Vis – Vis Et Deus

Ancora una volta la Jolly Roger si distingue per un’iniziativa che aiuta a conoscere e comprendere la scena italiana dei primordi, valorizzando il lavoro e la passione di questi autentici pionieri del metal nel nostro paese.

Per suonare hard & heavy ci vuole anche forza (in latino Vis) e il gruppo nostrano di forza hard rock ne sprigionava molta, anche se Vis Et Deus, demo autoprodotto valse alla band un contratto con la Promosound che non portò successivamente altri frutti.

Fondata nel lontano 1984 dal batterista Mario Rusconi e dal chitarrrista Marco Becchetti, con il basso di Gino Ammaddio e la voce di Johnny Salani (con un passato nella Strana Officina), la band torna a far parlare di sé grazie al prezioso lavoro della nostrana Jolly Roger, che si è premurata di rimasterizzare l’album.
Vis Et Deus è un buon esempio dell’hard & heavy che si suonava all’epoca, con uno sguardo all’heavy metal britannico, all’hard rock che arrivava dalla terra dei canguri con qualche riff ispirato dai fratelli Angus e chiaramente debitore della band leggenda di quegli anni nel nostro paese, la Strana Officina.
L’album parte benissimo con Maria Stuarda, heavy rock dal retrogusto epico, ma la ballad Lacrime nella Pioggia riporta la band sulle strade dell’hard blues.
Inno Al Rock (dal titolo scontato) è forse il brano più puramente metallico di tutto il disco, dalle ritmiche che ricordano i primi Saxon, mentre Caronte è un mid tempo dove torna quel leggero tocco epico, già evidenziato sull’opener.
Il resto dei brani sono puro ottanta Style, perciò tanto entusiasmo da parte del gruppo (all’epoca non era così facile lasciare il segno per i gruppi metal) espresso tramnite inni hard & heavy che ora possono rivelarsi scontati, ma che all’epoca inorgoglivano i fans del genere.
Ancora una volta la Jolly Roger si distingue per un’iniziativa che aiuta a conoscere e comprendere la scena italiana dei primordi, valorizzando il lavoro e la passione di questi autentici pionieri del metal nel nostro paese.

TRACKLIST

1.Maria Stuarda
2.Lacrime Nella Pioggia
3.Inno Al Rock
4.La Ballerina Nera
5.Nanà La Gatta
6.Caronte
7.Rocker Batti Il Tuo Pugno
8.Vis Et Deus

LINE-UP

Johnny Salani – Vocals
Marco Becchetti – Lead Guitar
Gino Ammaddio – Bass
Mario Rusconi – Drums

VOTO
7.50

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Dead End – Reborn from the Ancient Grave

Reborn from the Ancient Grave torna al sound primordiale, un lento incedere catacombale, a tratti agitato da tempeste death metal, ma per gran parte della sua durata mosso dall’inerzia del doom, potente, oscuro e monolitico.

Gli olandesi Dead End provengono dalla scena death metal olandese dei primi anni novanta e fanno parte di quella variante estrema che vi accostava al potenti rallentamenti doom e sfumature gotiche, tipiche di quello che viene consciuto dagli amanti dei suoni estremi come doom/death.

Gli inizi del gruppo portano al 1988 e ai primi tre anni del decennio successivo, periodo dove il gruppo rilasciò due demo ed un ep ed affiancò in sede live nomi storici del metal nato nei Paesi Bassi come Gorefest, Phlebotomized e Pestilence.
Un silenzio durato più di vent’anni, rotto lo scorso anno dall’annuncio da parte della Vic Records del ritorno in pista del gruppo, in mano all’unico membro originario, il bassista Alwin Roes.
Puntuale arriva dopo circa dodici mesi un nuovo lavoro, il primo sulla lunga distanza, un album che, nel genere, è da considerare certamente old school.
Non sono più molte infatti le band che adottano queste sonorità, all’epoca nuova frontiera del metal estremo, poi evolutosi con l’aggiunta di sfumature dark/gothic e sinfonie, accompagnate molto spesso da femminee voci operistiche.
Niente di tutto questo, Reborn from the Ancient Grave torna al sound primordiale, un lento incedere catacombale, a tratti agitato da tempeste death metal, ma per gran parte della sua durata mosso dall’inerzia del doom, potente, oscuro e monolitico.
Meno gotici dei primissimi Paradise Lost, oscuri e pesanti come i primi The Gathering e Celestial Season, con il sound potenziato da dosi massicce di Bolt Thrower e Asphyx, l’album nel suo genere è un toccasana per le anime oscure che a dolci sinfonie preferiscono le malate trame chitarristiche pervase da un malsano odore di morte, tratti magmatici che si ritrovano a profusione tra le trame delle buone Haze of Lies, Mea Culpa e la sepolcrale Wearing the Cloak, la più gotica ed emozionante traccia del lotto che conclude alla grande questo manifesto ai primi passi del genere.
Un buon ritorno, c’è da sperare che i Dead End riescano a trovare ulteriore nuova spinta da questo lavoro.

TRACKLIST
01. David’s Theme (Intro)
02. Dead End (Reborn)
03. Haze of Lies
04. Trail of Despair
05. Mea Culpa
06. Wither
07. Another Weakness
08. Venture
09. Nails of the Martyr
10. Wearing the Cloak

LINE-UP
Bryan – Vocals
Jeroen R – Guitar
Arjan – Guitar
Alwin Roes – Bass
Harald – Drums

DEAD END – Facebook

Misanthropic Rage – Gates No Longer Shut

Come appare chiaro dal monicker scelto, la misantropia la fa da padrone, una malinconica e rabbiosa solitudine raccontata attraverso sette brani articolati di black metal progressivo.

Debuttano, tramite la Godz Ov War Productions, gli avantgarde black metallers Misanthropic Rage, duo polacco formatosi solo lo scorso anno.

Un ep di rodaggio licenziato all’inizio dell’anno ed ora questo Gates No Longer Shut, lavoro sufficientemente ispirato per accontentare gli amanti del black metal dalle trame progressive e dalle molte parti atmosferiche.
Il duo composto da W. alla voce e dal polistrumentista AR. rientra nella schiera di gruppi che, all’approccio oscuro ed maligno del black, aggiunge soluzioni atmosferiche intimiste e buone parti in cui risalta l’uso vario delle ritmiche.
Non mancano chiaramente le classiche sfuriate chitarristiche, lo scream diabolico e le partenze a razzo, ma in generale i brani mantengono la caratteristica di piccole e varie suite dove il gruppo si lascia andare in cangianti sfumature dai colori scuri.
Come appare chiaro dal monicker scelto la misantropia la fa da padrone, una malinconica e rabbiosa solitudine raccontata attraverso sette brani articolati che vedono nelle armonie acustiche di Into The Crypt, nel violento incedere che si trasforma in una marcia doom della seguente Niehodowalny e nelle trame maligne della conclusiva I Took The Fate In My Hands, i momenti migliori di Gates No Longer Shut.
In generale l’album risulta in grado di regalare spunti interessanti, aiutato da una produzione discreta, manca forse il classico brano sopra la media che possa trainare tutti gli altri, ma si può certo considerare il lavoro dei Misanthropic Rage come una buona partenza.

