Aevum – Impressions-Il Palcoscenico Della Mente

Impressions letteralmente incanta, trattandosi di una vera e propria opera rock/metal, nella quale l’elemento elettrico supporta il suono classico in un un vortice di stili e generi, mantenendo sempre in buona evidenza una componente oscura che trascina l’ascoltatore nel mezzo di un duello all’ultimo sangue tra i vari strumenti e tra le diverse voci.

Un’opera quanto mai ambiziosa, questo viaggio musicale degli Aevum, un affascinante tuffo in atmosfere da “fantasma del palcoscenico”, misteriose come quelle di un vecchio teatro abbandonato, nel quale gli unici abitanti sono gli spettri di un mondo ormai lontano e dimenticato.

Il gruppo nasce in quel di Torino da un’idea della cantante Evelyn Moon e del pianista Richard ai quali, dopo vari avvicendamenti di line-up, si uniscono altri musicisti per formare l’assetto definitivo che consta di ben sette elementi.
Prima di questo album d’esordio, la band ha realizzato due Ep autoprodotti, “Celestial Angels” e “Nova Vita”, rispettivamente nel 2008 e 2012. Impressions letteralmente incanta, trattandosi di una vera e propria opera rock/metal, nella quale l’elemento elettrico supporta il suono classico in un un vortice di stili e generi, mantenendo sempre in buona evidenza una componente oscura che trascina l’ascoltatore nel mezzo di un duello all’ultimo sangue tra i vari strumenti e tra le diverse voci (liriche, teatrali e scream e growl), come se i vari abitanti spettrali si dessero il cambio su un palcoscenico in disuso, per vivere ancora una volta la gloria artistica di un tempo che fu.
L’etichetta gothic sta un po’ stretta a quest’album, perché a mio parere siamo davanti ad un rock sinfonico dalle forti connotazioni dark, ma pur sempre con una precisa impronta operistica, con i brani che si susseguono senza interruzioni, inframmezzati da camei strumentali che chiudono e riaprono lo scontro titanico tra i vari protagonisti del lavoro, che siano essi strumenti o voci poco importa, mantenendo l’attenzione dell’ascoltatore altissima e costringendolo a restare in balia della musica del gruppo per tutta la durata dell’album.
Sono grandiose le parti più metalliche, autentiche cavalcate nelle quali classico e moderno si fondono per regalare attimi di musica esaltante (Lost Soul), se vogliano un po’ sulla scia dei Therion ma, laddove la band svedese, specialmente nei primi album, affiancava il classico al death metal, gli Aevum sono più vicini al symphonic black, sia nelle ritmiche sia nell’uso della voce in scream.
I nove minuti di To Be Or … To Be sono da standing ovation e mi fermo qui, perché questo lavoro è composto da undici movimenti che devono essere solo ascoltati e che, tutti insieme, danno vita ad un capolavoro dal titolo Impressions, album che vola sul podio dei migliori di quest’anno che va a concludersi.

Tracklist:
1. Il palcoscenico della mente
2. Blade’s Kiss
3. Intermezzo
4. The Battle
5. Il lamento della ninfa
6. Impressioni
7. Lost Soul
8. To Be or…to Be
9. Aevum
10. Monsters
11. Adieu à la scène

Line-up:
Matt – Drums
Violet – Bass
Lord of Destruction – Guitars (lead)
Richard – Piano, Vocals (backing), Growls
Evelyn Moon – Vocals (female opera clean )
Ian – Synth and Keyboards
Hydra – Vocals (opera clean and scream)

AEVUM – Facebook

Necroart – Lamma Sabactani

Musica oscura,adulta, i Necroart ci consegnano un album da ascoltare senza riserve, per i fans di Sadness,Samael e My Dying Bride.

Fautori di un metal estremo che negli anni novanta spopolava, i Necroart arrivano al terzo full-length di un percorso artistico iniziato all’alba del nuovo millennio, che li ha portati a licenziare tre demo nei primi quattro anni e due album, “The Opium Visions” nel 2005 e “The Suicidal Elite” nel 2010. Lamma Sabactani punta su un sound più diretto e aggressivo, pur mantenendo le coordinate stilistiche del combo lombardo, votate ad un dark metal doom, a tratti progressivo e dalle sfuriate black, oscuro e malato, una manna per i fan orfani di tali sonorità che, diciamolo, ridicolizzano tante gothic band di questi anni, con i loro suoni puliti e dalle belle fanciulle in copertina ma, in quanto ad attitudine, neanche paragonabili a gruppi come i Necroart.

Iniziando dalla copertina, di una semplicità pari ad un impatto blasfemo disarmante, la band vomita suoni oscuri e voci malate dall’impatto dark e scream di matrice black che si rincorrono su tutto l’album, le melodie toccano emozioni ormai sopite, travolte dai suoni bombastici di questi ultimi anni, come solo le grandi band di metà anni novanta sapevano regalare, ancora influenzate dal dark ottantiano e dal doom/death. E’ un piacere riscoprire tra i solchi della title-track, di Agnus Dei, di Redemption, echi dei Sadness di “Ames De Marbre” e “Danteferno”, il dark doom dei My Dying Bride e le sfuriate black dei primi Samael; teatrali e malvagiamente neri come la pece, i brani di questo album conquistano fin da subito, anche per una vena progressive che rende il tutto molto maturo. Con la loro musica oscura e adulta, i Necroart non scherzano e ci consegnano un lavoro da ascoltare e far vostro senza riserve, degni eredi di un modo di suonare musica estrema che continua ad affascinare, in barba alle mode dettate dalle regole del mainstream!

Tracklist:
1. Lamma Sabactani
2. Magma Flows
3. The Demiurge
4. Agnus Dei
5. Redemption
6. Joining the Maelstrom
7. Stabat mater
8. Of Ghouls, Maggots and Werewolves
9. Cyanide and Mephisto

Line-up:
Francesco Volpini – Bass
Marco Binda -Drums
Filippo Galbusera – Guitars
Davide Zampa – Guitars
Davide Quaroni – Keyboards
Massimo Finotello – Vocals

NECROART – Facebook

Wyld – Stoned

Ottimo esempio di heavy/stoner questo Ep di debutto dei parigini Wyld.

Da Parigi arriva questa band che, se confermerà le buone sensazioni avute all’ascolto di questo Ep, al prossimo giro potrebbe davvero fare il botto (qualitativamente parlando).

Loro sono gli Wyld e suonano un heavy/stoner che più americano non si può, devoti allo zio Zakk Wylde ed ai suoi Black Label Society.
Niente di nuovo, vero, ma il bello è che gli Wyld fanno tutto davvero bene presentandoci tre brani, più un’outro strumentale da applausi, votati alle sonorità d’oltreoceano, tremendamente orecchiabili e settantiani, una vera sferzata di adrenalina pura, cantati alle grande dal bravissimo Raphael Maarek.
Le coordinate dell’Ep sono appunto un heavy/stoner-ock’n’roll sparato a mille, come nell’opener Venomous Poison, oppure cadenzato e potentissimo come in Just Another Lie.
Le influenze del resto sono palesi, oltre ai BLS, le canzoni richiamano anche le ultime fatiche dei Black Stone Cherry e dei gruppi che hanno riportato in auge i suoni stonerizzati, con più di un occhio al southern dei maestri Down e Corrosion of Conformity.
Efficace e dall’ottimo impatto la sezione ritmica (Jerome Serignac al basso e Remi Choley alle pelli) e buoni i ricami delle due chitarre, tra ritmiche stonate e solos heavy/rock della coppia Chante Basma e Jeffrey Jacquart.
La title-track conferma il buon talento dei cowboys parigini e l’outro strumentale Crossroads ci dà appuntamento ad un futuro full-length che, a questo punto, diventa un passo obbligatorio per la band.
La valutazione finale risente della brevità del lavoro, ma la band transalpina conferma la buona salute dell’odierno genere guida delle sonorità provenienti dal nuovo mondo, reclamando la giusta dose di attenzione.

