Devotion – Words And Crystals

Words And Crystals, oltre a risultare l’apice discografico dei Devotion, è un album immancabile sullo scafale di ogni amante del metal alternativo.

Se la label americana Pavement Ent. ( Soil, (Hed)P.E.) pubblicherà digitalmente il nuovo album di questa band nostrana ci sarà un motivo.

Con più di dieci anni di attività, quattro album e un’esperienza live al fianco di gruppi altisonanti della scena mondiale come Deftones, The Dillinger Escape Plan, Meshuggah, Sepultura, Poison The Well e Caliban, i vicentini Devotion si confermano come una delle migliori realtà tutte italiane nel seguire un percorso musicale metallico moderno e alternativo.
Certo, il genere è quello che, tra la metà degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, ha portato il rock duro all’attenzione del mercato discografico in ogni paese, dagli Stati Uniti, al Regno Unito, attraversando l’Europa e ha spazzato via, in termini di popolarità i suoni grunge provenienti da Seattle.
La band continua il suo percorso di crescita con Words And Crystals, alzando il livello emozionale del suo sound che, se si specchia nei maestri Deftones, ha il proprio punto di forza nella freschezza compositiva e nelle parti in cui sfumature oscure ed intimiste rendono le atmosfere mature e mai banali.
Basso che pulsa, chitarre abrasive e potenti, soluzioni armoniche per nulla scontate e tanta alternanza tra aggressività e melodia, riempiono le orecchie di ottimo metal alternativo, lontano dalle solite soluzioni scontate, prodotto a meraviglia e dai molti picchi qualitativi.
Ottima la prova del singer Pucho, personale e dalla sentita interpretazione, un’ugola che sa sputare rabbia quando il sound esplode in tutta la sua potenza, supportato dalle ritmiche di Cangia (batteria) e Fuzz (basso) e dai nervosi e melodici riff della sei corde di Gianna.
Una quarantina di minuti nel mezzo di tempeste di watt, consolidate da basse pressioni che si accumulano per poi sfogare la loro potenza metallica, moderna, viscerale ed intimista, un’esplosione di lampi e tuoni che si abbattono su Roller Derby, Cloud Atlas, P. Hamilton (dedicata al leader e chitarrista degli inossidabili Helmet) e Scent Of A Story.
Ottima conferma, Words And Crystals oltre a risultare l’apice discografico del gruppo, è un album immancabile sullo scafale di ogni amante del metal alternativo.

TRACKLIST
01. Roller Derby
02. Cloud Atlas
03. The Deepest
04. Drops/Flux
05. P. Hamilton
06. Undressed
07. Scent Of A Story
08. Fatal Fury
09. Blind Corner
10. Feeling The Desert Air

LINE-UP
Gianna – guitar
Cangia – drums
Buzz – bass
Pucho – vocals

DEVOTION – Facebook

Vandallus – On The High Side

Un buon debutto per il gruppo di Cleveland , se siete degli attempati rocker come il sottoscritto o giovanotti dai gusti vintage, On The High Side non vi deluderà

Quando si parla di hard rock spesso si fa riferimento alla scena statunitense o a quella britannica, dimenticando colpevolmente molte band che hanno fatto la storia del rock duro provenienti da altri paesi e che hanno avuto un’importanza epocale nello sviluppo dell’hard & heavy.

Due di queste sono il power trio canadese Triumph e gli Scorpions dei fratelli Schenker, la prima spesso paragonata ai progsters Rush, anche per il paese di provenienza, la seconda regina dell’hard rock melodico europeo.
On The High Side, debutto del trio statunitense Vandallus, riprende le sonorità del gruppo canadese e le fa proprie aggiungendo melodie a frotte sotto il segno dello scorpione, confezionando un buon album vintage, sicuramente debitore nei confronti dei due mostri sacri ma composto da buone canzoni.
Attenzione però, la band non fa un passo indietro ma due, andando a riprendere il sound settantiano, specialmente per quanto riguarda la band tedesca, lasciando le produzioni patinate del periodo ottantiano, per un approccio dallo spiccato groove.
Jason Vanek si dimostra un buon cantante, personale e melodico, le chitarre scintillano sotto le dita sue e dell’altro Vanek, Shaun anche alle prese con basso e batteria, e con l’aiuto alle pelli del buon Steve Dukuslow.
Hard rock settantiano dunque, grintoso e molto melodico, con un taglio decisamente vintage, curato nel songwriting e suonato molto bene con le sei corde in evidenza, autrici di gustosi riff power e solos in linea con i chitarristi dell’epoca .
Rat è una fulminante intro che sfocia nel hard power di Break The Storm, il ritornello è pura melodia made in Scorpions e da qui in poi veniamo catapultati dalla macchina del tempo in pieni anni settanta con l’ottima title track, la semi ballad Running Lost e l’irresistibile refrain di On Top Of The World.
Un buon debutto per il gruppo di Cleveland , se siete degli attempati rocker come il sottoscritto o giovanotti dai gusti vintage, On The High Side non vi deluderà.

TRACKLIST
1. Rat
2. Break The Storm
3. On The High Side
4. Who’s Chasing Me
5. Running Lost
6. Back To The Grind
7. Get Out
8. On Top Of The World
9. A Fool You’re Right

LINE-UP
Jason Vanek – vocals, guitar
Shaun Vanek – guitar, drums, bass
Steve Dukuslow – drums

VANDALLUS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=GcC9aAlP4KM

Gallows Pole – Doors Of Perception

Una via di mezzo tra Tom Petty e l’heavy metal, così è scritto sulla presentazione dei Gallows Pole curata dalla Pure Rock , band austriaca che ha attraversato più di trent’anni di rock ai margini del giro che conta, licenziando otto album sulla lunga distanza, da In Rock We Trust del lontano 1982 a questo ottavo lavoro dal titolo Doors Of Perception.

La verità sta nel mezzo, il sound di cui si veste questo lavoro è un rock appena accentuato in qualche ritmica di chitarra, specialmente nell’opener Burn It Down, il brano più hard fra tutti quelli presenti, con un ottimo solo che effettivamente profuma di rock statunitense.
Attenzione però, il cantato sembra provenire da una band new wave ottantiana, accentuata dal controcanto profondo ma che si ispira non poco all’elettronica tedesca.
Dalla successiva Angel Eyes cambia non poco il mood del disco, dove l’acustica la fa da padrone con una serie di semiballad in cui la chitarra si approccia in modo molto timido e la voce non cambia di tono risultando monocorde e a mio parere colpevole di appiattire non poco i brani del disco.
Learn To Fly torna a donarci visioni di musica pop ottantiana, leggermente più dinamica per qualche arpeggio più grintoso.
Bring Me Through The Night ci regala qualche brivido metallico, un mid tempo dove la solista ricama una bella serie di solos, rovinata da un ritornello ripetuto e stancante.
Siamo arrivati al sesto brano, sono passati una ventina di minuti che sembrano ore, l’album non decolla e quando si vivacizza, quella sensazione di pop music rivestita di verve elettrica non dà scampo.
Il finale è lasciato alla title track , forse il brano che nei suoi nove minuti mostra un crescendo emotivo adeguato per risultare la song più riuscita dell’intero lavoro, un po’ poco per andare oltre una risicata sufficienza, tenendo conto che la band non è certo ai primi passi e la label è di quelle che difficilmente sbaglia un colpo.

