The Phoenix – My Turn To Deal

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Rock’n’roll dall’anima sleazy o hard rock di ispirazione losangelina, fate voi, rimane il fatto che queste quattro tracce racchiuse in My Turn Deal, primo lavoro delle The Phoenix, convincono e ci regalano un’altra bomba sexy dall’alto concentrato elettrico.

Il gruppo nasce nel 2001 e dopo una buona gavetta live arriva la firma per l’americana Demon Doll, con i ragazzi dell’Atomic Stuff a garantire la promozione dell’esordio discografico, registrato presso il Pri Studio di Bologna la scorsa estate.
My Turn To Deal conferma la tradizione delle band dell’altro sesso che, quando c’è da suonare il genere, fanno mangiare la polvere ai rudi colleghi maschi, ed infatti i brani che compongono il mini cd sono un concentrato di hard’n’heavy dall’alto tasso melodico, una piccola macchina del tempo che ci riporta ai fasti ottantiani ma, attenzione, il sound prodotto dalle The Phoenix risulta fresco, per niente nostalgico e, soprattutto, con un elevato appeal, così da rendere le varie canzoni tutte possibili hits.
La title track ha nel chorus il pezzo forte e mette subito in evidenza l’ottima voce della singer ed un assolo di chiara matrice heavy; un bel brano , molto accattivante, ma ecco che un pugno in pieno volto ci investe: Dangerous Girl esplode in tutta la sua carica heavy alla Motley Crue, un anthem da urlare al cielo in pieno trip live, pura adrenalina rock’n’roll come si suonava nella Sunset Strip.
Al primo ascolto You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll pare la classica ballatona di genere: niente di più sbagliato, altro colpo mortale, la song esplode in un altro chorus da stadio e noi non ci possiamo assolutamente esimere dal cantare con loro “che non si può fermare il rock’n’roll”.
Arriviamo all’ultima canzone, Party Hard, la più heavy del lotto: il riff risulta più moderno ed in your face, le vocals si fanno sensuali ed aggressive il giusto, le chitarre si incendiano, scudisciate di rock sanguigno che non ammettono repliche e confermano l’attitudine stradaiola del gruppo nostrano.
In soli quattro brani le The Phoenix lanciano il loro ruggito rock’n’roll, sta a voi ora far sì che il richiamo di queste quattro leonesse arrivi a chi del genere si nutre, in attesa di un prossimo passo, magari un full length di questo stesso livello.

TRACKLIST
1. My Turn To Deal
2. Dangerous Girl
3. You Can’t Stop The Rock ‘N’ Roll
4. Party Hard

LINE-UP
Lena McFrison – Lead Guitar, Vocals
Alice Schecter – Rhythm Guitar, Vocals
Luna RocketQueen – Bass, Vocals
Giuli McMousse – Drums

THE PHOENIX – Facebook

Bloodphemy – Blood Will Tell

Tornano dopo un lunghissimo silenzio gli olandesi Bloodphemy, con questi venti minuti di metal estremo che non passeranno inosservati ai deathsters sparsi per il globo.

Tornano dopo un silenzio di ben quattordici anni dal loro primo demo gli olandesi Bloodphemy, mostro death metal devastante, con questo ep licenziato dalla label greca Sleaszy Rider, venti minuti di metal estremo, un massacro portentoso che non passerà inosservato ai deathsters sparsi per il globo.

Il gruppo è formato da cinque musicisti che in questi anni non sono stati certo a guardare, collaborando con varie realtà della scena estrema come Devious, Altar, Bleeding Gods, Pleurisy, Beyond Belief, ed ora tornano con il monicker storico per travolgerci con il loro carro armato in assetto di guerra.
Non mancano ospiti graditi come Robbie Woning dei Dead Head e Michiel Dekker (The Monolith Deathcult) ed il tutto è stato registrato ai the Soundlodge Studios in Germania (God Dethroned, Sinister, Nightfall, Dew-Scented) .
Quattro brani più bonus di death metal arrembante, convincente sotto ogni aspetto, con una prova all’altezza in tutte le sue componenti, dalle sei corde (Rutger van Noordenburg e Winfred Koster) che impazzano con riffoni pesantissimi e solos taglienti, la sezione ritmica che risulta uno schiacciasassi (Edwin Nederkoorn alle pelli e Wicliff Wolda al basso) e un portentoso vocalist (Arnold Oudemiddendorp), che ricorda non poco Jan-Chris DeKoeyer dei conterranei Gorefest.
E ai Gorefest dei primi lavori la mente vola, così come ai God Dethroned, insomma, tra le varie tracce di Blood Will Tell è marchiata a fuoco la bandiera dei Paesi Bassi, altra scuola fondamentale per lo sviluppo del genere.
Strumenti che viaggiano su toni ribassati, un tocco di groove nelle ritmiche per non sembrare troppo old school e tanta pesantezza sono le maggiori virtù di Folie A’ Deux, Catch 23, la spettacolare Disgusted e Undesired, a chiudere l’ascolto (la bonus track Blood For Me non è presente sul promo, ma solo nel cd) di un mini cd che si spera funga da antipasto al primo full length e  non sia, invece, solo una riapparizione estemporanea.
Per gli amanti del genere una band tutta da scoprire.

TRACKLIST
1. Folie A’ Deux
2. Catch 23
3. Disgusted
4. Undesired
5. Blood For Me

LINE-UP
Arnold Oudemiddendorp – Vocals
Edwin Nederkoorn – Drums
Rutger van Noordenburg – Guitars
Wicliff Wolda – Bass
Winfred Koster – Guitars

BLOODPHEMY – Facebook

Mob Rules – Tales From Beyond

Tales From Beyond quindi risulta un buon disco, l’ennesimo di una band che, se non ha mai trovato il Graal del capolavoro, sicuramente non ha mai deluso le aspettative, confermandosi come una un punto fermo per gli amanti di queste sonorità.

I Mob Rules sono una delle tante band nate a metà degli anni novanta (1994), in pieno ritorno sia qualitativo che commerciale dei suoni heavy classici, specialmente nel vecchio continente, anni in cui le vecchie glorie tornavano a produrre grande musica, accompagnate da nuove realtà di un certo rilievo, ancora oggi sulle bocche e negli stereo dei true defenders sparsi per l’Europa.