TRACKLIST
1.In A Blind Dimension
2.Gates No Longer Shut
3.I, The Redeemer
4.Into The Crypt
5.Niehodowalny
6.Cross Hatred
7.I Took The Fate In My Hands

LINE-UP
W. – Vocals
AR. – Vocals, All instruments

MISANTHROPIC RAGE – Facebook

Eris Pluvia – Different Earths

Un buon lavoro, ispirato ed emozionante, pervaso di oscura e melanconica tristezza e perciò, in questi tempi di allegria artefatta, non per tutti.

Il rock progressivo torna sulle pagine di MetalEyes con il terzo lavoro dei genovesi Eris Pluvia, attivi dal 1980 anche se non troppo prolifici.

Siamo infatti arrivati solo al terzo album in più di trent’anni, eppure l’esordio Rings Of Earthly Light è considerato un must del rock progressivo uscito dallo stivale, dopo l’epoca aurea del decennio precedente.
Gli Eris Pluvia tornano così con un nuovo album ed una formazione rivoluzionata, dopo che Third Eye Light segnò il primo lavoro del nuovo millennio, anche se arrivato solo nel 2010 e, per di più, il gruppo l’anno dopo deve scontrarsi con il destino che li priva del tastierista Paolo Raciti, elemento importantissimo nell’economia del loro sound.
L’opera a lui dedicata, Different Earths, pur con qualche elemento innovativo prosegue la tradizione il percorso del gruppo ligure, il progressive rock che esce dalla mente e dagli strumenti è assolutamente ispirato alla tradizione, dunque l’album è dedicato ai fans del genere e nel genere si specchia nel suo elegante e raffinato incedere.
Trattasi di un concept legato alla condizione del pianeta e dell’impatto negativo dell’uomo su di essa, raccontato con una vena melanconica che porta inevitabilmente a pensare, lasciando che la musica fluisca in noi come l’acqua di un ruscello montano.
La musica degli Eris Pluvia mantiene un approccio delicato e, anche nei momenti più tragici e bui, la band continua a cesellare note incantevoli, intimiste ed avvolte in una tristezza radicata in anni testimoni del decadimento del nostro pianeta e dunque dell’uomo, ormai totalmente alla mercé di sé stesso.
Nove i brani che caratterizzano Different Earths, con il cuore dell’album lasciato alla bellissima ed emozionate Heroes Of The Dark Star e all’ incantevole Aqua.
Buona la prestazione, raffinata e mai urlante, di Roberto Minniti alla voce, e quella di Roberta Piras al flauto, che valorizza con interventi crimsoniani il sound di Different Lights, incentrato come giù espresso sul progressive rock tradizionale di Genesis e Camel.
Un buon lavoro, ispirato ed emozionante, pervaso di oscura e melanconica tristezza e perciò, in questi tempi di allegria artefatta, non per tutti.

TRACKLIST
1. Renaissance (TDOMS Reprise)
2. Man on a Rope
3. Aqua
4. Rain is Falling
5. Poet’s Island
6. Black Rainbow
7. Heroes of the Dark Star
8. Springtime Drop
9. The Door of my Soul

LINE-UP
Alessandro Cavatorti – guitars, words
Marco Forella – bass, piano, acoustic guitar, keyboards, drums, percussion
Roberta Piras – flute
Roberto Minniti – vocals

ERIS PLUVIA – Facebook

Revel In Flesh – Emissary Of All Plagues

Il gruppo tedesco è oggi uno dei migliori rappresentanti della vecchia scuola nord europea, con in sound che non ha nulla di originale ma porta con sé atmosfere uniche nel suo genere

Era il finire del 2014 quando uscì Death Kult Legions, terzo lavoro sulla lunga distanza degli straordinari deathsters tedeschi Revel In Flesh, un album che si posizionò molto in alto nelle preferenze del sottoscritto un paio di anni fa.

I nostri tornano dopo due anni esatti da quel monumento al death metal scandinavo con un nuovo album, confermando l’assoluta qualità del loro death metal,  ed Emissary Of All Plagues risulta un altro monolite pesante, oscuro, malvagio e quanto mai devastante.
Accompagnato da una splendida copertina, che più horror e catacombale non si può (Juanjo Castellano, artista dal talento smisurato che ha imprestato la sua matita anche per i lavori di Paganizer, Putrevore, Ribspreader e molti altri), ma soprattutto con ancora la supervisione del guru Dan Swanö negli storici Unisound studios, il nuovo lavoro torna a tormentare le notti dei deathsters con una serie di brani d’alta scuola, alternando come da prassi mid tempo, rallentamenti e devastanti ripartenze in un’apoteosi di sonorità old school da applausi.
Il gruppo tedesco è oggi uno dei migliori rappresentanti della vecchia scuola nord europea, con in sound che non ha nulla di originale ma porta con sé atmosfere uniche nel suo genere, con un talento nel saper inserire solos, ripartenze e brusche frenate che ha del miracoloso.
Come già nel suo predecessore qui non c’è un brano senza un appeal estremo sopra la media: solos melodici forgiati in cimiteri dimenticati dal tempo, valorizzano brani nati per produrre massacri, mentre il growl cavernoso si staglia sul sound che ricorda a più riprese ora i Sanity del loro maestro, ora gli Entombed, prima che la furia iconoclasta dei primi Hypocrisy prenda il sopravvento.
Un album che non ha un cedimento alcuno e che riversa fiumi di sangue con una serie di tracce tra le quali Casket Ride, Servants Of The Deathkult e Sepulchral Passage sono quelle trainanti, con la conclusione lasciata alla cover di Doctor Doctor degli storici hard rockers UFO, che volete di più?

TRACKLIST
1. Emissary of All Plagues
2. Casket Ride
3. Fortress Of Gloom
4. Servants Of The Deathkult
5. Torture Throne
6. The Dead Lives On
7. Lord Of Flesh
8. Sepulchral Passage
9. Dead To This World
10. Doctor Doctor (UFO-Cover)

LINE-UP
Haubersson – Vocals
Maggesson – Guitars
Vögtsson – Drums
Herrmannsgard – Guitars
Götzberg – Bass

REVEL IN FLESH – Facebook

Perpetual Demise – Arctic

Ristampa che, per gli amanti della buona musica estrema, risulta un acquisto obbligato, ed un ringraziamento alla Vic Records per le molte chicche metalliche riportate alla luce nell’ultimo periodo.

I Perpetual Demise fanno parte della scena olandese dei primi anni novanta, un nido di talenti che ha dato alla scena metallica estrema più di quello che molti esperti sostengano, anche a distanza di decenni.