TRACKLIST
1. Burn It Down
2. Angel Eyes
3. Learn To Fly
4. Watching The Sun Go Down
5. Bring Me Through The Night
6. Someday Soon
7. Your Own Demons
8. A Rainbow Just For Me
9. Doors Of Perception

LINE-UP
Alois Martin Binder – vocals, guitars, bass
Harald Prikasky – guitars
Andy Wagner – drums
Günther Steiner – keyboards
Harry “El” Fischer – guitars

GALLOWS POLE – Facebook

In Cauda Venenum – In Cauda Venenum

Black metal, intimista e drammaticamente tragico, attraversato da attimi di lucida follia dark e reminiscenze post

Proposta che piacerà agli amanti delle atmosfere cangianti, oscure ed intimiste di quel genere ibrido che risulta il black metal atmosferico dai rimandi post.

Due tracce di ventuno minuti ciascuna che si immergono nella solitudine e decadenza di un’anima dannata, votata al male e per questo sofferente, lasciata a vagare tra i meandri della propria mente insana.
Alpha e Omega, tra la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, un viaggio nell’oscurità lungo millenni, una via crucis nella decadenza del genere umano, un’odissea di sofferenza e dolore.
Loro sono i francesi In Cauda Venenum e questa opera oscura è il loro debutto, licenziato lo scorso anno da Les Acteurs De L’ombre.
Il gruppo di Lione si è formato nel 2010, ma solo dopo cinque anni la loro musica trova finalmente il supporto ottico, così che questi due oscuri brani possano trovare una luce nell’oscurità del concept.
Black intimista e drammatico, attraversato da attimi di lucida follia dark e reminiscenze post metal, in un susseguirsi di cambi di ritmo e atmosfere che rimangono nere come la pece ma si alternano tra furiose accelerazioni metalliche e sofferte e drammatiche atmosfere noir.
La produzione non troppo sofisticata è colpevole di non dare allo screaming il giusto risalto, mentre il lavoro della sei corde (Vincent Laplaza) riesce ad uscire ugualmente in tutta la sua qualità.
E’ la chitarra l’assoluta protagonista dell’album, tagliente ed abrasiva nelle parti estreme, toccante e malinconica dove la musica lascia al tenue susseguirsi delle parti dal moderno e tragico mood dark prog, il compito di accompagnare l’anima verso la sua ineluttabile fine.
Omega è forse il brano più riuscito e nel quale gli In Cauda Venenum spingono l’ascolto verso un black metal atmosferico ma lasciato meno in balia degli enormi cambiamenti di umore della prima parte, risultando più compatto ed estremo.
In definitiva una proposta coraggiosa e che sicuramente va elaborata,: il genere proposto, molto emozionale, vive e si esprime solo tramite un songwriting maturo, e la band dimostra di essere sulla buona strada.

TRACKLIST
1.Alpha
2.Omega

LINE-UP
Liès – Bass
Goar – Drums
Vincent Laplaza – Guitars
Adrien – Vocals

IN CAUDA VENENUM – Facebook

Witches Of Doom – Deadlights

Ritorno coi fiocchi per le streghe capitoline, Deadlights continua a mantenere il gruppo sul podio delle migliori realtà del genere uscite dal nostro underground negli ultimi anni: un’opera ed una band da amare senza riserve.

A distanza di un paio d’anni tornano i Witches Of Doom, eccellente band nostrana che tanto aveva impressionato con il primo lavoro, quell’Obey che raccoglieva tra i propri solchi quarant’anni di musica oscura, partendo dall’hard rock settantiano dei Black Sabbath, passando per il dark ottantiano e finendo nel doom/stoner di fine millennio.

Un album che finì nella mia playlist di fine anno e non poteva essere altrimenti, vista l’alta qualità del songwriting e le influenze del gruppo che, come spiriti, passavano tra i solchi delle canzoni, senza mettere in secondo piano una personalità debordante, confermata in questo Deadlights, licenziato dalla label americana Sliptrick Records e pronto a conquistare le anime oscure che vagano nel mondo dell’underground metal/rock.
Ancora una volta a prenderci per mano ed accompagnarci nel nuovo sabba delle streghe romane è il singer Danilo Piludu, senza esagerare uno dei migliori cantanti in circolazione nel genere, eclettico, passionale e dotato di una forza interpretativa devastante, un’ugola dark che nelle sue corde vocali racchiude quel tanto che basta di Danzig, Jyrki69, Andrew Eldritch, conferendogli un mood settantiano che rende la sua voce tremendamente efficace ed ipnotica.
I suoi compari non mancano di costruire una cattedrale musicale gotica che si erge nella notte buia e che appare come d’incanto tra la nebbia, con questa volta e specialmente nella prima parte del disco una componente elettronica più accentuata.
Difficile parlare di un lavoro che non lascia un punto di riferimento, alternando con sagacia atmosfere new wave e dark, a molte parti gothic rock, pur avendo sempre presente la componente stoner, che rende le songs ossianiche e liturgiche, litanie oscure destabilizzanti, incantesimi a base di musica rock nera come la pece.
Dopo il bellissimo debutto non era così facile ripetersi, ma già dall’opener e singolo Lizard Tongue si intuisce che la qualità mostrata in passato è rimasta inalterata, ed il brano esplode tra elettronica, stoner con un Piludu sontuoso, in versione Glenn Danzig.
Gli accordi orientaleggianti che compaiono in Run With The Wolf, fanno da preludio ad una delle molte top songs del lavoro: il basso pulsa come i battiti di un cuore nero, spettrale e lasciva ma non pregna di esplosioni elettriche devastanti, Deface risulta un brano capolavoro così come la metallica Homeless, granitica ed emozionale, geniale nel proporre accordi dal sapore western (Fields Of The Nephilim) su una devastante base elettro/stoner.
Si continua a viaggiare sulle ali dei corvi posati sui campanili della famigerata cattedrale e sul piccolo cimitero gotico antistante, mentre Black Voodoo Girl, la superba Mater Mortis ( brano strumentale dove il doom metal incontra lampi e scariche elettroniche per tre minuti circa di geniale musica oscura) e Gospel Of War ci invitano al finale doorsiano con I Don’t Want To Be A Star, brano che chiude l’album con magnifiche atmosfere settantiane deviate da sfumature dark psichedeliche e conferma la totale genialità di questa fantastica band nostrana.
Ritorno coi fiocchi per le streghe capitoline, Deadlights continua a mantenere il gruppo sul podio delle migliori realtà del genere uscite dal nostro underground negli ultimi anni: un’opera ed una band da amare senza riserve.

