Dead Register – Fiber

Un album originale e difficile, un’opera oscura e affascinante che porta i Dead Register sulla soglia del regno ove dimorano le cult band, ma al prossimo giro potrebbero entrare dalla porta principale.

Piccola perla gotica ed atmosfericamente dark: è questo il primo lavoro sulla lunga distanza dei Dead Register, trio statunitense composto da M. Chvasta, Avril Che e Chad Williams.

Il trio proviene da Atlanta ed il suo approccio al dark rock risulta un insieme di generi presi dal mondo della musica dark e melanconica e fatti convivere in un sound che potrebbe essere descritto come post rock, ma vi assicuro che non è così facile visto l’uso vario delle atmosfere che non si smuovono dai colori più scuri, ora tenui ora profondamente neri.
Post dark, new wave, addirittura accenni al doom, gothic e post rock diventano protagonisti di questa raccolta di brani, assolutamente maturi, fuori da ogni tentazione commerciale, ma profondi nel loro svolgimento.
Un album alternativo nel vero senso della parola, dove il rock saturo di elettricità è la benzina che alimenta il fuoco prima che il tempo faccia spegnere ogni ardire, un’attitudine distruttiva e pregna di rabbia malinconica si fa largo tra i solchi di brani splendidamente tragici come Alone, Drawing Down o Entwined, mentre i Joy Division si accompagnano ai Cure e l’ alternative rock si apparta con il dark rock di matrice ottantiana , in un urgenza sessuale appagante ma tragica.
Un album originale e difficile, un’opera oscura e affascinante che porta i Dead Register sulla soglia del regno ove dimorano le cult band, ma al prossimo giro potrebbero entrare dalla porta principale.

Tracklist:
1.Alone
2.Fiber
3.Drawing Down
4.Grave
5.Entwined
6.Incendiary

Line-up:
M. Chvasta: Vocals, Bass VI, Bass, Effects
Avril Che: Bass Synth, Keys, Textures, Vocals, Live Visuals
Chad Williams: Drums

DEAD REGISTER – Facebook

Trinity Site – After The Sun

La caratteristica più importante dell’album è il suo mantenersi sempre graffiante, estremo e thrashy nei brani veloci, potente e melodico nei mid tempo, con il synth che in apertura di qualche brano conferma la cura nei dettagli per dare ad After The Sun più appeal possibile.

Con i tedeschi Trinity Site ci tuffiamo ancora una volta nelle oscure trame del death metal melodico di matrice scandinava.

In effetti, all’ascolto di After The Sun, primo album che segue l’ep Ex Inferis uscito ormai cinque anni fa, si torna negli anni novanta e alle opere delle storiche band nord europee.
Poco male, il genere è questo ed il quintetto segue le regole con disciplina, sfornando un lavoro di tutto rispetto.
After The Sun é composto da dieci brani dalle ritmiche thrashy che fanno da tappeto a buoni intrecci chitarristici, una cura per le melodie ed il rincorrersi tra il growl e lo scream, mentre i Dark Tranquillity e gli In Flames si guardano come in uno specchio magico che li riproduce come vent’anni fa.
Ronny Rocket, nome da glamster ma voce da orco, si danna l’anima sulle trame create dai suoi compagni con la coppia d’asce formata da Simon Lummel e Jochen Rau e la sezione ritmica dal sicuro massacro composta da Sascha Born al basso e Marc Schuhmann alle pelli.
La caratteristica più importante dell’album è il suo mantenersi sempre graffiante, estremo e thrashy nei brani veloci, potente e melodico nei mid tempo, con il synth che in apertura di qualche brano conferma la cura nei dettagli per dare ad After The Sun più appeal possibile.
E il quintetto non sbaglia l’approccio al genere, scontato quanto si vuole ma perfettamente calato nella scuola scandinava: After The Sun vive di buone canzoni (March Of The Condemned ed Our Wealth su tutte), guadagnandosi un plauso e l’invito agli amanti del death melodico a non perdersi la buona musica di cui è composto.

TRACKLIST
1.After the Sun
2.March of the Condemned
3.Omnicide
4.Beyond the Rim
5.Lost Colony
6.Humanize Me
7.Still Waters
8.Our Wealth
9.Something Is Living Under My Skin
10.Revenants

LINE-UP
Ronny Rocket – Vocals
Jochen Rau -Guitar
Simon Lummel -Guitar
Sascha Born -Bass
Andreas Rau – Drums

TRINITY SITE – Facebook

Kliodna – The Dark Side…

Il quintetto di Minsk affronta con ottima determinazione il genere, cercando di bilanciare orchestrazioni e parti metalliche e confezionando un prodotto assolutamente in grado di soddisfare i palati degli ancora molti amanti del power metal sinfonico.

Attivi dal 2012, i bielorussi Kliodna sono una nuova band che va a rimpolpare le truppe del power metal sinfonico tra il folto rooster della Wormholedeath.

Il quintetto di Minsk affronta con ottima determinazione un genere che sembra all’apparenza aver detto tutto e sicuramente non visto più di buon grado dalle riviste di settore, cercando di bilanciare orchestrazioni e parti metalliche e confezionando un prodotto assolutamente in grado di soddisfare i palati degli ancora molti amanti del power metal sinfonico.
Come tutte le realtà provenienti dall’est europeo, anche i Kliodna si fanno apprezzare per un approccio elegante, innato in gente cresciuta in paesi che danno da sempre molta importanza alla musica nell’educazione quotidiana.
Con una cantante perfetta per il ruolo di sirena metallica (Helena Wild, alla quale è poi subentrata Natalia Senko) e dotata di un’ottima voce operistica, la band tiene schiacciato il piede sull’acceleratore, almeno per i primi tre brani, preceduti dalla solita intro di rito e che sfoggiano solida potenza power, orchestrazioni non troppo pompose e un buon songwriting .
Al quarto brano in scaletta di questo ottimo The Dark Side…, il gruppo fa centro con Night Symphony, semi ballad metallica molto suggestiva seguita dalla ripartenza power orchestrale di Blood In The Sea.
Col passare dei minuti la prova della Wild al microfono diventa assolutamente da sottolineare (le sue muse ispiratrici sono sulla scia della solita Turunen), mentre la potenza power lascia spazio a solos di estrazione neoclassica.
Dead Princess Dreams è orchestrata a meraviglia e dona un intervento chitarristico da applausi, mentre l’album si avvia verso la fine, in tempo per godere della ballad Frozen Soul, a ribadisce l’influenza dei Nightwish sulla musica dei Kliodna.
Un buon lavoro dunque, da non farsi scappare se siete amanti del metal sinfonico e se, quando volete ascoltare qualcosa del genere, la scelta cade sempre sui primi lavori dei maestri finlandesi.

