Sadness – Circle Of Veins

Se vogliamo cercare un genere, che sia blackgaze, qui al suo massimo.

Secondo disco in sei mesi per la polistrumentista messicana nata e cresciuta in Texas, Damián “Elisa” Ojeda, al quarto disco in due anni.

Se si va sul suo bandcamp si può facilmente capire la vastità e la prolificità dell’opera di questa donna che esplora il blackgaze con un tocco tutto suo. Circle Of Veins ci porta in territori differenti anche se simili rispetto al precedente Rain. Questo lavoro è uno dei rari dischi che possiede la capacità di fermare il mondo mentre lo si ascolta, nel senso che quando lo si sente, meglio se attraverso delle cuffie, non esiste più nulla. Damián riesce costantemente a stupire il suo ascoltatore, attraverso scelte che vanno ben oltre le scontate etichette di blackgaze e di atmospheric black metal. Il flusso musicale e di emozioni è continuo come nello shoegaze, ovvero quel muro di distorsioni che ti si para davanti come la proiezione mentale di un bambino con poteri mentali, che scopre quanto possa essere brutto il mondo e lo rifiuta. Qui si prova, attraverso una musica che è al contempo consolatrice ed assassina, a cercare qualcosa che valga la pena di soffermarsi un attimo, in modo da poter uscire dall’abisso che ci circonda o quello che ci tiene imprigionati nel silicio. Sadness crea piccoli universi partendo dall’osservazione della nostra realtà attraverso filtri che non sono quelli normali. Ci sono sfuriate, cavalcate ed improvvise fermate osservando lo sbocciare di un fiore, che è poi un nostra emozione. Come per il disco precedente, si viene rapiti da questa formula musicale, che nasce dal black metal ma va ben oltre, decretando la grande capacità del genere nato in Scandinavia di far esprimere voci diverse. Il black metal è un sentimento più che un genere, e ognuno lo può usare per esprimersi a proprio piacimento, sia per inneggiare a Satana che per fare un’opera poetico musicale come questa. Questi sei brani, per poco più di sessantatré minuti di musica, sono una raccolta di poesie, composte ed eseguite da una mente musicale superiore, sia per capacità tecnica ma soprattutto per sensibilità, perché certe anime sentono di più rispetto alla maggioranza, ma il vero messaggio è che ci vuole rispetto per ogni anima.
Se vogliamo cercare un genere, che sia blackgaze, qui al suo massimo.

Tracklist
1.Eye of prima
2.Cerrien
3.Lana
4.The spring sun on summer rain
5.I follow rivers

Line-up
Elisa – All instruments and vocals

https://www.facebook.com/sadnessmusicofficial/

NoSelf – Human – Cyborg Relatons : Episode II

Un secondo disco convincente ed un album piacevole che va oltre il nu metal e durerà anche oltre l’estate.

Secondo disco per gli americani No Self, e secondo episodio delle relazioni fra umani e compters , fautori di un nu metal virato verso il metalcore con forti influenze elettroniche, che narra di umani e macchine.

Il loro groove è molto a stelle e strisce, carico e melodico, hanno un ottimo passo che li contraddistingue da molti altri gruppi dello steso genere. Una delle loro peculiarità maggiori è l’intensità delle loro canzoni, che sono dense di musica e di concetti. Non si perde mai di vista la riuscita melodica, nel perfetto stile americano che riesce a coniugare molto bene melodia e potenza. La loro musica è un qualcosa di futuribile che prende le mosse da un passato molto prossimo, attingendo dalle tradizione di molto generi, quali il nu metal, ma anche il post hardcore e il metalcore. Le canzoni sono costruite molto bene e sono incentrate su linee di chitarra molto ben scritte, ai quali poi si aggiunge molto bene tutto il resto del gruppo, con la chicca della doppia voce che rende molto bene in termini di varietà e di originalità. L’ascolto del disco è molto piacevole e scorre molto bene, grazie anche agli inserti di elettronica che servono a rendere maggiormente cyborg il tutto, una vera e propria delle possibili e quanto ami attuali relazioni fra uomo e macchina. Certamente il gruppo nelle sue visioni futuristiche si spinge molto in là rispetto ai tempi che viviamo, ma non si creda che siamo tanto lontani dalle storie narrate dal gruppo.
Un secondo disco convincente ed un album piacevole che va oltre il nu metal e durerà anche oltre l’estate.