Tracklist:
1. Venomous Poison
2. Just Another Lie
3. Stoned
4. Crossroads

Line-up:
Raphael Maarek – Lead Vocals
Chante Basma – Rhythm Guitars, Backing vocals
Jeffrey Jacquart – Lead, Rhythm Guitars
Jérôme Sérignac – Bass Guitar, Backing vocals
Gabriel Deloffre – Drums

Midnight Sin – Sex First

“Sex First” è un altro ottimo esempio di come l’hard rock dai suoni sleazy stia tornando a far danni.

Dopo la fine degli anni d’oro ottantiani, l’hard rock dall’impronta street e glam aveva perso appeal nel mercato discografico, sostituito dal successo mondiale del grunge e dei suoni alternative.

Relegato nel sottobosco dell’underground, il genere ha cominciato a risalire la china già da un pò di anni, grazie alle sferzate rock’n’roll provenienti dal nordeuropa, che non hanno lasciato indifferenti né i paesi a sud del vecchio continente né gli Stati Uniti. Vero è che molte delle band storiche votate ai suoni del Sunset Strip si sono lanciate in reunion più o meno riuscite, trascinando agli onori della cronaca anche le nuove leve. I Midnight Sin arrivano all’esordio sotto l’ala della Bakerteam con questo divertente Sex First, che percorre la strada già intrapresa da ottime band che sono balzate agli onori della cronaca negli ultimi tempi (Steel Panthers), con questo riuscito esempio di street/sleazy grintoso e dai riff metallici graffianti che faranno la gioia di chi ancora si diverte con l’hard rock da party, selvaggio e mai domo, e dall’attitudine dannatamente rock’n’roll. Suonato davvero bene dai cinque ragazzacci italiani, Sex First si rivela a tratti esaltante, grazie a songs che entrano in testa al primo ascolto e che ci costringono a trattenerci dal saltare come grilli tra le mura domestiche in piena trance da festa, totalmente sopraffatti dalla carica che la band immette in dosi massicce in brani come l’opener Midnight Revolution, squarciata da ottimi riff metallici e trascinante come un fiume in piena, ‘Till It’s All Gone Away, Rise And Yell e 2 Words, brani dall’impatto debordante e veri inni al rock’n’roll iper vitaminizzato. Non mancano momenti da lacrimucce, avvinghiati alla metal girl d’ordinanza, con le classiche ballad che stemperano il clima selvaggio dell’album e ci fanno riprendere fiato (You Piss Me Off e la conclusiva Sweet Pain). Sex First è un altro ottimo esempio di come il genere stia tornando a far danni, noi non possiamo che rallegrarci di ciò e premere per l’ennesima volta il tasto play del nostro lettore, rituffandoci nel party organizzato per noi dai Midnight Sin.

Tracklist:
1. Snake Eyes
2. Midnight Revolution
3. Feed Me With Lies
4. No Matter
5. ‘Till It’s All Gone Away
6. You Piss Me Off
7. Rise & Yell
8. Code: 69
9. 2 Words
10. Sweet Pain

Line-up:
Albert Fish – vocals
LeStar – lead guitar
Maurice Flee – rhythm guitar
Acey Guns – bass
Dany Rake – drums

MIDNIGHT SIN – Facebook

Corrosion Of Conformity – IX

Precisazione: non sono qui per convincervi che una della mie band preferite di sempre abbia fatto un album epocale, non sarebbe onesto né giusto nei vostri confronti, né voglio assolutamente, a dispetto dei santi, farvi partecipi dell’importanza che ha avuto nell’underground americano dal finire degli anni ottanta fino ai giorni nostri.

Ma, lasciatemelo dire, non considerare i Corrosion Of Conformity almeno una cult band o e magari dar mloro meno importanza di band pompate dal tirannico MTV, è peccato mortale. Ok, Mr. Pepper Keenan non appare sul disco (anche se, ad oggi in teoria, non ha ancora lasciato ufficialmente il gruppo) ma, fidatevi, IX è un album che (e non poteva essere altrimenti) spacca come pochi. I tre superstiti, Mike Dean, Reed Mullin e Woody Weatherman, che poi sono il trio originale del combo, in questo nuovo album tornano in parte alle origini, non dimenticando che, in fondo, dal debutto “Eye for an Eye” del 1984 di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta e i C.O.C., nel frattempo, hanno licenziato una marea di dischi, passando dall’hardcore degli esordi allo stoner/sludge delle ultime fantastiche produzioni, rilasciando capolavori come “Blind” (il disco più metal/alternative della loro discografia) nel 1991, “Deliverance” nel 1994 (quello della svolta stoner/southern dal quale Phil Anselmo ha attinto non poco per i suoi Down) e “America’s Volume Dealer nel 2000. I tre musicisti del North Carolina, in questo ultimo album, ripassano tutta la loro discografia, confezionando un lavoro che pesca dallo stoner ma anche dal loro primo amore, quell’hardcore che fornisce al sound un tocco selvaggio che, forse, è mancato nelle ultime uscite. Un ritorno al vero spirito underground quello dei Corrosion Of Conformity, i quali con coraggio lasciano la facile strada dello stoner con iniezioni southern, che oggi sembra piacere non poco (al sottoscritto, tantissimo), optando per un approccio che torna più diretto, meno freak e in linea con le prime produzioni. Certo, la mancanza di Keenan non è cosa da poco, ma i tre musicisti vanno per la loro strada con questo bellissimo macigno che definire rock’n’roll, alla fine, non sembra un’eresia. Rock’n’roll fatto dai Corrosion Of Conformity, ovviamente, e allora: bombe hardcore su un tappeto stoner e sludge, senza soluzione di continuità, pesanti come incudini e dal groove che prende spunto dai ribelli degli stati del Sud, un sound alternative che vi entra nelle viscere per rivoltarvi come calzini, dalla micidiale Brand New Sleep, cattedrale dedicata al doom/stoner, passando da The Nectar per arrivare alla fine di questa ennesima lezione impartita dai grandi C.O.C. Finale: probabilmente non vi avrò convinto, ma secondo me quest’album farà scuola, ne riparleremo fra un paio d’anni…

Tracklist:
1. Brand New Sleep
2. Elphyn
3. Denmark Vesey
4. The Nectar
5. Interlude
6. On Your Way
7. Trucker
8. The Hanged Man
9. Tarquinius Superbus
10. Who You Need to Blame
11. The Nectar Reprised

Line-up:
Mike Dean – Bass,Vocals
Reed Mullin – Drums,Vocals
Woody Weatherman – Guitars,Vocals

CORROSION OF CONFORMITY – Facebook

The Furor – Impending Revelation

Quarto album a base di bombardamenti death/black/thrash da parte del progetto solista dell’australiano Disaster.

Attivo dal 2002, questo progetto del polistrumentista australiano Disaster (vero nome Louis Rando,  conosciuto anche come drummer degli Impiety), continua a martellare arrivando con Impending Revelation al quarto album, niente male per un musicista che con il monicker The Furor, dal 2004, anno di uscita del debutto “Invert Absolute”, mantiene con coerenza le coordinate stilistiche di un black/death devastante.