TRACKLIST
01. Lizard Tongue
02. Run With The Wolf
03. Deface (The Things That Made Me A Man)
04. Winter Coming
05. Homeless
06. Black Voodoo Girl
07. Mater Mortis
08. Gospel For War
09. I Don’t Want To Be A Star

LINE-UP
Federico “Fed” Venditti – guitar
Jacopo Cartelli – Bass
Danilo “Groova” Piludu – Vox
Andrea “Budi” Budicin – Drums
Graziano “Eric”Corrado-keyboard

WITCHES OF DOOM – Facebook

Moonreich – Pillars of Detest

Un gruppo fuori dal comune che merita l’attenzione dei blacksters curiosi di conoscere nuove realtà, anche fuori dalle solite terre scandinave.

Riuscire a parlarvi di tutte le ottime produzioni che può vantare la scena underground estrema è un’impresa titanica, anche per una webzine attenta come la nostra, ed allora ecco che capita di perdere album interessanti al momento dell’uscita sul mercato.

Poco male, recuperiamo il tempo perduto e vi presentiamo i Moonreich, gruppo transalpino che di ottimo black metal dissonante e violento si nutre in quel di Parigi.
Attiva sul finire del primo decennio del nuovo millennio, la band ha dato alle stampe due ep e tre full length, Loi martiale del 2011, Terribilis Est Locus Iste del 2013 e quest’ultimo Pillars Of Detest, uscito lo scorso anno per Les Acteurs de l’Ombre Productions, label francese specializzata in sonorità estreme.
Come tutti i gruppi provenienti dalla Francia anche i Moonreich hanno un approccio al genere originale, distante dagli ormai abusati cliché del genere; la loro musica, oltre ad essere violentissima, è colma di partiture ed armonie che l’allontanano dal solito palla lunga e pedalare di molte realtà votate alla musica oscura, nel loro devastante e destabilizzante sound vive più di un demone che si alterna con i suoi compari nella possessione dell’anima dei musicisti coinvolti.
Guidati dal personalissimo scream di L., singer che regala attimi di gelido e terrificante mood malato e psicotico, i Moonreich ci investono con otto brani di terrore in musica, alternando iperveloci parti di puro chaos, a rallentamenti sofferti e glaciali, le due asce costruiscono un muro di armonie dissonanti e originalissime, mentre la sezione ritmica viaggia a velocità inaudite, per poi frenare e condurci in lunghi passaggi dall’incedere ritmico progressivo.
Brani lunghi e articolati che si muovono a piacimento nel mondo del metal più oscuro e malvagio con perizia ed un’impatto di tremendo dolore fisico e mentale.
Difficile fare dei paragoni, la band usa tutti i mezzi a disposizione per elevare la sua musica a puro male, troverete perciò nel sound di Pillars Of Detest, sonorità che vanno dal black metal, al post, passando per l’hardcore ed il progressive più oscuro, il tutto perfettamente incastonato come nell’enorme atmosfera apocalittica ed infernale di Long Time Awaited Funeral, cuore blasfemo di quest’opera.
Un gruppo fuori dal comune e che merita l’attenzione dei blacksters curiosi di conoscere nuove realtà, anche fuori dalle solite terre scandinave.

TRACKLIST
01. Ad Nauseam
02. Believe & Behead
03. Long Time Awaited Funeral
04. Sheïtan
05. Pillar Of Detest – World Shroud
06. All Born Sick
07. Freikorps
08. Death Winged Majesty

LINE-UP
L. – Vocals
Weddir – Guitars, Vocals
Sinaï – Guitars
Macabre – Bass

MOONREICH – Facebook

Mental Illness – Откровение

Ritmiche indiavolate che si alternano a parti cadenzate di potente death metal guerresco, una via di mezzo tra i Behemoth ed i Bolt Thrower, ed il risultato non può che essere un devastante sound supportato da un’attitudine blasfema ed oscura.

Il bello di scrivere per una zine come la nostra è avere la possibilità di scovare ottimi lavori in ogni parte del mondo, prodotti che il sottoscritto, sempre avido di nuove scoperte avrebbe inevitabilmente perso e che invece risuonano nella mia stanza, tanto quanto gli album dei gruppo più famosi.

Sì, perché non solo dei soliti nomi si vive e almeno per chi si professa amante della scena underground, è obbligatorio far proprie le opere di gruppi magari sconosciuti ma di buona qualità, se poi si ha anche la possibilità di scrivere due righe per supportarli tutto diventa una piacevole missione.
Per More Hate Productions e Narcoleptica Prod., label provenienti dalla madre Russia, arrivano al debutto i conterranei Mental Illness trio di cui si conosce pochissimo, se non che è attivo da un paio di anni.
Black/death epico, oscuro e da battaglia è il genere che il trio russo propone con questo ottimo Откровение, primo lavoro che dimostra subito il forte impatto della band.
Ritmiche indiavolate che si alternano a parti cadenzate di potente death metal guerresco, una via di mezzo tra i Behemoth ed i Bolt Thrower, ed il risultato non può che essere un devastante sound supportato da un’attitudine blasfema ed oscura.
I Mental Illness ci portano in ere dove figure mitologiche, dei e orchi combattono per soggiogare una terra oscura, dominata da demoni crudeli e la colonna sonora di cotanta epica ed oscura drammaticità non può che essere il loro indiavolato metal estremo.
Gran lavoro ritmico, sei corde ribassate ed una produzione che esalta il clima soffocante dell’opera, più le urla belluine che alternano growl profondi e scream demoniaci, valorizzano brani dal trascinante e sanguinolento massacro sonoro come И не угаснет огонь, Время искупления e la splendida title track, otto minuti di epica tregenda metallica.
Gran bella mazzata infernale questo lavoro, peccato non avere più informazioni sulla band, ma proprio qui in fondo sta il bello, come detto.

TRACKLIST
1. И не угаснет огонь
2. Ничто не забыто
3. Восход Нахемы
4. Сняв оковы
5. Время искупления
6. Культ
7. Жажда безумия
8. Откровение
9. Выжигая пламенем

LINE-UP
Bill
Norronen
Sammael

MENTAL ILLNESS – Facebook

Tombeto Centrale – Il Silenzio della Collina

Se amate i suoni alternativi degli ultimi ventanni non potete ignorare questo lavoro.

Un’altra ottima band si affaccia sulla scena alternativa nostrana, i lucchesi Tombeto Centrale.