Un manipolo di band che al death metal ha sempre avuto un approccio progressivo, chi imbastardendolo con sonorità doom/gothic, chi evolvendolo con suoni provenienti da generi agli antipodi come jazz e fusion, chi invece, mantenendo un approccio furioso e selvaggio, ma sempre condizionato da sperimentazioni ed una fantasia mai doma.
Nato a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo, il gruppo proveniente dalla terra dei tulipani rientra nella schiera delle realtà dell’epoca, con un modo di suonare metal estremo che conciliava la pesantezza e brutalità del death metal con atmosfere vicine al doom ed una tecnica che permetteva alle band di avvicinarsi al progressive, prime avvisaglie di quello che poi si sarebbe sviluppato e diventato suo malgrado un trend, specialmente nei paesi scandinavi.
La ristampa in questione presenta il primo e solo album sulla lunga distanza targato 1996, più vari brani presenti nei primi demo della band, in particolare When Fear Becomes…, uscito nel 1993.
La musica dei Perpetual Demise, pur con la sua vena progressiva e doom, conquista subito l’ascoltatore: il sound pesante e a tratti monolitico ha, nel combinare growl e voce pulita, il suo punto di forza (non così abituale ai tempi), coniugato ad un’ottima tecnica strumentale e a cambi repentini di tempo e sfumature.
Più di settanta minuti, praticamente tutto quello che in sette anni il gruppo ha saputo offrire ai fans dell’epoca, non poco vista la qualità della musica proposta, di livello altissimo come nella scena estrema olandese dell’epoca.
Ristampa che, per gli amanti della buona musica estrema, risulta un acquisto obbligato, ed un ringraziamento alla Vic Records per le molte chicche metalliche riportate alla luce nell’ultimo periodo.

TRACKLIST
1.Of Confusion and Brutality
2.The Lord Paramount
3.Arctic
4.The Observer
5.Pyramids
6.Fall
7.Triangle Eye
8.The Tower
9.Upon Dark Grounds
10.On the Edge
11.Denial & Faith
12.Where the Ancients Remains
13.Cynical Control
14.Scarred by Silence
15.Awaiting the Unexpected
16.Conspiracy of Fear
17.Massacre To Be

LINE-UP
Mike Antoni – Guitars
Alex Krouwel – Bass
Alex Dubbeldam – Drums
Armand Wijskamp – Guitars, Vocals

Dead Behind The Scenes – Black EP

Come già scritto in occasione del primo lavoro, i Dead Behind The Scenes sono una band da seguire con molta attenzione, oltre che rappresentare uno degli esempi più fulgidi della bontà della scena alternative dello stivale.

A distanza di un anno tornano i Dead Behind The Scenes con il Black ep che segue il precedente White, uscito sempre con il supporto della Atomic Stuff.

Per chi non conoscesse la band milanese, il quintetto è dedito ad un rock alternativo ispirato da una vena progressiva (specialmente in questo capitolo) ed un impatto da punk rock band, con il singer Dave Bosetti dal particolare cantato che si avvicina a quella di Les Claypool dei Primus, ed una personalità spiccata che riesce a far risultare il gruppo sempre convincente in ognuna delle sfumature musicali che compogono il suo sound.
Il Black ep è molto più ragionato ed intimista rispetto al primo lavoro, anche il concept che si basa sulle paure ed il rifiuto di esse da parte dell’individuo, è perfettamente inserito in questo ottimo esempio di rock alternativo tragico ed oscuro, che accompagna il viaggio nei meandri dell’io.
Il risultato è convincente e la parte tooliana del sound del gruppo è chiaramente più in luce rispetto al passato, apportando una velo di sperimentazione che preclude un facile ascolto ma non per questo ne abbassa la qualit, tutt’altro.
Living On My Own cambia subito le carte in tavola rispetto all’opener Empty Skies, più progressiva rispetto all’approccio alternative /punk della seconda, ma è un attimo perché Etius e Valentine, dal tappeto di synth in stile dark wave, portano a Mr.Paranoia, capolavoro non solo di questo album ma di tutta la discografia finora prodotta dal gruppo, in un crescendo di emozioni tra Tool e Smashing Pumpkins.
Si ritorna all’alternative rock progressivo dell’opener, con la conclusiva A.T.M. (All These Memories) sunto del mood oscuro e tragico di questo lavoro, un dischetto che ipoteticamente accompagnato dal primo (lasciandoli comunque separati) formerebbe un’unica opera assolutamente interessante e fuori dagli schemi.
Come già scritto in occasione del primo lavoro, i Dead Behind The Scenes sono una band da seguire con molta attenzione, oltre che rappresentare uno degli esempi più fulgidi della bontà della scena alternative dello stivale.

TRACKLIST
1. Empty Skies
2. Living On My Own
3. Etius
4. Another Valentine
5. Mr. Paranoia
6. A.T.M. (All These Memories)

LINE-UP
Dave Bosetti – lead vocals, guitar
Marco Tedeschi – guitar
Lorenzo Di Blasi – keyboards, piano
Valerio Roman – bass
Chris Lusetti – drums, backing vocals

DEAD BEHIND THE SCENES – Facebook

Myrkgrav – Takk og farvel; tida er blitt ei annen

Un album entusiasmante, che merita l’attenzione non solo dei fans del genere, ma anche degli amanti della buona musica.

Dalle lande scandinave arriva il menestrello Lars Jensen, polistrumentista e studioso norvegese trapiantato in Finlandia, che con la sua creatura musicale arriva con questo lavoro alla seconda uscita sulla lunga distanza.

Dieci anni fa usciva il primo album (Trollskau, Skromt Og Kolabrenning), poi una manciata di lavori minori fino ad arrivare a questo bellissimo Takk og farvel; tida er blitt ei annen, un ‘opera che nel genere si piazza tra le migliori uscite degli ultimi tempi.
Non è un caso che i Myrkgrav siano diventati un nome di culto nel panorama folk metal, la loro musica evocativa e molto profonda riesce ad entusiasmare per un’ottima padronanza della materia e non mancherà di convincere gli amanti del genere.
La musica prodotta dai Myrkgrav è quanto di più evocativo mi sia capitato di sentire nel folk metal, ben bilanciata tra cavalcate metalliche e brani dalle sognanti armonie.
Aiutato in qualche brano da Erlend Antonsen (basso), Bernt Fjellestad (clean vocals) e Olav Luksengård Mjelva (violino tradizionale), Larsen sfoggia una tecnica notevole ed un songwriting ispiratissimo, la sua musica si fa spazio dentro di noi come se avesse qualcosa di magico e non sono pochi i momenti in cui, chiudendo gli occhi, potremmo ritrovarci immersi nella natura norvegese, circondati dalla foresta o al cospetto di baite perse nel bianco manto di neve.
Una vena malinconica attraversa l’album, tanto da ritenere di non scrivere un’eresia giudicando l’opera come un disco d’autore più che di semplice folk metal d’assalto.
I brani da menzionare sarebbero molti, ma in particolare colpiscono i bellissimi strumentali, addirittura quattro, intensi, metallici e armoniosi, colonne sonore paesaggistiche di una Norvegia da scoprire e di cui Spålsnatt e la splendida Østa glette sono gli esempi più fulgidi del talento di Jansen.
Takk og farvel; tida er blitt ei annen risulta così un album entusiasmante, che merita l’attenzione non solo dei fans del genere, ma anche degli amanti della buona musica.

