Pain – Coming Home

Un album che sintetizza il credo musicale odierno del musicista svedese, un rock industriale dal piglio melodico, dark nelle atmosfere ma arioso nello spirito.

Peter Tägtgren si può certamente considerare insieme a Dan Swanö la mente più geniale del panorama metal scandinavo: leader dei seminali Hypocrisy, con cui ha scritto una serie di lavori irrinunciabili per gli amanti del death metal nord europeo prima, ed ora assoluto protagonista delle divagazioni elettro/industrial dei Pain, con in mezzo centinaia di album prodotti che ne hanno fatto una firma prestigiosa anche dietro alla consolle.

Tägtgren torna con i suoi Pain dopo la collaborazione con Till Lindemann, vocalist dei Rammstein, e Coming Home già dal titolo si preannuncia come un ritorno al progetto che ad oggi considera il solo mezzo per liberare la sua creatività, lontano dai dettami estremi di una band storica come gli Hypocrisy, focalizzandosi su di un genere che possiamo sicuramente considerare la strada ultima del musicista e produttore svedese.
Aiutato da Clemens Wijers per le orchestrazioni (Carach Angren), Tägtgren aggiunge un altro tassello alle fondamente della casa Pain con un lavoro godibilissimo, ultra melodico, ma ritmicamente pesante di quegli umori industriali che indubbiamente portano in terra tedesca e nel cortile della casa dei Rammstein.
Ma attenzione, dove il gruppo tedesco mantiene la sua più fortunata caratteristica, nell’andamento marziale e freddo, la musica dei Pain si nutre di umori dark wave, comuni al rock ottantiano, con l’occhiolino strizzato al pop di quegli anni, fortunato non solo per il metal ma pure per la musica mainstrem.
Ne esce come sempre un lavoro difficile da digerire per i fans storici del Tägtgren cattivo ed estremo dietro al microfono degli Hypocrisy: Coming Home risulta colmo di brani dal piglio radiofonico, una raccolta di episodi godibili in qualsiasi club sparso per le vie notturne delle città europee, meravigliosamente orchestrali, dannatamente irresistibili e commerciali come forse non i Pain prima d’ora non avevano mai prodotto.
Un album che sintetizza il credo musicale odierno del musicista svedese, un rock industriale dal piglio melodico, dark nelle atmosfere ma arioso nello spirito e A Wannabe, Pain In The Ass e Black Knight Satellite ne sono il più fulgido esempio.

TRACKLIST
01 – Designed to Piss You Off
02 – Call Me
03 – A Wannabe
04 – Pain in the Ass
05 – Black Knight Satellite
06 – Coming Home
07 – Absinthe-Phoenix Rising
08 – Final Crusade
09 – Natural Born Idiot
10 – Starseed

LINE-UP
Peter Tägtgren – vocals, guitar, programming

David Wallin – drums
Michael Bohlin – guitar
Johan Husgavfel – bass

PAIN – Facebook

Darkwalker – The Wastelands

Un buon lavoro nel suo complesso che potrebbe anche fare breccia se siete affezionati alle varie correnti statunitensi sviluppatesi nel rock degli ultimi venticinque anni.

Devono ancora arrivare i tempi di vacche magre per i suoni hard rock ispirati agli anni settanta, soprattutto quelli che al rock classico aggiungono atmosfere stoner, direttamente dall’America da sudare e sballare nei deserti infuocati della Sky Valley.

Il trio al debutto su Sleaszy Rider, label greca attiva come non mai in campo underground, dal metal classico ai suoni alternative, si chiama Darkwalker ed il suo primo lavoro è un buon esempio delle sonorità descritte, direttamente dagli States.
Ispirato nei testi all’opera letteraria La Torre Nera, una serie di romanzi di Stephen King molto famosa, che unisce fantasy, fantascienza, horror e western, The Wastelands si aggrega in posizione defilata ma nobile alle uscite del genere in questo 2016, confermando l’ottimo stato di salute che godono queste sonorità.
In verità il gruppo americano lascia che le ispirazioni settantiane siano appena marcate, e da band cresciuta a pane e rock alternativo imprime nel sound una forte impronta post grunge, ipnotizzata da una delicata vena psichedelica e martoriata da potenti dosi di groove stoner novantiano.
Intelligentemente il gruppo, pur ispirandosi ad un’opera prolissa, spende tutta la sua energia in poco più di mezzora, un bene visto che qualche difettuccio non manca nell’autonomia generale del disco.
Voce e chorus per esempio, pur ricordando i Corrosion Of Conformity era Blind, risultano leggermente monocordi, un dettaglio sicuramente, visto che The Wastelands non perde punti, dall’alto del suo potenziale ritmico che risulta il punto di forza del gruppo.
Manca leggermente quel fascino da jam acida che in molti album fa la differenza, puntando sul feeling e l’immediatezza delle opere orientate verso i suoni alternative, confermato da brani ritmati e molto attenti al classico meccanismo strofa-ritornello-strofa, niente di male visto la buona presa di tracce come il singolo Black Thirteen, The Dark Tower e Drawing Of The Three, mentre la palma di miglior brano del disco va alla sabbathiana (ed unica concessione al periodo seventies) The Battle Of Devar-Toi.
Un buon lavoro nel suo complesso che potrebbe anche fare breccia se siete affezionati alle varie correnti statunitensi sviluppatesi nel rock degli ultimi venticinque anni.

TRACKLIST
1. Black Thirteen
2. Gunslingers
3. The Dark Tower
4. Memories Of Another Life
5. Crimson King
6. Drawing Of The Tree
7. The Battle Of Devar-Toi
8. Black Thirteen (bonus video-clip)

LINE-UP
Derek
Hector
Dave

DARKWALKER – Facebook

Baphomet’s Blood – In Satan We Trust

Grande band ed album che ci riconcilia con il genere, per i metallari dai gusti old school da non perdere assolutamente.

Una vera bomba l’ultimo lavoro degli speed thrashers nostrani Baphomet’s Blood, da più di dieci anni in attività con la loro proposta old school e fortemente anticristiana, una delle migliori band per attitudine ed impatto nel genere, alfieri di quel modo di suonare metal ben saldo nei cuori dei metallari di origine controllata.