La band tedesca è sempre rimasta un gradino sotto i gruppi più famosi, ma questo non ha mai inficiato la buona qualità della sua musica, un ottimo esempio di heavy power metal, molte volte valorizzato da soluzioni vicine al prog e dalla fiera vena epica.
Il sestetto ha così scritto negli anni pagine di metallo epico, oscuro e melodico, convogliando in un unico sound le sue maggiori influenze, dal metal classico di scuola Dio, ai Maiden, senza lasciare indietro il sound originario delle proprie terre, sommandoli ed ottenendo un concentrato di ritmiche power, solos heavy melodici e dalla vena epica, tra cavalcate in crescendo, riff cadenzati e potentissimi, accompagnati dalle tastiere, capaci di teatralizzare e rendere magniloquenti molti dei brani scritti.
Tales From Beyond, come avrete capito, non si discosta dalla usuale proposta che il gruppo ci ha abituato fin dai tempi del debutto Savage Land, primo di otto fratelli che, senza picchi clamorosi, ma con buona costanza, hanno portato i Mob Rules nel nuovo millennio.
Qualche inserto folk celtico, cambi di ritmo ed una buona predisposizione per le melodie, fanno del nuovo lavoro l’ennesimo buon disco da parte della band, come sempre sul pezzo nel travolgerci con cavalcate metalliche, protagoniste anche su Tales From Beyond e loro marchio di fabbrica, assecondate da un’ottima prova delle due asce, che non si risparmiano nello scambiarsi la scena con solos gustosi, mentre il buon Klaus Dirks, alza di non poco la qualità del lavoro con un’eccellente prova, un po’ Dio, un po’ Dickinson, insomma singer di razza superiore.
La coppia Matthias Mineur e Sven Lüdke alle chitarre, la sezione ritmica compposta da Markus Brinkmann al basso e Nikolas Fritz alle pelli, e le tastiere di Jan Christian Halfbrodt, completano una line-up consolidata e affiatata, che permette a Tales From Beyond di viaggiare su livelli ottimi, aiutato anche da un’ottima produzione.
Molto atmosferici i vari brani, pur mantenendosi su livelli alti di energia, il pathos epico/oscuro che si respira sul nuovo album è l’arma in più di canzoni dall’alto tasso emozionale come la celtica Somerled, la maideniana On The Edge, il crescendo epico di My Kingdom Come e le tre parti di A Tales From Beyond, mini suite di quindici minuti che, nelle parti più elaborate, avvicina il gruppo ai meravigliosi Vanden Plas.
Tales From Beyond quindi risulta un buon disco, l’ennesimo di una band che, se non ha mai trovato il Graal del capolavoro, sicuramente non ha mai deluso le aspettative, confermandosi come una un punto fermo per gli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1.Dykemaster’s Tale
2. Somerled
3. Signs
4. On the Edge
5. My Kingdom Come
6. The Healer
7. Dust of Vengeance
8. A Tale from Beyond (Part 1: Through the Eye of the Storm)
9. A Tale from Beyond (Part 2: A Mirror Inside)
10. A Tale from Beyond (Part 3: Science Save Me!)
11. Outer Space

LINE-UP
Klaus Dirks – Vocals
Matthias Mineur – Guitars
Sven Lüdke – Guitars
Markus Brinkmann – Bass
Nikolas Fritz – Drums
Jan Christian Halfbrodt – Keyboards

MOB RULES – Facebook

Ereb Altor – Blot-Ilt-Taut

Per i fans dei Bathory, Blot-Ilt-Taut è un buon modo per rivivere le gesta di Quorthon grazie all’ottima rivisitazione offerta da un gruppo notevole come gli Ereb Altor, alle prese con la propria musa ispiratrice.

L’importanza epocale di un musicista come Quorthon è pari solo alle molte leggende create su questo mitico personaggio, che con i suoi Bathory, per molti i veri padri del black metal scandinavo nonché ispiratori del genere viking, ha avuto un’importanza primaria sullo sviluppo di un certo modo di concepire il metal estremo.

Purtroppo nel giugno del 2004 il musicista svedese ci ha lasciati per cavalcare nel Valhalla, lasciando in eredità dei capolavori di musica estrema, epica ed evocativa influenzando una miriade di gruppi, tra cui i conterranei Ereb Altor che tonano con questo tributo al loro maestro, dopo l’ottimo Nattramn uscito lo scorso anno.
E mai band poteva tributare un omaggio ai Bathory meglio del gruppo degli ex-Isole Mats e Ragnar, veri cultori della musica scritta dal musicista e compositore svedese e, con Blot-Ilt-Taut, direi che la missione è stata compiuta.
Sangue-Fuoco-Morte, la traduzione del titolo dell’album, che in tre forti parole esprime il concept dietro a questi leggendari brani, epici, oscuri e maligni, presi da altrettanti capolavori come Under the Sign of the Black Mark, Blood Fire Death, Hammerheart e Twilight Of The Gods, insomma il meglio scritto da Quorthon con la sua seminale band.
L’album, mixato e masterizzato da Jonas Lindström all’Apocalypse Studio, con la copertina creata da Robban Kanto e licenziato in vinile e nel supporto digitale, ripercorre una bella fetta di carriera dei Bathory, dall’apparizione alla compilation Scandinavian Metal Attack uscita nel 1984 con The Return of Darkness and Evil, passando per Woman Of Dark Desire, oscura black metal song da Under The Sign Of The Black Mark del 1987.
Blood Fire Death è glorificato dalla spettacolare title track e da A Fine Day to Die, mentre il successivo Hammerheart è presente con altri due brani, Song to Hall Up High e Home of Once Brave, cavalcata epica e drammatica ed uno dei brani più belli dello storico gruppo svedese.
Twilight Of The Gods, titletrack dell’omonimo lavoro del 1991 e spettacolare brano dalle atmosfere evocative, chiude il cerchio.
Le songs non sono inserite nella track list in ordine cronologico, ma è un dettaglio, rimane l’ottima prova del quartetto svedese, alle prese con un pezzo importantissimo del metal estremo mondiale che la band interpreta alla grande, mettendoci qualcosa di suo, senza snaturare il credo musicale di questo grandissimo musicista.
Per i fans dei Bathory, Blot-Ilt-Taut è un buon modo per rivivere le gesta di Quorthon grazie all’ottima rivisitazione offerta da un gruppo notevole come gli Ereb Altor, alle prese con la propria musa ispiratrice.

TRACKLIST
1. A Fine Day to Diev
2. Song to Hall Up High
3. Home of Once Brave
4. The Return of Darkness and Evil
5. Woman of Dark Desires
6. Twilight of the Gods
7. Blood Fire Death

LINE-UP
Mats – Vocals, Bass, Guitars, Keyboards
Ragnar – Keyboards, Vocals, Bass, Guitars
Tord – Drums
Mikael – Bass, Vocals

EREB ALTOR – Facebook

Mr.Riot – Same Old Town

Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e Motley Crue.

Il singolo America, mette subito in chiaro il concept che sta dietro a questi cinque ragazzi di Novara: suonare rock’n’roll come lo si faceva nella Sunset Strip negli anni ottanta e credeteci, lo fanno pure molto bene.

La band si chiama Mr.Riot ed è in giro a far danni da soli due annetti, la label greca Sleazsy Rider non se li è fatti sfuggire e Same Old Town arriva a noi come primo parto di questa creatura di hard rock a stelle strisce, che guarda al passato, anche se la sua musica giunge a noi come un prodotto fresco e molto ben fatto.
Chiaro che il genere (un hard rock, ricco di spunti sleaze e street) è quello e le influenze sono chiare, richiamando a più riprese i mostri sacri dell’America sex, drugs and rock’n’roll, ma l’album dei nostri suona alla grande, i brani funzionano ed il tutto risulta un concentrato di pura adrenalina riversato sui rockers con qualche lustrino di troppo.
Si viaggia su ritmi altissimi, inframmezzati da piccole gemme in formato ballad, d’altronde la vita da rocker è molto dura, ed ogni tanto bisogna ricaricare le pile, ma questo non inficia l’energia che sprigionano i brani contenuti nell’esordio della band piemontese, che parte alla grande (dopo un’intro recitato da una Riot girl’s) con il riff dell’energica Scream And Shout, sulle tracce dei Van Halen del pluridecorato 1984, prima di rivolgersi in toto ai grandi Twisted Sisters.
Rock’n’roll è la song che Dee Snider potrebbe invidiare alla band, cantata come se non ci fosse un domani dal convincente vocalist Stevie Lee, mentre Mr.Riot si arma di un micidiale hard’n’heavy e spara melodia come un cannone da una nave da guerra.
Illusion è la classica ballad di ordinanza, prima che l’arena rock di America risulti un sontuoso esempio di rock arioso e melodicissimo, puro e sognante brano ottantiano, mentre si torna alla ruvidità street rock ed ai Van Halen con Sexy Photograph.
L’album continua il suo viaggio, tra brani energici e splendide aperture melodiche, mentre la ballad acustica Spread Our Love spezza il ritmo prima di lasciare alla title track la chiusura del disco con un’altra bordata di grintoso e ruvido rock’n’roll.
Detto che i musicisti ci sanno fare, con la coppia d’asce che fa scintille (Mr.LadiesMan e Angeless), Same Old Town è un vero spasso se vi piace il genere e non potete fare a meno di vecchi volponi del rock’n’roll statunitense come, Van Halen, Twisted Sisters, Poison, Skid Row e i sempre presenti (quando si parla di queste sonorità) Motley Crue.