Il trio toscano, vincitore del Qua’rock contest, entrano nel roster della label di Gabriele Bellini, non prima di aver condiviso il palco con ottime realtà del rock/metal nazionale come Quintorigo, Zen Circus e Rebeldevil.
Il Silenzio della Collina è il loro primo lavoro, un album irruento, molto vario e piacevolmente metallico, là dove il gruppo lascia le redini del sound così che la propria musica possa esplodere in un crossover che riprende l’ultimo ventennio di rock, plasmandolo e facendolo proprio.
Luca Giannotti (chitarra e voce), con Riccardo Franchi alla batteria e Luca Franchi al basso, creano questo sound nervoso e adrenalinico, amalgamandolo a reminiscenze psichedeliche e nutrendosi di tensione rabbiosa ma positiva, nei brani che più spingono sull’acceleratore.
Rigorosamente cantato in italiano e supportato da testi ispirati, disperati ed a tratti intimisti, Il Silenzio della Collina, non lascia molte indicazioni sulla strada intrapresa dal gruppo, che varia atmosfere e sfumature ad ogni brano, regalandoci una raccolta d canzoni che alternano rock elettrizzato da cascate di watt, a più dolci ed armoniose ballate.
Ne sentirete delle belle inoltrandovi nel mondo dei Tombeto Centrale, dal crossover metal dei Jane’s Addiction, al grunge dei Nirvana, fino ai ritmi nervosi dei Red Hot Chili Peppers, ed al prog moderno, psichedelico ed alternativo dei Tool, ma il cantato in lingua madre ed un entusiasmo che conquista anche l’ascoltatore più intransigente, fanno dell’album un ottimo prodotto, fresco e maturo.
Se amate i suoni alternativi degli ultimi vent’anni non potete ignorare questo lavoro che ha nelle bellissime Social Network, Il Venditore di Tappeti e Viandante, i picchi qualitativi di una raccolta di canzoni davvero ispirate.
Assolutamente buona la prima.

TRACKLIST
1.Fa# economico
2.Social network
3.Fiori, Serpenti
4.Il venditore di tappeti
5.Mr. beaver
6.Desiderio semplice
7.Viandante (sul mare di nebbia)
8.L’altra
9.Scrooge MD
10.Il silenzio della collina

LINE-UP
Luca Giannotti-chitarra e voce
Riccardo Franchi-batteria
Luca Franchi-basso

TOMBETO CENTRALE – Facebook

Savior From Anger – Temple Of Judgment

Un album di metal classico da gustarsi fino alla fine, colmo di canzoni che riprendono, senza risultare copie sbiadite dei grandi classici, il mood aggressivo, epico ed oscuro delle migliori uscite del genere.

Avevamo lasciato Marco Ruggiero (alias Mark Ryal) ed i suoi Savior From Anger all’indomani dell’uscita del precedente Age of Decadence, uscito tre anni fa con la formazione a due elementi ed un ottimo lavoro incentrato su un’incendiario e quanto mai efficace U.S. power metal, lo ritroviamo oggi con un contratto importante con Pure Steel Records, ed una line up a quattro elementi, con gli innesti di musicisti dall’elevata esperienza ed un curriculum assolutamente da top band.

Un passo indietro per ripercorrere in poche righe l’avventura del gruppo campano, iniziata dieci anni fa con l’ep No Way Out e proseguita con il debutto sulla lunga distanza Lost In The Darkness uscito nel 2008.
Una line up cangiante vedeva appunto la band ridursi ad un duo, con il polistrumentista napoletano che, aiutato dal solo Michael Coppola alle pelli, si sobbarcava tutto il lavoro strumentale dello scorso album, compreso le fatiche al microfono.
Tre anni sono passati e ritroviamo la band in gran forma e che, sotto l’ala della prestigiosa label tedesca, licenzia questo bellissimo Temple Of Judgement.
Con Ryal troviamo un terzetto di musicisti niente male, partendo da Bob Mitchell ex Sleepy Hollow, Wycked Synn, Alchemy X, Attacker tra le altre e vocalist di assoluto valore, il drummer Michael Kusch anche lui alle prese con una nutrita schiera di bands tra cui Adligate, Denial e Polaris e Frank Fiordellisi al basso.
E Temple Of Judgement esplode in tutta il suo metallico DNA americano, supportato da un ottimo songwriting e da una produzione ora all’altezza della situazione, mentre il chitarrista nostrano concentrato unicamente sulla sei corde regala solos classici ispiratissimi e riff che odorano di scuola ottantiana ma senza risultare vintage.
Un album di metal classico da gustarsi fino alla fine, colmo di canzoni che riprendono, senza risultare copie sbiadite dei grandi classici, il mood aggressivo, epico ed oscuro delle migliori uscite del genere, con un Mitchell che si conferma vocalist di razza, aggressivo, tagliente e melodico, così come la sezione ritmica che bombarda senza pietà, cavalcando a spron battuto su queste undici power metal songs.
Difficile trovare un brano non all’altezza, l’album è ricco di spunti esaltanti, almeno per chi, nel marasma dei suoni moderni e con l’orecchio ormai abituato alle divagazioni sinfoniche delle power metal band europee, non si fa mancare del buon U.S. metal, tra Vicious Rumors, Metal Church, primi Savatage ed Armored Saint.
Temple Of Judgement può tranquillamente considerarsi l’apice qualitativo dei Savior From Anger, alzato di molto da brani esplosivi come In The Shadows, la seguente Bright Darkness, la devastante e cruenta Thunderheads, The Eyes Open Wide e la conclusiva title track.
Un ritorno sontuoso per la band, un album dall’acquisto obbligato per ogni defender che si rispetti.

TRACKLIST
1.Across The Seas
2.In The Shadows
3.Bright Darkness
4.The Eye
5.Thunderheads
6.Chosen Ones
7.The Calling
8.Starlight
9.The Eye Opens
10.Repentance”
11.Temple Of Judgment

LINE-UP

Bob Mitchell – vocals
Mark Ryal – guitars
Frank Fiordellisi – bass
Michael Kusch – drums

SAVIOR FROM ANGER – Facebook

Merciless Death – Taken Beyond

Uscito lo scorso anno, Taken Beyond viene riproposto dalla High Roller records in versione vinile.

Merciless Death è il nome di questo combo statunitense che con l’aiuto dell’auto produzione ha stampato nella sua carriera altri due full length, Evil In The Night nel 2006 e Realm Of Terror uscito nel 2008.
La band nel frattempo è rimasta un duo, Andy Torres (voce e basso) e Dan Holder (chitarra e batteria), insieme a far danni dall’ormai lontano 2003, anno di inizio della loro personale guerra a suon di thrash metal old school.
Taken Beyond può tranquillamente essere considerato una chicca per gli appassionati del thrash metal grezzo e molto vicino al death, rigorosamente di stampo statunitense, violento, nichilista ed assolutamente anticristiano.
Siamo in territori cari ai primissimi Slayer e Possessed, numi tutelari del metal old school dall’impatto devastante e senza compromessi, qualche sfumatura più estrema odora di obitorio custodito dai fratelli Tardy, colpevoli degli storici massacri sonori come Slowly We Rot e Cause Of Death, ma in generale è la band di Tom Araya che tiene banco su questo lavoro.
La produzione risente del clima old school che aleggia su questa raccolta di brani, non lasciando intravedere nessuna concessione alla benché minima soluzione in linea con le opere odierne.
Il problema maggiore di questo lavoro è la troppa somiglianza con le vecchie glorie a cui la band fa riferimento, le songs tendono ad assomigliarsi una all’altra e la mezzora abbondante di durata fa fatica a passare senza portare a qualche sbadiglio di troppo.
Prodotto che potrebbe trovare estimatori solo nei fans accaniti del genere, in definitiva.

