Märvel – The Hills Have Eyes

Sei tracce di rock’n’roll, vicino a quanto fatto dagli Hellacopters e con un’ispirazione settantiana che aleggia sul disco.

Che in Scandinavia si faccia rock’n’roll di altissima qualità non sono di certo io a dirlo, parla una lunga serie di nomi che sono diventati punti di riferimento per i rockers di tutto il mondo, partendo dagli storici Hanoi Rocks, passando dai Turbonegro per arrivare alla generazione che, come una gallina magica ha sfornato uova d’oro come Backyard Babies, Hellacopters e Hardcore Superstars.

Passata la tempesta rock’n’roll a cavallo tra gli anni novanta ed il nuovo millennio, i gruppi famosi sono tornati ultimamente sul mercato con buoni lavori accompagnati dalle nuove leve, meno numerose rispetto a quel periodo ma sempre di ottima qualità.
I Märvel per esempio provengono da Linköping, sono attivi dal 2002 e dopo aver consumato strumenti nelle cantine della loro città arrivano al debutto nel 2005 con l’album Five Smell City.
Warhawks Of War, rimane l’opera più famosa che vede ospiti comeDregen (Backyard Babies) and Robert Dahlqvist (Hellacopters) , a confermare l’ottima proposta del gruppo.
The Hills Have Eyes esce nel 2015, licenziato dalla Killer Cobra ed ora ristampato dalla The Sign .
Trattasi di un mini album composto da sei tracce di rock’n’roll, vicino a quanto fatto dagli Hellacopters e con un’ispirazione settantiana che aleggia sul disco.
Dunque siamo nel più puro e melodico hard rock che avvicina i quattro cavalieri mascherati più famosi del rock alla tradizione scandinava, con una deliziosa (e più melodica rispetto all’originale) cover del classico degli WASP, Love Machine, che valorizza tutta l’opera.
Buone trame acustiche, specialmente nella conclusiva Bring It On e maschere di cuoio a nascondere i visi dei tre protagonisti, benvenuti nel mondo dei Märvel !

TRACKLIST
1.Back In The Saddle
2.One Shining Moment
3.The Hills Have Eyes
4.Goodbye, Shalom!
5.Love Machine
6.Bring It On

LINE-UP
Ulrik Bodstedt – Bass
Tony Samuelsson – Drums
John Steen – Guitar & Vocals

MARVEL – Facebook

Infernäl Mäjesty – Unholier Than Thou

Questa ristampa mette in evidenza l’approccio malvagio e senza compromessi del gruppo canadese, con una serie di brani violenti che alternano mid tempo a veloci sfuriate dal piglio speed thrash assolutamente old school.

Negli anni ottanta, quando le vicende dei gruppi erano raccontate dai passaparola e da pochi articoli lasciati alle riviste cartacee, le storie diventavano leggende, e molti gruppi vissero di rendita creandosi un’aura malefica difficile da riscontare nella realtà, specialmente se si proveniva da paesi fuori dai circuiti musicali abituali.

Il metal estremo è pieno di storie incredibili e band diventate leggende, magari poco conosciute ai più e diventate cult solo per i fans accaniti del genere proposto.
I canadesi Infernäl Mäjesty fanno parte di quei gruppi divenuti di culto, con soli tre album all’attivo pur essendo in pista dal 1986, con il quarto (No God) in uscita proprio quest’anno ed una discografia ristampata più volte.
L’album di cui ci occupiamo è Unholier Than Thou, risalente al 1998, undici anni dopo l’esordio sulla lunga distanza intitolato None Shall Defy e ristampato dalla Vic Records con l’aggiunta di cinque brani pescati dal live Chaos In Copenaghen, licenziato all’alba del nuovo millennio.
Un passato tra le fila di Roadrunner e varie vicende di cronaca hanno da sempre minato la carriera del gruppo, divenuta una band cult più per l’estremismo concettuale che per il sound proposto, un thrash metal grezzo, diretto ma assolutamente ordinario.
Questa ristampa mette in evidenza l’approccio malvagio e senza compromessi del gruppo canadese, con una serie di brani violenti che alternano mid tempo a veloci sfuriate dal piglio speed thrash assolutamente old school.
Ottima l’idea di inserire le tracce live, così da avere una più ampia idea di quello che il gruppo propone, anche se rimane sicuramente una proposta per i soli fans di quel metal estremo che chiamare underground è un eufemismo.
In giro sono sicuro che ci sia chi apprezza ancora questo tipo di approccio diretto e senza compromessi, ed è esclusivamente a loro che va l’invito ad ascoltare gli Infernäl Mäjesty.