TRACKLIST
01 – Wake up!
02 – Scream and shout
03 – Rock ‘n’ roll
04 – Mr. Riot
05 – Illusion
06 – America
07 – Sexy photograph
08 – Close your eyes
09 – Wild raw
10 – Spread our love
11 – Same old town

LINE-UP
Stevie Lee – Voice, Keytar
Mr.LadiesMan – Guitars
Angeless – Guitar
Tommy Beefy – Bass Guitar
Denny Riot – Drums, Backing Vocals

MR.RIOT – Facebook

Disquiet – The Condemnation

Il gruppo, a suo agio nell’amalgamare i vari stili che si susseguono all’ascolto, mantiene in perfetto equilibrio le varie sfumature estreme di cui si nutre e le scarica in questa ottima raccolta

The Condemnation è il secondo full length dei Disquiet, gruppo olandese che amalgama con molta cura sonorità che vanno dal thrash tradizionale alle sonorità in linea con le produzioni moderne, aggiungendo un pizzico di impatto death a questo ottimo lavoro.

Attivo dall’inizio del nuovo millennio, il gruppo proveniente dai Paesi Bassi ha trovato dal 2008 la dovuta continuità, dal primo demo ( Hare Incarnate) passando per l’album Scars of Undying Grief, prima prova sulla lunga distanza del 2011, ed ora tornato con questo devastante album che non disdegna buone melodie, incastonate nell’incudine che risulta il sound.
Partono a razzo i Disquiet, mettendo subito in evidenza con il trittico Ascending, The Condemnation e Fist of Persistence, l’ottimo talento per le melodie, anche se le ritmiche rimangono forsennate ed il vocione del vocalist Sean Maia, si avvicina più al deathcore che al tradizionale timbro thrash metal.
Prodotto benissimo, il sound risulta travolgente, il piglio della band è di quelli inyourface e le lancette dell’orologio girano impazzite, non annoiando certo l’ascoltatore, travolto dalla furia metallica delle varie, The Great Divide e Haul Down the Tree of Life.
Le due chitarre formano uno tsunami di ritmiche e solos delle più varie, suonate con ottima tecnica (Fabian Verweij e Menno Ruijzendaal) e la prova di batteria e basso, viene valorizzata da una fantasia e potenza sopra le righe ( Arthur Stam alle pelli e Frank van Boven alle quattro corde), elargendo agli astanti schiaffoni di metallo tempestoso.
Non un attimo di tregua fino alla conclusiva e notevole Bred To Fail, dove i Disquiet si avvicinano tremendamente al death metal melodico, sconquassato da solos classici e ritmiche al vetriolo, più di sette minuti di delirio chitarristico e ritmico, dove il singer dimostra una buona padronanza e personalità nel cantato, aggressivo ma perfettamente in grado di dare al sound una marcia in più.
E’ con questi album che il genere scala le preferenze dei fans: il gruppo, a suo agio nell’amalgamare i vari stili che si susseguono all’ascolto, mantiene in perfetto equilibrio le varie sfumature estreme di cui si nutre e le scarica in questa ottima raccolta, riuscendo nell’impresa di piacere sia agli amanti della tradizione che a quelli in linea con sound più attuali.

TRACKLIST
1.Ascending
2.The Condemnation
3.Fist of Persistence
4.Born to Dissent
5.The Great Divide
6.Haul Down the Tree of Life
7.Las’Pasi
8.From Essence Deprived
9.IDK
10.Bred to Fail

LINE-UP
Arthur Stam – Drums
Fabian Verweij – Guitars
Menno Ruijzendaal – Guitars
Sean Maia – Vocals
Frank van Boven – Bass

DISQUIET – Facebook

Blade of Horus – Monumental Massacre

La durata ridotta dell’ep e l’ottimo songwriting fanno sì che Monumental Massacre scorra via senza far perdere all’ascoltatore l’attenzione che merita ogni brano

Cultura egizia e sci-fi sono un connubio vincente sia sul grande schermo sia nel mondo delle sette note, infatti sono molte le realtà che attingono al sapiente ed antico popolo del Nilo, il primo a studiare l’immenso mare di stelle sopra la propria testa.

Un concept lirico che viene usato anche nel metal estremo e Monumental Massacre, primo lavoro degli australiani Blade Of Hours, non ne è che l’ultimo esempio.
Il gruppo nato nella terra dei canguri è formato da tre musicisti di provata esperienza nel mondo del metal, come il vocalist Eric Jenkins ex di Torture Inc., Putrefaction, War Faction e Eviscerator, Ivan Ellis e James Buckman, chitarristi provenienti dagli Eviscerator, così da poter considerare i Blade Of Hours una continuazione di quella band attiva dal 2011 al 2015.
L’album, che esce per la Lacerated Enemy Records in questo inizio d’anno, andando ad infoltire le truppe celesti del death metal tecnico e brutale, si apre con un’intro fantascientifica, le astronavi arrivate da galassie lontane si posano sulla sabbia del deserto e ne escono esseri dalle intenzioni bellicose, proprio come la musica del gruppo, che fin dalla titletrack dà avvio al massacro estremo fatto di intricatissimo brutal death.
Grande la prova del trio, tra growl di estrazione brutal e vortici di riff che si incastrano alla perfezione sul tappeto ritmico programmato, con corse a perdifiato sui manici delle asce, cambi di ritmo e solos molto ben congegnati.
Inhumane Experimentations e Descent into the Cosmic Realm of Everlasting Madness sono i brani che colpiscono maggiormente, anche se la durata ridotta dell’ep e l’ottimo songwriting fanno si che Monumental Massacre scorra via senza far perdere all’ascoltatore l’attenzione che meritano branidall’elevato spessore tecnico, elargito tra questa tempesta di suoni potentissimi.
Il technical death metal è questo, prendere o lasciare, perciò non aspettatevi particolari novità da questa raccolta di brani, se non un buonissimo lavoro di genere.