Tracklist:
1.Signal Flares
2.ratD4GG3R
3.Order_66
4.#RAGE
5.Master Manipulator
6.A Dying Star
7.Nothing
8.Glow

Line-up:
Dylan Kleinhans – VOX
Justin Dabney – Guitar
Drew Miller – Drums
Glenn Desormeaux – Bass

https://www.facebook.com/NoSelf/

Corrosive Sweden – Blood And Panic

La band svedese suona rock/metal dal buon groove, moderno e alternativo, la sua idea di metal mantiene un’attenzione particolare per le melodie dal buon appeal radiofonico, anche se non mancano accelerazioni di stampo thrash a mettere un po’ di adrenalina a questa raccolta di brani.

Attivi addirittura dal 1997, i Corrosive Sweden hanno un solo full length all’attivo (Wanted uscito tredici anni fa), contornato da una manciata di lavori minori e ora raggiunto da questo nuovo lavoro intitolato Blood And Panic.

La band svedese suona rock/metal dal buon groove, moderno e alternativo, la sua idea di metal mantiene un’attenzione particolare per le melodie dal buon appeal radiofonico, anche se non mancano accelerazioni di stampo thrash a mettere un po’ di adrenalina a questa raccolta di brani.
Molto bravo il cantante Johan Bengtsson, aggressivo e melodico a seconda dell’evenienza e carine le canzoni che si assestano su di una buona qualità.
La particolarità del gruppo svedese consiste nell’anima heavy metal che a tratti fa capolino su tracce dall’attitudine che scontra con solos classici, mentre da un momento all’altro le atmosfere cambiano repentinamente costringendo l’ascoltatore a lunghi balzi tra un genere e l’altro.
Nell’insieme l’album risulta piacevole, con le melodie che sono l’arma vincente del gruppo in brani dal buon appeal come Fire From A Gun, la title track ed Angry Me, in un mix in parte riuscito di heavy metal ed alternative rock.
A mio avviso i Corrosive Sweden danno il meglio nei brani più rock oriented, grazie anche all’ottima voce del cantante dal buon talento melodico, perdendo qualche punto quando nei brani vengono inseriti sferraglianti assoli classic heavy metal che lasciano il tempo che trovano.

Tracklist
1.Fire from a Gun
2.Blood and Panic
3.Speed
4.Angry Me
5.Angel or a Beast
6.Terrified as I Die
7.Parasite
8.At the Top
9.Black Paint

Line-up
Johan Bengtsson – Vocals
Christer Ulander – Guitar, Keyboard, backing vocals
Peter Forss – Guitar, backing vocals
Daniel Hedin – Drums
Magnus Nordin – Bass

https://www.facebook.com/CorrosiveSweden/

Streambleed – Enslave The World Forever

Groove metal alla massima potenza, tra tradizione e modernità in arrivo dall’Austria tramite la Wormholedeath, che ci invita al massacro perpetuato dagli Streambleed.

Un potentissimo e devastante meteorite metallico di dimensioni enormi in caduta libera sulla terra.

Groove metal alla massima potenza, tra tradizione e modernità in arrivo dall’Austria tramite la Wormholedeath, che ci invita al massacro perpetuato dagli Streambleed, giovane quintetto attivo dal 2015 e ora giunto al debutto con questo debordante esempio di groove/thrash metal intitolato Enslave The World Forever, composto da undici deflagranti esplosioni metalliche.
Fin dall’inizio, con Damnation, veniamo travolti e schiacciati da questa massa di note che, libere come l’acqua di un bacino enorme dopo il crollo di una diga, travolge senza lasciare nulla al suo passaggio.
Siamo nel metal statunitense nato tra gli anni novanta e i primi vagiti del nuovo millennio, con i Pantera a fare da capostipiti di una famiglia estrema che ha portato scompiglio nel circuito metallico degli ultimi anni, unendo tradizione thrash ed attitudine modern, con il sound potenziato da overdose di groove.
Hate & Destroyed, la pachidermica Obsessed, la drammatica e soffocante atmosfera di Black Rain, il massacro causato dalla devastante Panic At The Moshpit, alzano l’atmosfera da tregenda di un lavoro che tracima violenza da tutti i pori.
Machine Head e Devil Driver caricati come pallettoni e sparati ad altezza d’uomo, amplificandone attitudine estrema, impatto e groove: questo è il mastodobticoEnslave The World Forever.