Il gruppo arriva quest’anno al quarto album sulla lunga distanza, sette anni dopo Metal Damnation, anche questa volta licenziato esclusivamente in vinile, confermando il totale rigetto per il supporto ottico e la devozione per qualsiasi forma old school.
In Satan We Trust risulta un girone infernale di speed/thrash, suonato alla velocità della luce, con iniezioni di furibondo hard’n’roll, irriverente, sfrontato e dannatamente coinvolgente, un pesante ed enorme dito medio innalzato contro la società ed il cristianesimo.
Partono con un ghigno i Baphomet’s Blood e ci fanno aspettare qualche minuto prima che l’inferno sulla terra esploda, l’opener Commando of the Inverted Cross è composta da una prima parte che funge da intro a tutto il lavoro, voce femminea posseduta da qualche demone dall’alta gradazione alcoolica che sfocia in un mood epico orchestrale prima che gli strumenti entrino in gioco per iniziare il vero e proprio massacro sonoro.
Testi che definire blasfemi è un eufemismo sono decantati su un armageddon metallico dove Venom e Motorhead sono i principali istigatori delle nefandezze perpetrate dal gruppo marchigiano, che gioca sporco musicalmente parlando.
Infatti quello che ad un primo impatto risulta un sound estremo di forte impronta speed, viene levigato dall’impronta rock’n’roll motorheadiana, con Necrovomiterror che ricorda il compianto Lemmy e una struttura del sound che tiene la forma canzone per le briglie, senza sconfinare mai nel caos senza capo ne coda.
Mica roba da poco per un disco che mantenendo forte la sua anima old school si avvale di una produzione cristallina il giusto per non perdere neanche una malefica nota di tracce dall’alto tasso evil come Hellbreaker, Triple Six e Whiskey Rocker.
L’album si chiude con la cover di Eleg, brano degli ungheresi Farao, gruppo sconosciuto ai più, che conferma l’attitudine fortemente underground e per nulla scontata del gruppo marchigiano.
Grande band ed album che ci riconcilia con il genere, per i metallari dai gusti old school da non perdere assolutamente.

TRACKLIST
1 – Commando of the Inverted Cross
2 – In Satan We Trust
3 – Hellbreaker
4 – Underground Demons
5 – Triple Six
6 – Infernal Overdrive
7 – Whiskey Rocker
8 – Eleg (Farao cover)

LINE-UP
Necrovomiterror – voce/chitarra
Angel Trosomaranus – chitarra
S.V. Goat Necromancer – basso
S.R. Bestial Hammer – batteria

BAPHOMET’S BLOOD – Facebook

Pay For Pleasure – Pay For Pleasure

Un viaggio nel mondo estremo, così viene presentato l’album: dalla fotografia, al disegno, fino alla musica e ai disturbi psichici, descrivendo un mondo parallelo pregno di atmosfere disturbanti.

I Pay For Pleasure sono un progetto del musicista Anuar Arebi , in questo caso polistrumentista, aiutato su questa sua prima opera da tre vocalist che si alternano sui vari brani (Michele Montaguti, Matteo Marteli e Stefania Martin).

Un viaggio nel mondo estremo, non solo musicale, così viene presentato l’album, un immersione passo dopo passo, brano dopo brano nell’estremismo visto nell’arte in generale: dalla fotografia, al disegno, fino alla musica e ai disturbi psichici, descrivendo un mondo parallelo pregno di atmosfere il più disturbante possibile.
Arebi per descrivere il concept, gioca con una buona fetta di generi che compongono il mondo del metal estremo ed l’ascolto se ne giova risultando vario, oscuro, devastante ma variopinto in arcobaleni dalle sfumature nere come la pece.
Non ci fa mancare nulla il polistrumentista nostrano, passando dal death metal old school, a sonorità più moderne, da brani dove comanda il thrash metal, ad altri dove esce un’anima evil e gotica, tra urla di dolore infinito, torture mentali e terrore profondo.
Il bello è che le tracce mantengono comunque una potenza ed un impatto devastante, un massacro dove la sei corde spara solos al fulmicotone ed i vocalist imprimono di pazza rabbia e sofferenza terribile le atmosfere disturbanti di Pay For Pleasure.
Tra i brani, molti davvero interessanti, The Hanged Man è un piccolo gioiellino estremo, cantata da Matteo Marteli con una forza interpretativa notevole.
Da segnalare la cover di Battery dei Metallica posta prima della conclusiva atmosfera gotica di 25, brano che conclude, accompagnato dalla voce eterea di Stefania Martin, questo affascinante lavoro.

TRACKLIST
1.Matter to Energy
2.The Judgment
3.Burning Times of This Anxiety
4.Daze Suffocation
5.Everlasting Pain
6.Blasted Heart
7.The Hanged Man
8.Carnage Rhapsody
9.State of Insanity (Disturbed Bed Rest)
10.Battery
11.25

LINE-UP
Anuar Arebi – Guitars, Bass, Keyboards, Drums, Programming, Vocals (additional)

Stefania Martin – Vocals
Michele Montaguti – Vocals, Lyrics
Matteo Marteli – Vocals

PAY FOR PLEASURE – Facebook

Them – Sweet Hollow

Se accuserete l’album di avere un sound derivativo avrete scoperto l’acqua calda, lasciate perdere le solite menate da scienziati metallici e godetevi questi cinquanta minuti scarsi di heavy metal horrorifico e spettacolare

Prendete un manipolo di musicisti provenienti da varie scene metalliche, tutti con la passione per la musica del re diamante, formate un supergruppo e dategli il nome di un famoso classico della discografia del singer danese (Them), chiudeteli in uno studio per un po’ di mesi e quando le porte si apriranno, usciranno con un lavoro bellissimo incentrato sulle sonorità tipiche del King Diamond style, ma con l’aggiunta del loro assoluto talento.

Kevin Talley ( ex di una miriade di gruppi tra cui Six Feet Under, Suffocation, Chimaira e Dying Fetus), Richie Seibel ( Ivanhoe, Lanfear,), Troy Norr (Coldsteel), Markus Ullrich (A Cosmic Trail, Lanfear, Septagon), Mike LePond ( Symphony X ed altre mille band) e Markus Johansson, insieme uniti per glorificare la musica metal horror di King Diamond, dopo il promo ep uscito anch’esso quest’anno, tornano con un album nuovo di zecca, ed il risultato farà spellare le mani agli amanti di pietre miliari del metal come appunto Them, Abigail e compagnia orrorifica.
Sweet Hollow è ovviamente un concept (e non poteva essere altrimenti) incentrato sul viaggio di un uomo tra sfortunati eventi e circostanze misteriose, raccontato con tutti i crismi dello storico singer dei Mercyful Fate, con tanto di cantato in falsetto ed interpretazione imoeccabile di Troy Norr, cantante dei Coldsteel e mente dietro a questo progetto.
Ad impreziosire il sound che, chiariamolo, è devoto in tutto e per tutto allo stile di Diamond, ci sono le prove dei musicisti, veri maestri del proprio strumento, alle prese con uno stile che ha fatto storia.
Sweet Hollow non si accontenta però di copiare lo spartito del re diamante, ma nei vari brani sono ben presenti le caratteristiche insite nel background dei nostri, così che possiamo trovare ottime aperture melodiche di intricato prog metal, sfuriate ritmiche dal sapore estremo, teatrali atmosfere evil, incorniciate con solos di puro heavy metal americano che, insieme al suo omologo  europeo,  accompagnano il protagonista nel suo tragico ed avventuroso viaggio.
Detto di una prova spettacolare del singer (che fondò il gruppo nel 2008 proprio per coverizzare le opere dei king Diamond), Sweet Hollow piacerà non poco ai fans, l’ottimo songwriting dà modo all’album di brillare, impreziosito da una raccolta di brani che a tratti entusiamano e tra cui spiccano le varie Forever Burns, Ghost In The Graveyard e Dead Of Night.
Se accuserete l’album di possedere un sound derivativo avrete scoperto l’acqua calda, lasciate perdere le solite menate da scienziati metallici e godetevi questi cinquanta minuti scarsi di heavy metal horrorifico e spettacolare… punto.