TRACKLIST
1. The First Temptation
2. Manifestation
3. Witches Spell Of Death
4. Baptism At The Skull
5. Oath Of Revenge
6. The Evil Of The Night
7. Christians Of Gomorrah
8. Convictions
9. Prepare The Soul – Taken Beyond

LINE-UP
Andy Torres – Vocals, Bass
Dan Holder – Guitars, Drums

MERCILESS DEATH – Facebook

Assassin’s Blade – Agents of Mystification

Una raccolta di ottime canzoni, cantate al meglio dal singer canadese con la sua timbrica che sta perfettamente nel mezzo tra Halford e la sirena maideniana, e colme di solos taglienti come la lama dell’assassino

La lama dell’assassino, fredda e crudele sfiora la gola della vittima, un rasoio che senza pietà lacera la carne, taglia via ogni speranza, quando il sangue comincia a sgorgare ed il respiro si fa sempre più lieve mentre il freddo buio della morte ha la meglio sull’ultimo bagliore di vita.

Un assassino diabolico che scova le sue vittime nell’oscurità mentre le note metalliche della nuova creatura di Jacques Bélanger, ex vocalist degli storici Exciter, riecheggiano sul misfatto, come una colonna sonora delle sue abominevoli imprese.
Agents Of Mystification è il primo album di questa band che vede lo storico vocalist collaborare con tre musicisti svedesi, David Stranderud (ex-Portrait, Instigator, Trap), Peter Svensson (Void Moon, Trap) e Marcus Rosenkvist (Void Moon).
Agents Of Mystification è un ottimo album di heavy metal old school, dalle incendiarie cavalcate speed, gagliardo e senza fronzoli come la forma più pura del genere comanda.
Una raccolta di ottime canzoni, cantate al meglio dal singer canadese con la sua timbrica che sta perfettamente nel mezzo tra Halford e la sirena maideniana, e colme di solos taglienti come la lama dell’assassino.
Le songs si alternano tra mid tempo epici, crescendo maideniani e veloci ripartenze speed, la produzione risulta perfettamente in linea con la musica prodotta e il tutto funziona alla grande.
Heavy metal, alla fine è di questo che si tratta, puro come l’acqua di sorgente, battagliero e duro come l’acciaio suonato a meraviglia dai tre complici svedesi che uccidono, a suon di ritmiche e riff classici che stendono senza pietà.
Belanger è il mattatore, grande singer di genere, varia tono, esplora note vocali altissime e personalizza ogni passaggio di questo killer album che vede come colpevoli della mattanza brani dall’alto contenuto metallico come, Herostratos, The Demented Force, Autumn Serenade e il lungo mid tempo maideniano League Of The Divine Wind.
Se siete amanti dell’heavy metal classico non potete assolutamente perdervi questo lavoro, che segna il ritorno di uno dei migliori cantanti in circolazione nel genere, supportato da musicisti all’altezza della situazione.

TRACKLIST
1. Agents of Mystification
2. Herostratos
3. The Demented Force
4. Dreadnought
5. Autumn Serenade
6. Transgression
7. Nowhere Riders
8. Crucible Of War
9. Frosthammer
10. League Of The Divine Wind
11. Prophet’s Urn

LINE-UP
Jacques Bélanger – vocals
David Stranderud – lead guitars
Marcus Rosenkvist – drums
Peter Svensson – bass

ASSASSIN’S BLADE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=rHtNGkeRZRI

Darkness Light – Living With The Danger

Ci sono parecchi dettagli da sistemare nell’economia sonora dei Darkness Light, magari lasciando il microfono ad un cantante più personale ed emozionale ed accentuando la parte più metallica, dove si riscontrano le migliori virtù.

Chi vive di sonorità hard rock e metal classiche sa molto bene di quante differenti atmosfere sia composto questo mondo musicale, all’apparenza tutte uguali ma con background molto diversi, dall’hard rock settantiano a quello statunitense del Sunset Boulevard, fino a quello europeo, tanto per citare le correnti che più hanno segnato gli ultimi quarant’anni di rock duro.

In Europa negli anni ottanta l’hard rock si accompagnò con l’allora fulminante new wave of british heavy metal, creando nuovi sottogeneri che allargarono ancora di più i confini della musica dura.
Se nel regno unito band come Rainbow e Dio, si nutrirono di atmosfere epiche, nell’Europa centrale gli storici Accept indurirono ancora di più le ritmiche, di fatto creando il power, genere figlio della scena metallica tedesca.
E dalla Germania arriva questo duo, formato nel 2011 e giunto all’esordio sul finire dello scorso anno con questo Living With The Danger.
Il duo di Augusta è composto da Cristian Bettendorf , chitarra e tastiere e Dixie Krauser, voce, basso, chitarra e tastiere: il debutto vive di alti e bassi, confrontandosi con un hard rock di stampo classico, tra ruvide reminiscenze power e metal melodico, senza dare l’impressione di affondare il colpo, rimanendo in un limbo sempre in bilico tra aggressività e melodia.
Una decina di canzoni che si perdono nei meandri della storia del genere, tra Accept, atmosfere purpleiane, accenni all’hard rock melodico britannico (Ten e Dare), ma senza brillare.
Manca il feeling per far funzionare questa raccolta di brani, importantissimo nel genere, specialmente quando le armonie prendono il comando dei brani, lasciando le asperità di un hard rock incisivo in panchina, per giocarsi la carta della melodia.
La voce ci mette del suo per non far decollare i brani, troppo monocorde e poco interpretativa e così, a parte qualche song più metallica, dove il duo se la cava, Living With The Danger scivola senza sussulti fino alla fine, con qualche sbadiglio di troppo da parte dell’ascoltatore.
Ci sono parecchi dettagli da sistemare nell’economia sonora dei Darkness Light, magari lasciando il microfono ad un cantante più personale ed emozionale ed accentuando la parte più metallica, dove si riscontrano le migliori virtù.

TRACKLIST
1. Adrenaline
2. Living With The Danger
3. Darkness Light
4. No No More
5. Bad Boys Are Better
6. Song For You
7. It Was Just Dreaming
8. For Another Sunny Day
9. Long Ago
10. Alone

LINE-UP
Dixie Krauser – Vocals, bass, keyboards, guitars
Cristian Bettendorf – Guitars, keyboards

DARKNESS LIGHT – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

The 69 Eyes – Universal Monsters

Il buon disco di un gruppo che ormai ha finito di sorprendere ma che sa regalare ancora musica piacevolmente intrisa di decadenti melodie e di buone trame rock.

Il ciuffo in stile Misfits, che Jyrki sfoggia sulla copertina del nuovo album dei The 69 Eyes , poteva far pensare in un primo momento ad un clamoroso ritorno alle sonorità rock’n’roll degli esordi, ed in effetti in Universal Monsters i fantasmi del passato tornano ad elettrizzare il sound dei vampiri di Helsinki.