Tracklist
1.Intro
2.Kliodna
3.Road to Anywhere
4.I’ll Do the Haunting
5.Night Symphony
6.Blood in the Sea
7.Dead Princess Dreams
8.Northern Wolf
9.Frozen Soul
10.Set Me Fre

Line-up
Helena Wild- Vocals
Alexandr Korobov – Guitar
Anton Michailovskiy – Guitar
Vasily Silura – Bass Guitar
Ilya Konopelko – Drums

KLIODNA – Facebook

Apotheon – Mechanically Consumed

Per gli amanti del metal estremo dai rimandi progressivi e tecnicamente ineccepibili una band da seguire, aspettando un lavoro sulla lunga distanza, ciliegina su di una torta ormai pronta per essere divorata.

Non sono ancora arrivati al traguardo del full length i deathsters statunitensi Apotheon, ma vista l’ottima qualità del sound proposto questo rimane solo un dettaglio.

Nato nel 2014 infatti, il gruppo ha licenziato solo tre ep di cui Mechanically Consumed è l’ultimo in ordine cronologico ed anche il più riuscito.
Gli Apotheon suonano death metal tecnico e progressivo in maniera impeccabile, la loro musica sconvolge nelle parti estreme, mentre le atmosfere teatrali sono marcette che, se possibile, aumentano la tensione, mentre progressive e sfumature classiche si danno il cambio sullo spartito, raffinando non di poco la parte brutale, rovescio di una medaglia o parte oscura di una realtà molto interessante.
Sono una ventina di minuti su e giù per le montagne russe del metal estremo: intricatissime e devastanti parti estreme fanno da motore alla proposta progressiva del gruppo di Denver e, se lo strumentale Premonition scalda gli animi preparando l’esplosione, a detonazione avvenuta le note fuoriescono devastati da Tyken’s Rift come acque dalla rottura di una diga.
La title track e, soprattutto, The Flesh Machine sono perle di metal estremo progressivo, con i quattro musicisti a dispensare tecnica sopraffina in un contesto di inumana, ma chirurgica violenza.
Nell’ep troverete le anche le spettacolari versioni strumentali dei brani proposti, nei quali il gruppo dimostra ancora di più la sua bravura.
Per gli amanti del metal estremo dai rimandi progressivi e tecnicamente ineccepibili una band da seguire, aspettando un lavoro sulla lunga distanza, ciliegina su di una torta ormai pronta per essere divorata.

TRACKLIST
1. Premonition
2. Tyken’s Rift
3. Mechanically Consumed
4. The Flesh Machine
5. Tyken’s Rift (Instrumental Version)
6. Mechanically Consumed (Instrumental Version)
7. The Flesh Machine (Instrumental Version)

LINE-UP
Andrew Morris – Drums
Fernando del Valle III – Guitar
Ibrahim Jimenez – Bass
Reece Deeter – Vocals

APOTHEON – Facebook

Atrexial – Souverain

Sembra che, dopo tanti anni trascorsi negli abissi dell’underground estremo, Naga S.Maelstrom e compagni abbiano trovato la via giusta per arrivare almeno alla superficie, con l’aiuto di una label che di sonorità death/black se ne intende.

Metal estremo nero come la pece, inglobato in un armageddon di suoni death/black in arrivo da Barcellona.

Una reunion di demoni sotto il monicker Atrexial, provenienti da alcune realtà della scena underground catalana, chiamati a raccolta da Naga S. Maelstrom, chitarrista degli Human Carnage, death metal band inattiva da un bel po’ di anni, raggiunto da Louen (chitarra e voce) e Labelua (batteria).
Il trio, diventato nel frattempo un quartetto con l’arrivo di Belegurth, licenzia il suo esordio sotto Gods Ov War, questo minaccioso Souverain che nulla toglie e nulla aggiunge al mondo oscuro del metal estremo, ma si colloca tra quelle opere di nicchia che gli estimatori del genere potrebbero trovare malignamente gradevole.
Death/black alla Behemoth, con molti tratti distintivi che ci portano pure in Svezia, specialmente quando la band lascia i mid tempi e le ritmiche death, per abbandonarsi al black metal duro e puro e prodotto discretamente, quanto basta per rendere il maelstrom musicale godibile, Souverain risulta un buon lavoro di genere, attraversato da venti maligni che portano burrasche estreme, alternando death/black a sferzate black metal, mentre attimi di atmosferici ricami acustici sfumano in ripartenze e assalti sonori dal buon impatto.
Qualche brano più ordinario lascia il palcoscenico a buone cavalcate estreme come Under The Scourge Of Lamashtu o Illuminator, dando in pasto ai fans del genere un album certamente dotato della giusta attitudine.
Sembra che, dopo tanti anni trascorsi negli abissi dell’underground estremo, Naga S.Maelstrom e compagni abbiano trovato la via giusta per arrivare almeno alla superficie, con l’aiuto di una label che di sonorità death/black se ne intende.

Tracklist
1.Enthronement (Intro)
2.The Hideous Veil of Innocence
3.Under the Scourge of Lamashtu
4.Unmerciful Imperial Majesty
5.Illuminatur
6.The Ominous Silence
7.Ascension
8.Shadows of the Nephilim Throne
9.Trinity
10.Souverain
11.Eternal (Outro)

Line-up
Naga S. Maelstrom – Bass, Guitars, Synths
Labelua – Drums
Louen – Guitars, Vocals (lead)

ATREXIAL – Facebook

Cydemind – Erosion

I Cydemind hanno preso il meglio della musica progressiva e l’hanno fatta confluire perfettamente nel loro bellissimo lavoro: i nomi che hanno ispirato il gruppo compariranno tra le note mentre la vostra mente sarà in viaggio nel mondo di Erosion.