“Advance Australia Warfare” del 2005, “Assault By Fire”, Ep del 2008, “War Upon Worship del 2011 e l’altro Ep “Sermon of Slaughter” di due anni fa completano la discografia precedente di questo demonio dalle mille risorse.
Niente di inascoltato, ci mancherebbe, ma il nuovo disco in quanto ad impatto non ha nulla da invidiare a nessuno, travolgendo l’ascoltatore dall’inizio alla fine senza soluzione di continuità, rivelandosi un monumento al death/black con l’aggiunta di mitragliate thrash che spazzano via con inumana violenza tutto ciò che gravita attorno.
Davvero bravo il musicista di Perth con tutti gli strumenti, ma ovviamente in particolare alle pelli, dove risulta una macchina da guerra spaventosamente efficace; molto valido anche lo scream da vocalist di vaglia, assolutamente sul pezzo ad ogni passaggio vomitando odio apocalittico e disprezzo verso tutto e tutti.
Le influenze maggiori vanno ricercate nei primi Slayer, Destruction e nelle band old school dei generi estremi come Deicide e Darkthrone, per una miscela esplosiva di suoni estremi dall’impatto immane, foriera di distruzione e di guerra totale.
Per gli amanti delle band sopra indicate il disco è assolutamente consigliato, unico neo il songwriting che, alla lunga, risulta monocorde: si astenga dunque chi non è amante di queste sonorità, anche se brani spaccaossa come Inferno Fortification, Seven Trumpets, Black Sorcerer of Sadism e la cover slayeriana Show No Mercy sono vere chicche per gli amanti dei generi suonati a cavallo tra gli anni ottanta e il decennio sucessivo.

Tracklist:
1. Hammer Hierarchy
2. Inferno Fortificaion
3. Summoned Obscurity
4. Seven Trumpets (Ceaseless Armageddon)
5. Corpse Eclipse
6. Diabolic Liberation
7. Black Sorcerer of Sadism
8. Show No Mercy
9. The Pentagram Prevails

Line-up:
Disaster – All Instruments, Vocals

THE FUROR – Facebook

Endless Recovery – Resistant Bangers

Due brani che fanno da apripista per il nuovo album dei greci Endless Recovery, con il loro thrash metal old school senza compromessi.

Nuovo EP di due brani per gli Endless Recovery, realtà greca votata ad un thrash metal europeo ispirato alle gesta dei gruppi che fecero fuoco e fiamme negli anni ottanta.

La band nasce nel 2010 e due anni dopo debutta con l’EP “Liar Priest”, seguito dal full-length “Thrash Rider” licenziato lo scorso anno. Resistant Bangers consta di due brani, la title-track e Predefined Life, devastanti e violenti, velocissimi e dannatamente ottantiani. I ragazzi ateniesi spaccano da par loro e questa coppia di brani sono autentiche mazzate sulla scia di Slayer, Exciter e della triade tedesca Sodom-Kreator-Destruction. In quasto EP troviamo il cantato aggressivo e spacca timpani per il Vocalist Michalis S., l’imperiosa risulta la sezione ritmica, pendolino lanciato a tutta velocità e potenza (Mike M. alle pelli e Panos A. al basso) e ritmiche e solos velocissimi da parte delle due chitarre urlanti e grondanti sangue, torturate dai due axeman Giorgio S. e Tasos P. Nei due brani non troverete la benché minima concessione ad alcun tipo di modernità: la band si appresta ad uscire con il nuovo album nel 2015 e questi due brani sono un buon biglietto da visita per chi ancora non la conoscesse. Le caratteristiche messe in mostra dai nostri fanno comunque di Resistant Bangers un prodotto per gli amanti dei suoni estremi e prettamente old school.

Tracklist:
1. Resistant Bangers
2. Predefined Life

Line-up:
Mike M. – Drums
Panos A. – Bass, Vocals (backing)
Tasos P. -Guitars (rhythm)
Mixalis Skliros – Vocals
Giorgos Skourtaniotis – Guitars

ENDLESS RECOVERY – Facebook

Dominhate – Towards The Light

Ottimo esordio per i Dominhate: il loro “Towards the Light” sorprende rivelandosi un ottimo esempio di puro death metal.

Continuano imperterrite ad affiorare in tutto il mondo realtà dedite al puro death metal sound senza compromessi: i semi sono gettati dalle band che infiammarono gli anni novanta, quando il genere ere al massimo della popolarità, e che sono arrivate al nuovo millennio ancora cariche di energia ma, soprattutto, affiancate da notevoli discepoli che portano avanti il verbo con totale devozione al re di tutti i generi estremi.

L’Italia non è da meno, riservandoci praticamente ad ogni uscita piccoli gioielli estremi come questo devastante Towards The Light, album di debutto dei friulani Dominhate. Quaranta minuti scarsi di massacrante death metal imputridito da malsane esalazioni di Morbid Angel e Nile, foriero di dannazione eterna, estremo nella più pura concezione del termine, violentato da scariche adrenaliniche e rallentamenti di quel doom/death alla Asphix che ha fatto scuola. Il gruppo si avvale di una sezione ritmica sugli scudi per tutto l’album (Steve, basso e voce, e Slippy, batteria), con il growl ultra cavernoso di Steve che comanda le danze e che pare uscito direttamente dagli inferi, mentre le chitarre ricamano riff su riff (Alex e Jesus), impossessate dai demoni che via via attraversano il songwriting della band, ribaltato vorticosamente da sferzate d venti freddi provenienti dal mondo dei vari Nile, Morbid Angel, Hate Eternal e dei maestri olandesi. Dopo un’intro dalle gelide atmosfere, l’album entra subito nel vivo con The Light of the Last Legion, dove indiavolate accelerazioni e rallentamenti pregni di pathos evocativo ci danno il benvenuto nel mondo di Towards The Light: di qui in avanti si sale sulla giostra infernale messa in piedi dalla band che, senza tregua e con la sicurezza del gruppo navigato, mitraglia da par suo conquistandoci con la sua efferata violenza sonora. The New Wave of Domination, The First Seed (dall’intro micidiale), la furiosa Perception, King without Crown elargiscono tremende bordate estreme, sempre con una naturalezza che sorprende per un combo al primo passo su lunga distanza. Questo dei Dominhate si rivela uno dei debutti più riusciti nel genere da un po’ di mesi a questa parte, tralasciando completamente sonorità modaiole e facendo propria l’attitudine e l’impatto delle band regine del death metal.

Tracklist:
1. Towards the Light
2. The Light of the Last Legion
3. In the Principle the Great Sleep
4. The New Wave of Domination 03:30
5. The Essence of the Choice
6. The First Seed
7. Obscure the Call of Salvation
8. Perception
9. King without Crown

Line-up:
Steve – Bass, Vocals
Slippy – Drums
Alex – Guitars
Jesus – Guitars

DOMINHATE – Facebook

Tantal – Expectancy

Expectancy raccoglie tutti gli elementi che hanno fatto diventare il death melodico uno dei generi più seguiti in ambito metallico e, senza nessuna concessione alla modernità, i Tantal realizzano un lavoro straordinario.

Ci sono vari modi per suonare dell’ottimo death melodico: partendo dalla base scandinava, in questi anni centinaia di band si sono approcciate a questo modo di fare del buon metal, molte di queste con buoni risultati, amalgamandolo a seconda dei gusti con altri generi, dando così nuova linfa a questo tipo di suono che ha portato ad una autentica rivoluzione nel panorama estremo.

Ora la moda (anche nell’underground, inevitabilmente, si segue a tratti la corrente) porta le band ad un approccio “core”, seguendo la strada di In Flames, Soilwork e dei gruppi d’oltremanica con ottimi risultati, in molti casi maggiori di quelli delle band di riferimento, ma non mancano le sorprese come i clamorosi Tantal, provenienti dalla madre Russia, freschi di firma con Bakerteam Records. Il loro secondo album, questo Expectancy, raccoglie tutti gli elementi che hanno fatto diventare il death melodico uno dei generi più seguiti in ambito metallico e, senza nessuna concessione alla modernità, realizzano un lavoro straordinario, imprimendo al sound connotazioni che vanno dal thrash al prog metal, riempiendolo di suoni sinfonici e bombastici e aggiungendoci del loro in quanto a bravura tecnica ed elevata qualità di songwriting. Se tutto questo non bastasse, oltre ad un growl potente e perfetto che ricorda il Mikael Stanne di “The Gallery”, i Tantal lasciano alla sublime voce della singer Milana Solovitskaya il compito di fare il bello e il cattivo tempo su tutto l’album, lasciando l’ascoltatore a bocca aperta, sovrastato dal talento di questa sirena dell’est. Una produzione perfetta costituisce la classica ciliegina sulla torta, ed Expectancy viaggia su livelli altissimi, con brani avvincenti tra ritmiche da Transiberiana (Mikhail Krivulets al basso e Vyacheslav Gyrovoy alle pelli) e due asce che regalano funambolici solos, tecnicamente eccelsi ma allo stesso tempo sanguigni (Dmitriy Ignatiev e Alexandr Strelnikov, anche vocalist). Questo album non fa gridare al miracolo per proprietà innovative (così sistemiamo gli amanti dell’originalità a tutti i costi) ma, in fondo, la band non fa che mettere in musica le varie influenze, che partendo appunto dai Dark Tranquillity, passano per il death e per il prog metal di Dream Theater e Symphony X; qui è la qualità che fa la differenza, marchiando un lotto di brani che, partendo da Through the Years, regala musica esaltante, suonata con grinta e classe da cinque musicisti fuori categoria. Un lavoro da ascoltare e riascoltare senza remore