Niente paura, per le anime dark che ormai sono la maggioranza nelle nutrite truppe di fans del gruppo, chiarisco subito che il sound per cui la band è famosa non corre pericolo e continua la sua strada nei meandri della musica dark rock, o gotica come è di moda chiamarla nel mondo musicale di oggi, ma in questo lavoro ci scontriamo con la voglia del gruppo finlandese di riscoprire in parte la voglia di rock esibita in passato.
D’altronde, ormai più di vent’anni fa, i The 69 Eyes si fecero strada a colpi di rock’n’roll con due album straordinari come Savage Garden e Wrap Your Troubles in Dreams, poi come d’incanto la trasformazione con quello che per molti fu un disco di transizione, ma che per il sottoscritto rimane il loro capolavoro, Wasting The Dawn che pescava non poco dal sound gotico (questo sì) dei Type 0 Negative, allora signori e padroni del genere.
Il dopo Wasting The Dawn fu un’ascesa di popolarità e la definitiva consacrazione nel mondo del dark rock molto più raffinato, e in qualche modo patinato, con Blessed Be e Paris Kills, ed il gruppo ha mantenuto tali coordinate stilistiche per tutti questi anni, fino a questo nuovo lavoro che tra alti e, fortunatamente pochi, bassi non deluderà gli amanti delle sonorità ormai note al combo vampiresco.
Universal Monsters ha nella bellissima Jerusalem il brano capolavoro, una song inusuale per la band, impostata con trame acustiche ed elettricità tenuta a freno da ritmi ipnotici e con un Jyrki splendido, con la sua voce profonda e tremendamente emozionale.
Dolce Vita apre l’album con quegli impulsi rock di cui si scriveva in precedenza, un’apertura tremendamente efficace, con un refrain che più classico non si può in pieno The 69 Eyes style.
In Shallow Graves si respira aria di cimiteri gotici, con i corvi in lontananza che sorvegliano la sepoltura, mentre subito prima Miss Pastis aveva riconfermato l’atmosfera rock’n’roll che a tratti si respira sull’album.
Rock’n’roll Junkie conclude questo Universal Monsters, un brano che si riempie di umori settantiani alla Stones in versione oscura, bellissimo esempio di come il gruppo sa essere eclettico e vario quando lascia le briglie che lo tiene legato agli stilemi del dark per riesplorare l’universo rock.
Un disco buono di un gruppo che ormai ha finito di sorprendere ma che sa regalare ancora musica piacevolmente intrisa di decadenti melodie e di buone trame di quel rock, che se non racchiude più il seme della ribellione, è costruito su una base di talento sopra la media.

TRACKLIST
01. Dolce Vita
02. Jet Fighter Plane
03. Blackbird Pie
04. Lady Darkness
05. Miss Pastis
06. Shallow Graves
07. Jerusalem
08. Stiv & Johnny
09. Never
10. Blue
11. Rock’N’Roll Junkie

LINE-UP
Jyrki 69 – Vocals
Bazie – Guitar
Timo-Timo – Guitar
Archzie – Bass
Jussi 69 – Drums

THE 69 EYES – Facebook

Midnight Sin – Never Say Never

Godiamoci le tre canzoni che compongono Never Say Never ed aspettiamo fiduciosi il nuovo full length, ci sarà da divertirsi.

Ci eravamo occupati un paio di anni fa del debutto dei Midnight Sin, uscito per Bakerteam, che risultava un ottimo esempio di hard rock, dalle atmosfere sleazy e glam in puro Sunset Boulevard style, anche se tra le note di Sex First non mancavano riferimenti alle nuove generazioni di street band da lustrini, paillettes, belle donne e tanto divertimento.

Tutto confermato, ora che Never Say Never, ep di tre brani a fare da ponte tra il primo album ed il nuovo lavoro che non tarderà ad arrivare, riempie di suoni rock’n’roll tredici minuti della nostra fin troppo triste e alquanto noiosa vita.
Due songs inedite, la travolgente e divertentissima title track e la rocciosa BJ@Job, che vi lasceranno senza fiato, due hit tra passato e presente dello street, glam, sleazy hard rock, tra Poison, Motley Crue, Steel Panthers, Crashdiet e compagnia di ragazzacci perduti tra party di puro rock’n’roll style.
La cover di Satisfaction della premiata ditta Jagger/Richards impreziosisce questo mini cd e la band ne esce alla grande con una riedizione tosta dalle ritmiche aggressive e dal gran tiro.
Il gruppo nostrano si conferma come una delle band di punta del genere, ora che i suoni classici e stradaioli degli anni ottanta stanno tornando in auge, almeno nell’underground che non fa mancare nuove realtà dalle ottime potenzialità e molte di queste provenienti dalle città del nostro paese.
Godiamoci le tre canzoni che compongono Never Say Never ed aspettiamo fiduciosi il nuovo full length, ci sarà da divertirsi.

TRACKLIST
1.Never Say Never
2.BJ@Job
3.Satisfaction

LINE-UP
Albert Fish – Vocals
LeStar – Lead Guitar
Acey Guns – Bass
Dany Rake – Drums

MIDNIGHT SIN – Facebook

Barús – Barús

Un sound costruito su di un alto tasso di groove dissonante e melodico, un vortice di suoni progressivi estremi che non mancano di stupire.

Debutto per i sorprendenti deathsters francesi Barús, con questo ep di quattro brani devastanti dal mood progressivo ed in linea con le produzioni targate Meshuggah.

Un sound costruito su un alto tasso di groove dissonante e melodico, un vortice di suoni progressivi estremi che non mancano di stupire.
Una piramide costruita su armonie mai banali e che alterna insane melodie a monolitiche parti estreme dove il death metal violenta con la sua forza distruttrice, un metal che si ispira al thrash moderno e dannatamente progressivo.
Cinque musicisti di cui si conoscono solo le iniziali, ma dalla tecnica e dal talento compositivo enorme al servizio di questa torre di musica estrema che si innalza verso il cielo.
Tarot, Disillusions, l’apocalittica Chalice e la sludge oriented Cherub compongono questa ventina di minuti abbondanti di metal fuori dagli schemi e sopra le righe.
Progressivo, debordante ed assolutamente imprevedibile nelle molte furiose accelerazioni, monolitico e disturbante, quando il sound frena e veniamo schiacciati sotto i piedi di un gigantesco moloch di pura elettricità.
Attiva dallo scorso anno e subito in pista con questo ep omonimo, la band di Grenoble alza la canna del suo bazooka e mira a distruggere il trono dei gruppi dediti al genere, il loro sound è una tempesta di suoni su cui un growl nervoso e personale sfoga tutta la sua rabbia nichilista.
Chitarre dai solos lancinanti, un mare di riff dissonanti e pesantissimi, ritmiche ingarbugliate ma perfettamente incastonate nel caos ragionato prodotto dal gruppo, fanno di Barús una chicca per gli amanti di Meshuggah e Mastodon.
Da non mancare l’appuntamento con la prova sulla lunga distanza

TRACKLIST
1. Tarot
2. Disillusions
3. Chalice
4. Cherub

LINE-UP
R – Bass
A – Drums
M – Guitars
J – Guitars
K – Vocals

BARUS – Facebook

Il Castello di Atlante – Arx Atlantis

Arx Atlantis è un bellissimo e quanto mai riuscito affresco di rock progressivo

Si torna a parlare di rock progressivo sulle pagine della nostra zine con l’ultima opera di Il Castello Di Atlante, storica band piemontese, attiva dal 1974 e con otto precedenti album usciti dall’inizio degli anni novanta in avanti.