I canadesi Cydemind  sono l’ennesima conferma di come, spulciando nell’underground, si trovino ancora realtà interessanti e capaci di proporre musica progressiva nello stile e nella concezione, non importa se più vicina al rock o al metal.
Di per sé la musica strumentale porta inevitabilmente ad un impatto del genere, se poi invece della voce facciamo parlare un violino su un tappeto di progressive metal, contaminato da jazz e musica classica, allora c’è da sedersi comodi e partire per questo sognante viaggio musicale in compagnia del quintetto di Montrèal, attivo da una manciata d’anni e con all’attivo un ep licenziato tre anni fa dal titolo Through Mists and Ages.
Erosion è quindi il primo full lenghtth del gruppo canadese formato da cinque giovani maestri dello strumento, un lungo e bellissimo viaggio nella musica progressiva, un’ora abbondante nel corso della quale si viene tenuti stretti in un caldo abbraccio musicale dove metal, rock, e musica classica si uniscono per regalare emozioni in un susseguirsi di sorprese.
Il violino di Olivier Allard tesse tele di note mentre gli altri componenti del gruppo(Alexandre Dagenais alla batteria, Camille Delage ai tasti d’avorio, Nico Damoulianos al basso e Kevin Paquet alla chitarra) disegnano arabeschi di musica universale composta da una band in stato di grazia.
Non ricordo un album strumentale dal songwriting eccitante come Erosion, dove non ci si annoia neanche per un secondo, pur se messi alla prova da lunghe suite come Derecho (13.37) o la title track, che sfiora addirittura la mezzora.
I Cydemind hanno preso il meglio della musica progressiva e l’hanno fatta confluire perfettamente nel loro bellissimo lavoro: i nomi che hanno ispirato il gruppo compariranno tra le note mentre la vostra mente sarà in viaggio nel mondo di Erosion.

Tracklist
1.What Remains
2.Tree of Tales
3.Derecho
4.Red Tides
5.Stream Capture
6.Erosion

Line-up
Olivier Allard – Violins
Alexandre Dagenais – Drums
Camille Delage – Keyboards/Piano
Nico Damoulianos – Bass
Kevin Paquet – Guitars

CYDEMIND – Facebook

Prayers of Sanity – Face of the Unknown

I Prayers Of Sanity ci investono con una tempesta di thrash metal statunitense veloce, melodico ed arrabbiato quel tanto che basta per far nascere un tornado, tra ispirazioni che vanno da un inchino agli Exodus fino ad una vera adorazione per i Testament ripuliti dalle scorie death metal.

In Portogallo non si vive di solo Cristiano Ronaldo o, metallicamente parlando, di Moonspell: oltre ad una scena black metal underground che sta facendo parlare di sé per un ritorno all’attitudine e l’impatto dei primi anni novanta, ci sono realtà valide e da non perdere in tutti i generi.

Oltre all’alternative rock e metal, generi di cui ho parlato un po’ di tempo fa, il metal classico é ben presente nel dna dei metallers lusitani, con il thrash si palesa con il terzo album del terzetto Prayers Of Sanity.
La band, nata nel 2007, torna dopo cinque anni licenziando questa bomba sonora dal titolo Face of the Unknown, con una formazione a tre dopo la dipartita di due quinti della formazione con Tião alle prese con chitarra e voce, Carlos al basso e Artur alle pelli.
Il gruppo proveniente da Lagos non le manda certo a dire e ci investe con una tempesta di thrash metal statunitense veloce, melodico ed arrabbiato quel tanto che basta per far nascere un tornado, tra ispirazioni che vanno da un inchino agli Exodus fino ad una vera adorazione per i Testament ripuliti dalle scorie death metal.
Ne esce mezzora di fiammeggiante metallo, thrash nella più pura concezione del termine, almeno se si guarda alla scuola americana, con una serie di brani che, dalla title track che fa da opener passano per il massacro perpetuato da Unturned e Someday.
Leggendo qua e là mi è capitato di imbattermi in una diatriba dei soliti possessori della verità sulle preferenze tra thrash americano ed europeo: bene, i due fratellini metallici sono figli di un unico padre e, quando vengono suonati con l’impatto e la passione di cui è ricco questo lavoro, diventano imprescindibili nella storia del metal mondiale, lo confermano i Prayers Of Sanity.

TRACKLIST
1. Face of the Unknown
2. Dead Alive
3. Past, Present, None
4. Unturned
5. In Between
6. March Forward
7. Someday
8. Betrayer
9. Nothing

LINE-UP
Artur – Drums
Carlos -Bass
Tião – Vocals, Guitars

PRAYESR OF SANITY – Facebook

The Haunted – Strength In Numbers

Thrash metal, melodic death ed un approccio hardcore fanno di questa ennesima decina di bombe metalliche un altro massiccio muro estremo a firma The Haunted

I The Haunted furono alla nascita uno dei primi gruppi della seconda ondata del death metal melodico che presto presero le distanze dalle soluzioni dei padri fondatori, per portare il Gothenburg sound verso territori thrash metal.

L’esordio omonimo del 1998 e Made Me Do It (forse l’album più riuscito e famoso della band svedese) furono due bombe thrash/hardcore scagliate sul mercato ancora in brodo di giuggiole per le melodie classiche di In Flames e Dark Tranquillity, ma già abbondantemente presi per il colletto dai primi devastanti Soilwork.
Quello che per tutti era di fatto un super gruppo, vedeva sotto il monicker The Haunted una manciata di musicisti impegnati in passato con la crema del melodic death come At The Gates o In Flames, ma non solo, portando così nuova linfa ed impatto ad una scena che cominciava a rivolgere lo sguardo aldilà dell’ Atlantico.
Nel 2017 possiamo sicuramente affermare che i The Haunted sono diventati una presenza ed una garanzia nel panorama metallico dai rimandi estremi, sempre orientati al thrash metal, sempre maestri nell’amalgamare furia e melodie vincenti, mantenendo un mood devastante nel sound ormai lontano ricordo per alcuni dei loro colleghi.
Certo, non sono mancati gli album meno incisivi nel corso della carriera, ma, con il ritorno di Marco Aro dietro al microfono e Adrian Erlandsson alla batteria, dallo scorso Exit Wounds il sound del gruppo è tornato a fare danni con l’efficacia di un tempo.
Strenght In Numbers è dunque un buon lavoro, con brani dall’impatto per i quali The Haunted sono famosi, rabbiose ripartenze, potenti mid temppo dove si scagliano solos dal buon potenziale melodico, mantenendo un approccio diretto classico della seconda ondata melodic death scandinava.
Thrash metal, melodic death ed un approccio hardcore fanno di questa ennesima decina di bombe metalliche un altro massiccio muro estremo a firma The Haunted: niente di più, niente di meno, quindi se amate il gruppo svedese le varie Brute Force, Preachers Of Death e Means To An End non vi deluderanno, circondate da tracce pesanti come incudini e dalla forte impronta live.
La bravura dei musicisti non si discute, il songwriting è buono, la produzione è esplosiva e l’album viaggia senza intoppi fino alla sua conclusione, direi che la band ed i suoi fans possono essere ampiamente soddisfatti.

