrattiene e talvolta fornisce le risposte che può dare un album che non cambierà la vostra vita ma che può renderla migliore. Un lavoro dal respiro internazionale per un gruppo che ha molte cose da dire e ancora di più da suonare.

Tracklist
1. The Chosen One
2. About That
3. Hey, Stranger!
4. At the Cost of Pleasure
5. Mr. Bugman
6. Rage, My Alibi
7. Headache and Crumbs
8. The Gifted One

Line-up
Paolo Colavolpe – vocals
Matteo Di Gioia – guitar
Federico Paulovich – drums
Ralph Guido Salati – guitar
Gabriel Pignata – bass

DESTRAGE – Facebook

KILLERY

Il video di Fuck You All, dall’album Ready For Apocalypse.

Il video di Fuck You All, dall’album Ready For Apocalypse.

Killery esordiscono nel mercato discografico con loro prima produzione completamente autoprodotta “Ready For Apocalypse” !
Uno dei migliori gruppi della scena underground brasiliana, ha già raccolto consensi in giro per il globo e già ha avuto grossi riscontri da parte di fans e addetti ai lavori.
Formatisi nel 2016 nella città di São Luís, Maranhão, Killery, la band Thrash metal con influenze groove, death e progressive metal.
Il loro primo album, iha una produzione indipendente ed è stato registrato tra lo studio KM4 e i KIllery Studios di São Luís. La band ha appena consolidato la loro collaborazione con il rinomato artista Caio Caldas (Dragonforce, Doro, Paul Di Anno, ecc.). Di recente è anche scattata la loro collaborazione con la neonata Vault Lab Recordings.
Le canzoni coprono vari temi dalla convivenza umana, come politica, violenza, religione, paure e ai disturbi psicosociali. Vincitori dela battle of the bands brasiliana.
“Ready for Apocalypse” è ora disponibile su tutte le piattaforme digitali mentre il video del singolo “Fuck You All” è disponibile su youtube!
Per rimanere aggiornati sulle loro attività vi invitiamo a seguire i canali ufficiali !

Line Up:
Arthur L. – guitar
Daniel Pereira – vocal
Gabriel Burgos – drums
G.Rude – guitar
Lucas Abreu – bass

Tracklist:
1. Ready for the Apocalypse
2. No Rest for the Wicked
3. Prophet of Chaos
4. March to Hell
5. Blood Deliveryman
6. Fuck You All
7. Curse of the Serpent
8. Law of the strongests
9. Exuding Hate (feat. Pitter Cutrim)

Instagram: https://instagr.am/_killeryofficial
Facebook: https://fb.com/killeryofficial
Youtube: https://is.gd/killery

Killery debut with a complete 100% self released and self produced album ready to smash the underground scene.
One of the best groups on the Brazilian underground thrash metal scene, Killery has already received acclaim great feedbacks from fans and professionals.
Formed in 2016 in the city of São Luís, Maranhão, Killery, is a Thrash metal band with groove, death and progressive metal influences.
Their first album, an independent production, was recorded between the KM4 studio and KIllery Studios in São Luís. The band has just consolidated their collaboration with the renowned artist Caio Caldas (Dragonforce, Doro, Paul Di Anno, etc.). Recently was their collaboration with the newly formed Vault Lab Recordings from Italy.
The songs cover various themes from human coexistence, such as politics, violence, religion, fears and psychosocial disorders. Winners of the Brazilian battle of the bands.
“Ready for Apocalypse” is now available on all digital platforms while the video of the single “Fuck You All” is available on youtube!
To stay updated on their activities, we invite you to follow the official channels!

Line Up:
Arthur L. – guitar
Daniel Pereira – vocal
Gabriel Burgos – drums
G.Rude – guitar
Lucas Abreu – bass

Tracklist:
1. Ready for the Apocalypse
2. No Rest for the Wicked
3. Prophet of Chaos
4. March to Hell
5. Blood Deliveryman
6. Fuck You All
7. Curse of the Serpent
8. Law of the strongests
9. Exuding Hate (feat. Pitter Cutrim)

Instagram: https://instagr.am/_killeryofficial
Facebook: https://fb.com/killeryofficial
Youtube: https://is.gd/killery

Polymorphia – …But Secretly We Thirst

…But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.

Dal più oscuro underground estremo tricolore arrivano i Polymorphia, band proveniente da Lecco al debutto con questo ep di cinque brani intitolato …But Secretly We Thirst.

Il gruppo, nato nel 2017, è composto attualmente dai tre membri fondatori Matteo Tagliaferri alla batteria, Davide Maglia alla chitarra, Silvio Bergamaschi al basso, ai quali si è aggiunto il cantante Luca Beloli.
L’ep mostra una band con buone potenzialità, il cui sound è un oscuro death metal con richiami al thrash di matrice statunitense, valorizzato da un buon lavoro chitarristico e brutalizzato dal possente e profondo growl di cui è capace il vocalist.
L’atmosfera che si respira tra il solchi di questi primi cinque brani segue le tematiche ispirate ad autori come H.P. Lovecraft, Hermann Hesse, Dickens e Lautréamont e all’analisi sulla mente umana ed i suoi misteri, con la musica che, tra Morbid Angel e Slayer, imprime il suo marchio metallico su brani dall’ottimo tiro come l’opener Ode To The Ocean, la title track e Madness Dream, traccia molto interessante conclusa da un lento passaggio dai rimandi doom/death.
Prodotto dalla Vomit Arcanus Production, …But Secretly We Thirst si rivela sicuramente una buona partenza per il gruppo lecchese, che mostra una sua già delineata idea di metal estremo seguendo le proprie ispirazioni in maniera personale.

Tracklist
1.Ode To The Ocean
2….But Secretly We Thirst
3.Fog
4.Madness Dream
5.Censer

Line-up
Matteo Tagliaferri – Drums
Davide Maglia – Guitars
Silvio Bergamaschi – Bass
Luca Beloli – Vocals

POLYMORPHIA – Facebook