TRACKLIST
1.Skjøn jomfru (Norwegian version)
2.Vonde auer
3.Bakom gyrihaugen
4.Soterudsvarten
5.Om å danse bekhette (10th anniversary edition)
6.Spålsnatt
7.Tørrhard
8.Finnkjerringa (10th anniversary edition)
9.Østa glette
10.Sjuguttmyra
11.Uttjent
12.Tviom!
13.Skjøn jomfru (English version)
14.Takk og farvel

LINE-UP
Lars Jensen – All instruments and vocals
Olav Luksengård Mjelva – Hardanger fiddle
Erlend Antonsen – Bass
Bernt Fjellestad – Clean vocals

MYRGRAV – Facebook

Phazer – Un(Locked)

Un(Locked) si sviluppa su quasi un’ ora di ottime sonorità che dal rock tradizionale fluttuano tra le miriadi di generi che formano l’universo della nostra musica preferita

Il bello di muoversi nei meandri dell’underground metal/rock è quella sensazione che si prova quando (e fortunatamente capita spesso) ci si trova al cospetto di grandi album e gruppi sopra la media, che dal nulla o quasi si affacciano sul mercato, tramite piccole ma ottime label e ci travolgono con la loro musica.

Nell’hard rock moderno è diventata una prassi specialmente nei paesi latini, incontrare realtà che, ispirate da oltre quarant’anni di musica del diavolo, licenziano album di granitico, esplosivo e travolgente rock pesante.
Questa volta il gruppo in questione, i Phazer, arriva dal Portogallo (Lisbona) e tramite la Ethereal Sound Works, affiancata da altre due label (Raging Planet e Raising Legends) licenzia questo ottimo Un(Locked), secondo lavoro su lunga distanza: sono ormai una dozzina d’anni che il quintetto suona hard rock e, vista la qualità altissima del nuovo lavoro, si può affermare che lo faccia anche molto bene.
Un(Locked) si sviluppa su quasi un’ora di ottime sonorità che dal rock tradizionale fluttuano tra le miriade di generi che formano l’universo della nostra musica preferita: dal metal, all’alternative fino al groove hard rock moderno, con una serie di tracce dall’alto tasso adrenalinico, potenti, varie e a tratti dure come l’acciaio.
La maggiore dote di Paulo Miranda (un vocalist da applausi) e compagni risulta la totale mancanza di riferimenti espliciti: nell’ascolto dell’album si passa dal metal, all’hard rock, da sonorità moderne o ispirate dai gruppi storici, in un battito di ciglia, ma sempre mantenendo una qualità altissima.
Le ritmiche sono un contenitore di micidiale groove, le chitarre a tratti inventano melodie per poi strapparci le carni con solos taglienti come rasoi, Miranda trasforma la sua voce da singer metal per antonomasia a rocker di stampo moderno (Myles Kennedy, tanto per citarvi il numero uno) e poi via sull’ ottovolante Phazer, in un saliscendi di emozioni che Gone, Dance In The Fire, Wake Up To Die e via una dopo l’altra, tutte le altre canzoni regalano in questo splendido tributo al metal/rock del nuovo millennio.
Un album davvero bello ed ispirato, una band coi fiocchi e tanta grande musica.

TRACKLIST
1.Gone
2.The Last Warrior
3.The Blind King
4.Dance in the Fire
5.King Shit
6.Hold Me
7.Sun of Glory
8.Wake up to Die
9.No Remedy
10.Mystic Land
11.Drifter
12.Zygote
13.Mr. Frae
14.Locked Inside

LINE-UP
Paulo Miranda – Vocals
Gil Neto – Guitar
Carlos Falé – Bass
Nuno Cruz – Drums

PHAZER – Facebook

Ancestral – Master Of Fate

Master Of Fate sprizza furia metallica genuina, magari per molti già sentita e risentita, ma ottimamente suonata e prodotta, epica nel suo glorificare il metal classico in tutti i suoi aspetti più conosciuti che non smetteremo comunque di amare, in barba ai detrattori e ai fautori dell’originalità a tutti i costi.

Una mazzata tremenda di power speed metal è in arrivo via Iron Shields, nuova label degli Ancestral, band proveniente da Trapani di ritorno sul mercato dopo un silenzio lungo dieci anni.

Il gruppo infatti, attivo dall’alba del nuovo millennio, dopo due demo aveva esordito con il full length The Ancient Curse nel 2007, per poi sparire e tornare più forte di prima con il nuovo Master Of Fate.
Dieci anni di silenzio e grosse novità nelle line up, con i fratelli Mendolia a formare la devastante sezione ritmica, Alessandro Olivo alla sei corde e poi i due nuovi innesti, l’axeman Carmelo Scozzari (al posto di Giovan Battista Ferrantello) e Jo Lombardo che prende il posto di Mirko Olivo dietro al microfono.
Master Of Fate sarà sicuramente una grossa sorpresa per gli amanti del power metal classicamente tedesco, senza ghirigori orchestrali tanto di moda negli ultimi tempi, con l’ acceleratore sempre premuto a tavoletta, una prova di sezione ritmica e chitarre convincente e con un Lombardo sontuoso al microfono; l’album a tratti risulta travolgente, una botta di vita power/speed come non se ne sentono poi così tante in giro, neanche dalla germanica terra natia.
La band non fa sconti e parte alal meglio, Back To Life è subito grande metal classico, ritmiche serrate, grandi chorus, sei corde che si rincorrono tra ritmiche veloci come il vento e mid tempo rocciosi, un’apoteosi di suoni metallici impreziositi dalla prova incandescente del singer e di un songwriting che fino alla conclusiva cover degli Helloween (Savage) non lascia respiro.
Master Of Fate sprizza furia metallica genuina, magari per molti già sentita e risentita, ma ottimamente suonata e prodotta, epica nel suo glorificare il metal classico in tutti i suoi aspetti più conosciuti che non smetteremo comunque di amare, in barba ai detrattori e ai fautori dell’originalità a tutti i costi.
Il power metal tedesco è la base del lavoro, poi si rinviene qualche accenno all’heavy classico, tanta epica melodia e sfuriate ritmiche che sfiorano il thrash, con chitarre  le sei corde che sputano lingue di fuoco come i molti vulcani della Sicilia: Master Of Fate è questo, con due o tre brani entusiasmanti (la title track, lo strumentale Refuge Of Souls ed il massacro intitolato On The Route Of Death) che trainano una tracklist priva di cedimenti di sorta.
Un pezzo di granito power speed consigliato a tutti i true defenders, del resto gli Ancestral non potevano rientrare sulle scene in modo migliore.