L’esordio infatti è datato 1992 (Sono io il signore delle terre a nord), poi una serie di lavori che portano il gruppo fino a Cap. 8 Live di due anni fa.
Arx Atlantis è un bellissimo e quanto mai riuscito affresco di rock progressivo, che immortala la tradizione dello stivale nel genere, traghettata dal decennio settantiano fino ai nostri giorni da un numero di band dall’alto tasso qualitativo, con lavori che sono entrati di diritto nel gotha del rock progressivo internazionale.
Storie di altri tempi dai rimandi folk, stupende e ariose armonie tastieristiche, il violino che riempie l’atmosfera di melodie trasportate nel tempo, un viaggio tra racconti che donano una magica aura di immortalità, sono le prime impressioni suscitate dall’ascolto di canzoni sognanti come l’opener Non Ho Mai Imparato o Il Tempo del Grande Onore, rigorosamente cantate in italiano e suonate meravigliosamente dai sette musicisti, con l’aiuto dei tasti d’avorio di Tony Pagliuca delle ombre sulla splendida e medievale Ghino e L’Abate di Clignì.
Un genere il progressive che spesso si è chiuso in sé stesso, costruendosi un mondo a parte nel vasto panorama della musica rock, importantissimo per lo sviluppo della musica contemporanea, non solo quindi sfoggio di mera tecnica strumentale ( in abbondanza su questo lavoro) ma scrigno di emozioni senza tempo che Il Castello Di Atlante regala all’ascoltatore, come dei moderni cantastorie, menestrelli in questo mondo dove la realtà, specialmente quella più orrenda, supera la fantasia.
Ed allora salutate il mondo per una cinquantina di minuti e fatevi travolgere dalle melodie che escono sublimi dallo spartito di Arx Atalantis, opera che dalla prima all’ultima nota del capolavoro Il Tesoro Ritrovato (brano che chiude il cd), non risparmia travolgenti cambi d’ atmosfere, ritmi che si rincorrono, sinfonie progressive di rara bellezza in un crescendo
di emozioni senza fine.
Per chi ama il genere Arx Atlantis è l’ennesimo album imperdibile creato dal gruppo piemontese, l’anno di nascita ed il curriculum di cui la band si può vantare mi inducono a non parlare di influenze ma al limite di paragoni, che vanno dai Genesis ed E.L.P. ai nostri mostri sacri come Il Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme e PFM.

P.S. Un consiglio per i più giovani : ascoltate e riascoltate gruppi come Il Castello Di Atlante, fonte del lungo fiume di band che alimentano il mare del metallo progressivo contemporaneo.

TRACKLIST
1. Non Ho Mai Imparato
2. Il Vecchio Giovane
3. Ghino e L’Abate di Clignì
4. Il Tempo del Grande Onore
5. Il Tesoro Ritrovato

LINE-UP
Aldo Bergamini – guitar, vocals
Andrea Bertino – violin
Davide Cristofoli – piano, keyboards, synths
Massimo Di Lauro – violin on track 4
Paolo Ferrarotti – vocals, keyboards, drums on track 5
Dino Fiore – bass
Mattia Garimanno – drums

Guest:
Tony Pagliuca – keyboards on track 3

IL CASTELLO DI ATLANTE – Facebook

Life’s December – Colder

Un album che nel suo enorme mood estremo destabilizza e sorprende, un esempio di metal moderno che travolge tutte le aspiranti fighette col mascara che ci dobbiamo sorbire sui canali satellitari.

I giovanissimi Life’s December da San Gallo debuttano sotto l’ala della Dark Wings con questo impressionante esempio di deathcore malatissimo e distorto, con molte parti al limite del djent, per un esempio di metallo moderno che definire estremo è un eufemismo.

Il gruppo si distingue per un approccio violentissimo, schizoide e saturo di distorsioni, parti elettroniche ed atmosferiche da brividi, facendo di Colder un monolite pesantissimo di musica estrema.
Growl e scream malati, basso che pulsa tanto da spaccare le membrane dei vostri diffusori, in un clima di terrore che ha nell’inizio della terrificante Snow Falls Silently il suo apice.
Poco più di mezzora nel labirinto di terrificante violenza creato dalla band svizzera, bastano ed avanzano, il clima di tensione non cede un attimo e Colder senza alcun dubbio risulta un lavoro per palati forti.
Ritmiche marziali, chitarre che urlano dolore e voci, che sembrano provenire da una casa per malati mentali, il tutto ricamato a dovere per creare incubi, con atmosfere di raggelante elettronica e voci registrate in preda ad un delirio disturbante.
Gli attimi dove un pacato accordo sembra lasciare un po’ di respiro (My Existence) trovano subito sfogo in un’interpretazione drammatica e tragica del singer Rico Bamert, che si porta nella sue corde vocali tutti i mali ed i disagi del mondo.
La title track esplode come un vulcano in eruzione, talmente pesante la parte cadenzata che, quando la band lascia le redini e parte in quarta la violenza sonora stempera il calore della lava distorta.
Un album che nel suo enorme mood estremo destabilizza e sorprende, un esempio di metal moderno che travolge tutte le aspiranti fighette col mascara che ci dobbiamo sorbire sui canali satellitari.
Se avete un lungo pelo sullo stomaco avvicinatevi pure a questo lavoro, altrimenti usate molta cautela nel maneggiare la materia estrema racchiusa in Colder.

TRACKLIST
1. Final Speech
2. Lest I Forget
3. Memories
4. World Of Blame
5. Interludium
6. Snow Falls Silently
7. My Existence
8. Colder
9. Hero Missing

LINE-UP
Rico Bamert- Vocals
David Mühlethaler- Guitars
Valens Wullschleger- Guitars
Jérémie Gonzalez- Drums
Simon Mäder- Bass

LIFE’S DECEMBER – Facebook

Salem – Dark Days

Dotato di un songwriting ispirato, Dark Days non manca di stupire per freschezza compositiva e brani che esplorano l’hard & heavy dei primi anni ottanta

Non può che far piacere il ritorno dei Salem con un nuovo album, specialmente se si cominciano ad avere abbastanza primavere per aver vissuto gli anni d’oro della new wave of british heavy metal.