TRACKLIST
1. Intro
2. Monumental Massacre
3. Succumb to the Overwhelming Stench of Necrophagia
4. Inhumane Experimentations
5. Death of a Spartan King
6. Descent into the Cosmic Realm of Everlasting Madness
7. Return of the Dark Gods

LINE-UP
James Buckman – Guitars
Ivan Ellis Guitars – Drum programming
Eric Jenkins Vocals – Lyrics

BLADE OF HORUS – Facebook

Mithridatic – Miserable Miracle

Dalla terra transalpina cova e si genera un’orda di realtà metalliche dall’alto potenziale estremo, un’aggressione sonora che dai confini francesi avanza verso l’Europa non risparmiando le terre italiche

Dalla terra transalpina cova e si genera un’orda di realtà metalliche dall’alto potenziale estremo, un’aggressione sonora che dai confini francesi avanza verso l’Europa non risparmiando le terre italiche, invase da questo morboso e violento tsunami di metal estremo.

La Kaotoxin, label specializzata nel genere, licenzia il primo lavoro sulla lunga distanza dei devastanti Mithridatic, gruppo nato quasi dieci anni fa a Saint Etienne, città nel nord della Francia.
Dopo un demo ed un ep, uscito lo scorso anno, anche per i Mithridatic è giunto il momento del tanto atteso full length, ed il gruppo le sue carte l’ha giocate alla grande con Miserable Miracle, un album di metal estremo che unisce in sé tradizione e modernità, ritmiche black/thrash e potenti anthem colmi di di insano groove, il tutto condito da un impatto ed un’attitudine sopra le righe.
Certo qualche difetto da correggere col tempo non manca (le songs tendono ad assomigliarsi un po’ troppo), ma il sound c’è, così come una certa predisposizione a non fossilizzarsi troppo nel corso del lavoro verso uno stile preciso, creando un devastante sound che pesca tanto dall’old school quanto dal moderno metal, rimandando alla scena blackened polacca e richiamando atmosfere di morboso industrial e death estremo, insomma un massacro.
L’attacco frontale è di quelli che scaraventano al muro con una forza sovrumana, le atmosfere apocalittiche ed insane ( Oxydized Trigger Sabotage ) non fanno che aumentare la claustrofobica sensazione di malessere che pervade le songs racchiuse in questo armageddon sulla Terra, alternando veloci bombardamenti in blast beat a cadenzate cadute verso l’abisso, oscuro, pesante e destabilizzante (la title track, Funambule Pénitent).
Sul versante death l’angelo morboso è il protagonista indiscusso della musica dei nostri, potenziato dal black dei Behemoth e riminiscenze industrial, così da creare un inferno di musica estrema e sconvolgente.
Buon lavoro dunque, una mazzata estrema con tutti i crismi per piacere agli amanti dei suoni estremi con tendenze apocalittiche.

TRACKLIST
1. The Supply…
2. …For Terror and the Crowd
3. Miserable Miracle
4. I Will Harm
5. Funambule Pénitent
6. Hell Compasses Points
7. Oxydized Trigger Sabotage
8. Dispense the Adulterated
9. Vitrified Desert

LINE-UP
Guitou – Vocals
Alexandre Brosse – Guitars
Romain Sanchez – Guitars
Remolow – Bass
Kévin Paradis – Drums

MITHRIDATIC – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=1d_pCKRxSUs

Desert Hype – SweP

Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate.

Sicilia e Sardegna, oltre ad essere le nostre isole maggiori e due tra le più belle regioni della nostra bistrattata penisola, hanno in comune una scena hard rock che non ha niente da invidiare a paesi più blasonati; se poi si parla esclusivamente di rock alternativo e stoner, le band da seguire con attenzione, protagoniste di lavori sopra le righe, sono molteplici e richiamano a più riprese la scena statunitense del ventennio a cavallo tra gli anni novanta e la musica di Seattle, ed il decennio successivo con il successo dello stoner suonato nella Sky Valley.

Non vi sto ad elencare i gruppi che, a più riprese, hanno fatto sobbalzare dalla poltrona questo inguaribile vecchietto, amante di più o meno tutte le svariate forme prese, nel corso degli anni, dal metal e dal rock, ma vi assicuro che la musica di qualità la si crea anche da noi, basta saperla cercare.
Ed allora il traghetto ci aspetta, un saluto agli amici e si parte per la Sardegna, scalo ad Olbia e giù verso cagliari per incontrare i Desert Hype, trio stoner junk rock del capoluogo, nato nel 2011 e con all’attivo tre ep; l’esordio omonimo dello stesso anno e Sgattagheis, doppio ep del 2013.
2016, è giunto il momento di licenziare il primo full length, questo ottimo SweP, un monolite di suoni stoner, dal mood punk alternative e noise, che riversa sull’ascoltatore una valanga di lava elettrica, stupendamente alternative, ma, e qui sta il bello, di una presa disarmate.
Basso grasso che spacca i timpani, pelli che si strappano sotto i colpi di una forza inesauribile, chitarra che vomita watts a profusione e tante buone idee, sono le virtù principali di questo splendido lavoro, che non ne vuol sapere di scendere sotto una media altissima e soprattutto spacca che è un piacere.
Come detto i suoni variano tra il mood che rimane desertico per tutta la durata, come persi in sconfinate pianure di sole sabbia e pietre, e piccole oasi di alternative rock, che ci danno modo di sopravvivere nel lungo peregrinare in questa sconfinata valle di suoni rock pescati a piene mani dalle terre d’oltreoceano e fatte proprie dai tre musicisti sardi.
Parto dalla fine perché Ponies Over Olympic Ceremony 2012, posta prima dell’outro, è un piccolo capolavoro di rock stonato, una lunga e lisergica jam tra stoner e noise che vi ridurrà a povere amebe peggio di un’overdose di LSD.
Ma SweP non finisce qui, con l’opener Flying Shit che se la prende comoda e prima di esplodere gioca con il basso come una mangusta col cobra, mentre ScioScio e la title track ci danno il benvenuto nel trip del gruppo, con la chitarra che parla, urla, grida, torturata da Mirko Deiana, mentre il basso di Andrea Demurtas pulsa facendo sgorgare sangue dai nostri poveri padiglioni auricolari.
Joint And Wine Superballad 3000 è uno strumentale da brividi, dove il gruppo sfodera gli artigli ed il talento e sale in cattedra il drummer Daniele Moi, prima che un’acustica drogata sia la protagonista di DoDo (Dead Like A).
Blues punkizzato, rock’n’roll ruvido vicino al garage risulta Spiders On The Floor Tom, mentre con Trp1 si torna a perdersi nel desertico labirinto di suoni creati ad arte dai Desert Hype per destabilizzare, confondere, mettere al tappeto senza pietà.
Non cercate troppo lontano, la buona musica è più vicino di quanto pensiate e SweP è un’altro ottimo esempio di come la nostra scena cominci davvero a fare la voce grossa, rivelandosi non solo una buona alternativa a quelle più famose, ma assoluta protagonista del rock di questo inizio millennio.

TRACKLIST
1. Flying Shit
2. ScioScio
3. Desert Hype
4. Joint And Wine Superballad 3000
5. DoDo (Dead Like A)
6. Spiders On The Floor Tom
7. Trip1
8. Ponies Over Olympic Opening Ceremony 2012
9. Seacows B******s

LINE-UP
Andrea Demurtas – basso/voce
Mirko Deiana – chitarra
Daniele Moi – batteria

DESERT HYPE – Facebook

Decrepit Soul – The Coming Of War

I Decrepit Soul fanno un death metal che travolge ciò che incontra, devastando tutto nello stile dei migliori Bolt Thrower.