Tracklist
1.Fill the Darkness with Black
2.Brute Force
3.Spark
4.Preachers of Death
5.Strength in Numbers
6.Tighten the Noose
7.This Is the End 8.The Fall
9.Means to an End
10.Monuments

Line-up
Jonas Björler – Bass
Adrian Erlandsson – Drums
Patrik Jensen – Guitars (rhythm)
Marco Aro – Vocals
Ola Englund – Guitars

THE HAUNTED – Facebook

Six Feet Deeper – Six Feet Deeper Ep

Il sound dei Six Feet Deeper risulta un hard rock tra reminiscenze vintage legate ai Led Zeppelin, qualche spunto elettrico post grunge e poi rock’n’roll a manetta, quello selvaggio e metallico che si suona da anni in Scandinavia.

Poche notizie ma tanto rock’n’roll da parte dei Six Feet Deeper, quartetto di Stoccolma in arrivo con un ep di quattro tracce più la cover di Immigrant Song del dirigibile più famoso del rock.

Infromazioni con il contagocce sulla storia del gruppo (scelta che non condivido affatto, soprattutto da parte di una band emergente), ma fortunatamente parla la musica ed il sound dei Six Feet Deeper risulta un hard rock tra reminiscenze vintage legate ai Led Zeppelin, qualche spunto elettrico post grunge e poi rock’n’roll a manetta, quello selvaggio e metallico che si suona da anni in Scandinavia.
Al microfono troviamo Sara Lindberg, cantante dotata e con una rock dalle ottime sfumature soul/blues, non lontano dalla dea Heidi Solheim dei Pristine, mentre il resto del gruppo (Patrik Andersson alla chitarra, Emil Mickols alle pelli e Erik Arkö al basso) fa il suo sporco lavoro mantenendo alta la tensione elettrica di un hard rock che porge i suoi omaggi agli Zep (la cover della famosa opener di Led Zeppelin III, in pieno trip vichingo), ai The Winery Dogs (da cui prendono il monicker da un brano contenuto nell’abum Elevate) ed alla scena rock nordeuropea (Hellacopters).
Quattro inediti ben strutturati, un rock duro suonato con passione e sudore, molte citazioni dei gruppi menzionati ma anche un’attitudine già esposta a dovere tra le note di In March The Clown e, specialmente, in Here We Go Again, brano scelto dalla band scandinava per girare il suo primo video.
Se qualcosa doveva dire, questo ep sicuramente ci ha descritto un  gruppo dalle buone potenzialità, resta solo da aspettarne le prossime mosse.

Tracklist
1.In March the Clowns
2.Make It Right
3.Here We Go Again
4.Freak
5.Immigrant Song

Line-up
Sara Lindberg – Vocals
Patrik Andersson – Guitar
Emil Mickols – Drums & Percussion
Erik Arkö – Bass

SIX FEET DEEPER – Facebook

Fractal Reverb – Quattro

Il sound di canzoni dirette e melodiche, colme di umori noise e fortemente indie rock sottolinea la volontà del gruppo di arrivare all’ascoltatore in modo diretto, pur mantenendo un ricercato lavoro ritmico ed armonico.

E’ tempo che i gruppi di cui vi avevamo parlato in passato tornino con nuovi lavori, chi magari deludendo non rispettando le aspettative personali di chi scrive, molti fortunatamente confermando tutto il buono che i precedenti lavori avevano messo in risalto.

I lombardi Fractal Reverb, si ripresentano sul mercato underground con un nuovo lavoro in formato ep di quattro brani che porta importanti novità rispetto a Songs to Overcome the Ego Mind, full length licenziato un paio di anni fa e che si presentava come un’opera monumentale di rock alternativo, poco adatta all’ascolto distratto ma che indubbiamente aveva nelle sua dimensioni eccessive il maggiore difetto, anche se metteva in risalto le ottime potenzialità del gruppo.
Carolina Locatelli (basso e voce) e Davide Trombetta (chitarra) tornano dunque con non poche novità insite nel nuovo Quattro, che ci presenta i due nuovi entrati nella formazione, il chitarrista Riccardo Burlini ed Alessandro Pinotti che prende il posto di Denny Cavalloni dietro alle pelli.
Abbandonato l’idioma inglese, i Fractal Reverb si ripresentano con un titolo che prende ispirazione dal numero delle canzoni che compongono l’ep e dalla nuova line up, con il non poco importante inserimento di una seconda chitarra che arricchisce il sound dei nostri, oggi meno scarno ed essenziale, con sfumature melodiche più accentuate anche se la band taglia definitivamente il cordone ombelicale che la legava al grunge per prendere una propria strada dagli orizzonti indie ed alternative molto marcati.
Quattro risulta così una nuova partenza per i Fractal Reverb: il sound di canzoni dirette e melodiche, colme di umori noise e fortemente indie rock, come l’opener Divampa o la splendida Frastuono, sottolineano la volontà del gruppo di arrivare all’ascoltatore in modo diretto, pur mantenendo un ricercato lavoro ritmico ed armonico che ne dimostra la raggiunta maturità.