TRACKLIST
1. Rebirth
2. Forever Burns
3. Down The Road To Misery
4. Ghost In The Graveyard
5. The Quiet Room
6. Dead Of Night
7. FestEvil
8. The Crimson Corpse
9. Blood From Blood
10. The Harrowing Path To Hollow

LINE-UP
Kevin Talley – Drums
Richie Seibel – Keyboards
Troy Norr – Vocals
Markus Ullrich – Guitars
Mike LePond – Bass
Markus Johansson – Guitars

THEM – Facebook

Red Riot – Fight

Anche se di corta durata Fight dice già parecchio sull’impatto e sulla qualità della musica dei Red Riot

It’ s hard to live through blood and lies, but after all we fight, fight, fight!

Una dichiarazione di guerra, un urlo sguaiato all’insegna dello street sleazy metal, un ritorno alla carica e all’energia del metal irriverenete degli anni ottanta, ma con l’aggiunta di una neanche troppo velata carica thrash.
Il primo ep dei Red Riot mi piace affiancarlo al debutto dei mai troppo osannati L.A Guns di Tracy Guns, album che più di ogni altro posò le fondamenta per tutto il movimento street metal, lontano dai lustrini patinati di altre realtà con piglio radiofonico e tormentato da una carica punk che sinceramente non troverete neppure negli album di maggior successo, neppure in quelli dove facevano bella mostra di sé pistole e rose.
La differenza sostanziale è che, oltre allo scorrere del tempo, la band campana, al posto delle adrenaliniche influenze punk, potenzia il proprio sound con esplosioni di thrash metal, così da far risultare i tre brani in scaletta delle esplosive e pericolosissime fialette di nitroglicerina sballottate per le strade del tempo.
Attivo da un paio d’anni, con qualche aggiustamento da annoverare nella line up, il gruppo a luglio di quest’anno ha avuto l’onore di partecipare al primo festival organizzato dalla Volcano Promotion, il Volcano Rock Fest dove hanno diviso il palco, tra gli altri, con i Teodasia, i metal progsters DGM e i fenomenali hard rockers Hangarvain, non male per un gruppo con tre soli brani registrati.
Si diceva che la proposta del gruppo si discosta dallo sleazy metal da classifica, per un approccio molto più aggressivo, sin dall’opener Fight, passando per Squealers e Who We Are, l’irriverenza tipica del genere è potenziata da ritmiche potenti e veloci, solos di estrazione heavy e vocals che richiamano non poco l’attitudine thrash, così come i chorus scanditi come inni da battaglia metallica on stage.
Menzionare i Motorhead per il ruvido rock’n’roll punkizzato e ribelle di Squealer è doveroso, così come le smanie alternative che accompagnano lo street groove di Who We Are, tenuto a bada dal gruppo con solos che si rifanno alla scuola thrash statunitense, in un ottimo e roboante brano che chiude questo ep.
Anche se di breve  durata, Fight dice già parecchio sull’impatto e la qualità della musica dei Red Riot, una band da tenere d’occhio in un futuro che promette fuochi d’artificio.

TRACKLIST
01. Fight
02. Squealers
03. Who We Are

LINE-UP
Alpha Red- Voce
Max Power- Chitarra
JJ Riot- Chitarra
Lex Riot- Basso
Be/eR- Batteria

RED RIOT – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=MabsrUnRh38

The King Must Die – Murder All Doubt

Il quintetto capitanato dal super tatuato vocalist Doggi ha scritto un gran bel lavoro, duro, aggressivo ed ultra heavy, pane per i fans del thrash che non disdegnano ascolti classici e moderni.

La scuola statunitense, specialmente quella della Bay Area, negli ultimi trent’anni ha forgiato un esercito di gruppi che hanno portato in termini di qualità e successo grosse soddisfazioni a tutto l’ambiente metallico.

Nei generi estremi come il death metal e il thrash, poi, possiamo sicuramente considerare la scena californiana come la patria di queste sonorità, in seguito amalgamate con altre sonorità creando ibridi più o meno riusciti.
Dopo gli anni d’oro con l’esplosione del thrash e di seguito quello del death metal, anche la costa californiana ha patito a livello di popolarità il successo dei suoni alternativi, ma ancora oggi continuano a nascere realtà che si muovono su territori old school, alcune come nel caso dei The King Must Die riuscendo a far convivere scuola classica ed attitudine moderna con ottimi risultati.
Sulla scia di gruppi come per esempio i Machine Head, band come il quartetto in questione riescono nell’intento di creare un sound che, pur scolpito nel passato, risulta moderno ed in linea con le sonorità più attuali, e l’esito è una mazzata di metallica dalle ritmiche e dai mid tempo scolpiti negli anni novanta, dai solos classici e melodici uniti a , botte adrenaliniche pregne di groove micidiale e, appunto, tanta attitudine moderna.
Il quintetto capitanato dal super tatuato vocalist Doggie, al secondo lavoro autoprodotto dopo l’esordio uscito due anni fa (Sleep Can’t Hide the Fear), ha scritto un gran bel lavoro, duro, aggressivo ed ultra heavy, pane per i fans del thrash che non disdegnano ascolti classici e moderni.
Il sound esplode in un tsunami di metallo potentissimo, tra sfuriate ritmiche old school e cadenzate marce moderne e dall’abbondante uso di groove: il vocalist si scaglia sul microfono regalando una prova tutta grinta e violenza e le chitarre ci abbattono con riffoni ultrà heavy, ora con solos melodici e ben incastonati nel sound tempestoso di questo Murder All Doubt.
Insomma, le varie In Blood, The Only Way We Bleed e Reflection Spills per esempio, oltre a risultare dei brani trascinati, sono la perfetta via di mezzo tra Testament, Machine Head e Suicidal Tendencies.
Al sottoscritto sono piaciuti e tanto, se vi ho incuriosito non vi resta che cercare Murder All Doubt e regalarvi una sferzata di adrenalina metallica perfettamente calata nel nuovo millennio.

TRACKLIST
1. Well Being
2. In Blood
3. Murder All Doubt
4. A New Hell You Embark
5. Choose Them Wisely
6. Reflection Spills
7. Broken
8. The Only Way We Bleed
9. For This We Live
10. These Later Years

LINE-UP
Scott Paterson – Bass
Corky Crossler – Drums
Kent Varty – Guitars
Mike Sloat – Guitars
Doggie – Vocals

THE KING MUST DIE – Facebook

Epica – The Holographic Principle

Una perfezione raggiunta passo dopo passo, album dopo album in un crescendo artistico che ha portato il gruppo a questo capolavoro.

Ecco il classico album che, ammettiamolo, mette in difficoltà chiunque si approcci all’ascolto con mire di giudizio da scrivere su di una pagina cartacea o quella virtuale di una webzine.