Questo disco potrebbe essere la colonna sonora di un assalto di truppe di qualsiasi epoca, da quelle con lance od archibugi, alle future pistole laser come raffigurato in copertina.

I Decrepit Soul fanno un death metal che travolge ciò che incontra, devastando tutto nello stile dei migliori Bolt Thrower. Questi australiani hanno avuto un’evoluzione costante, passando dal black metal tendente al tradizionale degli esordi fino ad arrivare a questo potentissimo death metal che non lascia mai tregua. Persino nelle parti più lente l’intensità è molto alta. La produzione precisa e pulita senza però essere sterile, rende ancora meglio il senso di violenza e massacro che il gruppo vuole rendere. L’ingresso del nuovo batterista Marcus Hellcunt (Vomitor, Bestial Warlust e Gospel Of The Horns) giova molto ad un impianto già ben rodato. Si è tirati da ogni parte da questo disco, proprio come se si fosse su di un campo di battaglia. Raramente si sente un disco death così quadrato ed appagante, con potenza, ritmo e mid tempos omicidi. Uno dei dischi death migliori di questo anno cominciato da poco.

TRACKLIST
1. Awaken
2. Feral Howling Winds
3. The Coming of War
4. Perished in Flames
5. Piscatorial Death
6. Black Goats Breath
7. Storm of Steel

LINE-UP
Astron – Bass
Kakorot – Vocals, Guitar
Marcus Hellcunt – Drums

DECREPIT SOUL – Facebook

Torture Rack – Barbaric Persecution

Un lavoro nel più puro spirito underground, un’altra opera per chi del genere vuole avere tutto e scoprire nuove realtà, ma se non si è fans incalliti dei suoni estremi di marca death si può passare tranquillamente oltre.

La storia insegna che le barbarie perpetrate dall’uomo sui propri simili non è un abitudine di questo secolo, anzi, forse il periodo più brutale che si ricordi è stato il medioevo, non solo quindi violenza portata dalle guerre, ma malvagità e torture nel vivere quotidiano, dove la vita valeva davvero poco.

Vero è che oltre la storia, le leggende su signori feudali diventati mostri di malvagità si sprecano, così come i resoconti sulle le stanze delle torture, sinistre caverne che si possono visitare in ogni castello sopravvissuto ai secoli.
I Torture Rack sono una death metal band statunitense e su questo argomento hanno costruito il loro concept che portano avanti dal 2012, anno di nascita del quartetto, arrivato pochi mesi fa all’esordio sulla lunga distanza, dopo il classico primo demo uscito un paio d’anni fa (Medieval Mutilation).
Barbaric Persecution continua il viaggio del gruppo nelle stanze delle torture medievali, tra asce, coltelli, vergini di ferro e ruote varie, in uno tsunami di violenza senza freni.
Il loro death metal si avvicina al brutal, specialmente nel growl animalesco del bassista Jason, mentre il sound risulta oscuro, cavernoso e old school.
I brani viaggiano a velocità medie, le ritmiche difficilmente si fanno veloci e seguono di pari passo la lenta agonia dei prigionieri, chiusi nelle mura del castello e facili vittime di soldati dai pochi scrupoli e tanta voglia di sangue.
La Memento Mori ha licenziato l’album, originariamente uscito lo scorso anno nel solo supporto musicassette, altro indizio di cultura old school senza compromessi, undici brani, undici modi di torturare e seviziare senza pietà portando la vittima alla morte, lentamente, molto lentamente.
Talent for Torture, Chamber of Morbidity e Coffin Breath, lasciano intravedere sufficienti potenzialità, anche se l’opera inciampa spesso nel già sentito, tra accenni a Morbid Angel e Cannibal Corpse.
Un lavoro nel più puro spirito underground, un’altra opera per chi del genere vuole avere tutto e scoprire nuove realtà, ma se non si è fans incalliti dei suoni estremi di marca death si può passare tranquillamente oltre.

TRACKLIST
1. Intro
2. Talent for Torture
3. Apocalyptic Wrath of the Undead
4. Chamber of Morbidity
5. Entrail Intruder
6. Open Casket Funeral Puker
7. Field of Mutilation
8. Coffin Breath
9. Sentenced to Gang Rape
10. Coven Crusher
11. Beheaded for the Bloodbath

LINE-UP
Seth – Drums
Pierce Williams – Guitars
Tony – Guitars (lead)
Jason Vocals, Bass

TORTURE RACK – Faceboook

Cult of Lilith – Arkanum

I musicisti islandesi mettono sul piatto una buonissima tecnica al servizio di cinque brani che, nelle loro vorticose scale, risultano fluidi così da rendere facile assimilare il loro violento death metal tecnico.

Islanda e Italia, mai così vicine se si parla di questa nuova band, con base sull’isola più a nord d’Europa, una piccola terra in mezzo al freddo mare del nord, ma molto attiva in ambito musicale, specialmente quando volgiamo lo sguardo e l’udito ai suoni metallici.

Infatti il gruppo di Reykjavík, attivo da appena un anno, è di fatto un duo, con Daniel Thor Hannesson (chitarra) e Jon Haukur Petursson (voce), aiutati dal batterista nostrano Alessandro Vagnoni, in forza ai Dark Lunacy, e Manuele Pesaresi, a cui è stato affidato il mixaggio del disco ai Dyne Engine Studio.
Pur essendo alla prima esperienza i musicisti islandesi mettono sul piatto una buonissima tecnica, al servizio di cinque brani che, nelle loro vorticose scale, risultano fluidi, così da non rendere faticosa l’assimilazione del loro violento death metal tecnico.
Gran lavoro del nostro Vagnoni, valore aggiunto alle pelli, ed ottima la produzione, abbastanza cristallina per far risaltare il sound proposto, un death metal che abbonda di groove, violento, ipertecnico e dall’ottimo impatto.
Growl vario, ritmiche serrate e funamboliche, sfumature tastieristiche perfettamente incastonate in un sound che prende per mano l’attitudine old school e l’accompagna verso l’inizio di una storia musicale che promette scintille estreme.
Le tracce hanno una durata medio corta, non stancando nel loro svolgimento, tutte con un’anima diversa abbastanza per renderle riconoscibili dopo pochi ascolti, ora tempestate dal veloce vento del nord, ora pesanti come macigni dove la sei corde impazza con solos intricati, ma dal buon appeal.
Con influenze che stanno tutte nella storia del genere (Spawn Of Possession, Death), Arkanum è una buona partenza per i Cult Of Lilith: un prodotto altamente professionale, ma per le band che arrivano da quei paesi non è certo una novità.

TRACKLIST
1. Abaddon
2. Tomb of Sa’ir
3. Arkanum
4. Detested Empress
5. Night Hag

LINE-UP
Daniel Thor Hannesson – Guitars
Jon Haukur Petursson – Vocals

Alessandro Vagnoni – Drums

CULT OF LILITH – Facebook

Virulency – The Anthropodermic Manuscript of Retribution

Un armageddon di brutal death metal è quest’ultima fatica degli spagnoli Virulency, che spalancano le porte dell’inferno con un selvaggio esempio di death estremo ed, appunto, virulento.

Un armageddon di brutal death metal è quest’ultima fatica degli spagnoli Virulency, che spalancano le porte dell’inferno con un selvaggio esempio di death estremo ed, appunto, virulento.