Operazione nostalgica? Non direi visto la qualità della musica di cui è composto Dark Days e poi non stiamo certo parlando
di un gruppo su cui una label possa contare economicamente, quindi ben vengano le band storiche dell’underground metallico, zoccolo duro di un mondo che a dispetto del passare degli anni è ben lungi da lasciare il passo, qualitativamente parlando.
Fondati nel lontano 1979, i britannici Salem diedero alle stampe una serie di demo, tra il 1981 ed il 1983, per poi perdersi nei meandri dell’underground, tornando sul mercato con la compilation In The beginning … datata 2010.
In questi ultimi sei anni il gruppo ha trovato nuovi stimoli ed una buona costanza discografica, licenziando due ep ed il primo full length, Forgotten Dreams uscito tre anni fa.
Per la label tedesca Pure Steel, una garanzia di qualità nei i suoni classici, esce questo nuovo album, molto bello e ben curato a partire dall’artwork e dall’ottima produzione, non troppo moderna ma neanche persa nel vintage a tutti i costi, così da risultare perfetta per il sound del gruppo inglese.
Capitanati dal singer Simon Saxby, vero animale al microfono con l’ugola che si avvicina a Biff, maestro sassone se si parla di heavy metal, il gruppo propone la sua personalissima rivisitazione del sound che fu il padre di tutti o quasi i generi di cui è composto il mondo metallico, ammantando di ritmiche hard rock il suo metallo pesante.
Dotato di un songwriting ispirato, Dark Days non manca di stupire per freschezza compositiva e brani che esplorano l’hard & heavy dei primi anni ottanata, alternando songs dall’impatto metallico, suggestivi crescendo maideniani e hard rock di chiara ispirazione Thin Lizzy.
La classe non manca, il sound chiaramente derivativo non intacca la performance dei nostri e brani come Nine Months, Complicated, l’esaltante titletrack e la bellissima semiballad Prodigal Son, hanno il compito di far rivivere le gesta di band storiche come Saxon, UFO ed Iron Maiden.
Un ritorno più riuscito non si poteva auspicare: certo, Dark Days rimane un lavoro adatto ai vecchi amanti del classic metal e difficilmente troverà estimatori nella nuova generazione di fans tutti blast beat e velocità a palla, ma noi vecchi marpioni del metallo pesante facciamo spallucce e ci godiamo questa bellissima raccolta di canzoni.

TRACKLIST
1. Not Guilty
2. Ninth Months
3. Complicated
4. Lost My Mind
5. Dark Days
6. Second Sight
7. Tormented
8. Fallen Angel
9. Toy Story
10. Prodigal Son
11. Tank

LINE-UP
Simon Saxby – vocals
Paul Macnamara – guitars
Paul Mendham – drums
Mark Allison – guitars
Adrian Jenkinson – bass

SALEM – Facebook

https://www.reverbnation.com/SalemUK

Post-Mortem – God With Horns

Slayer, Cannibal Corpse e Behemoth sono i padrini malvagi del sound proposto dai Post-Mortem, dunque se siete amanti di questo tipo di metal estremo, God With The Horns vi offrirà molti spunti interessanti e piccole gioie morbose

Dopo vent’anni abbondanti di attività vede la luce l’abominevole primo full length dei transalpini Post-Mortem.

Il gruppo francese, infatti, fino ad ora aveva licenziato due ep, Mystic Delights uscito all’alba di questo millennio e Mankind Autopsy l’anno dopo (1991), poi più nulla e conseguentemente del quintetto se ne erano perse le tracce fino ad oggi, in corrispondenza dell’uscita di questo pezzo di pura blasfemia e violenza in musica che risulta God With Horns, una bella mazzata oscura, veloce, e dall’impatto tremebondo, nera come la pece, che si divide tra reminiscenze statunitensi ed europee in egual misura, non concedendo tregua per tutta la mezzora di durata.
Non mancano intermezzi orchestrali a creare un’atmosfera soffocante e solos melodici che a tratti smorzano una tensione da armageddon, mentre il growl animalesco del singer continua imperterrito a vomitare blasfemie.
Compatto e brutale, l’album ha in un paio di brani la sua massima espressione estrema, la devastante Rules Of Death e la thrash oriented Industrial Aborting Process, con una menzione particolare per la title track, violenta, oscura ed orchestrale.
Slayer, Cannibal Corpse e Behemoth sono i padrini malvagi del sound proposto dai Post-Mortem, dunque se siete amanti di questo tipo di metal estremo, God With The Horns vi offrirà molti spunti interessanti e piccole gioie morbose, approfittatene.

TRACKLIST
1. Intro (Beyond the Void)
2. Spinetrophy
3. Rules of Death
4. Eat the Cadaver
5. Industrial Aborting Process
6. God with Horns
7. Void Millenium Genesis
8. Outro (Coming War) 01:21
9. Umbilical Strangulation

LINE-UP
Gaëtan Floesser – Guitars
Laurent Greder – Drums
Samuel Clauss – Guitars
Pierre Mohn – Bass
Xavier – Vocals

POST-MORTEM – Facebook

Santa Sangre – Ali d’Amianto

Ali d’Amianto è un lavoro riuscito ed assolutamente consigliato per i fans del metal più diretto e senza fronzoli, e la carica distruttiva di cui è colmo non può certo passare inosservata.

La Qua’Rock ci presenta il nuovo lavoro dei Santa Sangre, trio toscano che propone un massiccio metal estremo tra thrash metal e hardcore, rigorosamente cantato in lingua madre.

Il gruppo nasce a Grosseto sei anni fa dalle ceneri dei Nerovena ed ha all’attivo hanno due demo ed un ep datato 2013 intitolato La Tua Ora.
Dopo la firma con la label corregionale, la band entra in studio per registrare l’ennesimo massacro sonoro, dal titolo Ali d’Amianto, una bella mazzata in pieno volto, senza compromessi e con l’obiettivo di far male, molto male.
Un sound molto vario contraddistingue un album in cui i brani passano dal thrash tout court, al grezzo hardcore, con ritmiche che si drogano di groove, veloci e schizoidi episodi di metallo, che amoreggia con attitudine punk ed impatto travolgente.
Le loro passate esperienze live, con nomi storici dell’hardcore statunitense come i Biohazard e ottime realtà groove metal nostrane come i Rebeldevil, sono servite non poco per definire le coordinate del nuovo lavoro.
Al gruppo non manca certo l’impatto, fondamentale nel genere, le variazioni ritmiche sempre potenti e veloci rendono l’album una monolitica incudine lasciata cadere da un grattacielo, gli strumenti creano un muro sonoro invalicabile ed il cantato in italiano non inficia la resa dei brani, grazie alle tonalità di stampo hardcore ed i testi intelligenti e al passo con la musica proposta.
Una proposta senza compromessi, che ha nell’ottima title track, nella seguente Schegge e soprattutto nella stonerizzata Visione Esoterica i brani cardine dell’album.
Ali d’Amianto è un lavoro riuscito ed assolutamente consigliato per i fans del metal più diretto e senza fronzoli, e la carica distruttiva di cui è colmo non può certo passare inosservata.

TRACKLIST
1.Ali D’amianto
2.Schegge
3.Al Guinzaglio
4.Manifesto
5.Passi Di Piombo
6.Visione Esoterica
7.La Gente Che Conviene
8.Samsara
9.Serpente Di cenere

LINE-UP
Antonio Viggiani – Drums
Alessandro Parrini – Guitars, vocals
Paolo Bencivenga – Bass

SANTA SANGRE – Facebook