TRACKLIST
1. Back To Life
2. Wind Of Egadi
3. Seven Months Of Siege
4. Master Of Fate
5. Refuge Of Souls (instr.)
6. Lust For Supremacy
7. No More Regrets
8. On The Route Of Death
9. From Beyond
10. Savage (Helloween cover)

LINE-UP
Jo Lombardo – Vocals
Carmelo Scozzari – Guitars
Alessandro Olivo – Guitars
Massimiliano Mendolia – Drums
Domiziano Mendolia – Bass

ANCESTRAL – Facebook

Skiltron – Legacy of Blood

Gli Skiltron si confermano un gruppo che, in un genere piuttosto inflazionato come il folk metal, riesce a mantenere una sua precisa identità, sfornando lavori che, senza far gridare al miracolo, sicuramente non tradiscono gli amanti di queste sonorità

Folk metal d’assalto, potenziato da aggressive ritmiche power, brani che trascinano in highlands dove scorre il sangue come torrenti dal color rosso porpora, mentre la cornamusa guida l’assalto dei fratelli in armi sulle pianure spazzate dal vento.

Benvenuti all’interno del nuovo lavoro degli argentini Skiltron, folk power metal band, conosciuta anche dalle nostre parti per via degli ottimi quattro lavori usciti tra il 2006 ed il 2013.
Sudamericana, ma devoti musicalmente e concettualmente alla tradizione scozzese, la band di Buenos Aires ci consegna un altro ottimo lavoro che segue fedelmente la strada intrapresa da ormai una decina d’anni.
Si entra così nel mondo epico e guerresco del folk metal, il gruppo mantiene però intatta la sua verve metallica e ne escono nove tracce robuste, con la cornamusa sempre in primo piano a dettare i tempi della battaglia.
Il genere è questo, prendere o lasciare, nessuna novità ma tanta buona musica per una quarantina di minuti fuori dal tempo: le atmosfere create dal gruppo, i chorus epici e le ottime cavalcate metalliche formano una raccolta di brani dal buon appeal e non si fatica a memorizzare le melodie tradizionali create dallo storico strumento a fiato, vero protagonista di brani che sprizzano orgoglio e fierezza come l’opener Highland Blood, il mid tempo Commited To The Call e l’epica The Taste Of Victory.
Un album che, pur nella sua semplice lettura, troverà sicuramente estimatori sia nei fans del folk metal che in quelli del power, perché non si rilevano forzature o cedimenti e la band riesce a mantenere interessante ed affascinate l’ascolto per tutta la sua durata.
Gli Skiltron si confermano un gruppo che, in un genere piuttosto inflazionato come il folk metal, riesce a mantenere una sua precisa identità, sfornando lavori che, senza far gridare al miracolo, sicuramente non tradiscono gli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Highland Blood
2. Hate Of My Life
3. Committed To The Call
4. Sailing Under False Flags
5. The Taste Of Victory
6. Rise From Any Grave
7. Sawney Bean Clan
8. All Men Die
9. I’m Coming Home (Bonus-Song)

LINE-UP
Martin McManus – Vocals
Emilio Souto – Guitars, Mandolin, Bouzouki, Vocals
Ignacio López- Bass
Matías Pena – Drums
Pereg Ar Bagol – Bagpipes, Tin whistle

SKILTRON – Facebook

Wyld – Wyld

Il pregio del quintetto è tutto nel saper suonare il genere senza risultare troppo psichedelico: in Wyld non troverete jam sabbathiane o lunghe suite drogate, ma buoni brani dall’elevato appeal radiofonico.

Ancora senza il supporto di una label, ma con tanta voglia di sfondare tornano i parigini Wyld, heavy rock band di cui vi avevamo parlato un paio di anni fa in occasione dell’uscita del loro primo ep Stoned.

Il gruppo transalpino continua la sua marcia nel nuovo continente, attraverso la sua musica che più statunitense di così non si può, ma sicuramente d’impatto, stonerizzata il giusto per piacere alle nuove leve dell’hard rock moderno, colma di groove e dall’ottimo appeal.
Capitanati dalla voce calda e desertica del buon Raphael Maarek , i Wyld hanno dalla loro un sound caldo e potente, abbinano hard rock desertico sfumature southern metal e post grunge, in un sound che dei Black Label Society è figlio legittimo.
La ricetta è semplice: prendete questi ultimi, un pizzico di Down, una bella manciata di Seattle sound, et voilà, il ricco piatto a base di heavy hard rock è servito, in uno dei tanti ristoranti di Parigi, dove i Wyld sono cresciuti a baguette e rock ‘n’ roll.
Questo debutto omonimo sulla lunga distanza piace, i brani hanno presa immediata sull’ascoltatore, grazie ad un buon songwriting che, se mi passate il termine, risulta ruffiano il giusto per fare bella mostra di sé in sede live, dove la musica del gruppo trova terreno fertile per sfondare con tutta la sua potenza e groove.
I brani presenti nell’ep ci sono tutti, raggiunti da una manciata di tracce che confermano l’indirizzo stilistico del gruppo, mentre il basso pulsa come un cuore impazzito, le chitarre mantengono per tutta la durata dell’album un suono pieno, ed il vocalist gioca con tonalità che sono legge per il rock dall’alto potenziale heavy stoner.
Il pregio del quintetto è tutto nel saper suonare il genere senza risultare troppo psichedelico: in Wyld non troverete jam sabbathiane o lunghe suite drogate, ma buoni brani dall’elevato appeal radiofonico.
Un buon ritorno o ancor meglio un’ottima vera partenza con questo album omonimo, a conferma che un paio di anni fa ci avevamo visto giusto.

TRACKLIST
1. Stoned
2. Venomous Poison
3. Heads or Tails
4. Just Another Lie
5. The Last Man Standing
6. Bring Me the Night
7. Wyld N’Loud
8. Hyperion
9. The Fugitive
10. Ritual

LINE-UP
Raphael Maarek – Lead vocals
Chante Basma – Rhythm guitars
Jeffrey Jacquart – Lead & rhythm guitars
Jérôme Sérignac – Bass guitar & backing vocals
Rémi Choley – Drums & percussions

WYLD – Facebook

Feral – From The Mortuary Ep

Quando il death metal scandinavo è suonato con l’impatto di queste sei tracce che vanno a formare il nuovo ep dei Feral, non c’è né per nessuno.

Quando il death metal scandinavo è suonato con l’impatto di queste sei tracce che vanno a formare il nuovo ep dei Feral, non c’è né per nessuno.