Non mancheranno le (a mio modo di vedere) scontate track by track e pure qualche giudizio non troppo positivo, rimane, sempre per il sottoscritto ovviamente, il sentore di essere al cospetto del disco symphonic metal definitivo, quello che in altre ere musicali, meno soggette all’usa e getta ormai abituale anche nel metal, si sarebbe posato sul gradino più alto del genere come esempio fulgido e spettacolare e ci sarebbe rimasto per sempre.
The Holographic Principle è un monumentale lavoro di settanta minuti, con il quale gli Epica sono andati oltre le più rosee aspettative: d’altronde, che la band della splendida sirena Simone Simons e dell’ex After Forever Marc Jansen avesse qualcosa in più lo si era capito già dai primi lavori, mantenendo un’ottima qualità in tutti gli album precedenti e alzando l’asticella ad ogni prova, fino ad arrivare al punto più alto, non solo della loro musica ma, probabilmente di tutto un genere.
Prodotto come al solito da Joost van den Broek assieme a Mark Jansen e mixato da Jacob Hansen, la nuova opera del gruppo olandese suscita emozioni, travolgendo con una valanga di note magniloquenti: le sinfonie registrate live dall’orchestra conferiscono un suono caldo, corposo e potente senza mettere in secondo piano le chitarre, anzi, le sei corde sono molto più presenti che sui lavori precedenti, grintose metalliche e affiancate da una sezione ritmica terremotante, così da esplodere all’unisono con la sontuosa parte orchestrale, la splendida voce della singer e chorus che entrano direttamente nell’anima.
I testi, che alternano argomenti terreni con la visione fisica e filosofica di Jansen, possono rappresentare un dettaglio per chi dà importanza solo all’aspetto musicale, ma nel contesto dell’album tutto appare perfettamente in equilibrio, una perfezione raggiunta passo dopo passo, album dopo album in un crescendo artistico che ha portato il gruppo a questo capolavoro.
La tradizione olandese che nel genere ha i suoi natali nei primi anni novanta, quando la scena dei Paesi Bassi sfornò le prime avvisaglie di quello che sarebbe diventato uno dei generi più amati dai fans, ha influito non poco sulla crescita degli Epica e non è un caso se ora incoroniamo proprio un gruppo di quelle parti come campione del metal sinfonico.
Se volete dei titoli di riferimento, questa volta lascio che sia The Holographic Principle a mostrarvi i suoi tesori, sappiate che siamo nella perfezione assoluta.
Disco dell’anno e tanti saluti dall’olimpo dove risiedono i grandi.

TRACKLIST
1. Eidola
2. Edge Of The Blade
3. A Phantasmic Parade
4. Universal Death Squad
5. Divide And Conquer
6. Beyond The Matrix
7. Once Upon A Nightmare
8. The Cosmic Algorithm
9. Ascension – Dream State Armageddon
10. Dancing In A Hurricane
11. Tear Down Your Walls
12. The Holographic Principle – A Profund Understanding Of Reality

LINE-UP
Mark Jansen – Guitars, Vocals
Coen Janssen – Keyboards
Simone Simons – Vocals
Ariën van Weesenbeek – Drums, Vocals
Isaac Delahaye -Guitars, Vocals
Rob van der Loo -Bass

EPICA – Facebook

Life’s December – Fatigue

I Life’s December dimostrano di essere un gruppo non per tutti, sicuramente solo per chi ha lo stomaco per digerire tutto il male che la loro musica emana a dismisura.

E’ passato meno di un anno e ritorniamo a respirare l’aria soffocante, malata e violenta di cui era pregno Colder, primo lavoro dei Life’s December, giovane gruppo svizzero che continua anche in questo nuovo Fatigue, ad impressionare per la violenza intrinseca nella loro musica, schizoide, malatissima e destabilizzante.

Due lavori in meno di un anno, uniti da un’atmosfera di dolore, dramma e pazzia, un male di vivere estremizzato a colpi di metal moderno, deathcore, parti elettroniche e djent che uniscono le proprie forze per produrre sofferenza in musica.
Una musica, altamente estrema, potente e pesantissima, ma resa ancora più sconvolgente dal talento del gruppo per creare atmosfere gelide, asettiche ed inumane.
E’ ancora una volta il vocalist Rico Bamert che prende per mano il sound del gruppo e lo valorizza con una prova priva di senno, dolorosamente destabilizzante in un clima di autentico terrore mentale.
Un male di vivere che si può toccare, accompagnato da suoni di chitarra distorti e lancinanti, ritmiche marziali sorrette da un basso che strappa l’anima in un clima da elettroshock, perpetuato nei confronti delle vittime da questi cinque psichiatri pazzi.
O Dulce Nomen Obitus posta in chiusura è il capolavoro dell’album: ventidue minuti (nel genere un’eternità) di suoni moderni sofferti e raggelanti dove tra lo spartito si possono incontrare i resti di una mente malata, la tragica e lancinante sofferenza di una vita imbavagliata nella propria prigione mentale costruita su labili fondamenta di normalità.
Con un altro lavoro originale e terribilmente disturbante, i Life’s December dimostrano di essere un gruppo non per tutti, sicuramente solo per chi ha lo stomaco per digerire tutto il male che la loro musica emana a dismisura.

TRACKLIST
1. Shattered
2.SecondLife
3. DeadEnd
4.Omniscient 5.Worthlesser 6.JustAnotherError
7.II
8.Construct 9.Monopole
10.Fatigue
11. Sleepless
12. O Dulce Nomen Obitus

LINE-UP
Rico Bamert- Vocals
David Mühlethaler- Guitars
Valens Wullschleger- Guitars
Jérémie Gonzalez- Drums
Simon Mäder- Bass

LIFE’S DECEMBER – Facebook

While Sun Ends – Terminus

I While Sun Ends combinano vari elementi della musica estrema e progressiva con buona sagacia, pescando dal metal estremo tradizionale e da quello più moderno

E’ indubbio che il successo del progressive metal dalle contaminazioni death ed estreme abbia portato un po’ di freschezza al movimento e un più considerazione da parte di chi ha sempre visto il progressive come musica altamente nobile e da non provare ad avvicinare agli altri generi che compongono l’universo della musica rock.

L’ottima considerazione di gruppi come gli Opeth, probabilmente la band più conosciuta ed ammirata da parte dei sommi scribacchini di parte e dei fans alquanto altezzosi del progressive, ed un sempre maggior numero di gruppi dediti a queste sonorità, col tempo hanno creato una scena che, anche nel nostro paese, annovera realtà di ottima qualità e prospettive.
Terminus dei bergamaschi While Sun Ends ne è un esempio: licenziato dalla label tedesca Wooaaargh, l’album è il secondo sulla lunga distanza del gruppo, succede alla prima opera The Emptiness Beyond uscita cinque anni fa e ad un ep, Knowledge, targato 2013.
I While Sun Ends combinano vari elementi della musica estrema e progressiva con buona sagacia, pescando dal metal estremo tradizionale e da quello più moderno, amalgamandolo ad una vena dark prog e cercando di ritagliarsi un proprio spazio nel mondo della musica estrema più adulta.
E la maturità compositiva infatti è la prima virtù del gruppo, le atmosfere plumbee e darkeggianti, valorizzate dall’interpretazione della vocalist Stefania Torino, lasciano spazio a crescendo di tensione che sfociano in esplosione di metallo progressivo e drammatico, condotto dal growl in un continuo scambio di atmosfere che, se mantengono i colori oscuri del genere, lasciano che il sound rimbalzi tra soluzioni alternative e death metal tout court, ben assortiti da prestazioni ottime a livello tecnico, virtù essenziale per il genere suonato.
Ne esce un buon lavoro, apprezzabile nella sua natura intimista, melodico ed irruente, tormentato e aggressivo con almeno un paio di brani molto belli come Cycles e Seesaw.
Lamb Of God, Katatonia, gli immancabili Opeth e qualche richiamo al rock dark e progressivo dei Tool, sono le ispirazioni su cui si poggia il sound dei While Sun Ends, perciò se siete amanti delle band sopracitate Terminus è altamente consigliato.