TRACKLIST
1.Unholier Than Thou
2.The Hunted
3.Gone the Way of All Flesh
4.Black Infernal World
5.Roman Song
6.Where is Your God
7.Death Roll
8.The Art of War
9.Birth of Power & Unholier then Thou (Live Copenhagen)
10.Where is Your God (Live Copenhagen)
11.R.i.p. & Night of the Living Dead (Live Copenhagen)
12.The Hunted (Live Copenhagen)
13.S.o. (Live Copenhagen)

LINE-UP
Chris Bailey – Vocals, Lyrics (track 7)
Kenny Hallman – Guitars
Steve Terror – Guitars, Lyrics
Chay McMullen – Bass
Kevin Harris – Drums

Infernäl Mäjesty – Facebook

Legionem – Ipse Venena Bibas

Otto brani e altrettanti rituali cantilenanti che riportano al doom settantiano e al metal oscuro del successivo decennio, con un talento innato per queste tematiche radicato nel dna dei gruppi italiani.

Misteriosa ed affascinate band i Legionem, trio di esorcisti doom provenienti dalla provincia di Siena, al debutto per Black Widow con questo ottimo lavoro incentrato su un doom metal classico e dalle intriganti sfumature rituali.

E’ molto old school l’approccio al genere per il gruppo toscano, che per titolo usa la frase latina Ipse Venena Bibas (bevi tu stesso i veleni) inserita in un rituale esorcista, e che apre l’album un recitato tratto dalla bibbia (Marco 5,1-20).
Con questi presupposti Magister Notte VIII (voce, basso e tastiere), Monk From The Terror Cathedral (chitarra) e La Rosa Di Satana (batteria e voce) creano un’opera suggestiva, magari leggermente retrò per i canoni odierni ma sicuramente affascinante per chi si muove tra il doom progressivo e l’occult rock.
Pentagram e poi Paul Chain e Death SS: con Ipse Venena Bibas sembra di entrare in un mondo parallelo, contornato dai colori sbiaditi dell’arcano incantatore di Pupi Avati o de L’Anticristo di Alberto De Martino, vecchie credenze e possessioni demoniache descritte a loro tempo anche sul grande schermo.
L’album alterna doom rituale (Albertus Albertus, Ritual In The Catacomb, Black Chain Of Death) a brani più vivaci e vicini all’hard rock (Proculo’s Vial, Furcas And The Philosophem), lasciando qualcosa indietro nei suoni, ma potrebbe essere una scelta precisa, vista l’ atmosfera catacombale che regna sovrana.
Otto brani e altrettanti rituali cantilenanti che riportano al doom settantiano e al metal oscuro del successivo decennio, con un talento innato per queste tematiche radicato nel dna dei gruppi italiani: un album da ascoltare nelle giuste condizioni ambientali, magari nelle notti in cui i sogni diventano incubi.

Tracklist
1.Marco 5,1-20
2.The Bishop
3.Albertus Albertus
4.Proculo’s Vial
5.Rituals In The Catacomb
6.A Pentacle
7.Furcas And The Philosophem
8.Black Chain Of Death

Line-up
Magister Notte VIII – Vocals, Bass, Keyboards
Monk From The Terror Cathedral – Guitars
La Rosa Di Satana – Drums, Backing Vocals

https://www.facebook.com/legionemdoom

La Janara – La Janara

La musica del gruppo irpino ci avvolge e ci trasporta tra le montagne, in uno spazio temporale in cui roghi, streghe, spettri e tutte le creature del mondo occulto e mistico si prendono gioco degli uomini.