Old school è la parola chiave, quella vecchia scuola dei maestri nord europei che ha fatto storia, influenzando una buona fetta del metal estremo mondiale e che il gruppo svedese elargisce con questa ventina di minuti di alto livello.
Quattro brani nuovi, più la cover di Relentless dei doomsters Pentagram, e la riedizione di un brano del 2011 (Necrofilthiac) è quello che ci propongono i Feral, gruppo nato quasi una decina di anni fa, con alle spalle una serie di demo, uno split con i Revel In Flesh e due full length, ragged to the Altar del 2011 e Where Dead Dreams Dwell, uscito lo scorso anno.
From The Mortuary non lascia dubbi sull’indirizzo musicale del gruppo: suonare death metal senza compromessi, meglio se di scuola scandinava e con un approccio travolgente a suon di riff granitici, velocità e mid tempo sconvolgenti ed un lavoro sulle sei corde che spezza ossa come una clava chiodata.
Non ci troverete niente di più nel sound dei Feral, ma il loro sporco lavoro lo sanno fare bene ed il massacro, sotto i colpi di The Hand of the Devil, Reborn in the Morgue e The Rite, è assicurato.
Scomodato l’artista Costin Chioreanu per l’immagine di copertina (At The Gates, Primordial, Arch Enemy, Mayhem e molti altri) e mixato e masterizzato da l’ex chitarrista della band Petter Nilsson, l’ep in questione è sicuramente un lavoro da non perdere, un primo passo per approfondire eventualmente la loro discografia.

TRACKLIST
1. The Hand of the Devil
2. Reborn in the Morgue
3. The Cult of the Head
4. The Rite
5. Necrofilthiac (2016)
6. Relentless (PENTAGRAM-Cover)

LINE-UP
David Nilsson – Vocals
Viktor Klingstedt – Bass
Markus Lindahl – Guitar
Roger Markström – Drums

FERAL – Facebook

Ruxt – Behind The Masquerade

Un album d’altri tempi che, forse, avrebbe fatto eruttare vulcani, scintillare spadoni e creato in cielo ponti colorati: fatelo vostro e questi miracoli si avvereranno sotto l’effetto della musica dei Ruxt.

Forse non tutti sanno che Jorn Lande non solo è uno dei più accreditati eredi del grande Ronnie James Dio, ma in passato ha portato in giro per i palchi la musica degli Whitesnake con i The Snakes della coppia Moody/Marsden con cui ha registrato l’album di inediti Once Bitten ed un live nel 1998.

Il riferimento non è affatto casuale, perché questo nuovo super gruppo ligure chiamato Ruxt , ha nel vocalist Matt Bernardi (Purplesnake) il suo Jorn, spettacolare singer, perfetto per valorizzare questa sontuosa raccolta di brani che di classic metal si nutre, così come si abbevera alla fonte dell’hard rock.
In compagnia del singer troviamo la coppia di chitarristi Stefano Galleano ed Andrea Raffaele (Snake, Rock.It), il bassista Steve Vawamas (Athlantis, Mastercastle) e il batterista Alessio Spallarossa (Sadist).
In uscita per la label genovese Diamonds Prod., Behind The Masquerade letteralmente incanta grazie non solo alla clamorosa performance del cantante al microfono, ma anche per un songwriting ispiratissimo ed una produzione cristallina.
Quasi settanta minuti immersi nel heavy/ hard rock ispirato dalla famiglia Deep Purple, così oltre che al serpente bianco, anche l’arcobaleno più famoso del rock fa capolino tra le nobili note suonate dal gruppo, con l’aggiunta di un pizzico di Dio solista ed ovviamente della discografia del cantante norvegese che della famiglia è l’erede.
Dal momento in cui il mid tempo di Scare My Demons ci accoglie nel mondo dei Ruxt , per quasi settanta minuti veniamo travolti da suoni che hanno fatto storia, tra mid tempo epici, hard rock blues drammatici di scuola Whitesnake e sontuosi brani heavy metal, dove le chitarre non mancano di riversare tempeste di solos classici forgiati sul monte dove il pugno degli dei tenne stretto l’arcobaleno di Blackmore .
Niente di originale, solo hard & heavy che ogni amante del genere dovrebbe ascoltare con le mani giunte, ringraziando quello in cui crede per questo inatteso regalo, davvero straordinario nel tributare un modo di fare rock che fino ad oggi aveva i suoi massimi esponenti in Lande e negli svedesi Astral Doors, ma a cui si aggiunge il quartetto ligure grazie alle splendide Spirit Road, Where Eagles Fly, Lead Your Destiny (su cui si posa il corvo simbolo del Lande solista) e ancora Daisy e Between The Lies.
Un album d’altri tempi che, forse, avrebbe fatto eruttare vulcani, scintillare spadoni e creato in cielo ponti colorati: fatelo vostro e questi miracoli si avvereranno sotto l’effetto della musica dei Ruxt.

TRACKLIST
1.Intro
2.Scare My Demons
3.Soul Keeper
4.Spirit Road
5.Forever Be
6.Where Eagles Fly
7.Lead Your Destiny
8.A New Tomorrow
9.Daisy
10.Life
11.Between The Lies
12.Forgive me
13.Madness Of Man
14.Soldier of Fortune

LINE-UP
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessio Spallarossa- Drums

RUXT – Facebook

NordWitch – Mørk Profeti

Le scariche di adrenalina estrema non mancano in brani dal buon piglio ma, a causa di alcuni difetti dettati dall’inesperienza, i Nordwitch non vanno oltre la sufficienza piena.

Esordio sulla lunga distanza per questa giovane band ucraina, un quintetto che suona del black/death metal melodico dai buoni spunti e personale quel tanto per non passare inosservata, soprattutto per gli amanti del genere.

Con al microfono una gentil donzella dalle corde vocali di un orco arrabbiato, ma dalle trame chitarristiche che fanno della melodia il loro punto di forza, il gruppo proveniente dall’est è protagonista di una discreta prova, incentrata su di un metal estremo che non disdegna devastanti fughe ritmiche al limite del black, mid tempo di stampo death metal di ispirazione scandinava e tanta melodia.
Il growl è brutale e dannato, a tratti fin troppo per il mood generale del disco, un dettaglio che alla lunga pesa sulla resa generale di un album che ha tutte le caratteristiche per piacere agli amanti del death metal melodico.
Le scariche di adrenalina estrema non mancano in brani dal buon piglio come, Lady Evil e The Call to an Ancient Evil, cuore pulsante di un lavoro di genere ben congegnato ma, per i difetti dettati dall’inesperienza, non va oltre la sufficienza piena.
In un mondo come quello del metal estremo, ormai inflazionato dal numero spropositato di album vomitati dal web, un lavoro come Mørk Profeti rischia seriamente di passare inosservato anche ai fans più accaniti del genere, ma gli spunti interessanti non mancano così come una buon lavoro incentrato sulle melodie, il che lo rende comunque meritevole di un ascolto.

TRACKLIST
1.Mørk profeti (Intro)
2.Dominion
3.Walker from the Shade
4.Lady Evil
5.The Call to an Ancient Evil
6.To Nord Gods
7.No Regret
8.Messiah of Death

LINE-UP
Max Senchilo – Bass
Max – Guitars (lead)
Leo – Guitars (rhythm)
Masha – Vocals
Donets Stepan – Drums

NORDWITCH – Facebook

Aenigma – The Awakening

Al primo lavoro gli Aenigma confermano di essere una band dal buon potenziale, del resto le caratteristiche principali per piacere ai fans del genere ci sono tutte.