TRACKLIST
1. Tritogenia
2. Cycles
3. Measure
4. Sides
5. Seesaw
6. View
7. Elevation
8. Synthesis

LINE-UP
Stefania Torino – Growl & Clean Vocals
Massimo Tedeschi – Guitar/Vox
Diego Marchesi – Guitar
Carlo Leone – Bass/Vox
Enrico Brugali – Drums

WHILE SUN ENDS – Facebook

Absorb – Vision Apart

Il sound rispecchia il classico mood di gruppi come Obituary e Death con l’aggiunta dei seminali e conterranei Morgoth, peccato per tutti gli anni persi, ma band da rivalutare.

Con un po’ di ritardo rispetto all’uscita di questo ottimo ep, vi presentiamo i tedeschi Absorb, death metal band attiva da molti anni nella scena estrema del loro paese.

Nato infatti sul finire degli anni ottanta, il combo di Erlangen ha mosso i primi passi all’inizio degli anni novanta, in pieni anni d’oro per il genere suonato.
Due demo ed uno split, poi un lungo silenzio fino al 2010, anno di uscita del primo full length Dealing with Pain, seguito sul finire dello scorso anno da Vision Apart, ep di quattro brani ora promosso dalla Globmetal Promotions.
Death metal old school e non potrebbe essere altrimenti visto l’anno di nascita, classico e pesantissimo, brutale e a tratti devastante, sempre in bilico (come la vecchia scuola insegna) tra furiose accelerazioni e rallentamenti, oscuri e profondi.
Ottimo il lavoro delle asce sia ritmicamente che nei solos, lancinanti urla di sofferenza, accompagnate da un growl cavernoso ed agguerrito.
Perfect Whore parte all’attacco e ci investe con le sue ritmiche varie e i riff che fanno sanguinare le chitarre, Undead risulta la traccia migliore: oscura, brutale e malvagia, culmina in una serie di frenate sul bordo dell’abisso, ma basta una piccola spinta e si comincia a cadere, ingoiati dalla bocca di un pozzo senza fine.
La band torna a spingere con World Stops Turning, dopo che aveva lasciato a Los Muertos De Hambre il compito di distruggere senza pietà, prima che Undead ci porti con lei negli inferi.
Un buon ep, il gruppo in tutti questi anni ha diviso il palco con una bella fetta dei nomi di pinta del genere e l’esperienza fatta si sente tutta, il sound rispecchia il classico mood di gruppi come Obituary e Death con l’aggiunta dei seminali e conterranei Morgoth, peccato per tutti gli anni persi, ma band da rivalutare.

TRACKLIST
1.Pefect Whore
2.Los Muertos de Hambre
3.Undead
4.World StopsTurning

LINE-UP
Jochen “Yogy” Steger – Drums
Pfisty – Guitars
Daniel – Bass
Volker Schmidt – Vocals

ABSORB – Facebook

Almah – E.V.O

E.V.O ha molte frecce da scoccare e come maliziosi cupidi gli Almah centrano i nostri cuori con una serie di tracce d’alta scuola.

Pare davvero di essere tornati ai tempi dei migliori Angra e non solo quelli dell’arrivo di Falaschi nel combo brasiliano, ma a quel gruppo che clamorosamente irruppe sulla scena metallica con i primi stupendi lavori.

Era nell’aria il disco della vita per il gruppo brasiliano, già il precedente Unfold, anche se lasciava entrare nella propria anima qualche soluzione moderna, risultava un grande album metal, con Falaschi convincente e ormai coinvolto al 100% dalla sua nuova avventura.
Sono passati tre anni e l’arrivo di questo nuovo lavoro pone la band brasiliana sul podio dei migliori act alle prese con il power metal dalle sfumature progressive e splendidamente melodico.
Chiusa la parentesi modernista aperta in alcuni frangenti sul lavoro precedente, gli Almah tornano a suonare quello che la loro tradizione dice di saper fare meglio, toccando picchi elevatissimi , difficilmente raggiunti da un po’ di anni a questa parte, anche se la qualità dei loro lavori non è mai scesa sotto un buon livello.
E.V.O torna a far risplendere quel tipo di power metal melodico che ha fatto scuola, colmo di soluzione melodiche, ariose aperture orchestrali e quel tocco latino, irresistibile per molti e che ha sempre differenziato la scena sudamericana da quella europea per l’eleganza ed il talento ritmico innate nei musicisti brasiliani.
Basterebbe Age Of Aquarius, opener del disco, un brano arioso, positivo, stupendamente melodico ed impreziosito da orchestrazioni da musical, per prendere il largo e fare il vuoto nelle opere del genere, ma E.V.O ha molte frecce da scoccare e come maliziosi cupidi gli Almah centrano i nostri cuori con una serie di tracce d’alta scuola.
Il giro di piano che trascina Indigo, malinconico e dalle sfumature dark, il power metal di classe di Higher, l’hard rock ruffiano e melodico di Infatuated, l’unica concessione a soluzione moderne nell’aggressiva Corporate War, l’arioso refrain della magnifica Speranza, il power prog colmo di soluzioni raffinate e dall’irresistibile ritornello di Final Warning, sono solo pochi dettagli di un’opera piena di sorprese nel suo comunque essere classicamente metallica.
Gli Almah questa volta hanno messo in campo tutte le loro armi per vincere questa battaglia e ci sono riusciti senza fare prigionieri, album di un’altra categoria, consigliarvelo è il minimo.

TRACKLIST
1.Age Of Aquarius
2.Speranza
3.The Brotherhood
4.Innocence
5.Higher
6.Infatueted
7.Pleased To Meet You
8.Final Warning
9.Indigo
10.Corporate War
11.Capital Punishment

LINE-UP
Edu Falaschi – Vocals
Marcelo Barbosa – Guitar
Diogo Mafra – Guitar
Rapahael Dafras – Bass
Pedro Tinello – Drums

ALMAH – Facebook

Motorfingers – Goldfish Motel

Goldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

E’ indubbio che le sonorità provenienti dagli states abbiano influenzato l’Europa intera, specialmente in ambito hard & heavy ed anche il nostro paese, certo non immune dalle influenze musicali provenienti dal nuovo continenente.