Tracklist
1. Damnation
2. Hated And Destroyed
3. Obsessed
4. Supersystem
5. Enslave The World Forever
6. Black Rain
7. Voice Of The Stream
8. Between Fire And Fire
9. Panic At The Moshpit
10. The Final Hour
11. Let It Out Loud (Bonus Track)

Line-up
Stefan Weilnböck – Vocals
Stefan Wöginger – Guitar
Christian Rosner – Guitar
Jakob Reiter – Bass
Tobias Mayrhofer – Drums

https://www.facebook.com/streambleed/

Diamond Head – The Coffin Train

I Diamond Head hanno dato vita ad un lavoro per nulla nostalgico, pur rimando in un ambito classico, dove le varie tracce (bellissime The Messeger, Shades Of Black e The Sleeper) formano un muro musicale dove potenza, eleganza metallica e forza espressiva costituiscono la miscela che cementa il sound di The Coffin Train.

Otto album non sono certo tantissimi, considerato che la data di nascita dei Diamond Head si perde nella seconda metà degli anni settanta, eppure dopo alti e bassi e lunghi silenzi uno dei gruppi più influenti della new wave of British heavy metal è tornata nel nuovo millennio con una costanza che gli ha permesso di licenziare ben quattro lavori con il precedente distante “solo” tre anni da questo nuovo album intitolato The Coffin Train.

La band più progressive di tutto il movimento che cambiò la storia della musica rock, tornata a far parlare di se anche grazie alle parole di stima dei Metallica che non hanno mai nascosto l’amore per il gruppo di Stourbridge, dà alle stampe un album di notevole impatto, roccioso, travolgente ed assolutamente classico nel seguire i dettami del genere che loro stessi hanno contribuito a diffondere, mantenendo le peculiarità che ne hanno consacrato il nome nell’olimpo del metal.
Trentanove anni dal debutto i Diamond Head targati 2019, forti di un cantante di razza come Rasmus Bom Andersen, arrivato alla corte di Brian Tatler cinque anni fa.
Produzione moderna e sfavillante, songwriting vario e sopra le righe in tutte le sue sfaccettature, fanno di The Coffin traina un lavoro dotato degli attributi giusti per trovare un posto al sole nelle classifiche di fine anno, alla voce Heavy Metal.
Si parte alla grandissima con Belly Of The Beast e non si scende più da una qualità di altissimo livello, puro heavy metal che si crogiola nell’hard & heavy nato nei sobborghi inglesi a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, reso appunto moderno ed in linea con i nostri giorni da produzione ed arrangiamenti che ringiovaniscono il sound rendendolo appetibile anche per i giovani kids nati nel nuovo millennio.
I Diamond Head hanno dato vita ad un lavoro per nulla nostalgico, pur rimando in un ambito classico, dove le varie tracce (bellissime The Messeger, Shades Of Black e The Sleeper) formano un muro musicale dove potenza, eleganza metallica e forza espressiva costituiscono la miscela che cementa il sound di The Coffin Train.

Tracklist
01. Belly Of The Beast
02. The Messenger
03. The Coffin Train
04. Shades Of Black
05. The Sleeper (Prelude)
06. The Sleeper
07. Death By Design
08. Serrated Love
09. The Phoenix
10. Until We Burn

Line-up
Rasmus Bom Andersen – Vocals
Brian Tatler – Guitars
Andy Abberley – Guitars
Dean Ashton – Bass
Karl Wilcox – Drums

https://www.facebook.com/DiamondHeadOfficial

Damage S.F.P. – Damage S.F.P.

I primi Metallica sono la band che emerge di più tra le influenze artistiche dei Damage S.F.P., ma il riferimento va preso con le pinze perché qui si viaggia a tripla velocità e potenza.

La Rockshots Records accende la miccia e fa saltare una diga di note thrash metal travolgenti come una massa d’acqua che distrugge ogni cosa al suo passaggio.