Tracklist
1. Divampa
2. Attonito
3. Frastuono
4. Pioggia e sole

Line-up
Carolina Locatelli – basso, voce
Davide Trombetta – chitarra
Riccardo Burlini – chitarra
Alessandro Pinotti – batteria

FRACTAL REVERB – Facebook

Razz – Nocturnal

I Razz fanno parte di quei gruppi che riescono a vivere in un limbo musicale, prendendo spunto dai loro più noti predecessori, ma giocandosi tutto su un paio di canzoni per poi finire nel compitino.

Il rock suonato fuori dal circuito della musica dura, e figlio dell’indie e dell’ alternative, con il post davanti a rock, o a dark o a wave, a seconda di chi si avvicina alle opere in questione, potrà continuare a fare la voce grossa sui canali satellitari, ma in generale risulta poca cosa, tutto uguale e noiosissimo, cercando di risultare intellettuale senza riuscire ad avere un minimo di personalità come i mostri sacri del passato.

Appunto quella maledetta parola (post) davanti ad un genere o sottogenere è diventato il modo per camuffare lavori bruttini cercando a tutti i costi di dargli un tono ed avvicinarli a quei gruppi che all’alternative del decennio ottantiano hanno amalgamato, con maestria e talento, dark rock e new wave (Editors) o indie (Interpol).
Il post punk degli anni ottanta ha lasciato in eredità tanto, ma sembra che pochi nel genere ne abbiano approfittato, lasciando il compito ad un singolo di tirare album di cui tra pochi mesi nessuno si ricorderà.
I Razz fanno parte di quei gruppi che riescono a vivere in un limbo musicale, prendendo spunto dai loro più noti predecessori, ma giocandosi tutto su un paio di canzoni per poi finire nel compitino.
Nocturnal, appunto, dovrebbe avvicinare la band al sound dark ed intimista degli Editors, invece frena dopo un paio di brani e si mette in fila, lasciando che l’ascoltatore aspetti invano uno scrollone nel songwriting.
Il singolo Paralysed e poi un paio di tracce nelle quali le atmosfere alternano un buon uso dell’elettronica e sfumature indie rock (Another Heart Another Mind, Let It In Let It Loud) accompagnate dalla voce di Niklas K,eiser, chitarrista e singer leggermente monocorde, fanno di Nocturnal un lavoro sufficiente ma nulla più, peccato.2

Tracklist

1.Paralysed
2.Trapdoor
3.Could Sleep
4.Another Heart/Another Mind
5.Silver Lining
6.Step, Step, Step
7.By & By
8.Lecter
9.Let It In, Let It Out
10.If There Was A Light
11.Breathe In

Line-up

Niklas Keiser – vocals, rhythm guitar
Steffen Pott – drums, backing vocals
Christian Knippen – lead guitar, backing vocals
Lukas Bruns – bass

RAZZ – Facebook

Beastcraft – The Infernal Gospels Of Primitive Devil Worship

I Beastcraft ci salutano con The Beast Descends, sorta di addio in salsa luciferina, freddo e glaciale come una cupa foresta scandinava dove si trova la porta per l’inferno.

Il black metal primigenio vive in questa che sarà l’ultima uscita marchiata Beastcraft, creatura demoniaca e blasfema nata nel 2003 per volere di Sorath e Alastor, quest’ultimo scomparso nel 2012.

Sorath ha dato alle stampe questo notevole esempio di black metal maligno ed efferato, composto da brani scritti quando ancora Alastor non era sceso negli inferi, magari come tributo o più semplicemente per fare in modo che queste nove perle nere non andassero perse.
The Infernal Gospels Of Primitive Devil Worship ci conduce nel mondo sonoro del duo norvegese, una delle band più sottovalutate del panorama estremo di stampo black: lo si evince  ascoltando queste gemme oscure e blasfeme, brani diretti e pregni di insani blast beat e splendidi e decadenti muri di black cadenzato e declamatorio, cavalcate atmosfericamente infernali rese perfettamente malvage da una produzione che si rifà alle prime messe nere anni novanta (Demonic Perversion e Deathcraft And Necromancy)
Un pezzo di storia del black metal norvegese, magari commercialmente parlando in ritardo di qualche anno (nel 2003 la fase true aveva ceduto il passo alle velleità sinfoniche ed atmosferiche): i Beastcraft ci salutano con The Beast Descends, sorta di addio in salsa luciferina, freddo e glaciale come una cupa foresta scandinava dove si trova la porta per l’inferno.
L’album è completato da un DVD contenente rare esibizioni live e in studio, rivelandosi un gioiellino per gli amanti del gruppo e del true norwegian black metal.

Tracklist
1. Aapenbaring
2. Demonic Perversion
3. Deathcraft And Necromancy
4. The Fall Of The Impotent God
5. Her Highness Of Hell
6. Reborn Beyond The Grave
7. Waging War On The Heavens
8. The Devil’s Triumph
9. The Beast Descends

Line-up
Alastor – Guitar, bass
Sorath – Vocals, drums

https://www.facebook.com/BeastcraftOfficial

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
78

Uber Scheizer – King Of Rock

King Of Rock, del polistrumentista bolognese Giuseppe Lentini alias Uber Scheizer, risulta un tributo ai re dell’hard rock classico tra gli anni settanta ed il dorato (per il genere) decennio successivo.

Musicista attivo nell’area bolognese da un bel po’ di anni, Giuseppe Lentini è stato in passato il cantante dei rockers Overlord Rockstar II, in seguito ha collaborato con diverse band della scena underground cittadina ed il suo eclettismo lo ha portato a comporre musica elettronica come one man band.

Usando il monicker Uber Sheizer ha lavorato su questo progetto, assemblando brani composti nel corso degli anni, trasformandoli di fatto in un album hard rock dal titolo King Of Rock.
E l’opera risulta proprio un tributo ai re dell’hard rock classico tra gli anni settanta ed il dorato (per il genere) decennio successivo, aiutato solo da Giacomo Grassi nel brano Fire In The Night e suonando tutti gli strumenti.
Anche Uber Sheizer è dunque l’ennesima one man band. con il polistrumentista nostrano che se la cava con tutti gli strumenti e (cosa più importante) con il songwriting.
King Of Rock è un album piacevole, prodotto con quel tocco vintage che lo posiziona tra le uscite di una trentina d’anni fa, tra tasti d’avorio purpleiani, ritmiche hard rock di scuola tradizionale (UFO e primi Judas Priest);
poco incisiva la voce, ma è un dettaglio, perché l’album vive di chitarre graffianti e buone melodie neanche troppo nascoste tra riff pesanti e metallici di scuola classica.
L’opener 40 Miles A Day, Fire In The Night e la title track sono gli episodi migliori, ma è tutto King Of Rock che funziona, riportando al periodo della gioventù molti rockers con ormai troppi capelli bianchi.