Così pur riconoscendo alla nostra scena un livello qualitativo molto alto, soprattutto negli ultimi tempi, è pur vero che, nell’hard rock e nel metal moderno le ispirazioni sono da sempre riscontrabili nella musica statunitense.
Questo non risulta un difetto anzi, molte volte le nostre realtà (come per esempio i Motorfingers) non sfigurano di certo al cospetto con le super produzioni americane, confrontandosi alla pari con molti gruppi, conosciuti per un martellamento a tappeto sui canali satellitari e radio, ma poi a conti fatti senza nulla da invidiare loro.
E’ dal 2008 che la band nostrana porta in giro la sua musica, una storia che riflette quella di molte altre: cambi di line up, buoni riscontri tra gli addetti ai lavori, due ep ed un primo full length (Black Mirror) uscito nel 2012 per la logic(il)logic Records, label nostrana che licenzia dopo quattro anni anche questo nuovo lavoro.
Ancora qualche aggiustamento nella line up, vede la formazione oggi composta da Max e Spezza alle chitarre, Alex alle pelli e i due nuovi entrati, il bassista Faust (ex Golden Sextion) ed il vocalist Abba dei notevoli Nightglow, autori un paio di anni fa dello splendido Orpheus .
Goldfish Motel è composto da undici tracce di metal rock moderno, grintoso ed aggressivo, dove non mancano ottime ballad dal mood drammatico ed un’anima oscura che aleggia sulla musica del gruppo.
L’alternanza tra metal ed impulsi hard rock, l’ottimo groove che sprigiona dai brani, le sei corde dai riff pieni e dai solos taglienti, le ritmiche grasse ed il cantato sopra le righe, fanno di questo lavoro un ottimo esempio di musica dura, perfettamente a suo agio in questo primo scorcio del nuovo millennio.
Il gruppo non le manda a dire, si tuffa nel rock moderno con piglio e personalità, certo la bandiera a stelle e strisce è ben posizionata dietro al drumkit di Alex, ma i brani mantengono un appeal molto alto, l’aggressività del sound è molte volte bilanciata da chorus melodici, le ritmiche moderne con solos sfacciatamente classici, facendo funzionare alla grande questo lavoro.
Le canzoni in cui dove la band spinge sulla potenza non fanno prigionieri (Obscene), i mid tempo lasciano a brani più smaccatamente rock (Day Of Dawn, l’irresistibile Eat Your Gun) il compito di tenere alta la tensione, elettrizzanti spunti che conducono dalle parti dello streets metal (Disaster) sono assopiti da ballad mai banali, e molto intense (XXXIII e Nothing but a man) variando non poco il songwriting di un lavoro riuscito in pieno.
Bersaglio centrato per i MotorfingersGoldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

PS. Abba si dimostra come uno dei migliori cantati in circolazione nel nostro paese, almeno per il genere, un  grande acquisto in casa Motorfingers.

TRACKLIST
01. Walk On Your Face
02. Behind This Fire
03. Obscene
04. Day Of Dawn
05. XXXIII
06. Burning Down
07. Nothing But A Man
08. Pull The Tail
09. Disaster
10. Tonight
11. Eat Your Gun

LINE-UP
Abba – Vocals
Max – Guitar
Spezza – Guitar, Backing Vocals
Faust – Bass
Alex – Drums

MOTORFINGERS – Facebook

Radtskaffen – Worldwide Anarchy

Un primo lavoro abbondantemente sopra la sufficienza

Nati per volere del chitarrista e cantante Ben Radtleff un paio di anni fa, arrivano al debutto tramite questo ep autoprodotto i thrashers danesi Radtskaffen, promossi dalla GlobMetal Promotions.

Il trio oltre al leader, è composto da Bjørn Hjortgaard al basso e Christian Maj Albrektsen alle pelli, la sua musica getta le fondamenta su un thrash metal pregno di groove, potente e mai troppo veloce.
Mid tempi pesanti come macigni, sostenuti dal groove che riempie le ritmiche e riff dal taglio moderno che si abbattono sull’ascoltatore, fanno di questi sei brani una mazzata niente male.
Il gruppo a tratti accelera ma sono attimi che rendono ancora più devastante il sound mentre Radtleff sputa sentenze con il suo tono ruvido e senza compromessi.
Siamo nel bel mezzo tra la violenza dei Pantera, il piglio sgraziato e roll dei Motorhead e soluzione più vicine al metal americano degli ultimi anni e se farete il callo al vocione alcolico che del vocalist troverete di che sbattere il capoccione, soprattutto con Oblivion e Reaper, le tracce più movimentate dall’album.
Ottima la title track, brano motorheadiano fino al midollo, potenti e devastanti i brani rimanenti per un primo vagito dal sicuro impatto e distruzione totale promessa in sede live.
Per gli amanti del metal dal piglio thrash e dalle bordate ritmiche pregne di groove (come di rito in questi ultimi anni) un primo lavoro abbondantemente sopra la sufficienza.

TRACKLIST
1.Intro
2.Hippies
3.Death Crew
4.Deus Lo Vult
5.Oblivion
6.Reaper
7.Worldwide Anarchy

LINE-UP
Bjørn Hjortgaard – Bass
Christian Maj Albrektsen – Drums
Polle Radtleff – Guitars, Vocals

RADTSKAFFEN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=XXmbo3JqwNY

The Reticent – On The Eve Of A Goodbye

On The Eve Of A Goodbye è un concept autobiografico, un’opera che elargisce emozioni in un caleidoscopio di note ora intimiste, ora metalliche

Tornano gli statunitensi The Reticent, creatura del musicista Christopher Hathcock con il quarto album della loro carriera, confermando quanto di buono il new progressive sta donando a noi, ingordi e mai sazi fruitori di emozioni in musica.

A dispetto dei sempre più obsoleti detrattori della musica contemporanea e che nel genere trova terreno fertile negli amanti dei suoni di estrazione settantiana, il progressive ha ampliato i suoi orizzonti, amoreggiando con sonorità moderne, metalliche ed estreme e, come in questo caso resuscitando per tornare protagonista degli sviluppi futuri della musica in questo nuovo millennio.
I The Reticent come detto arrivano sul finire di quest’anno al quarto lavoro, le opere passate avevano tracciato la strada che ha portato Hathcock a questo immenso lavoro, dopo Hymns For The Dejected del 2006, Amor Mortem Mei Erit del 2008 e Le Temps Detruit Tout, licenziato nel 2012, più la soddisfazione di una nomination ai Grammy.
On The Eve Of A Goodbye è un concept autobiografico, un’opera che elargisce emozioni in un caleidoscopio di note ora intimiste, ora metalliche, fino a raggiungere l’apice in quelle estreme, giocando a modo suo con la musica degli ultimi trent’anni.
Quasi nulle le influenze settantiane, il sound del gruppo si muove sinuoso tra il prog rock dalle tinte dark di Porcupine Tree e Riverside, il metal estremo ed oscuro degli Opeth e quella tragica e teatrale drammaticità tooliana che ha fatto scuola negli ultimi vent’anni.
Le voci, dolce ed intimista la clean , travolgente e drammatica quella estrema, dettano le atmosfere ai vari passaggi dell’album, trasformati in brani dall’alto tasso emotivo, in un sali e scendi di atmosfere adulte, a tratti pesanti, ma sempre mature.
E’ forte il senso di disagio espresso da questa ora abbondante di musica, che chiamare progressive è il modo più facile per uscire dall’impasse che opere del genere creano in noi, sempre pronti ad affibbiare etichette, anche quando l’impresa diventa ardua, travolti dalla tempesta emotiva provocata da brani come The Apology, The Decision o The .
Inutile disquisire su soluzione tecniche che a On The Eve Of A Goodbye stanno strette come al sottoscritto i jeans di qualche anno fa: sappiate per dovere di cronaca che l’album esce per la Heaven & Hell Records ed è stato prodotto da Jamie King (BTBAM, The Wretched, Scale The Summit), fatelo vostro.