Un altro gruppo si affaccia sulla scena symphonic gothic metal tricolore, si tratta dei toscani Aenigma.

La band licenzia il suo primo lavoro, questo ep dal titolo The Awakening, sette brani compresi di intro e cover (Song Of Durin della cantante Eurielle) per un mezz’oretta di symphonic gothic metal ben strutturato, dal piglio cinematografico, che alterna potenza power, atmosfere epic/folk ed una buona ma mai invadente parte orchestrale.
Nata tre anni fa ed arrivata al debutto dopo qualche assestamento nella line up, la band lascia sicuramente un’ottima impressione sull’ascoltatore, le sue carte sono tutte al posto giusto e The Awakening si presenta come un album professionale sotto tutti gli aspetti.
Chiaro che il genere, ormai, non lascia particolare spazio all’originalità, e le influenze dichiarate dal gruppo sono più o meno quelle che si riscontrano all’ascolto dei brani ma, complici la buona prova della singer (Caterina Bianchi) ed un impatto heavy sostenuto dal tappeto orchestrale prodotto dalle tastiere, The Awakening funziona e risulta sicuramente un’ottima partenza per gli Aenigma.
Subito dopo l’intro la band si gioca il jolly con il suo brano migliore, Your Ghost: un symphonic power metal dai tratti gothic, pregno di melodia, potente nelle ritmiche e dall’ottimo appeal.
Silence lascia ai tasti d’avorio il compito di aprire le danze, il chorus è ancora una volta azzeccato, mentre il brano in generale segue le coordinate del suo predecessore.
Unleash The Storm lascia spazio alla bellissima e già citata Song Of Durin, canzone dalle atmosfere epic/folk interpretata con delicata maestria dalla Bianchi, qui in versione elfica, mentre il power metal di Weakness e le ottime orchestrazioni della conclusiva The Darkest Side ci accompagnano al finale di questo buon lavoro.
Al primo lavoro gli Aenigma confermano di essere una band dal buon potenziale, del resto le caratteristiche principali per piacere ai fans del genere ci sono tutte.

TRACKLIST
1. Intro
2. Your ghost
3. Silence
4. Unleash the storm
5. Song of Durin(Eurielle Cover)
6. Weakness
7. The darkest side

LINE-UP
Caterina Bianchi – Vocals
Matteo Pasquini – Drums
Lorenzo Ciurli – Guitars, Vocals
Denis Hajolli – Keyboards
Valerio Mainardi – Bass

AENIGMA – Facebook

Entrapment – Through Realms Unseen

Gli Entrapment ci regalano uno degli ultimi colpi dell’anno in campo death metal, ed è un colpo che fa male

Per la Pulverised Records esce questa bomba death metal, ultimo lavoro della one man band Entrapment, divenuta un quartetto, probabilmente per portare la propria musica on stage, ma ben salda nelle mani del polistrumentista Michel Jonker da Groningen, Olanda.

Una storia discografica che vede, sotto il monicker Entrapment, l’uscita in appena sei anni di una manciata di demo e split, più due full length, predecessori di Through Realms Unseen, usciti rispettivamente nel 2012 e nel 2014 (The Obscurity Within… e Lamentations of the Flesh), la band sforna il suo miglior lavoro, diretto, tremendamente old school e travolgente nel lavoro della sei corde ispiratissima.
Rivolgendo lo sguardo alla scena scandinava dei primi anni novanta, Jonker colma il gap con il nuovo millennio a suon di groove, così che il sound,  pur nella sua anima tradizionale, non perde un grammo nei confronti del death metal rivisto e aggiornato degli ultimi tempi.
Il suono sporco dei primi Nihilist ed Entombed, si amalgama ad una produzione piena e perfetta nel ritagliare uno spazio importante alla sei corde, che non manca di lasciare a bocca aperta per la quantità di solos che in alcuni brani riecheggiano come scudisciate sulla schiena del Cristo, mentre a tratti una valanga estrema ci travolge, pregna di groove.
Ottimo il growl sporco e vicino al Petrov del capolavoro Wolverine Blues, mentre la title track è un brano di una potenza indicibile, un muro sonoro di immani proporzioni; Omission, in apertura, ci squarta il ventre con assoli taglienti come rasoi e Dominant Paradigm è strutturata su vortici ritmici, prima di lasciare che rallentamenti doom e ripartenze fulminee ci tolgano il respiro.
Gli Entrapment ci regalano uno degli ultimi colpi dell’anno in campo death metal, ed è un colpo che fa male.

TRACKLIST
1. Omission
2. The Seeker
3. Static Convulsion
4. Ruination
5. Dominant Paradigm
6. Withering Souls
7. Isolated Condemnation
8. Through Realms Unseen
9. Hybrid Maelstrom
10. Discordant Response
11. Self Inflicted Malnutrition

LINE-UP
Michel Jonker- -All instruments, Vocals

ENTRAPMENT – Facebook

MindAheaD – Reflections

Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.

Nei Campi di Controllo della Mente il tempo sembrava essersi fermato all’ultima Grande Guerra; il progetto di recupero informazioni non era terminato del tutto, la macchina adibita a tale compito era ormai vecchia ed il soggetto collegato ad essa,#6119, cercava di resistere alle allucinazioni causate dagli innesti di falsi ricordi e di false emozioni.

Il debutto dei toscani MindAheaD parte da qui, da questo concept dalla chiara trama sci-fi, ed il sound che accompagna la storia passa agevolmente dal progressive al metal estremo per un ottimo risultato finale.
La Revalve come label e Simone Mularoni ad occuparsi della masterizzazione nei suoi Domination Studios sono sicuramente garanzie di qualità, e la band sfrutta a dovere i suoi jolly con un’opera intrigante e ben congegnata.
Il gruppo fondato dal chitarrista Nicola D’Alessio, con un passato in Hellrage ed Athena nel 2010, dopo alcuni assestamenti nella line up arrivano finalmente al traguardo del primo full length, un concept come nella migliori tradizione progressiva, soluzione in questi anni molto utilizzata pure dai gruppi metal ed estremi.
E di metal si nutre la musica del sestetto, così come di death e prog, riuscendo a far convivere le varie influenze in un unico caleidoscopio di musica e sfumature dai colori scuri, pregni di drammatica follia.
Un viaggio soprattutto mentale che porta inevitabilmente ad una alternanza tra passaggi intimisti e crimsoniani, e sfuriate death metal tecnicamente ineccepibili.
L’uso delle due voci accentua questo scendere e salire sull’ottovolante mentale, disturbato e rabbioso (il growl) delicatamente epico e dai tratti gotici (la voce femminile), mentre la musica dona cangianti sfumature progressive.
Dopo l’intro, l’incedere estremo dei primi tre brani è di assoluto impatto, con Mind Control a prendersi la scena e far risplendere le capacità strumentali dei vari musicisti del gruppo, con la sezione ritmica a dispensare furia metallica e le voci a duettare in una tempesta estrema.
I dieci minuti di Amigdala fungono da sunto della musica del gruppo toscano, parti atmosferiche si danno il cambio a sezioni metalliche più accentuate, la vena progressive infonde nel sound un tocco maturo, adulto, lasciando che le oscure trame musicali si insedino dentro all’ascoltatore.
Ad un ascolto superficiale si potrebbe scambiare facilmente i MindAheaD per un gruppo gothic metal, come i tanti che invadono il mercato odierno, ma non fatevi ingannare dall’uso della voce femminile, la musica del gruppo va oltre ai soliti cliché e si insinua tra i meandri del progressive metal, con la giusta personalità per ritagliarsi un prezioso spazio tra le migliori realtà nostrane.