Tracklist
1. 40 Miles A Day
2. King Of Rock
3. I Want You Forever
4. Fire In The Night
5. Hell Is Your Way
6. Beginning Again
7. I Am The Night
8. Now
9. More Metal Than Metal
10. Lay On The Floor

Line-up
Giuseppe Lentini: Vocals, Guitars, Bass, Drums, Keyboards

UBER SHEIZER – Facebook

Demonic Death Judge – Seaweed

Un album che, nella sua tremenda forza, appaga, smobilita, appassiona, distrugge e crea, modellando montagne come un vento nato dall’impatto di un meteorite sul pianeta, in un delirio di note grasse portate al limite.

Una prova di forza esagerata quella messa in atto dai finlandesi Demonic Death Judge, monicker che potrebbe far pensare ad un gruppo death o black, ma che nasconde invece un combo di picchiatori slugde/stoner che si fermano solo quando sarete al tappeto in un lago di sangue.

Seaweed è il terzo album di questo mastodontico schiaccia sassi nordico, attivo dal 2009 e che aggiunge ai full lenght due split e un paio di ep.
Jaakko Heinonen, singer cattivissimo, guida questa macchina estrema, con la sei corde di Toni Raukola che intona riff pesanti come macigni, poi sgretolati dalla sezione ritmica, un mostro cannibale che fagocita tutto e tutti, pesante e senza pietà avanza incontrollabile, travolgendo e schiacciando sotto il peso di watt forgiati nel buio di una caverna inumidita da uno dei mille laghi della loro terra natia (Eetu Lehtinen al basso e Lauri Pikka alle pelli).
Il metal di questi anni non potrà essere descritto senza parlare di queste sonorità, a loro modo estreme, affascinanti quando racchiudono sfumature mistiche come nello strumentale Cavity o nelle divagazioni progressive della potentissima Saturday, doom metal/stoner/sludge ipnotico, durissimo ma perfettamente in grado di scavare dentro all’ascoltatore, che difficilmente resisterà nel tornare a farsi torturare dal combo finlandese al più presto.
Un album che, nella su tremenda forza, appaga, smobilita, appassiona, distrugge e crea, modellando montagne come un vento nato dall’impatto di un meteorite sul pianeta, in un delirio di note grasse portate al limite.
Per gli amanti del genere un album indispensabile per attraversare questa estate, tra mare e tormentoni radiofonici odiosi come una vipera nel cesto dei funghi.

TRACKLIST
01. Taxbear
02. Heavy Chase
03- Seaweed
04. Cavity
05. Backwoods
06 Pure Cold
07. Saturday
08. Peninkulma

LINE-UP
Jaakko Heinonen – Vocals
Toni Raukola – Guitars
Eetu Lehtinen – Bass
Lauri Pikka – Drums

DEMONIC DEATH JUDGE – Facebook

Crematory – Live Insurrection

Non è certo il primo live che gli storici gothic/deathsters Crematory immettono sul mercato, trattandosi di opere che una volta completavano e valorizzavano le discografie dei migliori act rock e metal, ora ad appannaggio dei fans più accaniti.

Il gruppo tedesco però rilascia un ottimo lavoro, licenziato in formato cd/dvd dalla SPV/Steamhammer, che vede i veterani del gothic /death alle prese con il pubblico del Bang Your Head Festival dello scorso anno, più quattro video clips di altrettanti brani tratti dall’ultimo full length Monument.
Pur avendo in parte lasciato il genere d’elezione a favore di un sound più dark ed elettronico, i Crematory si dimostrano una sicurezza, un gruppo solido che se da tempo non si avvicina ai picchi qualitativi dei primi album, mantiene un ottimo impatto, un approccio melodico dal buon appeal ed una forma canzone che permette di andare avanti senza grossi scossoni.
Quindi dopo ventisei anni di album e palchi solcati in giro per l’Europa, i Crematory si possono certamente considerare come un buon rifugio, quando la voglia di ascoltare gothic metal dal buon appeal e dalle facili melodie è forte ed i cd di …Just Dreaming, Illusions e Crematory sono troppo in alto sullo scaffale.
Ma come spesso accade, un album live, specialmente di una band che di buona musica negli anni ne ha scritta eccome, ha la funzione di rispolverare vecchi brani, oltre alle nuove produzioni, in una sorta di best of … anche se Felix, Markus e Katrin non rinnegano sicuramente le ultime produzioni, ampiamente sfruttate in Live Insurrection.
Infatti, il gruppo dà molto spazio ai brani più recenti, non dimenticando certo brani capolavoro come Tears Of Time, inno del gruppo fin dall’uscita del bellissimo Illusions (1995) e che non a caso chiude il concerto.
Felix non rinuncia al growl e in veste live il suono risulta potente e metallico il giusto per non deludere i fans raccolti sotto il palco del famoso festival: Misunderstood, la splendida Pray, Shadowmaker, Höllenbrand (da Klagebilder del 2006) e la già citata Tears Of Time offrono agli astanti una prova convincente.
I Crematory sono un gruppo che col tempo si è creato un meritato zoccolo duro di fans e, mentre gli anni passano, Tears Of Time fa scendere qualche lacrima di nostalgia, con il buon Felix che dimostra di saperci ancora fare.