I Damage S.F.P. arrivano all’esordio con una serie di brani scritti tra il 1991 ed il 1994 da tre amici provenienti da Helsinki: Jarkko ”Jaake” Nikkilä (voce e chitarra), Antti Remes (basso) e Tero Lipsonen (batteria).
La band, scioltasi nel 1996, torna sulle scena underground metallica con questo esordio omonimo sulla lunga distanza, di fatto primo lavoro a parte i due demo stampati nel 1993 e nel 1996.
Thrash metal classico portato all’estremo da tuoni e fulmini hardcore e death, un sound che non conosce compromessi, veloce, potente ed inarrestabile e classicamente old school (e non può essere diversamente visto l’anno di creazione dei brani).
Niente di nuovo nello spartito delle varie Death Of Innocent, Ruthless Fate, della devastante Tyrant e nelle aperture melodiche di In Termination, solo speed/thrash metal attoa a a creare un indistruttibile muro sonoro.
I primi Metallica sono la band che emerge di più tra le influenze artistiche dei Damage S.F.P., ma il riferimento va preso con le pinze perché qui si viaggia a tripla velocità e potenza.

Tracklist
1. Ride
2. Death of Innocent
3. Ruthless Fate
4. Tyrants
5. Insomnium (inst.)
6. Ode to Sorrow
7. Tragedy
8. Grain Brain
9. Crying for Relief
10. In Termination
11. Burst of Rage

Line-up
Jarkko ”Jaake” Nikkilä – Vocals and Guitars
Antti Remes – Bass
Tero Lipsonen – Drums

https://www.facebook.com/damage.sfp

Rogga Johansson – Entrance to the Otherwhere

Un quadro di emozionante metal estremo che riporta il death metal scandinavo alle glorie dei primi anni novanta grazie a questo immenso personaggio, uno che la storia del genere continua a scriverla imperterrito, anche grazie a lavori come Entrance to the Otherwhere.

Non contento di regnare sul mercato underground del metal estremo di matrice death metal con le sue numerosissime uscite di band e progetti che lo vedono prortagonista ( Dead Sun, Down Among the Dead Men, Johansson & Speckmann, Megascavenger, Necrogod, Paganizer, Putrevore, Ribspreader, Grotesquery, tra le altre), Rogga Johansson torna con un nuovo album a suo nome, un altro bellissimo esempio di swedish death metal potentissimo e melodico.

L’album si intitola Entrance to the Otherwhere, segue di due anni il precedente Garpedans, e vede il musicista scandinavo alle prese con tutti gli strumenti, lasciando la sola batteria a Brynjar Helgetun dei Grotesquery.
Licenziato dalla Transcending Obscurity Records, il nuovo album conferma il talento compositivo di Johansson, non solo a livello quantitativo (vista la quantità di uscite che ogni anno lo riguardano), ma soprattutto per la qualità elevata che si evince da questa nuova raccolta di brani.
Pur mantenendo ben saldo il suo legame con il death classico, Entrance to the Otherwhere riesce nell’impresa di risultare un lavoro fresco, dalla forza espressiva dirompente e dalle melodie incastonate nel sound terremotante che ricordano non poco i primi Edge Of Sanity.
I riff dark/metal su cui sono strutturati gran parte dei brani di questo bellissimo lavoro, fanno da colonna sonora al magnifico artwork creato da Mariusz Lewandowski, un quadro di emozionante metal estremo che riporta il death metal scandinavo alle glorie dei primi anni novanta grazie a questo immenso personaggio, uno che la storia del genere continua a scriverla imperterrito, anche grazie a lavori come Entrance to the Otherwhere.
Anche se non c’è un solo un brano che scenda al di sotto dell’eccellenza, tracce come Tills Bergets Pulls, When The Otherwhere Open e la title track, sono una sorta di una lezione pratica di come si debba suonare il death metal scandinavo di stampo melodico.
Uno dei lavori più belli firmati da Rogga Johansson negli ultimi anni, e con questo ho detto tutto.