Tracklist:
1. Through the Years
2. Expectancy Pt.1 (Desert in My Soul)
3. Echoes of Failures
4. In Times of Solitude
5. Nothing (Selfish Acts)
6. Pain That We All Must Go Through
7. Expectancy Pt.2 (Despair)
8. Under the Weight of My Sorrow I Crawl
9. Бей первым! (Спеть для неба…)
10. В моих глазах

Line-up:
Mikhail Krivulets – Bass
Vyacheslav Gyrovoy – Drums
Alexandr Strelnikov – Guitars, Vocals
Dmitriy Ignatiev – Guitars
Milana Solovitskaya – Vocals

TANTAL – Facebook

Infernal Angels – Pestilentia

Il black dei nostri è una devastante prova di come il genere, suonato professionalmente e prodotto alla grande, riesca ad affascinare e tenere botta anche senza il supporto di orchestrazioni ed altri orpelli.

Gli Infernal Angels, black metal band potentina, giungono al traguardo del terzo full-length in una dozzina d’anni di una carriera dopo l’esordio sulla lunga distanza “Shining Evil Light” (2006) e “Midwinter Blood (2009).

Pestilentia arriva quindi cinque anni dopo, tempo che non è trascorso invano vista la qualità di questo lavoro che, lo dico a scanso di equivoci, è uno dei più belli in questo genere che mi sia capitato di sentire nell’ultimo anno, andandosela tranquillamente a giocare nelle mie preferenze con l’ultimo album dei grandi Handful Of Hate.
L’album, come si può intuire dal titolo, tratta dell’incubo della peste in cui caddero l’Europa e l’Italia molti secoli fa, un argomento agghiacciante ma ugualmente affascinante, arrivato fino a noi non solo dai libri di storia ma alquanto trattato in romanzi e film e circondato da migliaia di leggende in ogni paese.
Dimenticatevi ogni sorta di contaminazione, il black dei nostri è una devastante prova di come il genere, suonato professionalmente e prodotto alla grande, riesca ad affascinare e tenere botta anche senza il supporto di orchestrazioni ed altri orpelli, macinando come in questo caso riff su riff e bombardando l’ascoltatore di atmosfere nere, putride come i corpi lasciati a marcire nelle strade delle città e dei borghi che, al passaggio del malefico morbo, si trasformarono in gironi dell’inferno sulla terra: la band descrive tutto ciò con gelide atmosfere, chitarre taglienti ma non “zanzarose” ed una sezione ritmica sconvolgente per potenza e velocità.
Il cantato del vocalist Xes si avvicina più al death che allo screaming classico del genere, rivelandosi perfetto per raccontare le devastazioni compiute dal virus, un demone che ci rende spettatori di drammi e disperazione, facendoci girovagare tra i cadaveri straziati dai ratti, tra l’incuria di strade lasciate in mano al male al suo stato più puro.
Il lavoro del duo Manegarmr (chitarra e basso) e Mid (batteria) è eccezionale e dona al sound degli Infernal Angels coordinate stilistiche vicine a Carpathian Forest e Dark Funeral, mantenendo in ogni caso un tratto molto personale favorito chiaramente dall’esperienza del gruppo.
La title-track, impreziosita da rallentamenti da far gelare il sangue, In the Darkness, marziale nel suo lento incedere a metà brano, e la massacrante Domina Nigra, sono le tracce migliori di questo infernale e bellissimo lavoro, acquisto obbligato per i blacksters, consegnatoci da una band capace di esprimersi ai suoi massimi livelli.

Tracklist:
1. 1347
2. Pestilentia
3. Blood Is Life
4. In the Darkness
5. Domina Nigra
6. Carpathians
7. Cold Fog Rises
8. Thorns Crown
9. A Night of Unholy Soul

Line-up:
Manegarmr – Guitars, Bass
MiD – Drums
Xes – Vocals

INFERNAL ANGELS – Facebook

WITCHES OF DOOM

Abbiamo cercato di carpire i segreti contenuti in Obey, bellissimo lavoro d’esordio dei romani Witches of Doom a base di un dark/stoner molto original; per farlo è stato sottoposto ad interrogatorio da parte del sottoscritto, nelle inedite vesti di inquisitore, il bassista delle “streghe” Jacopo.

ME Ciao Jacopo, presentaci la band e raccontaci come si è formata.

Ciao, la band si è formata verso la fine del 2012, quando Federico ha deciso di dar vita ad una nuova formazione. Io mi sono unito a Federico (chitarra) e ad Andrea (batteria), e infine, dopo una lunga ricerca, abbiamo avuto la fortuna di incontrare Danilo (voce). Eric (tastiere) si è unito alla band in fase di registrazione del disco, ma è subito diventato un elemento fisso del gruppo

ME Il lavoro compositivo è distribuito su tutti i membri della band oppure c’è qualcuno tra di voi che ha scritto la maggior parte del materiale?

Generalmente i pezzi nascono da un’idea di un singolo, per lo più di Federico, ma poi vengono rielaborati e riarrangiati da tutti, e ognuno di noi da il proprio contributo alla stesura del brano.
Discorso diverso ,invece, per i testi che sono tutti scritti da Danilo.

ME Ho trovato “Obey” un lavoro straordinario, uno splendido mix di sonorità dark /rock e stoner/doom: siete soddisfatti comunque al 100% del risultato finale o cambiereste qualcosa col classico senno di poi?

Direi che siamo soddisfatti, il disco sta ricevendo ottime recensioni e un buonissimo riscontro, e noi ci divertiamo tantissimo a suonare i brani dell’album live

ME Come sono andate le cose in studio? Eravate consci, man mano che Obey prendeva forma, di aver scritto un grande album?

Noi siamo partiti con un’idea, che poi come spesso succede in studio , grazie anche ai preziosissimi consigli di Fabio Recchia, ha preso una direzione diversa. Devo dire che man mano che registravamo aumentava sempre di più l’entusiasmo per le varie tracce del disco, e quando siamo arrivati alla fase del missaggio eravamo più che eccitati.

ME Il valore della parte musicale rischia di far passare in secondo piano i testi delle canzoni: di cosa trattano ?

I testi sono tutti opera di Danilo, in generale parlano di abuso di droghe, di relazioni sbagliate, di “disincanto”.

ME Sisters of Mercy, Fields of the Nephilim, ma anche Type 0 Negative e The 69 Eyes, senza dimenticare i maestri del doom settantiano, queste sono le band che paiono aver influito maggiormente sul vostro sobgwriting, sei d’accordo su questa valutazione e, in generale, quali sono gli ascolt abituali all’interno dei Witches Of Doom ?

Sicuramente i gruppi da te citati hanno un’importante influenza nel nostro songwriting, a questi aggiungerei sicuramente i Black Sabbath, ma anche The Cult, Danzig, Down, The Doors.
Per quanto riguarda i nostri ascolti abituali,devo dire che ognuno di noi ha i propri gusti personali; io sono cresciuto con il trash metal, ma ora ascolto di tutto, dal rock classico alla new wave, passando per il blues e il jazz, e, da bassista ,adoro anche il funk

ME Nonostante quanto detto a livello di influenze, resta il vostro un un approccio molto personale e alquanto originale alla materia; non avete timore di risultare troppo dark per i fan del metal e viceversa ?

Sinceramente non ci pensiamo, quello che a noi interessa è il divertimento che abbiamo nel comporre e poi nel suonare dal vivo i nostri brani. “Obey” per alcuni può risultare un po’ eterogeneo, ma è proprio quello che volevamo, fare un disco con canzoni tutte simili tra loro non fa proprio per noi, e posso anticiparti che questo aspetto sarà ancora più tangibile nelle nuove canzoni su cui stiamo lavorando

ME Quali sono gli interpreti del tuo strumento che maggiormente prediligi e quelli che hanno costituito un punto di riferimento per la tua formazione come bassista?

Sicuramente quello che svetta su tutti è Jaco Pastorius. Poi altri bassisti fondamentali nella mia crescita sono Geezer Butler, John Paul Jones, Marcus Miller, Paul McCartney, Paul Simonon, Les Claypool

ME Ho avuto modo di apprezzare il video di “Rotten to the Core”, in particolare mi ha colpito la scelta di colorare di rosso le ombre in un modo tale da richiamare il sangue; perché la scelta è ricaduta su questo brano e non su altri ?

A “Rotten to the Core” siamo molto legati, in quanto è stato il primo brano che abbiamo composto. Questo, associato al fatto che molte delle persone che ci seguono ci indicavano “Rotten” come il loro brano preferito, ci ha portato a sceglierlo per il nostro primo video. Non è stata comunque una scelta facile, e in cantiere abbiamo l’idea di far uscire un secondo videoclip tratto da “Obey”.

ME Roma sta mostrando una scena doom piuttosto vivace, e lo stesso avviene anche per quanto riguarda il metal estremo: conoscete le band che operano in questo settore e magari vi capita talvolta di suonare assieme ?

Band che noi stimiamo molto e con le quali abbiamo condiviso il palco più volte sono i Made In Luna, i Funeral Mantra e gli Acid Muffin. Oltre a loro comunque ci sono tante altre band validissime, personalmente adoro gli Utopia e i Southern Drinkstruction

ME Riallacciandomi alla domanda precedente, a giudicare anche da quanto emerge dalle interviste, la nota dolente pare essere per tutti l’attività’ live, a causa della ridotta disponibilità di locali e della scarsa affluenza ai concerti; ,voi come ve la passate da questo punto di vista ?

Purtroppo a Roma, ma anche un po’ in tutta Italia, se vuoi suonare tanto dal vivo, devi far parte di una tribute band, cosa che io non farei neanche se mi ci costringessero con la tortura. I locali che danno spazio alle band con il proprio repertorio sono veramente pochi, e in più c’è anche un appiattimento culturale e di stimoli enorme; sono sempre di meno le persone che vanno alla ricerca della buona musica dal vivo e che hanno voglia di scoprire e supportare le nuove band e i nuovi artisti.

witches

ME Quali sono le prossime tappe per le “streghe”? Avete già in cantiere un nuovo lavoro ?

Stiamo lavorando a nuovi brani, e questa volta abbiamo la fortuna di avere le tastiere già nella fase compositiva iniziale, e non in quella di arrangiamento finale, e devo dire che questo fatto ci sta stimolando e divertendo molto.
Abbiamo anche delle date dal vivo in programma, il 7 novembre a Marino (Roma), il 15 novembre a Verona, il 20 novembre al Jailbreak di Roma, e a fine gennaio un mini tour in Lettonia.

Avulsed – Carnivoracity

Ristampa da parte della Xtreem Music dell’Ep del 1994 con l’aggiunta di ben nove tracce registrate dal vivo.

Sono passati vent’anni dall’uscita di questo EP dei deathsters spagnoli Avulsed, una delle più importanti e longeve band estreme del loro paese.

Fondati dal vocalist Dave Rotten nel 1991, esordirono nel 1992 con il classico demo arrivando a Carnivoracity nel 1994, passando per altri tre demo tra il 1993 e l’anno successivo.
La carriera dei nostri arriva fino allo scorso anno, con una discografia ragguardevole composta da vari split, Ep e compilation e, cosa più importante sei full-length di cui almeno due sono lavori notevoli: “Yearning for the Grotesque” del 2003 e “Gorespattered Suicide” del 2009; peraltro gli Avulsed sono stati molto attivi lo scorso anno con ben due uscite, l’album “Ritual Zombi” e l’Ep “Revenant Wars”.
Il death metal brutale della band iberica, qui nella sua veste più selvaggia, ha molto dei Cannibal Corpse e del movimento gore statunitense, quindi con tematiche fatte di smembramenti, cannibalismo e horror di serie B, vera goduria per i fan del metal putrescente e necrofilo.
In Carnivoracity gli Avulsed girano a mille con tre brani di old school brutal pesante e assassino, che mette in evidenza il growl spaventosamente cavernoso del buon Dave, capace di far impallidire Chris Barnes e George Fisher.
Rallentamenti doom da brividi e accelerazioni spaventose fanno di questo Ep un gioiello nel panorama estremo europeo, con la title-track che spicca nel suo marcio incedere, il cammino di un orco verso la sua cantina dove ad aspettarlo ha i suoi cadaverini da smembrare, in un delirio di necrofilia orgiastica.
Grande il lavoro della sezione ritmica (Tony alle pelli e Lucky al basso) e chitarre sempre al limite suonate da Luisma e Cabra.
Nella nuova veste Carnivoracity ci regala nove tracce live, un assaggio delle potenzialità che la band esprime sul palco, con due chicche: le cover di As I Behold I Despise dei Demigod e Matando Gueros degli storici Brujeria.
In sostanza una buona ristampa, sia per chi conosce già la band di Madrid sia per chi ne avesse ignorato fino ad oggi l’esistenza e volesse avvicinarsi al metal estremo grazie a questi mostruosi Avulsed.

Tracklist:
1. Carnivoracity
2. Cradle of Bones
3. Demoniac Possession (Pentagram cover)
4. Morgue Defilement (Live)
5. Bodily Ransack (Live)
6. As I Behold Despise (Demigod Cover) (Live)
7. Gangrened Divine Stigma (Live)
8. Cradle of Bones (Live)
9. Deformed Beyond Belief (Live)
10. Carnivoracity (Live)
11. Matando Güeros (Brujería Cover) (Live)
12. Outro – M.C.E.D. (Live)

Line-up:
Dave Rotten – Vocals
Tony – Drums
Lucky – Bass
Luisma – Guitars
Cabra – Guitars

AVULSED – Faceboook

Warlord UK – We Die As One

Tornano i Guerrieri Warlord UK per un’altra battaglia a base di death/thrash.

Tornano in pista gli inglesi Warlord UK, devastatori sonori di Birmingham, con il loro death/thrash schiacciasassi, ignorante il giusto e dal tiro micidiale.

La band si forma nell’ormai lontano 1993 e l’esordio”Maximum Carnage” rislae al 1996, ma qualcosa va storto e due anni dopo si arriva allo scioglimento.
Il 2008 vede la reunion e nel 2010 esce il secondo album dal titolo “Evil Within”; il nuovo millennio porta finalmente anche stabilità e dopo soli tre anni, pochi per gli standard della band, ecco il nuovo full-length intitolato We Die As One.
Musica e testi sono all’insegna della guerra totale e, portano con loro schegge dei compatrioti Bolt Thrower e Benediction, violentati da scariche di thrash old school che, se vogliamo, aumentano la dose di violenza che gli Warlord UK riversano sullo spartito; il sound dell’album risulta alquanto epico, e non poteva essere altrimenti, vista l’atmosfera da battaglia sci-fi che prende corpo fin dalla copertina in stile “Starship Trooper”.
We Die Us One è pregno di riff molto ben eseguiti dalla coppia d’asce Lee Foley e Dan Brookes, mentre il growl brutale e bellico del bassista (e unico superstite della formazione originale) Mark White fa cadere le residue difese del nemico.
Il lavoro si sviluppa così su dieci brani serratissimi nei quali le chitarre, vere protagoniste del disco, puntano tutto sull’impatto sparando solos con la quinta inserita e il pedale del gas a tavoletta; tanto thrash old school tra le tracce del disco, come la sparata title-track e la devastante Strength Defeats Decay, i brani dove il songwriting della band offre il meglio, riuscendo ad essere brutale ma, allo stesso tempo, travolgente.
Infuria la tempesta guerrafondaia dei Bolt Thrower in Masses Gather in Masses e in Age of Extreme, altri due dei brani che elevano la qualità di questo buon esempio di metallo fuso sul cannone del carrarmato Warlord UK,
Un lavoro che piacerà sia ai fan del death che a quelli del thrash più tradizionale.

Tracklist:
1. When Worlds Collide
2. Human Inner Core
3. Masses Gather in Masses
4. Insurgents Breed
5. Strength Defeats Decay
6. Last of Our Legacy
7. Age of Extreme
8. Knights of the Godless
9. We Die As One
10. Remember Them

Line-up:
Mark White – Vocals, Bass
Gary ‘Gaz’ Thomas – Guitars
Dan Brookes – Guitars (lead)

WARLORD UK – Facebook

Devangelic – Resurrection Denied

L’esordio dei romani Devangelic è un altro album di brutal death da promuvere in toto.

Ancora brutal death dalla capitale, vero fulcro di una scena estrema vigorosa e mai doma, con l’esordio dei Devangelic grazie a questo riuscito primo lavoro intitolato Resurrection Denied.

La band accoglie tra le sue malefiche braccia musicisti attivi da un po’ di anni nel sempre più prolifico ambiente estremo romano, come il drummer Alessandro Santilli (già Embrace Of Disharmony, Lahmia, Necrotorture), il chitarrista Mario Di Giambattista (Corpsefucking Art, Disfigured, Stench of Dismemberment), il vocalsit Paolo Chiti (Corpsefucking Art, Putridity) e il bassista Damiano Bracci. Brutal death di scuola americana, fatto con palle e cervello, questo è il primo massacro della band romana, che non lesina le mitragliate tipiche del genere per quanto riguarda il lavoro ritmico, valorizzato dal notevole muro sonoro innalzato con buona tecnica e da brani che nella mezz’ora di durata non hanno un minimo di cedimento, creati come sono per devastare senza soluzione di continuità. E’ scorrevole il songwriting dei nostri, che lasciano ad altri passaggi troppo cervellotici per centrare subito il bersaglio e, alla fine, questa scelta si rivela azzeccata, perché Resurrection Denied piace proprio per la sua fluidità e per l’impatto diretto. Forti di un drummer talentuoso come Alessandro “Vender” Santilli, protagonista di una straordinaria prova nel torturare le pelli (coadiuvato puntualmente dal basso di Bracci), della chitarra di Di Giambattista al servizio del wall of sound della band e dal growl brutale e avvolgente di Chiti, i Devangelic riescono nell’intento di confezionare un bell’assalto di metal estremo, di chiara matrice statunitense (Suffocation su tutti) aggiungendo un altro tassello alle buone uscite di genere in quest’ultimo anno. Brani come la velocissima Entombment of Mutilated Angels, Eucharistic Savagery, Desecrate the Crucifix, che risulta la traccia più varia tra accelerazioni e parti più cadenzate, e la terremotante Unfathomed Evisceration, forniscono un’idea esaustiva delle potenzialità altissime di questo combo nostrano, che aggiunge al tutto una copertina gore blasfema d’antologia, confermando tutte le loro malefiche intenzioni. Resurrection Denied è un album consigliato a tutti i fan del brutal death, un prodotto all’altezza della situazione frutto del lavoro d una nuova Band che in futuro potrebbe regalarci ulteriori soddisfazioni.

Tracklist:
1. Eucharistic Savagery
2. Crown of Entrails
3. Disfigured Embodiment
4. Unfathomed Evisceration
5. Entombment of Mutilated Angels
6. Perished Through Atonement
7. Desecrate the Crucifix
8. Apostolic Dismembering
9. Devouring the Consecrated

Line-up:
Alessandro “Venders” Santilli – Drums
Mario Di Giambattista – Guitars
Paolo Chiti – Vocals
Damiano Bracci – Bass

DEVANGELIC – Facebook

Azooma – A Hymn Of The Vicious Monster

Gli iraniani Azooma sorprendono con il loro debutto fatto di un death metal tecnico e originale.

Mashhad è la capitale del Razavi Khorasan iraniano e la città da cui provengono i death metallers Azooma, all’esordio con un album uscito un paio di mesi fa intitolato A Hymn of the Vicious Monster.

Attivo dal 2004, il combo iraniano inizia la sua avventura nel mondo metallico suonando cover di Iron Maiden, Metallica, Iced Earth, Kreator e Death, ma già nel 2005 decide di scrivere brani propri confrontandosi con il death metal dai richiami prog e influenzati dalla cultura del loro paese.
È storia degli ultimi anni la firma con l’etichetta spagnola Xtreem Music, che licenzia questo Ep di esordio che ha del clamoroso.
Il materiale inserito nel lavoro dalla band è stato scritto negli anni e, fortunatamente, ha trovato modo di vedere la luce, in quanto trattasi di sei brani notevoli.
Il death progressivo suonato dagli Azooma, originalissimo e tecnico, da far invidia ai mostri sacri del genere, dal tiro micidiale ed impreziosito da atmosfere e suoni della cultura persiana, sempre sostenute da un tono epico e drammatico, rende A Hymn of the Vicious Monster un gioiello metallico tutto da ascoltare.
I musicisti della band, veri virtuosi del proprio strumento, regalano prestazioni sopra le righe creando un tornado di suoni che vi avvolgerà rischiando di portarvi via.
Ahmad Tokallou, chitarrista eccezionale, svolge un lavoro mastodontico alla sei corde, martirizzando il lo strumento con solos e ritmiche suonate alla velocità della luce ma sempre dal gusto eccelso; la sezione ritmica (Farid Shariat al basso e Saeed Shariat alla batteria) si rende protagonista di una massacrante dimostrazione di forza tra gli innumerevoli cambi di tempo e le scorribande potenti e distruttive.
Tra tutte queste meraviglie strumentali spicca il growl feroce del vocalist Shahin Vaqfipour, molto bravo anche con le clean vocals, benché usate solo in pochi frangenti (Gyrocompass), che accompagna la vena creativa dei propri compagni con timbriche cavernose e melanconici momenti intimisti.
C’è tanto progressive nel songwriting del gruppo (digressioni di scuola crimsoniana), mai così ben amalgamato con la furia metallica espressa dal death epico della band; i suoni di estrazione popolare della loro terra sono usati con parsimonia, ma inseriti sempre ottimamente nelle strutture complicate delle song che, una dopo l’altra, regalano momenti di esaltante musica estrema, improbabile ed alquanto affascinante jam tra i Death ed i King Crimson.
Da ascoltare e riascoltare questo ennesimo bellissimo lavoro proveniente da terre lontane dal consueto circuito metallico, ma che non ha davvero nulla da invidiare ai lavori dei tradizionali continenti di riferimento.

Tracklist:
1. Preface
2. Chapter I: Self-Inflected
3. Chapter II: Eridanus Supervoid
4. Chapter III: Encapsulated Delusion
5. Chapter IV: Gyrocompass
6. Appendix

Line-up:
Farid Shariat – Bass
Saeed Shariat – Drums
Ahmad Tokallou – Guitar
Shahin Vaqfipour – Vocals

AZOOMA – Facebook

Witches Of Doom – Obey

Obey, primo album dei romani Witches of Doom, raccoglie il meglio del dark, doom, gothic mondiale e attraverso nove brani dal grande appeal.

Premessa: quest’album è di una bellezza straordinaria, almeno per chi, con un po’ di musica rock oscura sul groppone ed una mentalità abbastanza aperta per seguire la quarantina d’anni di evoluzione che il metal dalle tinte dark ha regalato a chi è affascinato da queste sonorità.

Obey, primo album dei romani Witches of Doom, raccoglie il meglio del dark, doom, gothic mondiale e attraverso nove brani dal grande appeal, a tratti violentato da pesanti scosse stoner, esplode in una cinquantina di minuti entusiasmanti, passando dal doom settantiano dei Black Sabbath ai maestri del dark ottantiano Sisters Of Mercy e Mission, da Jirki e i The 69 Eyes (quelli appena passati dal rock’n’roll delle origini al capolavoro “Wasting the Dawn”) ai Type 0 Negative del mai troppo compianto Peter Steele.
Band formatasi solo lo scorso anno, ma dotata di personalità da vendere, le “Streghe” ci deliziano di questo vademecum del dark/gothic che risulta vario proprio per la sua ecletticità, passando da brani più orientati al dark (sempre molto potenti), resi ipnotici da un riuscito vortice di suoni creati da una sezione ritmica devastante (Jacopo Cartelli al basso e Andrea Budicin alle pelli) e dal chitarrismo graffiante e dal forte impatto seventies del bravissimo Federico Venditti.
Senza nulla togliere agli ottimi musicisti, a cui si aggiungono le tastiere di Fabio Recchia e Graziano Corrado, entrato in pianta stabile nella band, il vero mattatore del disco è il cantante Danilo Piludu, un po’ Jirki 69, un po’ Jim Morrison, sempre sul pezzo nel dare alle songs la giusta tonalità, teatrale quando il songwriting si fa drammatico, superandosi nella lunghissima title-track posta in chiusura, una lunghissima jam dark/stoner da antologia, vero viaggio “acido” nel mondo degli Witches of Doom.
Non una nota fuori posto in questo debutto, dall’iniziale The Betrayal, con una slide guitars dai rimandi Fields of the Nephilim, devastata da massicci chitarroni stoner, alla gothic’n’roll Witches of Doom, bissata dalla trascinante To the Bone, dalla smiballad Crown of Thorns, improbabile ma efficacissimo mix tra Black Label Society e Sisters of Mercy.
Dance of the Dead Flies e Rotten to the Core sono brani dall’andamento freak cadenzato, devastanti sotto l’aspetto dell’impatto, macigni metallici dove i generi descritti si incontrano in una danza sabbatica che avvolge, come un serpente che scivola sul corpo di una bellissima strega.
It’s My Heart arriva giusto prima della fantastica Obey e, purtroppo, si arriva anche in fondo a questo bellissimo album che, a mio parere, eguaglia l’ultimo lavoro dei grandi Bloody Hammers, forse l’unica band che si avvicina alle streghe romane, anche se lo stoner settantiano prevale nel songwriting del gruppo americano, mentre qui l’alternanza di atmosfere e influenze è l’asso nella manica della band capitolina.
In conclusione, album fantastico.

Tracklist:
1. The Betrayal
2. Witches of Doom
3. To the Bone
4. Neeedless Needle
5. Crown of Thorns
6. Dance of the Dead Flies
7. Rotten to the Core
8. It’s My Heart (Where I Feel the Cold)
9. Obey

Line-up:
Jacopo Cartelli – Bass (2013-present)
Andrea “Budi” Budicin – Drums
Federico “Fed” Venditti – Guitars
Danilo “Groova” Piludu – Vocals
Graziano “Eric” Corrado – Keyboards

WITCHES OF DOOM

Kalidia – Lies’ Device

La band toscana riesce nella non facile impresa di consegnarci un disco semplice ma costruito su belle canzoni, metalliche ma nel contempo orecchiabili, e va oltre le più rosee aspettative con il proprio power classico ma dal sapore melodico.

Un altro bellissimo album di power metal melodico tutto italiano uscito in questa prima metà dell’anno di grazia 2014, ed un’altra band da scoprire e da seguire per tutti i fan del genere.

Si chiamano Kalidia, vengono da Lucca ed arrivano al debutto sulla lunga distanza dopo un EP del 2012 dal titolo “Dance of the four winds”, prodotto da Alessio Lucatti (Vision Divine, Etherna) che offre loro la possibilità di intraprendere un’intensa attività live, suonando con la crema del power/prog metal nazionale ed internazionale (Vision Divine, DGM, Timo Tolkki, Etherna). Le registrazioni dell’album di debutto iniziano lo scorso anno, sempre sotto l’ala di Alessio Lucatti che produce, masterizza e mixa questo notevole Lies’ Device. La band, guidata dalla voce della bravissima Nicoletta Rosellini, che “interpreta” in modo caldo con il suo tono ricco di pathos ed emozionalità le trame presenti in questo debutto, riesce nella non facile impresa di consegnarci un disco semplice ma costruito su belle canzoni, metalliche ma nel contempo orecchiabili, e va oltre le più rosee aspettative con il proprio power classico ma dal flavour melodico, di gran lunga superiore a tanti artisti più famosi. Dimenticatevi suoni sinfonici, gothic e vocals baritonali, questo è power e, dove necessita, i Kalidia picchiano da par loro, lasciando spazio a momenti dove esce un po’ di anima prog, specialmente nella drammatica Harbinger of Serenity cantata in duetto da Nicoletta con Andrea Racco degli Etherna (freschi dello splendido “Forgotten Beholder”). Si passa così da momenti heavy ad altri dove la band lascia spazio al talento della vocalist, che spadroneggia su tutto l’album deliziandoci con Shadow Will Be Gone, ballad sopra le righe, The Lost Mariner, song che apre l’album tra ottime melodie e bissata dalla più potente Hiding From the Sun, e Dollhouse (Labyrinth of Thoughts), dalle melodie ariose che sfiorano l’AOR. Lies’ Device è a suo modo trascinante e l’ascolto sempre piacevole, tanto che arrivare alla conclusiva In Black and White, dove compare come ospite Alessandro Lucatti con la sua sei corde, è un attimo, passando per almeno altri due brani coinvolgenti come Reign of Kalidia e la title-track. L’abilità della band nello strutturare su un tappeto tastieristico l’ottimo power, addolcito dalla voce della cantante, fornisce a questo lavoro una marcia in più e ci consegna un altro debutto coi fiocchi da parte di una band nostrana, ovviamente consigliato a tutti gli amanti del metal melodico.

Tracklist:
1. The Lost Mariner
2. Hiding from the Sun
3. Dollhouse (Labyrinth of Thoughts)
4. Reign of Kalidia
5. Harbinger of Serenity
6. Black Magic
7. Shadow Will Be Gone
8. Lies’ Device
9. Winged Lords
10. In Black and White

Line-up:
Federico Paolini – Guitars
Nicola Azzola – Keyboards
Nicoletta Rosellini – Vocals
Roberto Donati – Bass
Gabriele Basile – Drums

KALIDIA – Facebook

Demonic Resurrection – The Demon King

The Demon King è un lavoro assolutamente da ascoltare, un macigno di metal estremo sinfonico che vi stupirà.

L’India regala band e gioiellini metallici ogni qualvolta il nostro sguardo ma, soprattutto, il nostro udito si rivolge verso il lontano paese asiatico.

I Demonic Resurrection non sono neanche dei novellini della scena metallica del paese, a ben vedere, e il loro debutto (“Demonstealer”) risale addirittura al 2000; per arrivare e prima di questo ultimo The Demon King hanno pubblicato altri due full-length, “A Darkness Descends” (2005) e “The Return to Darkness” (2010).
Il gruppo di Mumbai continua per la sua strada fatta di un black/death sinfonico sulla scia dei Dimmu Borgir, contaminato dal death progressivo alla Opeth, molto ben riuscito, suonato alla grande e dall’impatto devastante.
Il nuovo album, sempre per Candlelight, non sposta di una virgola le coordinate del gruppo e piacerà agli amanti dei generi estremi sopracitati, portando con sè lo spirito e le strutture che hanno fatto grandi le band di riferimento.
Le tastiere di Mephisto sono le protagoniste del sound della band, molto ben inserite nel contesto sonoro, il songwriting viaggia a ritmi veloci con pochi intermezzi per musicisti che vanno subito al sodo, intrattenendoci con la giusta cattiveria e buone idee.
Facing the Faceless, la title-track e Shattered Equilibrium sono le song che, ad un primo ascolto, mi hanno entusiasmato, ma il disco nel complesso gira che è un piacere, mantenendosi al di sopra della media nel genere proposto.
Non è la prima volta che incontro album cosi ben riusciti provenienti dall’India, probabilmente l’essere al di fuori dei circuiti europei o americani permette alle band di sviluppare il proprio credo musicale senza farsi condizionare troppo dalle mode del momento e andando dritte per la loro strada; i Demonic Resurrection ne sono l’ennesima prova: ottimi musicisti, produzione perfetta e composizioni che stupiscono per maturità e talento.
Ottime le parti in growl e riuscite anche quelle pulite ad opera di The Demonstealer, anche chitarrista, e perfetta la sezione ritmica, sia nelle sfuriate black sia nelle parti più cadenzate dal sapore death; l’elemento sinfonico è sempre presente, aggiungendo un tocco epico al sound di questo bellissimo lavoro e richiamando alla memoria un altro nome, magari meno famoso, come quello dei Bal-Sagoth, che hanno influenzato più gruppi di quanto si possa immaginare.
The Demon King è un lavoro assolutamente da ascoltare, un macigno di metal estremo sinfonico che vi stupirà.
Monumentale.

Tracklist:
1. The Assassination
2. Facing the Faceless
3. The Promise of Never
4. Death, Desolation and Despair
5. The Demon King
6. Architect of Destruction
7. Trail of Devastation
8. Shattered Equilibrium
9. Even Gods Do Fall
10. The End Paradox

Line-up:
The Demonstealer – Vocals, Guitars
Mephisto – Keyboards
Virendra Kaith – Drums
Ashwin Shriyan – Bass
Nishith Hegde – Guitars (lead)

DEMONIC RESURRECTION – Facebook

MaterDea – A Rose For Egeria

Per i fan del metal sinfonico un album assolutamente consigliato, così come a chiunque abbia voglia di ascoltare ottima musica che inevitabilmente porta a sognare … e di questi tempi non è poco.

I MaterDea sono una band torinese, fondata nel 2008 dalla cantante Simon Papa e dal chitarrista Marco Strega, che arriva quest’anno al traguardo del terzo full-length, dopo il debutto del 2009 “Below the Mists, Above the Brambles”, ed al riuscito secondo lavoro del 2011 “Satyricon”, uscito per Midsummer’s Eve che ha licenziato anche questo nuovo A Rose for Egeria.

Mixato dallo stesso chitarrista e masterizzato ai Finnvox da Mika Jussila, questo nuovo capitolo della saga MaterDea convince ancor più del suo predecessore e chi avrà la fortuna di sentirlo scoprirà di avere tra le mani una band unica, tra le tante bravissime che si affacciano sul mercato nazionale ed internazionale e che abbracciano la causa del symphonic metal; infatti, il gruppo lascia ad altri i territori power/gothic per un approccio pagan/folk, impregnando il sound di suoni orchestrali per nulla pomposi, che rendono il suono elegante e raffinato laddove gli strumenti classici della bravissima Elisabetta Bosio ricamano melodie d’altri tempi, accompagnati dalle tastiere di Elena Crolle. Ed è proprio questa perfetta armonia tra la raffinatezza delle tre damigelle e la grinta metallica degli altri tre elementi maschili del gruppo (Marco Strega e la potente sezione ritmica composta da Morgan De Virgilis al basso e Cosimo De Nola alle pelli) a fare la differenza in questa stupenda opera, che vi porterà a viaggiare tra villaggi immersi in lande verdeggianti, in un mondo dove eroici cavalieri e superbe figure mitologiche faranno la loro comparsa, così come splendide fate, elfi e locande dove rifocillarsi e amoreggiare. Grandi momenti di folk d’autore (la magnifica Land of Wonder) fanno da contraltare a brani più metallici (Tàlagor of the Storms, An Unexpected Guest, Running all Night with the Wind) impreziositi dalla stupenda voce di Simon e dai cori di Elena, mantenendo sempre in primo piano la struttura folk con il tappeto sonoro creato da viola, violoncello e contrabbasso di Elisabetta Bosio. Su tutto l’album aleggia un’atmosfera fantasy che ultimamente ho potuto ascoltare solo su quel “Midgard” dei milanesi Holy Shire, altro ottimo lavoro italiano, segnale di una scena che ormai non ha più nulla da invidiare alle più rinomate realtà europee, riuscendosi a costruire, con dischi di questo livello, una credibilità anche oltre confine. Per i fan del metal sinfonico un album assolutamente consigliato, così come a chiunque abbia voglia di ascoltare ottima musica che inevitabilmente porta a sognare … e di questi tempi non è poco.

Tracklist:
1. Beyond the Painting
2. Tàlagor of the Storms
3. Whispers of the Great Mother
4. Merlin and the Unicorn
5. A Rose for Egeria
6. An Unexpected Guest
7. Land of Wonder
8. Altars of Secrets
9. Prelude to the Rush
10. Running all Night with the Wind
11. Haerelneth’s Journey

Line-up:
Simon Papa – Voce
Marco Strega – Chitarre elettriche e acustiche
Morgan De Virgilis – Basso
Elisabetta Bosio – Violino, viola e contrabbasso
Elena Crolle – Pianoforte e Tastiere
Cosimo De Nola – Batteria

MATERDEA – Facebook

Bloodstrike – Necrobirth

Esordio all’insegna di un death old school per i Bloodstrike.

Capitanati da una “gentil donzella”, Holly Wedel, dal growl di un orco in preda a devastanti dolori addominali, i Bloodstrike licenziano il demo d’esordio dal titolo Necrobirth: tre brani di feroce death metal old school, influenzato dalle band nordeuropee che del genere hanno fatto la storia.

La band di Denver si forma nel 2013 e immette sul mercato questo massacro che dà alle fiamme tutto il Colorado e cerca di attecchire anche nel resto di un mondo che riesce purtroppo ad essere più malvagio anche della musica dei nostri. In Death We Rot, brano che funge anche da singolo/video promozionale, è un buon biglietto da visita per il gruppo americano che, fregandosene di mode e altre amenità sfoggia una passione morbosa per il death scandinavo dei primi anni novanta. Il groove dei pezzi è elevato all’ennesima potenza e l’impatto garantito da un’attitudine “in your face” che si dimostra l’arma letale dei Bloodstrike. Rhiannon Wisniewsky e Ryan Alexander Bloom formano, rispettivamente al basso e alla batteria, una sezione ritmica dirompente, mentre le due asce, tra gli artigli di Jeff Alexis e Joe Piker, distruggono a suon di riff ogni nostra resistenza, ricordandoci che Dismember, Entombed, Grave e primissimi Hypocrisy non sono solo “band”, ma i padri fondatori di un genere che ha fatto la storia della musica. Buon inizio per un prosieguo che spero ricco di soddisfazioni per questi cinque death metallers statunitensi.

Tracklist:
1. In Death We Rot
2. Skeletal Remains
3. Serpent Son

Line-up:
Holly Wedel – Vocals
Jeff Alexis – Guitars
Joe Piker – Guitars
Rhiannon Wisniewski – Bass
Ryan Alexander Bloom – Drums

BLOODSTRIKE – Facebook