Tracklist
CD
01. Misunderstood
02. Fly
03. Greed
04. Tick Tack
05. Instrumental
06. Haus mit Garten
07. Ravens Calling
08. Pray
09. Everything
10. Instrumental
11. Shadowmaker
12. The Fallen
13. Höllenbrand
14. Die So Soon
15. Kommt näher
16. Tears Of Time

DVD
Intro
01. Misunderstood
02. Fly
03. Greed
04. Tick Tack
05. Instrumental
06. Haus mit Garten
07. Ravens Calling
08. Pray
09. Everything
10. Instrumental
11. Shadowmaker
12. The Fallen
13. Höllenbrand
14. Die So Soon
15. Kommt näher
16. Tears Of Time
Monument videoclips
01. Misunderstood
02. Ravens Calling
03. Haus mit Garten
04. Everything

Line-up
Felix Stass – vocals
Rolf Munkes – guitar
Tosse Basler – guitar
Jason Mathias – bass
Markus Jüllich – drums
Katrin Jüllich – keyboards

CREMATORY – Facebook

Infinight – Fifteen

I tedeschi Infinight tornano con questo ep, Fifteen, composto da quattro brani che continuano ad amalgamare, questa volta con risultati migliori, U.S. Metal e power di scuola europea.

Gli Infinight sono il classico gruppo power metal tedesco che, partito leggermente in ritardo sulla seconda esplosione del power (seconda metà degli anni novanta), è rimasto intrappolato nell’underground anche se tre full length e tre ep non sono affatto poca cosa per un gruppo autoprodotto.

Vi avevamo parlato del quintetto un paio di anni fa, in occasione dell’uscita del loro terzo album Apex Predator, lavoro riuscito in parte, non decollando grazie ad una fastidiosa prolissità.
Tornano con questo ep, Fifteen, composto da quattro brani che continuano ad amalgamare, questa volta con risultati migliori, U.S. Metal e power di scuola europea.
Atmosfere oscure e drammatiche che ricordano gli Iced Earth, qualche fuga ritmica sul purosangue teutonico ed il gioco è fatto, confermando il gruppo come un buon gruppo minore, da seguire se siete fans accaniti dei suoni classici di scuola classicamente heavy/power.
Goodbye II (this cruel World) è l’ esempio perfetto del sound degli Infinight e, insieme a Through The Endless Night e For The Crown, seguono il canovaccio del precedente full length: dunque heavy/power, potente ma mai troppo veloce, oscurità che man mano si fa sempre più pressante e buoni chorus, maschi e drammatici.
La seconda traccia è un brano acustico, a mio parere anche molto bello (Here To Conquer), di fatto una ballata acustica dove la chitarra e la voce riescono a mantenere la tensione alta, non alleggerendo di un grammo l’atmosfera drammatica che si respira in Fifteen.
Un ep che probabilmente traghetterà il gruppo verso il suo quarto lavoro, me che non cambia quelle che sono le sorti degli Infinight: rimanere ai margini dell’underground heavy/power mondiale.

TRACKLIST
1. Goodbye II (this cruel World)
2. Here to Conquer (unplugged)
3. For the Crown
4. Through the Endless Night

LINE-UP
Kai Schmidt – Bass
Hendrik “Harry” Reimann – Drums
Dominique Raber – Guitars
Marco Grewenig – Guitars
Martin Klein – Vocals

INFINIGHT – Facebook

Lost Dogs Laughter – Out Of Space

Out Of Space è un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità prendendo ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

L’alternative rock italiano si avvale di un’ altra band, i Lost Dogs Laughter, trio romano al debutto con Out Of Space, facendo del rock americano il proprio credo cercando di risultare il più personale possibile.

Matt Bandini (chitarra e voce) fondatore della band e Luk La Grande (basso), sono stati raggiunti in questi anni da una manciata di batteristi, ma in questo esordio sentirete picchiare sulle pelli le bacchette di Andrea Vettor.
Un altro batterista in line up (Gianluca) nel presente del gruppo romano ed un debutto che si colloca nell’alternative rock dalle reminiscenze riscontrabili negli anni novanta, quindi influenze che vanno dall’hard rock di Seattle, a sferzate punk ed atmosfere post rock progressive che donano al sound un elegante, e quanto mai maturo, prog style che fanno di Out Of Space un ascolto affascinante.
Ritmiche che nascono dalle jam di Sonic Youth con l’aiuto di Corgan e dei suoi Smashing Pumpkins, chitarre che lasciano in bocca quel gusto d’acciaio del metal moderno e buone trame melodiche, fanno di Out Of Space un album vario e piacevole, con una sua spiccata personalità che si evince da brani come Honestly, Words Unknown e la title track, esempi di un sound che prende ispirazione dalla tradizione a stelle e strisce per portarla con rinnovato entusiasmo nel nuovo millennio.

Tracklist
1. Sweeter Reaction
2. Honestly
3. Go Away
4. Words Unknown
5. Fade (September 1993)
6. Fallen Angel
7. Am I?
8. Out Of Space
9. The Forgetful

Line-up
Matt Bandini – Chitarra, Voce
Luk La Grande – Basso
Andrea Vettor – Batteria

LOST DOGS LAUGHTER – Facebook

Nexus – The Taint

I Nexus spaziano tra il rock alternativo dalle atmosfere dark, non rinnegando le proprie influenze che vanno dai più famosi Depeche Mode fino alle nuove leve del rock dai tenui colori oscuri come HIM o Deathstars, mentre la carta d’identità tricolore si può intuire da un uso vagamente progressivo dei tasti d’avorio.

Debutto su Agoge Records per i gothic metallers Nexus, band nata per volere del cantante e chitarrista Vlad Voicu e del bassista Tony Di Marzio.

Con l’aiuto in studio di Gianmarco Bellumori, responsabile della label, licenziano questo primo album sulla lunga distanza intitolato The Taint, un gothic album pregno di sfumature elettroniche che hanno poco dell’industrial e tanto della new wave risalente agli anni ottanta, ovviamente trasportata in un contesto dove le chitarre graffiano e le ritmiche mantengono quel tocco groove che fa tanto cool di questi tempi.
Ne esce un lavoro dal buon appeal, magari mancante ancora di quel quid che fa di una buona canzone un potenziale hit, ma le premesse per un futuro roseo nel panorama dark gothic ci sono tutte.
I Nexus spaziano tra il rock alternativo dalle atmosfere dark, non rinnegando le proprie influenze che vanno dai più famosi Depeche Mode fino alle nuove leve del rock dai tenui colori oscuri come HIM o Deathstars, mentre la carta d’identità tricolore si può intuire da un uso vagamente progressivo dei tasti d’avorio.
L’album mantiene la stessa marcia per tutta la sua durata, scalando e ripartendo in quarta (qualitativamente parlando) con Funeral Pyre, N.B.N e la notevole Scrying Mirror.
Una buona partenza per i Nexus, band da seguire se siete amanti del dark/gothic metal di inizio millennio.