Il gruppo, per gli amanti dei suoni estremi che ancora non conoscessero la band, si forma nei Paesi Baschi nel 2011, anno in cui licenzia su demo i primi due devastanti brani.
L’anno dopo torna in pista con l’ep Unbearable Martyrdom Landscapes, ancora un demo nel 2013 (Virulent Promo) fino ad arrivare a questo esordio sulla lunga distanza, accompagnato da una bellissima copertina dai tratti horror/gore e da otto brani per un massacro senza pietà.
Il quartetto trasforma lo spartito in una sequela di orrendi e terribili torture ai padiglioni auricolari, con una serie di marce partenze in blast beat, buoni cambi di ritmo ed assoluta padronanza della materia.
Il growl disumano non ammette flessioni, ammantando il sound di una spessa coltre di violenza tout court, una bestia ferita che aggredisce chiunque si avvicini troppo, una famelica fiera, serva del male scatenata da un olocausto sonoro senza soluzione di continuità, alimentato dalle due parti di Myriapod Constructology, Immeasurable Gigantomastic Phenomenology e Mephistophelian Æsthetic Eroticism.
Siamo nel più puro brutal death, le songs si susseguono una più violenta dell’altra, lasciando che le influenze si aggirino come lupi intorno alla preda, prima dell’attacco che porterà allo smembramento e al delirio di sangue e carne.
Buona prova della sezione ritmica, composta dai distruttori, Fabio “Dr. Grinder” Ramirez alle pelli ( ex tra gli altri di Disembowel e Internal Suffering) e DisJorge, basso e chitarra, così come alla sei corde troviamo Asier, anche lui ex Internal Suffering.
La bestia al microfono si chiama J, un licantropo demoniaco e disturbante, che valorizza non poco la carneficina prodotta dal gruppo.
In definitiva un buon dischetto, consigliato ai fans dell’estremo sentire, che fa promuovere i Virulency nel loro primo parto sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1. Myriapod Constructology – Part I – The Inception
2. Myriapod Constructology – Part II – Absolute Zenith
3. Immeasurable Gigantomastic Phenomenology
4. Concupiscent Succubus Disturbance
5. …from Putrescible to Perpetual
6. Mephistophelian Æsthetic Eroticism
7. Beyond the Ablated Clitoral Organs
8. Sculptured Didelphic Uterus

LINE-UP
DisJorge – Fretless Bass, Guitars
J – Vocals
Asier Guitars
Fabio “Dr. Grinder” Ramirez Drums

VIRULENCY – Facebook

Jacob Lizotte – For the Fallen Ones

Jacob Lizotte possiede un talento potenzialmente ancora da esprimere in toto e, anche per questo, va seguito con curiosità e rispetto.

Jacob Lizotte è un giovanissimo musicista del Maine, con una nutrita discografia che lo accompagna ed un amore per il metal a 360° che lo ha portato a confrontarsi con vari generi della nostra musica preferita.

La sua avventura rigorosamente solista (il ragazzo suona tutti gli strumenti) è iniziata solo due anni fa, ma nel giro di pochi mesi, ha rilasciato ben sei lavori di cui tre sulla lunga distanza (Means to an End, Empowering the Weak, This Is War) alternando il sound proposto, che va dal metal moderno all’heavy metal old school dai richiami thrash, come nel caso di questo nuovo ep dal titolo For The Fallen Ones.
Jacob si è costruito il suo personale studio ed è autodidatta: dotato di una creatività fuori dal comune, che lo ha portato ad incidere più di cento brani in pochi anni, riversa in questo ennesimo lavoro tutta la sua voglia di metal classico.
Un lavoro che, questa volta, affonda le proprie radici nel metal old school, pregno, come detto di richiami al thrash statunitense e concettualmente molto shred.
La sei corde brucia note in scale da guitar hero, le ritmiche potenti e ben strutturate fanno da tappeto alle urla delle corde violentate dal talento del giovane musicista, che non se la cava male neppure dietro al microfono.
Tra i brani, ottime la title track e la thrash metal Mayhem, tributo al genere ed influenzato dai lavori delle band storiche a cavallo tra il decennio ottantiano e gli alternativi anni novanta.
Molta importanza ai solos, sempre debordanti, stilisticamente siamo nel puro old school, la produzione, con la voce lontana, accentua la sensazione di essere al cospetto di un album uscito originariamente in quei gloriosi anni, mentre le note di Voices Of The Dead ci portano nella tana dell’U.S. Metal di origine controllata.
Certamente non mancano i difetti, la proposta è migliorabile nella produzione, forse un po’ troppo fai da te, mentre i richiami alle band icona è leggermente accentuata, rimane il fatto che Jacob Lizotte possiede un talento potenzialmente ancora da esprimere in toto e, anche per questo, va seguito con curiosità e rispetto.

TRACKLIST
1. Fight or Flight
2. For the Fallen Ones
3. Metal Mayhem
4. Voices of the Dead
5. Save Us from Ourselves

LINE-UP
Jacob Lizotte- Everything

JACOB LIZOTTE – Facebook

Goatsodomizer – The Curse Rings True

Una botta di adrenalina, ruvida e sporca: The Curse Rings True nulla toglie e nulla aggiunge ad un genere che più underground di così non si può

Si sono presi tutto il tempo necessario, forse anche troppo, gli svedesi Goatsodomizer per dare alle stampe il loro primo full length licenziato dalla Iron Shield.

Infatti la band risulta attiva fin dal 1995 e fino ad ora aveva immesso sul mercato solo due demo all’alba del nuovo millennio, This Mean War e Rapin’ My Graveyard, rispettivamente datati 2000 e 2002.
Dopo quattordici lunghi anni, finalmente The Curse Rings True vede la luce, nel frattempo il gruppo di Stoccolma è rimasto un trio, con Per Lindström impegnato al basso ed alla sei corde, Johan Norén alle pelli e Gustaf Browall ad urlare nefandezze dentro al microfono.
Attitudine satanista ed ignorantissima, per una raccolta di brani che si rifanno alla tradizione thrash old school con una buona dose di rock’n’roll a tramutare il tutto in un armageddon metallico d’assalto.
Poco più di mezz’ora, sparata a velocità sostenuta, un impatto live da prendere o lasciare, senza mai uscire da una qualità accettabile ma non trascendentale, questo in poche parole risulta l’esordio del gruppo, influenzato, come tutti quelli del genere, dai Motorhead e dal thrash vecchia scuola.
Tra le songs spiccano le buone ritmiche delle rock’n’roll Sidewalk Sinner e la conclusiva Going To Brazil, per il resto è il thrash metal che comanda il sound dei Goatsodomizer che, per la musica trattata e la produzione volutamente sporca, finisce per essere rivolto ai fans delle sonorità old school.
Una botta di adrenalina, ruvida e sporca: The Curse Rings True nulla toglie e nulla aggiunge ad un genere che più underground di così non si può; l’ottimo lavoro della sezione ritmica e qualche assolo mitragliato aggiungono verve ad un lotto di brani che si assomigliano un po’ troppo, risultando il più grande difetto del sound del gruppo svedese.