TRACKLIST
1.Intro: Reflection
2.Remain Intact
3.Mind Control
4…On the Dead Snow
5.Amigdala
a. Anxiety
b. Fear
c. Panic
6.Emerald Green Eyes
7.The Mask Through the Looking Glass
a. Ballad of the Mad Jester
b. The Mask
8.Farewell
9.Three Sides of a Dangerous Mind
a. The Fall in the Subconscious
b. My Dirty Soul
c. Three Are My Faces
10 Outro: Memories

LINE-UP
Frank Novelli – Vocals
Kyo Calati – Vocals
Nicola D’Alessio – Guitar
Guido “Shiboh” Scibetta – Guitar
Matteo Prandini – Bass
Matteo Ferrigno – Drums

MINDAHEAD – Facebook
https://www.youtube.com/watch?v=Y7q2eXjn-p4

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Vircolac – The Cursed Travails of the Demeter

Tra le trame di The Cursed Travails of the Demeter si respira l’aria intrisa di un fetore luciferino come negli storici album a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo

La notte di Halloween tra le tombe di un vecchio cimitero nei pressi di Dublino, una creatura abominevole è nata per portare orrore e morte a colpi di death metal old school.

Accompagnato da una copertina semplice ma assolutamente perfetta, The Cursed Travails of the Demeter ha visto la luce proprio il 31 Ottobre e data non poteva essere migliore, per gli irlandesi Vircolac, nel dare i natali al loro primo ep, successore di due demo usciti in questi primi tre anni di attività.
Death metal old school, con produzione avvolta dalla coltre di nebbia che nasconde questo regno dei morti, ed atmosfere horror vecchio stampo, quindi nel sound del gruppo non troverete orpelli di nessun genere, solo death metal catacombale, marcio e in decomposizione perenne.
Il growl arriva da due metri sotto terra e il suono,  imprigionato da ragnatele vecchie di centinaia di anni e poste tra una tomba e l’altra, è assolutamente senza compromessi.
Per i deathsters ancora aggrappati con le unghie e con i denti alla vecchia scuola underground estrema, l’opera dei Vircolac non mancherà di soddisfare la sete di tenebre, con tutte le loro insidie, tra fughe dagli zombie in doppia cassa e lente agonie di morte, con un salto nel doom/death più scarno ed essenziale ma tremendamente coinvolgente.
E la lunga e conclusiva Betwixt the Devil and Witches è infatti la traccia più riuscita dell’album, terrificante, oscura e maligna, un lungo rito per propiziatorio di morte.
Un buon ep che gli amanti dei suoni old school apprezzeranno, d’altronde tra le trame di The Cursed Travails of the Demeter si respira l’aria intrisa del fetore luciferino, come negli storici album a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo.

TRACKLIST
1.The Cursed Travails of the Demeter
2.Charonic Journey (Stygian Revelation)
3.Lascivious Cruelty
4.Betwixt the Devil and Witches

LINE-UP
KB – Bass
JG – Guitars, Keyboards
DvL – Vocals
BMC – Guitars
NH – Drums, Vocals

VIRCOLAC – Facebook

Witchery – In His Infernal Majesty’s Service

Il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

E si torna a navigare a vele spiegate verso l’inferno, dopo sei lunghi anni di attesa in compagnia degli Witchery.

Il gruppo svedese, che si avvicina al ventennale di una carriera all’insegna del più devastante death/black ‘n’ roll, e che vede tra le sue file quel monumento al metal estremo che risulta Sharlee D’Angelo, bassista che nei suoi lunghi anni di militanza nella scena metal ha fatto parte di band che chiamare storiche è un eufemismo (Arch Enemy, Spiritual Beggars, The Night Flight Orchestra, Mercyful Fate, Illwill, King Diamond, Sinergy, tra le tante) insieme all’axeman Patrik Jensen, e di altri tre stregoni cattivissimi, torna a far danni con questo ultimo ed infernale lavoro e sono dolori.
Erano altri tempi quando il tramonto della prima ondata del death metal melodico scandinavo era alle porte e quello che, allora, venne definito dai più un super gruppo estremo, spazzò via le ultime resistenze delle truppe melodiche, sotto i colpi mortali di un sound scarno, diretto, violento e senza compromessi, racchiuso negli ormai seminali Restless & Dead (1998) e Red, Hot & Ready (1999); dopo altri tre album nel decennio scorso, la band si ripresenta a sei anni di distanza dall’ultima uscita, con una line up in parte rinnovata dai nuovi innesti di Chris Barkensjo alle pelli ed Angus Norder a sbraitare collera e blasfemie sugli undici devastanti brani che compongono In His Infernal Majesty’s Service.
Poche nuove, buone nuove, si dice: gli Witchery tornano più malvagi e sinistri che mai, il loro sound continua a mietere vittime sui roghi del metal estremo pregno di attitudine death/black e con quell’insano gusto rock ‘n’ roll che fa la differenza; i due nuovi compari sono all’altezza del compito e l’album si lascia ascoltare che è un piacere tra pochi ma perfetti camei horror, metal estremo di alto rango ed un impatto che molte delle nuove leve si sognano.
I titoli sono tutto un programma da Nosferatu, a The Burning Salem, da Lavey-athan (devastante opener) all’organo messianico che fa da preludio all’enorme Escape From Dunwich Valley, traccia che fa scuola tra le file degli adepti al genere.
Un ritorno, per certi versi a sorpresa, che non poteva essere più gradito: il nuovo album risulta uno dei migliori della discografia degli Witchery nel nuovo millennio e noi non possiamo che inchinarci a cotanta maestria in questo tipo di sonorità.

TRACKLIST
1. Lavey-athan
2. Zoroast
3. Netherworld Emperor
4. Nosferatu
5. The Burning Of Salem
6. Gilded Fang
7. Empty Tombs
8. In Warm Blood
9. Escape From Dunwich Valley
10. Feed The Gun
11. Oath Breaker

LINE-UP
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead Guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook