Holy Soldier – Last Train (reissue)

Last Train fa parte degli ultimi colpi di coda del glam metal, un album assolutamente da fare vostro se ancora oggi non potete fare a meno di Motley Crue, Warrant, Cinderella e degli eroi del Sunset.

Una chicca per gli amanti del metal/rock che risplendeva nelle notti dell’allora capitale della nostra musica preferita, Los Angeles, la Roxx Records, label specializzata in christian metal, ristampa il bellissimo album dei glamsters Holy Soldier, Last Train, uscito originariamente nel 1992, quando ormai il genere tendeva a lasciare il campo in favore dei suoni che giungevano dalla piovosa Seattle.

Nato nel 1985, il gruppo giunse al suo capolavoro alla seconda prova, dopo il debutto omonimo del 1990, e  Last Train fu l’ultimo treno anche per il vocalist Steven Patrick, un duro colpo per il gruppo che un paio d’ anni dopo si ripresentò sul mercato con Eric Wayne al microfono ed un album (l’ultimo Promise Man) che schiacciava l’occhiolino alle sonorità grunge e che faceva perdere al gruppo fans e fascino.
Ma veniamo a Last Train, album spumeggiante picco di questa notevole band che già aveva raggiunto un buon successo con il disco precedente, ma che con questo lavoro metteva la quinta e sverniciava un bel po’ di gruppi più famosi, specialmente nel vecchio continente: glam metal, quel tocco di hard rock sporcato di blues (alla Cinderella del primo, splendido Night Songs) incastonato in un lotto di brani uno più bello dell’altro, peccato solo per l’uscita tardiva ed ormai in pieno calo di consensi per il genere.
Forti della bellissima voce del singer, gli Holy Soldier facevano parte della corrente White Metal, in una cultura rock dove le buone intenzioni erano lasciate dentro le case dei fans ed il cristianesimo non aveva certo molto feeling con trucchi, pailettes e vite bruciate sul Sunset Boulevard.
Parlando di musica, Last Train rimane un gran bel lavoro, tra grinta patinata, semi ballad e rocciose hard rock songs come le splendide Crazy, Hallow’s Eve, la cover degli Stones Gimme Shelter ed il rock, sparato a duecento all’ora sulla collina che domina la città degli angeli, dal titolo Dead End Drive.
Last Train fa parte degli ultimi colpi di coda del glam metal, un album assolutamente da fare vostro se ancora oggi non potete fare a meno di Motley Crue, Warrant, Cinderella e degli eroi del Sunset.

Tracklist
1.Virtue & Vice
2.Crazy
3.Hallows Eve
4.Gimme Shelter (The Rolling Stones cover)
5.Love Is on the Way
6.Dead End Drive
7.Tuesday Mourning
8.Fairweather Friend
9.Last Train

Line-up
Andy Robbins – Bass, Vocals
Terry Russell – Drums, Vocals
Jamie Cramer – Guitars, Vocals
Steven Patrick – Vocals
Scott Soderstrom – Guitars

HOLY SOLDIER – Facebook

Josh Todd & The Conflict – Year Of The Tiger

Secondo album solista per Todd e secondo capitolo personale di un musicista che non molla la presa e continua a sfoggiare una forza sorprendente.

E’ dunque arrivato l’anno della tigre, almeno è quello che giura Josh Todd, cantante dei rockers statunitensi Buckcherry, qui alle prese con un album di esplosivo hard rock sotto il monicker di Josh Todd & The Conflict, con il quale dimostra d’essere un musicista che non molla la presa continuando a sfoggiare una forza sorprendente.

In Year Of The Tiger il famoso cantante americano si è fatto aiutare dal chitarrista e suo compagno nei Buckcherry Stevie D, che ha anche co-prodotto il disco insieme a Eric Kretz (Stone Temple Pilots), mentre la sezione ritmica è stata affidata a Greg Cash (basso) e Sean Winchester (batteria).
Nessuna grossa sorpresa, Todd continua a graffiare da par suo su un sound molto più hard rock rispetto a quello della band madre, e urla indiavolato come al solito la sua voglia di rock al mondo dimostrandosi come sempre all’altezza della situazione.
Che Todd sia un animale (in questo caso, una tigre) selvaggio lasciato libero di sbranare a colpi di rock’n’roll ipervitaminizzato tutto sesso e whisky che brucia nella gola è confermato da questa raccolta di brani che in poco più di mezzora, sanno scaricare adrenalina a fiumi, ma non disdegnano di affondare i colpi con le classiche ballate perdenti come chi con il rock ci ha bruciato una vita, tradito, perduto, ma poi puntualmente tornato più forte e deciso di prima, nutrito di rabbia positiva ma devastante come nella roboante title track e in The Conflict, vere esplosioni di musica del diavolo lasciata tra le mani di questi insani guerrieri.
Se volete ancora confronti con la band che ha reso famoso il singer americano, direi che questo lavoro porta in sé un po’ di quella carica che aveva un album come Time Bomb, anche se meno leggero e sfrontato e come già accennato più rabbioso, heavy e moderno.
La voglia c’è sempre, il talento pure: lunga vita professionale a Josh Todd.

Tracklist
1.Year Of The Tiger
2.Inside
3.Fucked Up
4.Rain
5.Good Enough
6.The Conflict
7.Story Of My Life
8.Erotic City
9.Push It
10.Atomic
11.Rain

Line-up
Josh Todd – Vocals
Steve Dacanay – Guitars
Sean Winchester – Drums
Gregg Cash – Bass

JOSH TODD AND THE CONFLICT – Facebook

Bluedawn – Edge Of Chaos

Un album nato da un’arcobaleno di tonalità che dal nero si spostano al grigio, teatrale ed affascinante: Edge Of Chaos è un lavoro riuscito, magari di nicchia, ma in grado di intrattenere le anime dalla sensibilità dark che popolano le notti del nuovo millennio.

Misteri, leggende, storie tramadate per secoli in una città che fu repubblica e crocevia di razze, ombre che le strette strade dei vicoli trasformano in oscure creature che ci inseguono fino al mare.

Una Genova alternativa fuori dagli sguardi superficiali dei turisti o di chi vive la città senza fermarsi un attimo a condividerne l’anima e la sua totale devozione alla musica rock, fin dai tempi dell’esplosione progressiva negli anni settanta, dei cantautori e del sottobosco musicale che ha dato i natali a straordinarie realtà metal.
In questo contesto si colloca la Black Widow Records e di conseguenza i Bluedawn, band heavy/prog doom metal capitanata dal bassista e cantante Enrico Lanciaprima, attiva dal 2009 ed arrivata con questo Edge Of Chaos al terzo capitolo di una discografia che si completa con il primo album omonimo e Cycle Of Pain, licenziato quattro anni fa.
Con l’aiuto di una serie di ospit,i tra cui spicca Freddy Delirio (Death SS), la band genovese esplora in lungo e in largo il mondo oscuro del doom/dark progressivo, ed Edge Of Chaos risulta così un lavoro affascinante anche se pesante e dipinto di nero, cantato a due voci da Lanciaprima e da Monica Santo, interprete perfettamente calata nel sound disperatamente oscuro e malato dell’album.
E sin dalle prime note dell’intro The Presence la tensione e la soffocante atmosfera dell’album sono ben evidenziate, con un’aura occulta ed evocativa a permeare tutti i brani dell’opera che sono valorizzati dai vari ospiti e da un uso molto suggestivo delle voci, uno dei punti di forza di un brano come Dancing On The Edge Of Chaos.
Il sax di Roberto Nunzio Trabona conferisce ad alcune tracce un tocco crimsoniano e l’anima progressiva del gruppo si fa tremendamente mistica ed occulta, con accenni atmosferici a Devil Doll ed al dark rock dei Fields Of The Nephilim, mentre la parte elettronica spinge la splendida The Serpent’s Tongue verso il podio virtuale all’interno della tracklist di Edge Of Chaos.
Sofferto, pesante ma tutt’altro di ascolto farraginoso, il pregio di questo lavoro è proprio quello di tenere l’ascoltatore con le cuffie ben salde alle orecchie: le sorprese del primo passaggio nel lettore diventano conferme dello stato di salute dei Bluedawn che, al terzo album, centrano il bersaglio, come confermato dalla notevole Baal’s Demise, nella quale tornano protagonista il sax, e di conseguenza, le sfumature crimsoniane.
Un album nato da un’arcobaleno di tonalità che dal nero si spostano al grigio, teatrale ed affascinante: Edge Of Chaos è un lavoro riuscito, magari di nicchia, ma in grado di intrattenere le anime dalla sensibilità dark che popolano le notti del nuovo millennio.

Tracklist
1.The Presence
2.Sex (Under A Shell)
3.The Perfect me
4.Serpent’s Tongue
5.Dancing On The Edge Of Chaos
6.Wandering Mist
7.Black Trees
8.Burst Of Life
9.Sorrows Of The Moon
10.Baal’s demise
11.Unwanted Love

Line-up
Monica Santo – Vocals
Enrico Lanciaprima – Bass, Vocals
Andrea “Marty” Martino – Guitars
Andrea Di Martino – Drums

James Maximilian Jason – Keyboards, Synth, Vocals
Caesar Remain – Guitars
Roberto Nunzio trabona – Saxophone
Marcella Di Marco – Vocals
Freddy delirio – Keyboard, Synth
Matteo Ricci – Guitars

BLUE DAWN – Facebook

Devangelic – Phlegethon

L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva.

Dalla scena estrema romana, nido di mostruose creature metalliche brutali, ne abbiamo parlato in abbondanza in passato facendovi partecipi di molte delle opere uscite dalle menti di Corpsefucking Art, Degenerhate (tra le altre) ed appunto Devangelic.

Il passato per questa congrega di brutali musicisti si chiamava Resurrection Denied, ottimo esordio targato 2014, seguito dall’ep Deprecating the Scriptures l’anno dopo, mentre il presente è Phlegethon, nuovo lavoro licenziato dalla Comatose Music ed incentrato su un viaggio immaginario tra gli elementi più oscuri e brutali della Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri.
L’inferno di Dante ben si adatta all’atmosfera da tregenda che il gruppo conferisce al proprio sound, una tempesta di suoni maligni accompagnati da un growl animalesco o, in questo caso, luciferino, profondo e più adatto per descrivere l’ambiente demoniaco che viene descritto da musica e testi.
L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva, già evidenziata nel primo lavoro, che è esemplificativo del livello raggiunto dai quattro deathsters capitolini.
Non ci si annoia con i Devangelic, anche se la proposta è ovviamente più indicata agli amanti del genere (e non potrebbe essere altrimenti), trattandosi di puro brutal death metal ispirato dalla scena statunitense con tanto di cover, nella versione digipack,  di He Who Sleeps tratta dal mastodontico Gateways to Annihilation dei Morbid Angel.
Ottima conferma e album da annoverare tra le migliori uscite tricolori nel genere, Phlegethon non deluderà gli amanti del brutal death metal, i quali avranno di che crogiolarsi tra gli inferi in questo ultimo scorcio d’anno.

Tracklist
1. Plagued By Obscurity
2. Mutilation Above Salvation
3. Of Maggots And Disease
4. Malus Invictus
5. Abominated Impurity Of The Oppressed
6. Condemned To Dismemberment
7. Wretched Incantations
8. Manifestation Of Agony
9. Decaying Suffering
10.Asphyxiation Upon Phlegethon
—-
11.He Who Sleeps (Morbid Angel cover)
12.Abominated Impurity Of The Oppressed (Promo 2016)

Line-up
Paolo Chiti – Vocals
Mario Di Giambattista – Guitars
Damiano Bracci – Bass
Marco Coghe – Drums

DEVANGELIC – Facebook

Putrid Offal – Anatomy

I Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici.

Torna quel muro estremo transalpino che sono i Putrid Offal, gruppo che seguiamo da quando il quartetto è tornato sul mercato in occasione dell’ep Suffering, licenziato tre anni fa.

Dieci anni di silenzio dividevano gli inizi della carriera dei Putrid Offal dal ritorno nel 2014, seguito da una costanza nelle uscite sorprendente.
Infatti dopo l’ep il gruppo francese ha licenziato una compilation con i vecchi brani scritti nei primi anni novanta e soprattutto il full length Mature Necropsy del 2015.
Tornano dunque con questo ep intitolato Anatomy, composto da due brani inediti (Anatomy e Didactic Exploration), due ri-registrazioni (Rotted Flesh e Gurgling Prey, presenti nel primo demo, con il primo anche nel full length) e due brani live, tanto basta per sconvolgere l’ascoltatore con il loro devastante death/grind.
Niente di nuovo, solo la conferma che i Putrid Offal sono una delle realtà underground più estreme e devastanti, il loro sound è pari ad una apocalisse metallica dalle ritmiche da bombardamento a tappeto e assoli chirurgici per mandare in tilt il vostro lettore cd.
Come da tradizione, gran lavoro delle due voci (growl e scream) che continuano imperterrite a darsi battaglia tra accelerazioni, pochi rallentamenti e potenza inaudita espressa come se non ci fosse un domani.
I Putrid Offal non lasciano scampo, se vi prendono siete fottuti…

Tracklist
1. Anatomy
2. Didactic Exploration
3. Rotted Flesh
4. Gurgling Prey
5. Requiem for a Corpse
6.Purulent Cold

Line-up
Franck Peiffer – Vocals
Phil Reinhalter- Guitars
Frédéric Houriez – Bass
Laye Louhenapessy – Drums

PUTRID OFFAL – Facebook

Dragonhammer – Obscurity

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere Obscurity, il nuovo album dei Dragonhammer.

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere il power metal progressivo dei nostrani Dragonhammer.

Lo storico gruppo torna con un nuovo lavoro dopo l’ottimo The X Experiment, uscito quattro anni, fa e le ristampe dei primi due album licenziate dalla My Kingdom Music, label che firma anche Obscurity.
Band che si può senz’altro definire storica essendo attiva da quasi vent’anni, i Dragonhammer non sbagliano un colpo e i fans del gruppo e dei suoni classici legati al power metal possono stare tranquilli: il nuovo album è ancora una volta un’opera che non cambia di una virgola il sound della band, ma rimane saldamente ancorato su ottimi livelli qualitativi, in un genere nel quale il nostro paese è diventato con gli anni fucina di realtà sopra le righe.
Ovviamente i Dragonhammer, sempre saldi tra le mani della storica coppia formata dal cantante e chitarrista Max Aguzzi e dal bassista Gae Amodio, fanno sicuramente parte di quel gruppo di band che traina la scena italiana verso la gloria metallica, con il loro power metal dal taglio progressivo, oscuro e perfettamente bilanciato tra la tradizione europea e quella classica statunitense.
L’intro Darkness Is Coming ci avverte che tempi bui si prospettano all’orizzonte, mentre The Eye Of The Storm imprime a chiare lettere il marchio dei Dragonhammer: una cavalcata metallica, potente ma non troppo veloce, animata da un’anima progressiva e da un chorus epico.
L’album prosegue con Brother vs Brother, dal piglio hard rock e lascia alla memorabile Under The Vatican’s Ground il gradino più alto del podio, tra Dio e progressive metal, dai tasti d’avorio che inventano ricami neoclassici in un’atmosfera di opprimente oscurità.
Continuiamo ad esaltarci tra le trame delle varie tracce, una più oscura e progressivamente melodica dell’altra, Aguzzi fa il Ronnie James Dio in più di un’occasione ed il gruppo gira a mille, regalandoci ottimo metal con The Town Of Evil, ill crescendo classicamente heavy di Children Of The Sun e la conclusiva title track.
Ottimo ritorno di un gruppo che non ha mai sbagliato un colpo, centrando bersagli a ripetizione, e che ormai si può certamente considerare un’istituzione nel genere sul suolo italico.

Tracklist
01. Darkness Is Coming
02. The Eye Of The Storm
03. Brother vs Brother
04. Under The Vatican’s Ground
05. The Game Of Blood
06. The Town Of Evil
07. Children Of The Sun
08. Fighting The Beast
09. Remember My Name
10. Obscurity

Line-up
Max Aguzzi – Lead Guitar and Voice
Gae Amodio – Bass Guitar
Flavio Cicconi – Guitar
Giulio Cattivera – Keyboards
Andrea Gianangeli – Drums

DRAGONHAMMER – Facebook

Ankor – Beyond the Silence of These Years

La proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.

Ecco un album che teoricamente potrebbe far impazzire sfilze di ragazzini alternativi: un sound alternative rock con qualche spunto core, una serie di brani dall’appeal perfetto per non uscire dal lettore dello smartphone, momenti di scream vocals in contrasto con la vocina da lolita che fa il buono ed il cattivo tempo e la cover di un brano dei Linkin Park (Numb) uscito come video tanto per ribadire l’alto grado di ruffianeria dei catalani Ankor.

Il quartetto è diviso in egual misura tra la parte femminile e quella maschile, attivo dal 2003 e con una buona discografia alle spalle che conta tre full length ed una manciata di lavori minori, fino ad arrivare a questo Beyond the Silence of These Years che sinceramente lascia l’amaro in bocca.
Intendiamoci, non c’è niente che non funzioni in questo lavoro, ma la proposta degli Ankor è oltremodo immatura, poco personale e piena di melodie facili quel tanto da rapire adolescenti, non certo alternative rockers di vecchia data.
Quindi sappiate che Beyond the Silence of These Years è un lavoro composto da una serie di brani che sembrano usciti da qualche pubblicità per articoli da ragazzini, skateboard sotto i piedi e lacrimuccia rabbiosa che cade da sguardi da finti duri.
Poco, insomma per smuovere, l’interesse degli amanti del genere, anche se qualche traccia presenta buone melodie e Shhh… (I’m Not Gonna Lose It) ribadisce l’amore del gruppo per i Linkin Park del compianto Chester Bennington.
Troppo poco, ma forse abbastanza per riuscire a far breccia tra gli adolescenti iberici.

Tracklist
1.The Monster I Am
2.Love Is Not Forever
3.Lost Soul
4.Nana
5.Shhh… (I’m Not Gonna Lose It)
6.Kiss Me Goodnight
7.From Marbles to Cocaine
8.The Legend of Charles the Giant
9.Endless Road
10.Unique & Equal
11.Interstellar

Line-up
Jessie Williams – Vocals/Screams
David Romeu – Guitar/Vocals
Fito Martínez – Guitar/Insane vocals
Ra Tache – Drums/Keys

ANKOR – Facebook

Fragarak – A Spectral Oblivion

L’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Sono ormai un bel po’ di anni che, prima nella sezione dedicata al metal di In Your Eyes e ora su MetalEyes IYE, vi teniamo informati sul metal che viene suonato nell’estremo oriente, soprattutto in India.

Il paese asiatico è un enorme scrigno di musica metal/rock, con una manciata di eccellenze in campo estremo e classico che non sfigurano sicuramente al cospetto dei più blasonati colleghi europei.
Il death metal progressivo, un genere che in Europa comincia ad inciampare in quanto a freschezza compositiva, sulle rive del Gange trova nuova linfa tra lo spartito dei Demonic Resurrection e dei Fragarak, di cui vi avevamo parlato tre anni fa in occasione dell’uscita del primo full length (Crypts of Dissimulation).
Non sono le uniche band da nominare, ovviamente, ma con questo nuovo album il gruppo di New Delhi risponde da par suo al bellissimo lavoro dei colleghi di Mumbai con questo mastodontico A Spectral Oblivion, ottantacinque minuti di musica estrema progressiva sopra le righe, violenta, atmosfericamente oscura, splendida colonna sonora di un mondo e di una società estrema raccontata per mezzo di un death metal old school, tecnicamente di un altro pianeta e dal sound che varia tra la furia del genere e le parti acustiche, progressivamente ineccepibili.
La differenza non da poco tra queste due spettacolari band sta nell’uso delle orchestrazioni da parte dei Demonic Resurrection, mentre nei Fragarak, l’epico andamento dei brani porta a sfumature evocative che si manifestano tra i ricami acustici di una bellezza devastante.
Supratim Sen usa tutti i mezzi in possesso di un singer di genere per rendere ancora più drammatica e maligna l’atmosfera, con growl profondi e scream laceranti, mentre i suoi compagni inventano fughe su e giù per uno spartito dato alle fiamme dagli strumenti che divampano tra le loro mani.
A Spectral Oblivion sembra durare lo spazio di un brano e l’ascoltatore viene catturato dalle lunghe suite, inframezzate da intermezzi acustici, con un attenzione particolare per In Rumination II – Reflections, Spectre – In Oblivion Awaken e Of Ends Ethereal.
Come nel primo album, l’influenza degli Opeth si fa sentire nelle parti progressive, mentre il lato estremo dei Fragarak mantiene le sue splendide coordinate old school death metal.
Un album bellissimo, l’ennesima conferma di quanta buona musica si possa scoprire se ci si spinge oltre le consuete a frontiere del metal/rock.

Tracklist
1.In Rumination I – The Void
2.In Rumination II – Reflections
3.The Phaneron Eclipsed
4.Ālūcinārī I – Transcendence
5.Fathoms of Delirium
6.Ālūcinārī II – Revelations
7.Spectre – An Oblivion Awakens
8.Ālūcinārī III – A Reverie
9.This Chastising Masquerade
10.Of Ends Ethereal
11.Ālūcinārī IV – The Fall

Line-up
Supratim Sen – Vocals
Kartikeya Sinha – Bass
Arpit Pradhan – Guitar
Ruben Franklin – Guitar

FRAGARAK – Facebook

Electric Swan – Windblown

Per gli amanti dell’hard rock vintage Windblown è un lavoro imperdibile, con il quale gli Electric Swan si confermano come una delle migliori realtà del genere, non solo nel nostro paese.

In questi anni che hanno visto il ritorno in auge delle sonorità chiamate old school o vintage (a seconda del genere), ogni scena ha tirato fuori dal cilindro i propri eroi, dalla Scandinavia agli States, passando per l’Europa centrale ed ovviamente dal suolo italico.

La Black Widow, storica label genovese e punto fermo per gli amanti dell’hard rock e del progressive, licenzia questo bellissimo lavoro, il terzo degli Electric Swan del chitarrista piacentino Lucio “Swan” Calegari, dopo il debutto omonimo uscito ormai una decina d’anni fa ed il precedente Swirl In Gravity del 2012, primo album sotto l’ala dell’etichetta ligure.
Da qui partiamo per raccontarvi in poche righe il viaggio sulle ali del cigno elettrico, un volo lungo sessanta minuti, in cui l’hard rock settantiano si ammanta di psichedelia e funky, lasciando senza fiato come si trattasse di un virtuale giro sulle montagne russe del rock.
Presi per il colletto e strattonati dai riff di Calegari, che sanno tanto di Led Zeppelin, Black Sabbath e blues rock, ipnotizzati dalla prova di una Monica Sardella all’attacco delle nuove eroine dell’hard rock (Heidi Solheim, Elin Larsson, Alia Spaceface) e colpiti ai fianchi da una sezione ritmica che si prende carico della struttura dei brani con una varietà stilistica sorprendente (Vincenzo Ferrari al basso e Alessandro Fantasia alla batteria), veniamo dunque portati in alto dalla musica del bellissimo cigno lombardo che non ne vuol sapere di tornare al suolo e continua a farci volare con una serie di straordinarie jam.
Ed i bran sono proprio questo, lunghe jam nelle quali il gruppo mette a disposizione dell’ascoltatore il proprio talento, non scendendo mai sotto un livello d’eccellenza e stupendo grazie ad un  songwriting che non permette di distrarsi un attimo, rapiti dal vortice di musica di cui si compone Windblown.
Pur dovendo teoricamente nominare tutte le tracce dell’album, per dovere di cronaca cito le tre bellissime cover Sin’s A Good Man’s Brother (Grand Funk Railroad), Midnight (T.Rex) e If I’m In Luck I Might Get Picked Up (Betty Davis) ed almeno un tris di capolavori, il poderoso hard rock di Leaves, spezzato in due da un intermezzo soul/funky,  lo strumentale Beautiful Bastard, sette minuti di delirio rock con il sax dell’ospite Simone Battaglia, e l’emozionante Here Is Nowhere, ballad che sanguina blues valorizzata dall’interpretazione straordinaria di Monica Sardella.
Non rimane che fare i complimenti agli Electric Swan per questa bellissima opera consigliata agli amanti dell’hard rock legato alla tradizione settantiana.

Tracklist
01. Cry Your Eyes Out
02. Face To Face
03. Bad Mood
04. Leaves
05. Losin’ Time
06. Sin’s A Good Man’s Brother (Grand Funk Railroad cover)
07. Beautiful Bastard
08. Carried By The Wind
09. Here Is Nowhere
10. If I’m In Luck I Might Get Picked Up (Betty Davis cover)
11. Windblown
12. Midnight (T.Rex cover)

Line-up
Monica Sardella: Vocals
Lucio Calegari: Guitars, Vocals
Vincenzo Ferrari: Bass
Alessandro Fantasia: Drums

Special guests:
Sergio Battaglia: Saxophones (tracks 2, 7)
Samuele Tesori: Flute (track 9)
Paolo Negri: Hammond Organ, Electric Piano, Mellotron, Moog (track 10)

ELECTRIC SWAN – Facebook

Kaipa – Children Of The Sounds

Children Of The Sounds è un lavoro suggestivo, un ritorno alle armonie ed alle melodie dei grandi del passato ma con un taglio moderno.

Preparatevi a sognare, lasciatevi prendere per mano dalla ragazzina in copertina ed entrate senza indugi nel mondo fatato del bellissimo ultimo lavoro della storica band progressive svedese Kaipa, che prosegue  una storia nata a metà degli anni settanta e proseguita fino ai giorni d’oggi all’insegna di un elegante rock progressivo.

Quella che è probabilmente la migliore e più longeva tra le band della tradizione progressiva scandinava torna con Children Of The Sounds, album d’altri tempi, un viaggio tra il progressive rock britannico, classico e derivativo quanto volete, ma che sprigiona classe da tutti i pori.
Stupende fughe tastieristiche, verve elettrica dai rimandi new prog britannici, un lavoro al microfono straordinario, con le due voci (Patrik Lundström e Aleena Gibson) che si alternano nel raccontare questo viaggio fantastico nel paese delle meraviglie della musica progressiva.
Children Of The Sounds è un lavoro suggestivo, un ritorno alle armonie ed alle melodie dei grandi del passato ma con un taglio moderno, che si evince da una produzione cristallina, e con qualche tocco più duro in alcune soluzioni chitarristiche che portano il sound in zona Arena e Threshold, ma tenendo ben stretto il cordone ombelicale che lega il gruppo svedese ai sui primi passi negli anni settanta (Genesis e Yes).
Come si faceva una volta, ai Kaipa bastano cinque brani, lunghe suite progressive nelle quali sfogare il proprio talento senza far perdere, neanche per un attimo, all’ascoltatore la giusta attenzione per seguire gli intrecci disegnati su uno spartito d’altri tempi, una pergamena d’oro dove nascoste tra le pieghe si intravedono le note delle splendide On The Edge Of New Horizons (diciassette minuti di perfezione progressiva) e Like A Serpentine.
Un’opera sontuosa, assolutamente imperdibile per gli amanti del progressive rock dal taglio classico.

Tracklist
1. Children of the Sounds
2. On The Edge of New Horizons
3. Like A Serpentine
4. The Shadowy Sunlight
5. What’s Behind The Fields

Line-up
Hans Lundin – Keyboards & vocals
Per Nilsson – Electric & acoustic guitars
Morgan Ågren – Drums
Jonas Reingold – Electric basses
Patrik Lundström – Vocals
Aleena Gibson – Vocals

KAIPA – Facebook

Gravewards – Subconscious Lobotomy

Si torna davvero indietro di un bel po’ di anni con l’ascolto dei brani composti per questo lavoro, con una Casket Entrapment che mette subito in chiaro le bellicose intenzioni del terzetto greco: suonare più estremo e tradizionale possibile, riuscendoci ed affascinando con le sue polverose note old school.

Death metal oscuro e feroce, quattro brani estremi che ricordano i malvagi passi della scena di primi anni novanta, specialmente tra Olanda e Regno unito, con una sola concessione americana, ma fortemente presente,costituita dai primi Obituary.

Dall’assolata e caldissima Grecia arrivano i Gravewards, giovane gruppo proveniente dalla capitale che debutta nel mondo dell’underground estremo con Subconscious Lobotomy, demo autoprodotto fatto di quattro devastanti brani incisi come ai vecchi tempi su trecento cassette, e noi di Metaleyes, che dell’underground vi facciamo puntualmente partecipi, ve li presentiamo in tutta la loro attitudine definibile eufemisticamente old school.
Si torna davvero indietro di un bel po’ di anni con l’ascolto dei brani composti per questo lavoro, con una Casket Entrapment che mette subito in chiaro le bellicose intenzioni del terzetto greco: suonare più estremo e tradizionale possibile riuscendoci ed affascinando con le sue polverose note old school.
Fotis al basso e Vasilis alle pelli, con Nikos a costruire riff su riff, mentre con il growl urla come un animale ferito (ricordando non poco il Tardy di Cause Of Death), offrono quattro devastanti canzoni (bellissima Crawling Chaos) che non lasciano trasparire il minimo accenno di modernità ed il loro sound  si infrange come un’onda tempestosa sulle scogliere del death metal old school.
La produzione in linea con la musica suonata questa volta è perfetta per aumentare il fascino e l’atmosfera estremamente sinistra dell’album: Gorefest, Obituary e l’oscuro e bellicoso sound dei Bolt Thrower sono i padrini di questa nuova realtà ellenica da tenere sicuramente sotto osservazione.

Tracklist
1.Casket Entrapment
2.Subconscious Lobotomy
3.Crawling Chaos
4.Deathwomb Incubation

Line-up
Fotis – Bass
Vasilis – Drums
Nikos – Vocals, Guitars

GRAVEWARDS – Facebook

Kroh – Altars

Altars è il secondo full length dei doomsters britannici Kroh, ottimi cultori del verbo sabbathiano portato ad un livello di misticismo occulto affascinante e ricco di sfumature oniriche.

Liturgie doom in arrivo dalle strade bagnate dall’umidità del Regno Unito, sabbatiche litanie, lenti e monolitici cammini pregni di musica del destino e metal d’annata, tradizionalmente fermo tra gli anni settanta e i primi passi nel decennio successivo.

I Kroh non sono una band al debutto, il primo album omonimo risale al 2011, poi seguito da una manciata di split e singoli, fino alla creazione di questo ultimo lavoro intitolato Altars, una lunga e sacrale litania doom metal, che una voce femminea rende ancora più sabbatica.
Un album che mette in ombra la pura tecnica e pulizia del suono, per un approccio da messa occulta, con l’atmosfera che ad ogni passaggio si fa sempre più intensa, come l’aria irrespirabile dal profumo d’incenso che la sacerdotessa Oliwia Sobieszek elargisce sull’altare dove rimangono i poveri resti umani di quello che una volta era un dio, votato al male e maledetto.
Altars rievoca antichi costumi e riti, celebrati ancora una volta intonando note doom metal con la chitarra satura di watt che crea riff mastodontici su tempi lenti e dilatati.
Mother Serpent, il mid tempo psichedelico Living Water, l’ipnotica Malady e la conclusiva, lentissima e rituale Precious Bones segnano il tempo trascorso imprigionati nell’incantesimo creato dal gruppo di Birmingham, ottimo cultori del verbo sabbathiano portato ad un livello di misticismo occulto affascinante e ricco di sfumature oniriche.

Tracklist
1.Krzyżu święty
2.Mother Serpent
3.Living Water
4.Feed the Brain
5.Malady
6.Break the Bread
7.Stone into Flesh
8.Cold
9.Precious Bones

Line-up
Oliwia Sobieszek – Vocals
Paul Kenney – Guitar
Paul Harrington – Guitar
Darren Donovan – Bass
Rychard Stanton – Drums

KROH – Facebook

Descrizione Breve

Novelists – Noir

Un album moderno che si ascolta come un’opera tradizionale verrebbe da dire, nella quale il gruppo parigino mette una tecnica invidiabile al servizio di brani piacevolmente scorrevoli

Un album basato su quello che, oggi, viene definito prog core è sempre un’incognita ed è facile sia trovarsi al cospetto di un buon lavoro, sia di brutte copie di opere che ingarbugliano il metalcore con tecnicismi intricati e fini a se stessi.

Le nuove leve fortunatamente sembrano indicare una via che possa mettere d’accordo tutti, puntando su melodie ed atmosfere e cercando di smuovere emozioni che l’ascoltatore molte volte attende che si risveglino in lavori del genere.
I francesi Novelists riescono ad uscire da questa impasse con un sound fortemente progressivo e moderno, dove la rabbia core viene stemperata da uno stato di grazia melodico sopra la media.
Un album moderno che si ascolta come un’opera tradizionale, verrebbe da dire, nel quale il gruppo parigino mette una tecnica invidiabile al servizio di brani piacevolmente scorrevoli, sia quando atmosfere liquide ci trasportano su notturni territori progressivi (Monochrome), sia quando il metalcore strappa le redini al suo alter ego e lancia il purosangue metallico al galoppo.
Non è mai troppo sincopato il sound di Noir, procede su linee che variano ad ogni traccia lasciando all’ascoltatore tantissimi input utili alla comprensione della musica del gruppo, mentre accenni nu metal compaiono a ribadire con forza la capacità dei Novelist di non ripetersi (Les Nuits Noires).
Confermate le buone impressioni suscitate con il primo album Souvenirs, la band fa un passo avanti verso una popolarità che nel genere non mancherà di arrivare: l’album con estrema facilità giunge alle ultime cartucce, sparate dopo aver colpito il segno con una pioggia di fuoco metalcore progressiva portata da brani avvincenti come A Bitter End, The Light The Fire e la conclusiva Heal The Wound.
Giovani, preparati e con un’idea di sound che trova pochi paragoni, questi sono i Novelists e noi ve li consigliamo vivamente.

Tracklist
1. L’appel du Vide
2. Monochrome
3. Under Different Welkins
4. Les Nuits Noires
5. Grey Souls
6. A Bitter End
7. Stranger Self
8. The Light, The Fire
9. Joie de Vivre
10. Lead The Light
11. À Travers le Miroir
12. Heal The Wound

Line-up
Matt Gelsomino – vocals
Florestan Durand – guitar
Charles-Henri Teule – guitar
Nicolas Delestrade – bass
Amael Durand – drums

NOVELISTS – Facebook

Descrizione Breve
, sia quando atmosfere liquide ci trasportano su notturni territori progressivi (Monochrome) sia quando il metalcore strappa le redini al suo alter ego e lancia il purosangue metallico al galoppo.

Autore
Alberto Centenari

Voto
82

Haemorrhage – We Are The Gore

Un bombardamento sonoro imperdibile per gli amanti di un genere che, quando è suonato a questi livelli, non lascia scampo.

E se l’album dell’anno, parlando di death metal estremo dai rimandi grind, arrivasse dalla vecchia Europa?

Forse molti non avevano fatto i conti con gli storici gore grinders spagnoli Haemorrhage che, sul finire dell’anno e quasi in zona Cesarini, mettono la palla in fondo al sacco con un colpo da maestro, mettendo una seria ipoteca sulla palma delle migliori torture in musica di questo 2017.
Infermieri e medici di un ospedale dove la gente non guarisce, ma lascia questo mondo sotto atroci sofferenze, fanno la ola all’ascolto di questa bomba sonora dal titolo We Are The Gore: una dichiarazione di intenti, un devastante tributo ai primi Carcass, valorizzato da una produzione esplosiva e da un songwriting che nel genere lascia di sale.
Sotto i ferri finiscono povere vittime inconsapevoli del sadico rito Haemorrhage, dal 1992 a sezionare corpi umani (vivi ovviamente) nell’ospedale più macabro del mondo dove le sale operatorie non sono altro che asettici covi dove i nostri massacrano a colpi di grind death metal dalla forza brutale, suonato divinamente e pregno di tutta la sadica malignità di un gruppo di serial killer sotto le mentite spogli di paramedici.
Mastering curato da Brad Boatright (Obituary, Nails, Skinless) e via con la lezione di anatomia firmata Haemorrhage, tra velocità al limite, cambi di tempo, blast beat e solos che tagliano la carne come affilati bisturi, o lacerano come seghetti per amputare, mentre il sangue abbonda, le urla sono puro e disperato dolore e la mezzora passa esaltante tra trombe d’aria brutali che devastano senza pietà.
Il singolo e video della title track anticipa questo bombardamento sonoro imperdibile per gli amanti di un genere che, quando è suonato a questi livelli, non lascia scampo.

Tracklist
1.Nauseating Employments
2.Gore Gourmet
3.We Are the Gore
4.Transporting Cadavers
5.Bathed in Bile
6.The Cremator’s Song
7.Medical Maniacs
8.Forensick Squad
9.Gynecrologist
10.Miss Phlebotomy
11.C.S.C. (Crime Scene Cleaners)
12.Prosector’s Revenge
13.Organ Trader
14.Intravenous Molestation of the Obstructionist Arteries (O-Pus VII)
15.Artifacts of the Autopsy

Line-up
Luisma – guitar, vocals
Ana – guitar
Lugubrious – vocals
Ramon – bass
Erik – drums

HAEMORRHAGE – Facebook

Essence of Datum – Nevermore

Nevermore continuerà a far discutere riguardo al prog metal, ma è indubbio che la band bielorussa ci sappia fare, grazie ad un sound duro come la roccia ma ricamato da tecnica e melodia.

Il prog metal è musica a 360° che dovrebbe tenere a distanza detrattori e quant’altro, ma che purtroppo è sempre motivo di discussione tra chi ama il genere e chi invece lo indica come esibizione tecnica fine a se stessa e poco emozionante: come sempre la verità sta nel mezzo e in ogni parte del mondo continuano a venire alla luce ottime realtà.

Erede del progressive rock, figlio ribelle della corrente settantiana a cui è comunque ed assolutamente legato, il metallo progressivo del nuovo millennio si è trasformato in un Kraken dai mille tentacoli, diventando un mostro che fagocita generi per risputarli, trasformati in musica per tutti i gusti, dal sound intimista ed emozionale delle nuove leve, alla tecnica sopraffina ma aggressiva dei gruppi dai rimandi metallici.
Gli Essence Of Datum si incontrano tra le strade di Minsk, capitale della Bielorussia, e il loro metal progressivo lascia buone impressioni non solo per l’ottima tecnica, ma per il feeling che riesce a crearsi con l’ascoltatore, non così banale quando si parla di lavori strumentali.
Nevermore è il secondo album, a distanza di quattro anni dal debutto Event Horizon, ed esplora il genere in molte delle sue sfaccettature, accontentando un po’ tutti gli abituali ascoltatori di musica progressiva.
Pochi attimi lasciati alla mera tecnica e tanta musica che riempie lo spazio, tra atmosfere melanconiche, partenze a razzo verso lidi neoclassici e aperture al rock progressivo tradizionale, il tutto legato da una matrice metal che raggiunge picchi estremi prima di tornare a respirare l’aria intimista delle proposte moderne.
Nevermore continuerà a far discutere riguardo al prog metal, ma è indubbio che la band bielorussa ci sappia fare, grazie ad un sound duro come la roccia ma ricamato da tecnica e melodia, ed è assolutamente consigliato a chi dei suoni progressivi ne ha fatto l’ascolto primario.

Tracklist
1.Satellites
2.Animal
3.Hexadecimal
4.Siberia
5.Aurorae (Australis | Borealis)
6.Blodørn
7.Thorns
8.Omens

Line-up
Dmitry Ramanouski – guitars
Alex Melnikau – bass
Pavel Vilchytski – drums

ESSENCE OF DATUM – Facebook

Moonscape – Entity

Entity è un’opera incentrata su un melodic death metal sulle orme del blasonato Crimson, capolavoro degli Edge Of Sanity e che, senza raggiungere quelle vette qualitative, risulta un buon ascolto per gli amanti del genere.

Il sottoscritto quando sente parlare di Edge Of Sanity alza il collo e le orecchie diventano antenne per captare ogni nota che fuoriesce dall’opera in questione, se poi la foto promozionale ritrae il protagonista con una maglietta di quel gruppo, le attese si moltiplicano.

Fortunatamente i Moonscape, progetto solista del musicista norvegese Håvard Lunde, non deludono le aspettative che un nome scomodo come quello della creatura di Dan Swanö inevitabilmente provoca, risultando un’opera estrema interessante.
Entity offre quindi un death metal progressivo e melodico sulla scia del capolavoro Crimson, l’ album più famoso dei Sanity, e viene addirittura presentato in due versioni: quella tradizionale, divisa in nove brani distinti e quella alla “Crimson”, che tradotto significa una sola traccia intitolata Entity della durata di quaranta minuti, nella quale Lunde ed i suoi ospiti si dilettano in questa nuova proposta, influenzata non solo però dalla mente del geniale svedese.
Infatti, echi delle prime opere del Lucassen menestrello sotto il monicker Ayreon, sono le varianti in un approccio death melodico che attraversa il tappeto musicale su cui poggia la struttura dall’opera, mentre il prog non manca di nobilitare partiture che dall’estremo passano con disinvoltura al rock, colorato di nero ma aperto a soluzioni che sanno di arcobaleni progressivi: Entity è in buona sostanza una lunga jam suonata e composta da un ottimo musicista che omaggia al meglio quello che è evidentemente il proprio principale punto di riferimento.
Questo costituisce pregio e difetto per questo lavoro targato Moonscape, che se lascia ottime sensazioni perdendo qualcosa in personalità, inconveniente al quale Lunde saprà sicuramente rimediare in futuro: il presente invece si chiama Entity e si merita un ascolto.

Tracklist
1.Disconsolation (The Hidden Threat)
2.A Farewell To Reality
3.Into The Ethereal shadows
4.Abandonment
5.Under Absent Clouds
6.A Stolen Prayer
7.A Crack In The Clouds
8.The Bargaining
9.Entity

Line-up
Håvard Lunde

Guests:
Jim Brunaud (The Gaemeth Project) as “Father” – lead vocals
Matthew Brown (Arkhane) as “Man” – lead vocals and chants
Kent Are Sommerseth (Unspoken, Varulv) as “Demon” – lead vocals
David Russell – piano
Leviathan (ex- Unspoken, Kvesta) – lead guitars
Andreas Jonsson (ex- Spiral Architect) – lead guitars
Diego Palma (LordDivine) – keyboards
Simen Ådnøy Ellingsen (Shamblemaths) – acoustic and clean lead guitars
Jon Hunt – keyboards • John Kiernan – lead guitars
Alex Campbell (Seek Irony) – lead guitars
Noah Watts – lead guitars
Sean Winter – tenor saxophone
Justin Hombach (AeoS) – lead guitars

MOONSCAPE – Facebook

Grand Delusion – Supreme Machine

Supreme Machine è un lavoro sufficiente, nel quale non manca qualche difetto ma che nel suo insieme può sicuramente dire la sua, specialmente al cospetto degli amanti dei suoni doom/stoner e vintage

Da poco entrati nelle grazie della Minotauro, gli hard rockers svedesi Grand Delusion tornano con un nuovo lavoro intitolato Supreme Machine.

Hard rock stonerizzato e vintage è quello che ci propina il quartetto scandinavo, attivo dal 2011 e con alle spalle un ep di debutto seguito dal primo lavoro sulla lunga distanza uscito un paio di anni fa (The Last Ray of the Dying Sun).
La band di Umeå bada al sodo e spara sei cannonate heavy/doom/stoner metal senza risparmiarsi, con le chitarre che urlano riffoni metallici e le ritmiche che, senza mai affondare completamente negli abissi del doom, si fanno grosse di mid tempo heavy stoner.
Non mancano accenni alla psichedelia (Trail Of The Seven Scorpions) e quel tocco desertico tanto cool di questi tempi a mietere vittime tra gli amanti del genere.
La declamatoria Imperator si piazza sul gradino più alto del podio nelle preferenze del sottoscritto, mentre avrei lasciato l’onore di aprire l’album ad un brano più convincente che non la debole Just Revolution, ma sono dettagli, mentre a seguire l’atmosfera soffocante di Infinite ci pensa la conclusiva Ghost Of The Widow McCain, brano che attinge sia a Black Sabbath che ai Pink Floyd.
Supreme Machine è un lavoro sufficiente, nel quale non manca qualche difetto ma che nel suo insieme può sicuramente dire la sua, specialmente al cospetto degli amanti dei suoni doom/stoner e vintage, ai quali è rivolto l’invito ad ascoltare questi rockers svedesi e la loro musica.

Tracklist
1. Just Revolution
2. Mangrove Blues
3. Trail of the Seven Scorpions
4. Imperator
5. Infinite
6. Ghost of the Widow Mccain

Line-up
Mikael Olsson – Bass, Keyboards, Vocals (backing)
Magnus Rehnman – Drums
Per Clevfors – Guitars
Björn Wahlberg – Guitars, Vocals

GRAND DELUSION – Facebook

Jag Panzer – The Deviant Chord

The Deviant Chord è un lavoro riuscito a base di puro metal statunitense e regge il confronto con gli album passati del gruppo, sorprendendo in positivo con una manciata di brani potenti e melodici.

Gli anni passano, i primi anni ottanta sono ormai solo un ricordo di giovinezza per molti di noi, ma il metal classico continua a mietere vittime, magari non come in passato ma con il vigore dei tempi migliori.

Lo storico gruppo del Colorado è una delle realtà nate negli anni d’oro del metal classico, ed oggi arriva con il nuovo album a toccare la doppia cifra per quanto riguarda i lavori ufficiali di una discografia neanche troppo ampia ma che, specialmente tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio, ha avuto il suo massimo splendore con una manciata di album che hanno marchiato a fuoco il nome dei Jag Panzer come una tra i più importanti d’oltreoceano, almeno nel genere suonato.
La band torna con The Deviant Chord, un lavoro che più classico non si può, pregno di quella drammatica oscurità che aleggia sul genere suonato negli States, valorizzato dallo stato di grazia della coppia d’asce Tafolla/Briody, da una prova tutta grinta ed esperienza di Conklin al microfono e dalla sezione ritmica (Rikard Stjernquist alle pelli e John Tetley al basso) che accompagna i tre fuoriclasse con un’anima progressiva impressa ai molti cambi di tempo che sono la parte nobile del sound, insieme a qualche solo dal sapore neoclassico.
La copertina ricorda temi sci-fi (in verità bruttina) e il sound non perde un colpo, arcigno ma nobile, foriero di tempeste heavy/power e solcato da un’anima prog che si veste di nero per andare incontro ai colleghi che con i Jag Panzer hanno fatto la storia del genere.
The Deviant Chord è un lavoro riuscito a base di puro metal statunitense e regge il confronto con gli album passati del gruppo, sorprendendo in positivo con una manciata di brani potenti e melodici come Born Of The Flame, la title track, la progressiva Divine Intervention e l’inarrestabile Salacious Behavior.
Complimenti a questi cinque veterani  dell’heavy metal americano, tornati in forma come in passato con questo ultimo lavoro.

Tracklist
1.Born Of The Flame
2.Far Beyond All Fear
3.The Deviant Chord
4.Blacklist
5.Foggy Dew
6.Divine Intervention
7.Long Awaited Kiss
8.Salacious Behavior
9.Fire Of Our Spirit
10.Dare

Line-up
Harry Conklin – vocals
Mark Briody – guitars
Joey Tafolla – guitars
John Tetley – bass
Rikard Stjernquist – drums

JAG PANZER – Facebook

Vulture – The Guillotine

Nel genere, The Guillotine si difende bene e il metal suonato dal gruppo convince con soluzioni che ricordano i primi passi dei gruppi storici della scena power/speed tedesca, con i Judas Priest a fare da imprescindibili tutori.

Band nuova ma sound vecchio, per gli amanti dell’heavy metal old school, arrivano i tedeschi Vulture, quattro musicisti in trip per lo speed metal anni ottanta.

Heavy, speed, oggi ci siamo abituati ad usare una marea di aggettivi per descrivere quello che altro non è che heavy metal, veloce, diretto e senza compromessi.
La produzione segue il trademark dell’album, con la voce che rimane ovattata ed in secondo piano rispetto alle ritmiche, e le sei corde che partono sgommando per chissà quali mete, tra cavalcate e solos che tagliano come lame appena affilate.
Il quartetto è attivo da un paio d’anni ed ora entra nel roster della High Roller Records ad infoltire l’esercito di gruppi dediti al metal old school.
Nel genere, The Guillotine si difende bene e il metal suonato dal gruppo convince con soluzioni che ricordano i primi passi dei gruppi storici della scena power/speed tedesca, con i Judas Priest a fare da imprescindibili tutori.
L’opener Vendetta, da cui è tratto un video, apre le ostilità e The Guillotine non si ferma più tra ritmiche straordinariamente veloci, ottimi solos e tanta attitudine vecchia scuola, assolutamente perfetta per sollucherare l’appetito degli amanti dei suoni underground anni ottanta.
Stiamo parlando di un lavoro dignitoso ma assolutamente per appassionati del genere, quindi si astenga chi stravede per il decennio d’oro del metal classico.

Tracklist
1. Vendetta
2. Clashing Iron
3. Triumph Of The Guillotine
4. Electric Ecstasy
5. Adrian’s Cradle
6. (This Night Belongs) To The Dead
7. Paraphiliac
8. Cry For Death

Line-up
L. Steeler – Vocals
M. Outlaw – Guitars
S. Genozider – Guitars & Drums
A. Axetinctor – Bass

VULTURE – Facebook

Witherfall – Nocturnes And Requiems

Nocturnes And Requiems è un album bellissimo e toccante che si inserisce di prepotenza tra le migliori prove di questo 2017 in senso assoluto, dimostrando che cosa il metal abbia ancora in serbo per noi fortunati consumatori di quella che di fatto è la musica più bella e sorprendente che ci sia.

Creato e manipolato in regime di autoproduzione e solo ora arrivato alle grinfie della Century Media, Nocturnes And Requiems è il primo lavoro di questi straordinari musicisti che con il monicker Witherfall hanno dato vita ad uno dei dischi più belli dell’anno, almeno per chi ama il metallo oscuro e progressivo statunitense.

Una storia da raccontare, quella del gruppo californiano, con musicisti della scena coinvolti in band come White Wizzard, Midnight Right, Iced Earth, Into Eternity e Circle II To Circle, insieme per dar vita a questo progetto che esce postumo all’indomani della morte del batterista Adam Sagan, risultando così il suo testamento musicale.
Raggiunti da Anthony Crawford al basso, il vocalist Joseph Michael ed il chitarrista Jake Dreyer, assieme a Sagan, hanno dato vita ad un album stupendo, tecnicamente ineccepibile, progressivo ma allo stesso tempo estremo e ricco di emozionanti, oscure e tragiche atmosfere.
Accompagnato da una bellissima copertina old school, per chi non conoscesse i musicisti impegnati si potrebbe addirittura pensare ad un’opera death metal, ma così non è: Nocturnes And Requiems è invece il disco definitivo di quello che si intende per thrash metal progressivo statunitense, una perfetta e suggestiva commistione del meglio di Nevermore, Symphony X, con una spiccata teatralità ed un’oscurità che è sinonimo del genere suonato negli U.S.A., senza dimenticare gli insegnamenti del maestro Jon Oliva.
Il tutto gira alla perfezione, con i talentuosi musicisti impegnati a conferire al sali e scendi progressivo un’anima che brucia di rabbiose o melanconiche emozioni, sotto l’effetto delle travolgenti Portrait, Sacrifice, il capolavoro End Of Time e la conclusiva Nobody Sleeps Here: un progressive metal duro come una roccia e drammatico, con un talento spropositato della band per il neoclassicismo che si evince da solos spettacolari e acustici che raggiungono l’apice nelle suggestive parti spagnoleggianti.
Nocturnes And Requiems è un album bellissimo e toccante che si inserisce di prepotenza tra le migliori prove di questo 2017 in senso assoluto, dimostrando che cosa il metal abbia ancora in serbo per noi fortunati consumatori di quella che di fatto è la musica più bella e sorprendente che ci sia.

Tracklist
01. Portrait
02. What We Are Dying For
03. Act II
04. Sacrifice
05. The Great Awakening
06. End Of Time
07. Finale
08. Nobody Sleeps Here Anymore

Line-up
Joseph Michael – lead/harmony vocals/keyboard
Jake Dreyer – lead/rhythm and acoustic guitars
Adam Sagan – percussion/background vocals
Anthony Crawford – bass

WITHERFALL – Facebook