TRACKLIST
1. Graveyard Bitch
2. Iron Casket
3. Sidewalk Sinner
4. U.V.G.S.
5. Tombstone Riot
6. Scum of the Underworld
7. Into the Crypt
8. Gore Galore
9. Raping My Graveyard
10. Sodomized til Death
11. Die Screaming
12. Going to Brazil

LINE-UP
Per Lindström – Bass, guitars
Johan Norén – Drums
Gustaf Browall – Vocals

GOATSODOMIZER – Facebook

Exekuter – The Obscene Ones

The Obscene Ones si fa apprezzare con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti (il genere è questo, prendere o lasciare).

Si torna a parlare di thrash metal old school con i greci Exekuter, quartetto di Larissa fondato nel 2008 da Tolis Mekras e Antoine Mallidis, rispettivamente voce e basso e batteria, raggiunti dai due axeman, Michalios Sismanis e Thodoris Grigoriou.

La storia discografica del gruppo ha inizio, come tante altre band con l’uscita di un demo (Mind Exekution) nel 2009, a cui si aggiunge il primo full length autoprodotto, licenziato un paio di anni dopo, dal titolo Given To The Altar.
Siamo nel 2016 ed il gruppo, tramite la EBM records, immette sul mercato il secondo album, The Obscene Ones,  suonato bene, veloce e senza compromessi.
Le influenze riscontrabili sono tutte nel genere aldilà dell’oceano, sconfinando nello speed metal ottantiano e a tratti ben strutturato su un gran lavoro delle sei corde, precise, veloci e molto affiatate.
Tanta grinta ed impatto sono le carte vincenti dei thrashers greci, chiaramente il genere non offre molti spunti originali e la mezz’ora abbondante che ci riservano i nostri, scorre correndo all’impazzata su e giù per lo spartito, come vuole il buon vecchio thrash metal.
Qualche solos più ragionato e melodico, conduce il songwriting del gruppo verso lidi metallici più classicheggianti, ma in definitiva The Obscenes Ones rimane in tutto e per tutto un album perfetto per far scapocciare i kids con i jeans stretti ed il chiodo d’ordinanza.
Tra le songs si distinguono l’inossidabile Secrets of a Divine, le devastante Obsessed e quella che, a mio parere risulta la traccia cardine dell’album, Purified by Fire, puro metallo veloce, travolgente ed ottimo esempio di come si suona il thrash metal old school.
Insomma, The Obscene Ones si fa apprezzare con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti (il genere è questo, prendere o lasciare), ed è consigliato agli amanti dei suoni old school.

TRACKLIST
1. No Morals
2. Secrets of a Divine
3. D.T.G.
4. Demonic Lust
5. Purified by Fire
6. Obsessed
7. Pandemic
8. Sacrificial Death

LINE-UP
Tony Mallidis – Drums
Tolis Mekras – Vocals, Bass
Mixalios Sismanis – Guitars
Thodoris Grigoriou – Guitars

EXEKUTER – Facebook

Destructor – Back In Bondage

Il ritorno dei Destructor si profila come uno dei primi appuntamenti da non perdere per i true metallers legati alla tradizione old school

Tornano gli storici Destructor, band attiva dalla metà degli anni ottanta, ed esempio del buon lavoro della Pure Steel nel riportare all’attenzione dei fans realtà storiche del panorama metal mondiale.

La band dell’Ohio aggiunge un’altra tacca alla cintura della sua numerosa discografia, il nuovo album è il quarto full length, ma la band annovera una marea di demo, ep e live, che accompagnano i primi tre lavori in studio, Maximum Destruction, esordio di metà ottanta, Sonic Bullet del 2003 ed il precedente Forever in Leather, ultimo parto in casa Destructor del 2007.
Heavy metal old school, ipervitaminizzato da velocità ed aggressività speed/thrash, è la carattersitica del sound del quartetto capitanato da Dave Overkill (voce e chitarra) e Nick Annihilator (chitarra), a cui si aggiunge la sezione ritmica dei distruttori, Tim Hammer (basso) e Matt Flammable alle pelli.
Overkill e Annihilator, pseudomini che la dicono lunga sulla musica del gruppo americano, improntata su un aggressivo U.S. metal che si avvicina non poco al thrash, il tutto sotto l’ala di un sound che più old school non si può, valorizzato da tanta esperienza, ed un’ottima preparazione che tecnica, così da far esplodere in un girone di infernale heavy metal senza compromessi i brani qui contenuti.
Veloci e violente fughe al limite della velocità, si alternano ad ottime ed oscure parti cadenzate, solos ed ottime parti strumentali, riecheggiano nella struttura dei brani, dove non mancano cambi di tempo, pur mantenendo un’aurea oscura e rabbiosa.
La produzione mantiene fede all’impronta old school del disco, così che veniamo trasportati nel suono americano, trascinati per i piedi da una raccolta di songs dure come l’acciaio, oscure come impone la tradizione e violente il giusto per fare di Back In Bondage un album consigliato agli amanti del genere, che si troveranno al cospetto di una band travolgente e a songs cattive come Final Solution, G-Force, la maideniana Pompeii, ed il piccolo capolavoro The Shedding of Blood and Tears, una semiballad in crescendo tra Metal Church ed Iron Maiden e picco qualitativo di questo ottimo lavoro.
Il ritorno dei Destructor si profila come uno dei primi appuntamenti da non perdere per i true metallers legati alla tradizione old school, ma può essere un buon modo per avvicinarsi al genere per i giovani che del metal tradizionale conoscono solo i primi album dei gruppi più famosi.

TRACKLIST
1. Fight
2. Final Solution
3. G-Force
4. N.B.K.
5. Pompeii
6. Powerslave
7. The Shedding Of Blood And Tears
8. Tornado
9. Triangle

LINE-UP
Dave Overkill – vocals, guitars
Nick Annihilator – guitars
Tim Hammer – bass
Matt Flammable – drums

DESTRUCTOR – Facebook

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp
https://soundcloud.com/puresteelrecords/destructor-fight

Comatose – The Ultimate Revenge

Album sufficientemente brutale e senza compromessi, una discreta opportunità per chi è curioso e non manca di ascoltare nuove realtà da ogni parte del mondo.

Nei molti vulcani che si trovano sul territorio delle Filippine nascono demoniache realtà che, nell’inferno della lava che scorre nel sottosuolo, si nutrono e crescono per raggiungere la superficie e dispensare metal estremo, forgiato a temperature inumane nelle cavità delle naturali ed enormi bocche di fuoco.

Non sono poche infatti le band nell’arcipelago dedite ai generi più estremi della musica metallica, specialmente se si parla di death metal ed i suoi derivati.
Liriche improntate su guerra, satanismo, religione e naturalmente morte, un sound che si avvicina pericolosamente al brutal e non solo per il growl animalesco e profondo, ma sopratutto per l’immane impatto, sono le caratteristiche di questi quattro figli del vulcano, sputati fuori da una devastante eruzione in quel di Cebu City nell’ormai lontano 2003 e con un lavico fiume di uscite tra demo, compilation ed ep, ora finalmente giunti al primo lavoro sulla lunga distanza.
Loro sono i Comatose, quartetto che dispensa death metal brutale come caramelle davanti ad una scuola, ed il loro The Ultimate Revenge risulta un lavoro devastante, suonato bene, anche se qualche difetto qua e là, lo rendono più che sufficiente ma nulla più.
Sicuramente piacevole per le anime brutali che si aggirano tra gli umani, The Ultimate Revenge è il classico album di genere, anche se la band si districa bene tra le numerose ed intricate parti dal buon tasso tecnico, peccando nel songwriting, a tratti leggermente monocorde.
Blast beat, tempeste di note che si aggrovigliano in trombe d’aria metalliche, un growl assatanato e cavernoso, chitarre che urlano dolore, bruciate dalla lava infernale e sezione ritmica posseduta da demoni con lingue di fuoco, compongono i nove gradini che scendono e si avvicinano al centro della terra, nove brani di furioso ed oscuro brutal death con le devastanti Army of Darkness, Plague Bearer e Hypochristianity a fare da colonna sonora alla discesa verso gli inferi.
Album sufficientemente brutale e senza compromessi, una discreta opportunità per chi è curioso e non manca di ascoltare nuove realtà da ogni parte del mondo.