Tracklist
1.Solitude
2.Cancer
3.Funeral Pyre
4.Crimson Wine
5.Stillborn
6.N.B.N
7.Scrying Mirror
8.Close Your Eyes
9.To Silence Your Demons

Line-up
Vlad Voicu – lead vocals, studio guitars & programming
Tony Di Marzio – bass and backing vocals
Il Diverso – synth/keyboards & programming
Diego Aureli – live guitars
Daniele Di Gasbarro – live drums

NEXUS – Facebook

Jagged Vision – Death Is This World

I watt arrivano al limite in più di un’occasione, violentando l’ispirazione melodica dei Jagged Vision con dosi letali di hardcore e sludge , mentre le urla si intensificano e l’atmosfera si scalda non poco.

Partita sette anni fa come band dal sound ispirato all’hardcore, la band metallica dei Jagged Vision si è trasformata in una potentissima macchina da guerra metal/stoner, dalle dai devastanti rallentamenti sludge ed una forte attitudine death ‘n’ roll.

Un ep, l’esordio sulla lunga distanza targato 2014 ed ora questo devastante lavoro, intitolato Death Is This World, potente e melodico il giusto per non farsi dimenticare troppo in fretta nel panorama del metal dalle reminiscenze stoner, genere che riesce ancora a fare breccia nei cuori dei metal rocker modiali.
L’attitudine hardcore non è stata abbandonata del tutto dal gruppo norvegese, così come non si fanno mancare ottimi inserti melodici di stampo death scandinavo, sempre in un contesto metallico furioso, dove il gruppo spinge a tavoletta e ricorda in più di una occasione gli In Flames non ancora ammaliati dalle soleggiate coste americane (Feeble Souls).
I watt arrivano al limite in più di un’occasione, violentando l’ispirazione melodica dei Jagged Vision con dosi letali di hardcore e sludge , mentre le urla si intensificano e l’atmosfera si scalda non poco (Euthanasia, Forlorn).
Il quintetto spara dieci cannonate metalliche che fanno seri danni, con una Serpents che sbaraglia la concorrenza, un’esplosione metal/stoner/hardcore di notevole pericolosità.
Buon lavoro di genere, cattivo, melodico e devastante quanto basta per piacere non poco agli amanti di queste sonorità.

TRACKLIST
1.Betrayer
2.Euthanasia
3.Death Is This World
4.I Am Death
5.Feeble Souls
6.Emperor Of
7.Seven Seals
8.Serpents
9.Forlorn
10.Palehorse

LINE-UP
Kato Austrått -Bass
Joakim Svela – Drums
Daniel Vier – Guitars
Harald Lid – Guitars
Ole Wik – Vocals

JAGGED VISION – Facebook

Travelin Jack – Commencing Countdown

I Travelin Jack hanno saputo rielaborare le influenze dei maestri del genere, inventandosi la propria personale rivisitazione del classic rock.

Ora che l’hard rock dai rimandi settantiani è tornato definitivamente ad incendiare le notti dei rockers tra impatto rock’n’roll e splendide note blues, il dibattito si fa sempre più acceso tra i consumatori di musica, con una parte a difendere l’operato dei molti gruppi apparsi sul mercato (tanti davvero interessanti) e l’altra a criticare l’effetto nostalgia che il successo del genere comporta, dimenticando che, in fondo, è solo rock’n’roll.

Quindi lasciate a casa la voglia di criticare a priori e buttatevi a capofitto sul secondo album di questa band tedesca, dal monicker che ricorda passati eroi dell’hard rock blues (Travelin Jack mi ha subito portato alla mente Grand Funk Railroad e Creedence Clearwater Revival), con una cantante nata per essere una blues girl ed un lotto di brani a formare un altro bellissimo album di hard rock vintage, psichedelico e bluesy.
Attiva più o meno da una manciata di anni e con un primo album alle spalle licenziato nel 2015 dal titolo New World, la band dopo la firma per Steamhammer/SPV si presenta con il nuovissimo Commencing Countdown, provando così a scalzare dal trono di spade del rock di questo inizio millennio i vari Pristine, Blues Pills, The Answer e compagnia nostalgica.
Look glam alla T.Rex, una sirena blues al microfono (Alia Spaceface) e una serie di brani affascinanti che, amalgamando in un unico sound hard rock britannico, rock blues e psichedelia, si insinuano come serpenti usciti da un trip nella nostra mente e nel nostro corpo, scuotendolo dalle fondamenta, mentre le chitarre decollano, toccando pianeti dove in passato un essere di nome Ziggy partì verso la conquista della Terra.
Questa caratteristica è la differenza sostanziale tra i Travelin Jack ed i loro colleghi, la forte componente glam che si affaccia tra le trame hard blues di brani straordinari per intensità ed emozionalità, crescendo dall’opener per arrivare alla perfezione quando l’album entra nel vivo e ci regala musica rock d’alta scuola con Cold Blood, lo space rock pregno di blues di Galactic Blue, la sentita Time, il rock’n’roll di Miracles che ricorda opere rock come Tommy, il blues dannato e perdente di What Have I Done e Fire, brano marchiato da un’ interpretazione notevole della Spaceface.
I Travelin Jack hanno saputo rielaborare le influenze dei maestri del genere, inventandosi la propria personale rivisitazione del classic rock: questo è l’unico dato certo, mentre il sottoscritto prima o poi tornerà sulla Terra, forse.

Tracklist
1. Land Of The River
2. Metropolis
3. Keep On Running
4. Cold Blood
5. Galactic Blue
6. Time
7. Miracles
8. What Have I Done
9. Fire
10. Journey To The Moon

Line-up
Alia Spaceface – vocals, guitar
Flo The Fly – guitar
Steve Burner – bass
Montgomery Shell – drums

TRAVELIN JACK – Facebook