Tracklist
1.The Re-Emergers
2.Till bergets puls
3.When the Otherwhere Opens
4.Giants Walking at Night
5.As Evil Seeps Out
6.Berget vaknar
7.Entrance to the Otherwhere
8.A Journey into Fear
9.In the Grip of Garpedans

Line-up
Rogga Johansson – All music and lyrics
Session drums – Brynjar Helgetun (THE GROTESQUERY)

https://www.facebook.com/roggaofficial

Steignyr – Myths Through The Shadows Of Freedom

Un disco importante per il genere, decisamente dentro all’alveo celtico del folk metal, e una buona prova da parte di un gruppo che è una sicurezza e che è destinato a crescere ulteriormente.

Gruppo folk metal da Barcellona con grande esperienza alle spalle, gli Steignyr pubblicano l’ultima fatica su Art Gates Records.

Nata nel 2012, la band propone un folk metal molto influenzato dal mondo celtico, vicino al power metal e al thrash, con forti innesti di tastiere. La capacità compositiva porta a scrivere vere e proprie storie, canzoni che diventano fiabe e ci permettono di immergerci totalmente in un’epoca che non è la nostra. Myths Through The Shadows Of Freedom è un disco molto fedele al titolo, nel senso che racconta miti o meglio archetipi, persi nelle ombre della storia, ombre che confondono ciò che è mito e ciò che è invece reale e questo è il bello delle storie, la loro possibilità. Qui è bella anche la musica, un folk metal melodico e molto piacevole, che ti cattura dalle prime note e porta avanti un discorso stilistico certamente non inedito ma di indubbia efficacia. Il loro incedere piacerà sia a chi è un ortodosso del genere, e anche a chi si avvicina per la prima volta ad un genere come il folk metal che vi regalerà molte gioie se seguite i gruppi giusti, e gli Steignyr sono sicuramente fra loro. Il loro impasto sonoro è al servizio della narrazione, con momenti molto epici e di grande presa, con un gran lavoro delle tastiere di Hyrtharia che danno un tocco speciale al tutto. Il disco è da ascoltare tutto, come se fosse la lettura di un poema epico, un ricordare qualcosa che ha sempre fatto parte di noi e che questa maledetta modernità ha sopito per troppo tempo, soprattutto quel senso di meraviglia di fronte alle cose belle che l’uomo ha sempre avuto. Un disco importante per il genere, decisamente dentro all’alveo celtico del folk metal, e una buona prova da parte di un gruppo che è una sicurezza e che è destinato a crescere ulteriormente.

Tracklist
1. Salvation Through Divinity
2. Those Who Lie
3. Black Rain
4. Calling The Immortals
5. Frost Wolf
6. Moonlight Forest
7. Arrows Of Time
8. You’ll Never Be Forgotten
9. Light Beast
10. Whisper Calling
11. Frozen In Time
12. Myths Through The Shadows Of Freedom
13. The Seven Eyes Of God

Line-up
Jön thorgrimr – Vocals and guitar
Seimdar Fjolnir – Guitars
Lena – Keyboard and vocals
Hyrtharia – Bass and vocals
Zelther – Drums

https://www.facebook.com/Steignyr

Memoriam – Requiem For Mankind

Requiem For Mankind continua nella sua totale devozione al death metal di scuola britannica, ma l’album riesce a convincere grazie ad una freschezza che era mancata in passato.

Tornano Karl Willets ed i suoi Memoriam con il terzo lavoro in tre anni, sempre con i Bolt Thrower a fare da padrini, ma questa volta con molta più birra in corpo rispetto agli album precedenti (For The Fallen e The Silent Vigil, usciti rispettivamente nel 2016 e 2018).