TRACKLIST
1. Intro
2. The Ultimate Revenge
3. Army of Darkness
4. The Sickening Ways
5. Plague Bearer
6. Prophets Dream
7. Carnage in the Promise Land
8. Hypochristianity
9. Rivals of the Throne

LINE-UP
LD “Bellz” Lee – Guitars, Vocals (backing), Songwriting, Lyrics
Moloy Ordinal – Vocals
Rex Padron – Guitars, Bass, Vocals (backing)
Franco “Coco” Acha – Drums

COMATOSE – Facebook

Prong – X – No Absolutes

Il nuovo lavoro non lascia dubbi sul talentodi Victor che, accompagnato da Jason Christopher al basso e Art Cruz alla batteria, sfodera una prova che riconcilia con il genere

Ci sono gruppi che, grazie alla padronanza del genere suonato, a distanza di anni, dopo glorie e cadute, gioie e dolori, arrivano ad incidere album straordinari proprio come nel momento di massimo splendore e successo.

Tommy Victor ed i suoi Prong sono una di queste: grandi interpreti del metal moderno, con un talento unico  per le ritmiche industrial, magari non estremi come nei primi anni novanta (con i seminali Beg To Differ e Prove You Wrong) ma ugualmente spettacolari come nel capolavoro Cleansing, album che portò il gruppo di New York City alla notorietà.
Quasi trent’anni sono passati dal primo album e Tommy Victor non molla, circondato da una marea di musicisti che hanno gravitato nel gruppo e che, di album in album, hanno contribuito a fare della band del chitarrista americano, un punto di riferimento per chiunque si voglia confrontare con il thrash industriale.
Il nuovo lavoro non lascia dubbi sul talento di questo musicista che, accompagnato da Jason Christopher al basso e Art Cruz alla batteria, sfodera una prova che riconcilia con il genere: duro, marziale, molto thrash oriented ma ricamato da chorus catchy da fare tremare le gambe, metal moderno che molte delle giovani band di grido in questi tempi dovrebbero studiare in ogni dettaglio e venerare, prima di rientrare in sala d’incisione.
E X-No Absolutes non delude i fans dello storico gruppo, in stato di grazia in quanto a qualità del songwriting, già ampiamente dimostrato dal ritorno sulle scene con Carved In Stone, album del 2012 che ha dato il via ad una ritrovata enfasi nello scrivere musica da parte del genio newyorkese, con altri due lavori a distanza di pochi anni: Ruining Lives (2014) e Songs from the Black Hole dello scorso anno.
Il nuovo album è melodicissimo, arrembante, colmo di potenziali hits, veloce e thrashy fino al midollo, la chitarra di Victor si destreggia tra i famosi ritmi marziali e sfuriate metalliche da far impallidire mezza Bay Area, la voce del leader negli anni è migliorata, tanto da raggiungere un appeal che solo pochi anni fa era impensabile (la semiballad Belief System), mentre raggiungere la fine è un attimo, esaltati dallo strapotere delle varie Sense Of Ease, il metallone classico di Worth Pursuing, la thrashy Cut And Dry o l’arrembate metal industriale di Soul Sickness.
Rimane un lotto di tracce dall’impatto melodico esagerato, senza perdere un grammo dell’impatto groove/industrial metal di cui il gruppo è portatore sano, contaminando il nostro sangue con scorie di moderno sound esplosivo e devastante come un’atomica.
I Prong, come per esempio gli Anthrax, non si accontentano di riproporre lo stesso materiale, ma cercano di donare ai loro fans nuovi modi per assaporarne la musica e, di fatto, hanno trovato un ottimo compromesso tra la devastante marzialità dei primi lavori e l’aspetto più melodico del metal moderno: il tempo per loro non è passato invano…

TRACKLIST
1. Ultimate Authority
2. Sense of Ease
3. Without Words
4. Cut and Dry
5. No Absolutes
6. Do Nothing
7. Belief System
8. Soul Sickness
9. In Spite of Hindrances
10. Ice Runs Through My Veins
11. Worth Pursuing
12. With Dignity
13. Universal Law

LINE-UP
Tommy Victor Vocals, Guitar
Jason Christopher Bass
Arturo “Art” Cruz Drums

PRONG – Facebook

Abaddon – Son Of Hell

Con un po’ più di attenzione in fase di produzione e migliorando la prova vocale, la band indiana potrebbe fare un salto di qualità importante, anche se la proposta è circoscritta ai fans del genere.

Si torna a parlare di metal proveniente dall’India, con il debutto di questo quartetto proveniente da Bangalore, che di nome fa Abaddon e suona heavy metal old school irrobustito da iniezioni di adrenalina thrash.

Cinque brani, una mezz’ora scarsa di musica fieramente metallica, influenzata dai maestri heavy/thrash che hanno scritto la storia della nostra musica preferita, alternando brani in linea con la new wave of british heavy metal, ad altri dove i ritmi si fanno più serrati e la velocità aumenta pericolosamente.
Terror In The Eyes Of God è un brano maideniano, la voce fuori campo lascia spazio ad un riff che ripercorre in toto il sound della vergine di ferro, metal old school, magari non prodotto benissimo, ma assolutamente trascinante, così come l’ottima Rise Of The Undead.
In Violent Sage esce l’anima thrash del gruppo, uno strumentale che porta alla devastante Destruction Completes Creation, sezione ritmica compatta (Samarth Hegde alle pelli e Jehosh Gershom al basso) e chitarre che trascinano in un vortice di note ottantiane (Akash Ponanna e Naag Bharath) per il brano più riuscito del disco.
Un po’ monocorde, la voce del bassista, sicuramente migliorabile, rende poco giustizia al sound del quartetto, che non ha paura di mettere in mostra le proprie influenze e gioca con il metal old school pescando in egual misura da Iron Maiden, Judas Priest, Testament e Megadeth.
Con sufficiente piglio gli Abaddon ci propongono un dischetto tutto sommato piacevole, derivativo certo, ma anche ben costruito su questa alternanza tra l’heavy metal tradizionale ed il più violento thrash, mettendo a nudo pregi e difetti che per una band all’esordio sono sicuramente perdonabili.
Con un po’ più di attenzione in fase di produzione e migliorando la prova vocale, la band indiana potrebbe fare un salto di qualità importante, anche se la proposta è circoscritta ai fans del genere.

TRACKLIST
1. Terror In the Eyes of God
2. Rise of the Undead
3. Violent Sage
4. Destruction Completes Creation
5. Bullet Eye

LINE-UP
Naag Bharath – Guitars (rhythm)
Jehosh Gershom – Vocals (lead), Bass
Akash Ponanna – Guitars (lead)
Samarth Hegde – Drums

ABADDON – Facebook