TRACKLIST
01. 24 Hours Left
02. The Girl Broken
03. The Hypocrite
04. 19 Hours Left
05. The Comprehension
06. The Confrontation
07. The Apology
08. 10 Hours Left
09. The Mirror’s Reply
10. The Postscript
11. 2 Hours Left
12. The Decision
13. Funeral For A Firefly
14. The Day After
15. For Eve

LINE-UP
Chris Hathcock – All instruments and vocals, except the following:

Narration by Carl Hathcock, Juston Green, and Amanda Caines
Female vocals by Amanda Caines
French Horn by Dr. Nicholas Kenney
Trombone and Trumpet by Matthew Parunak
Tenor Saxophone by Andrew Lovett

THE RETICENT – Facebook

Rainveil – Verses

La drammatica teatralità di fondo, le sfumature dark e le sontuose orchestrazioni, danno all’album quel tocco di maturità che non lascia dubbi sul valore del gruppo

Un’altra ottima band, i lodigiani Rainveil, si affacciano sulla scena nazionale in ambito metallico dagli spunti classicamente heavy ed orchestrali.

Licenziato dalla ormai storica Underground Symphony, mixato e masterizzato da Simone Mularoni (altra garanzia di qualità) ai Domination Studios, Verses è un gran bel lavoro, magari di poca durata per la qualità delle composizioni ed il genere (poco più di mezz’ora) ma notevole per songwriting, suono e potenzialità della band.
Qui si trova un heavy metal, roccioso e melodico, strutturato su tappeti tastieristici raffinati, una serie di brani che di potenti mid tempo fanno la loro forza, ispirati da una leggera vena prog ed un’oscurità di fondo riscontrabile nell’heavy statunitense.
Senza scendere in disquisizioni tecniche che in tracce dove l’emozionalità è tangibile diventa superfluo, Verses abbonda di orchestrazioni, incastonate su trame heavy metal eleganti e la mente non può che portare ai Kamelot.
Inoltre. la drammatica teatralità di fondo e le sfumature dark danno all’album quel tocco di maturità che non lascia dubbi sul valore del gruppo, bravo nel cogliere il punto debole dell’ascoltatore medio nel genere e cioè il pretendere potenza metallica e melodie che conquistino al primo ascolto, e i Rainveil in questo sono maestri.
I brani sono uno più bello dell’altro, dall’opener Macabre Ecstasy, che segue il prologo ed esplode in un refrain irresistibile tra riff possenti, solos classici e tappeti tastieristici magniloquenti, la successiva Break Out, ruvida e melodica e la bellissima semiballad Fire Opal, un crescendo entusiasmante aperto con la voce femminile a confermare l’eleganza intrinseca nel sound dei lodigiani.
Un lavoro affascinante che si rivela un’autentica sorpresa in campo classico, da non perdere assolutamente per gli appassionati dai gusti raffinati.

TRACKLIST
1. Prologue – Into the Void
2. Macabre Ecstasy
3. Break Out
4. Drowned
5. Mirror
6. Fire Opal
7. Eleanore
8. Shades of Darkness
9. Epilogue: Is this the End?

LINE-UP
Matteo Ricci – Vocals
Luca Maddonini – Lead Guitar
Pietro Canette – Bass

RAINVEIL – Facebook

Raw Ensemble – Suffer Well

I brani alternano e uniscono in un unico devastante sound le due maggiori correnti del thrash, quella europea e quella statunitense

Un buon lavoro di metallo possente, forgiato nel thrash metal vecchia scuola ma moderno per attitudine e produzione, ottimamente suonato e dal songwriting che se non arriva ai livelli dei mostri sacri del genere ci va sufficientemente vicino.

Il disco in questione è Suffer Well, primo lavoro sulla lunga distanza, dopo sette anni dalla nascita dei tedeschi Raw Ensemble, che se fino ad ora non sono stati molto prolifici (nella discografia del gruppo, oltre a questo nuovo lavoro si conta solo il demo Jesus Is Back… And He Is Fucking Angry del 2012) hanno fatto le cose per bene per il proprio debutto sulla lunga distanza.
Licenziato autonomamente, Suffer Well risulta una mazzata niente male, i brani alternano e uniscono in un unico devastante sound le due maggiori correnti del genere, quella europea e quella statunitense, consegnandoci un buon prodotto estremo, che non dimentica l’importanza delle melodie chitarristiche, senza perdere un’oncia in impatto.
Supportate da un vocione che non disdegna urla gutturali vicine al death metal (Denis Brecko Columna) e ritmiche velocissime, che frenano e scivolano varie su ritmi cadenzati (Mad al basso e Uffe alle pelli), le nove tracce che compongono il lavoro formano uno tsunami di metallo rabbioso, drammatico e perfettamente a suo agio nell’anno di grazia 2016.
La sei corde di Dennis elargisce potenza ritmica e melodici solos, su tracce che non mollano di un centimetro in un assalto sonoro senza soluzione di continuità.
Moderno ma con un’anima old school l’album vive dell’energia di brani come l’opener Enemy, la devastante Apocalypse e Weakness And Fear, chiusa dallo storico riff di Back In Black dei re dell’hard rock Ac/Dc.
In conclusione un buon lavoro di genere aggressivo e diretto, e per i Raw Ensemble una partenza con il piede giusto.

TRACKLIST
1. Enemy
2. Bad Religion
3. The 5th Dimension
4. Apocalypse
5. Beneath the Ashes
6. Bleeding Out
7. Weakness & Fear
8. Neither Nor
9. Outlaw Killers

LINE-UP
Mad – Bass
Uffe – Drums
Dennis – Guitars
Denis Brecko Columna – Vocals

RAW ENSEMBLE – Facebook

Damnation Gallery – Transcendence Hymn

Un buon inizio ed una piccola sorpresa che non manca di promettere buone nuove, aspettiamo il prossimo malefico parto

Una creatura dannata si aggira tra i vicoli della mia città, Genova, un abominevole parto frutto della fusione di due identità metalliche, gli Insanity Hazard e i STAG.