Requiem For Mankind continua nella sua totale devozione al death metal di scuola britannica, ma l’album riesce a convincere grazie ad una freschezza che era mancata in passato.
Non solo una riproposizione stantia dei dettami dettati da Bolt Thrower e Benediction, ma la track list di quest’ultimo lavoro vive di puntate estreme di ottimo livello, tra rallentamenti, mid tempo e accelerazioni improvvise, dettate da un buon lavoro compositivo ed una ritrovata forma.
E non a caso si parla di Bolt Thrower e Benediction, le due band che, oltre a essere insieme ai Napalm death le colonne portanti del death metal anglosassone, sono la casa dei membri del gruppo dalla provenienza divisa tra la coppia di micidiali schiacciasassi inglesi.
Requiem For Mankind non deluderà i fans del death old school grazie ad una raccolta di brani dove terremoti ritmici e melodie metalliche si scagliano contro l’ascoltatore a colpi di cannonate estreme, le dieci tracce in programma non scherzano ad efficia e scorrevolezza, lasciando senza fiato per impatto, e non stancando neanche dopo ripetuti ascolti.
I musicisti, che di esperienza ne hanno da vendere, mostrano muscoli ed un’innata rabbia che si trasforma in violenza musicale tra le trame di brutali canzoni come l’opener Shell Shock, Never The Victim, il groove di The Veteran e la spettacolare title track.
Questa volta Karl Willets (Bolt Thrower), Scott Fairfax (Benediction), Frank Healey (Benediction) e Andy Whale (Bolt Thrower) hanno fatto le cose per benino e Requiem For Mankind, non deluderà gli amanti del death metal classico, potentissimo, terremotante e pericoloso come un cingolato impazzito.

Tracklist
1.Shell Shock
2.Undefeated
3.Never The Victim
4.Austerity Kills
5.In The Midst Of Desolation
6.Refuse To Be Led
7.The Veteran
8.Requiem For Mankind
9.Fixed Bayonets
10.Interment

Line-up
Karl Willets – Vocals
Scott Fairfax – Guitars
Frank Healey – Bass
Andy Whale – Drums

https://www.facebook.com/Memoriam2016/

Scimmiasaki – Trionfo

A parte le definizioni, che sono sempre sclerotiche, gli Scimmiasaki sono uno di quei gruppi che fa musica malinconica e dolce al contempo, che ti riportano a gusti che sembravano dimenticati, a momenti che hanno segnato la nostra esistenza.

Gli Scimmiasaki sono un gruppo italiano che appartiene alla nuova onda dell’indie pop rock italiano, attingono da varie tradizioni, in primis quella alternativa italiana declinata verso il punk, prendono qualcosa dell’emo e fondamentalmente sono un gruppo rock altro.

A parte le definizioni, che sono sempre sclerotiche, gli Scimmiasaki sono uno di quei gruppi che fa musica malinconica e dolce al contempo, che ti riportano a gusti che sembravano dimenticati, a momenti che hanno segnato la nostra esistenza. Canzoni come Giostra sono un po’ il manifesto dei nostri anni, dove tutto è stato detto, tutto è stato fatto ma rimane qualcosa, e quel qualcosa deve essere ricercato in profondità. Trionfo è un disco che non è mai ovvio, riesce a portare avanti con dolcezza e fermezza certe istanze molto importanti. Innanzitutto non si atteggiano a fenomeni, nel senso che hanno testi diretti e semplici che gli calzano a pennello, anche la musica è sempre bilanciata e prodotta molto bene. In certi momenti si arriva addirittura in territori power pop, che sono il regno adatto per questo gruppo che è sempre piacevole e riesce ad imprimere delle belle cose nella nostra mente. Quello che si respira qui è una certa lucida serenità in mezzo al disastro che sono i nostri tempi, non ci sono tante coordinate, ma raccontare alla maniera degli Scimmiasaki significa già molto, come raccontano in Vorrei, non sono rimpianti ma desideri. Altra cosa notevole è la bellissima copertina di Riccardo Torti, disegnatore anche di Dyland Dog e di altre collane di casa Bonelli. La copertina illustra la perfetta meccanica del tiro nella pallacanestro, e sarebbe l’optimum, ma l’importante è metterla nel cesto, e difendere ovviamente. Molto buona la produzione di Andrea “Sollo” Sologni dei Gazebo Penguins, che dà un tocco molto personale al suono dei Scimmiasaki.
Un disco da sentire e da guadagnarci tempo, perché qui il tempo non è mai perso.

Tracklist
01.Giardini
02.Tutto Bene
03.Giostra
04.Denti
05.Il Pianto
06.Trionfo
07.Castello
08.Caro Mio
09.Merda
10.Vorrei

Line-up
GIACOMO voce e chitarra
PEPPE chitarra e voce
NIKI basso
SANTIAN batteria

https://www.facebook.com/scimmiasaki/