La nuova band nata quest’anno si compone di quattro elementi, la strega Scarlet alla voce, Lord Edgard alla sei corde e la sezione ritmica formata da Low al basso e Nasco alle pelli.
Il quartetto genovese è abile nel trasportare le proprie ispirazioni ed influenze in un sound avvicinabile all’horror metal di scuola Death SS, ma dove la proposta dello storico gruppo di Steve Sylvester si basava sul metal classico, prima, e su soluzione moderne di matrice industrial negli ultimi tempi, i Damnation Gallery mantengono un approccio thrash old school, macchiato dal sangue proveniente dalla NWOBHM e dal black metal più oltranzista.
Produzione scarna, suono catacombale, ottimi spunti di teatrale malignità creano atmosfere evil ed oscure, l’attitudine underground dei protagonisti è ben visibile lasciando qualche impeferzione voluta in fase di registrazione, senza che ciò vada ad inficiare assolutamente la buona riuscita di Transcendence Hymn.
La band, fresca di firma con Masked Dead Records che si è presa cura di questo primo ep, ha confezionato una piccola opera horror thrash, con tanto di intro macabra e terrorizzante, ottime cavalcate metalliche dai rimandi old school ed un buon lavoro sulle voci, che passano con disinvoltura dallo scream, a toni teatrali, per rendere infine il tutto più malvagio possibile grazie a growl oscuri e abissali.
Nella cripta dove i Damnation Gallery ci invitano ad entrare, la fievole luce delle candele mostra ombre di esseri minacciosi e vecchi riti occulti, descritti dal gruppo a colpi di thrash/black/horror metal di cui si nutrono la title track, la splendidamente maligna Dark Soul e la devastante Evil Extreme.
Un buon inizio ed una piccola sorpresa che non manca di promettere buone nuove, aspettiamo il prossimo malefico parto, anche se nella ventina di minuti scarsi di questo ep i Damnation Gallery sembrano essersi giocati molto bene le loro carte.

TRACKLIST
1. Mankind’s fall
2. Evil extreme
3. Dark Soul
4. Transcendence Hymn
5. Rebirth

LINE-UP
Scarlet – Vocals
Lord Edgard – Guitar
Low – Bass Guitar
Nasco – Drums

DAMNATION GALLERY – Facebook

Escarnium – Interitus

Un album da sentire in tutta la sua ferocia mentre i brani scivolano via, in caduta libera negli abissi più profondi

L’evoluzione del death metal old school per molti si incarna nel blackened death metal, sottogenere che ha raggiunto il suo massimo splendore nei territori dell’est europeo e che da un po’ di anni trova terreno fertile in tutto il globo.

Specialmente a livello underground i gruppi che estremizzano il death metal classico, velocizzandolo e soffocandolo sotto una coltre di nebbia oscura ed ancor più maligna, non si contano più, fortunatamente mantenendo un buona qualità generale nelle uscite sempre più numerose.
Questa volta si vola in Brasile, appena lasciato in balia di sé stesso da media e tv dopo che le luci olimpiche si sono spente su Rio de Janeiro, e a Bahia incontriamo gli Escarnium, al secondo full length della carriera, ma con una manciata di lavori minori che vanno a completare la loro discografia iniziata nel 2009.
Il gruppo non mancherà di soddisfare i palati cannibali degli amanti del genere: il suo death metal, infatti, alquanto brutale, si allea con una forte componente black per viaggiare a forte velocità sulle strade di un estremismo a tratti nichilista, oscuro e maligno e devastante, creando una tregenda di suoni che vanno dalla tradizione statunitense a quella europea in un caos primordiale, diabolico e distruttivo.
Quasi quaranta minuti di musica feroce e spaccaossa, con Deicide e Behemoth a fare da padrini ai brani di Interitus.
Il quartetto brasiliano, oltre ad un growl mostruoso e sei corde seviziate, può contare su di una sezione ritmica da infarto, capitanata dal mostro a sei braccia nascosto dietro al drumkit, Nestor Carrera, aiutato in questo massacro dal basso di Vitor Giovanni.
Le chitarre come detto sanguinano, torturate dai due axeman, Victor Elian (anche dietro al microfono) e Mauricio Sousa, e ne esce un quadro perfetto di quello che risulta uno dei sound estremi più coinvolgenti degli ultimi anni.
Un album da sentire in tutta la sua potenza, mentre i brani scivolano via in caduta libera negli abissi più profondi, dove il volo dura un’eternità; in poche parole un ottimo lavoro.

TRACKLIST
1. The Horror
2. While The Furnace Burns
3. Starvation Death Process
4. Radioactive Doom
5. Omnis Mortuus Est – Interitus
6. Macabre Rites
7. Genocide Ritual
8. The Gray Kingdom
9. 100 Days Of Bloodbath
10. Human Waste

LINE-UP
Victor Elian – Vocals / Guitar
Mauricio Sousa – Guitar
Vitor Giovanni – Bass / Vocal
Nestor Carrera – Drums

ESCARNIUM – Facebook

Badmotorfinger – Heroes

Un buon lavoro, suonato con il cuore che pulsa come i pistoni di una motocicletta

Nuovo lavoro in formato ep per i bolognesi Badmotorfinger, tornati sul mercato tramite logic(il)logic Records a scaldare l’autunno dei rockers di lungo corso.

Il gruppo ha all’attivo un primo album sulla lunga distanza uscito nel 2013 (It’s Not the End) dopo il ritorno nel gruppo di uno dei fondatori, il chitarrista Federico Mengoli, successivamente all’esperienza con i Tarchon Fist.
Il mini cd si compone di tre brani inediti, più due versioni acustiche di tracce inserite a suo tempo nel primo album, ed una in una versione riveduta e corretta, dunque siamo al cospetto delle due anime del gruppo: la prima ruvida, grintosa ed diretta, la seconda intimista (Afterlife) e dai rimandi southern rock (Rebel).
Nei brani inediti il gruppo emiliano continua imperterrito il suo viaggio nell’hard & heavy più grezzo, dai rimandi classici, mai troppo veloce ma dalle ispirazioni che si piazzano tra i metallica ed i Motorhead.
Il sound richiama queste due band, senza alzare troppo il ritmo, ma imprigionandolo tra le briglie di un groove potente e massiccio, quattro tracce rocciose di fiero metal/hard rock, dal mood live, senza fronzoli e con il rock’n’roll a fare da diavoletto sulla spalla dei musicisti bolognesi.
Musica per rockers da motoraduni duri e puri, una forza sprigionata dalla passione per il genere, che non cerca novità ed originalità a tutti i costi, ma il consenso di chi il rock lo vive o lo ha vissuto sulla propria pelle.
I primi due brani inediti (Hidden Heroes e Needle in My Vein) sono mid tempo rocciosi, con buoni interventi chitarristici di scuola heavy, cantato robusto e ritmi sostenuti da un buon groove.
No Second Chance, rifatta per l’occasione, lascia spazio al rock’n’roll ipervitaminizzato di Badmotorfinger,  canzone che più si avvicina al sound motorheadiano, mentre i due brani acustici lasciano intravedere una voglia di frontiera e specialmente Rebel risulta, come detto, un piacevole brano dal gustoso mood southern rock.
Un buon lavoro, suonato con il cuore che pulsa come i pistoni di una motocicletta, roba da fottuti rockers, prendere o lasciare … io prendo!

TRACKLIST
01. Hidden Heroes
02. Needle In My Vein
03. No Second Chance (new version)
04. Badmotorfinger
05. Afterlife (acoustic version)
06. Rebel (acoustic version)

LINE-UP
Luigi Sange Sangermano – VOCALS
Alessandro Alex Mengoli – GUITAR
Federico Heavyrico Mengoli – GUITAR
Massimiliano Tommi Tommesani – BASS
Fabio Barra Bussolari- DRUMS

BADMOTORFINGER – Facebook