La label genovese Black Widow, che di musica di un certo spessore è portavoce da molti anni, ci presenta questo progetto in arrivo dall’Irpinia chiamato La Janara, creatura leggendaria di quei posti che, come molti altri luoghi sparsi per la nostra penisola, sono accompagnati da misteriosi racconti tramandati da generazioni.

In La Janara la musica è un bellissimo ed affascinante esempio di heavy metal, pregno di sfumature dark e progressive in linea con una tradizione nazionale consolidata, così come il fatto che venga rispettata all’estero e ignorata nel nostro paese, nonostante regali nel nuovo millennio ancora grande musica.
Accompagnata dalla voce della strega Raffaella Cangero (che è stata ospite anche nell’ultimo album degli Ecnephias), la musica del gruppo irpino ci avvolge e ci trasporta tra le montagne, in uno spazio temporale in cui roghi, streghe, spettri e tutte le creature del mondo occulto e mistico si prendono gioco degli uomini: le sonorità si sposano con i testi in italiano creando un alone di mistero, grazie anche ad atmosfere dark d’autore, sacrileghe ma raffinate, tra impennate metalliche, ritmiche doom, e bellissimi camei folk acustici.
La band passa dal metal classico, che si evince dai riff portanti dei brani Sul Rogo e Strega, marchiati a fuoco dal doom del maestri Paul Chain e The Black, al doom questa volta più classico della rocciosa Cuore Di Terra, mentre le trame acustiche di Orchi invitano al sabba di Requiem, altro brano atmosfericamente sopra le righe, valorizzato da un interpretazione varia e sentita della vocalist, ottima nel conferire un’anima ai testi mai banali dell’opera.
L’album è colmo di ispirazioni nobili come i già citati Paul Chain e The Black, a cui aggiungerei senza dubbio i grandi Death SS e, con le dovute differenze, si colloca vicino all’ultimo album degli Artemisia:  un gioiellino per il quale la parola arte non viene usata a sproposito.

Tracklist
1. Ianva
2. Sul Rogo
3. Spettri
4. Strega
5. Le Janare
6. Malombra
7. Cuore di Terra
8. Orchi
9. Requiem
10. Luce

Line-up
Nicola Vitale – Chitarra
Raffaella Cangero – Voce
Rocco Cantelmo – Basso
Stefano Pelosi – Batteria

LA JANARA – Facebook

Madlife – Precision In The Face Of Chaos

Precision In The Face Of Chaos non è un brutto lavoro, le melodie che valorizzano i brani dal tiro nu metal sono assolutamente perfette così come una produzione al top: fosse uscito qualche anno fa avrebbe insidiato i primi posti nelle classifiche dei gruppi da un milione di dollari che si facevano guerra a colpi di hit, oggi le cose vanno in maniera decisamente diversa.

Nati con il nuovo millennio, in anni di vacche grasse per il genere industrial/nu metal, tornano i Madlife con il nuovo album pronto a fare la sua comparsa nei rock club del vecchio e del nuovo mondo con una serie di brani dal buon tiro.

Attivi dal 2000 a Los Angeles, i Madlife arrivano dunque al secondo lavoro sulla lunga distanza, accompagnato in tutti questi anni da solo tre lavori minori, descrivendosi come band industrial hard rock, ma più semplicemente suonano un nu metal chiaramente ricco di soluzioni industriali, alternando buone intuizioni ad un forte senso di già sentito che purtroppo pervade molti dei brani di Precision In The Face Of Chaos.
Licenziato dalla Bleeding Nose Records, prodotto come una bomba pronta a deflagrare, l’album non mancherà di strapazzare e far scapocciare i giovani frequentatori di locali su e giù per le coste di un’estate da vivere al limite: il problema che canzoni come All The Angels o Live And Die, arrivano in ritardo di almeno quindici anni ed ad un ascolto distratto, mischiato ai fumi di qualche drink di troppo, i Madlife rischiano di passare inosservati tra un brano di Rob Zombie ed uno dei primi Disturbed.
Molto apprezzata la cover di Love Song Dei Cure, mentre i ritmi continuano a ricordare brani già sentiti e consumati in tempi in cui il genere era padrone del mercato e delle copertine delle riviste più cool.
Precision In The Face Of Chaos non è un brutto lavoro, le melodie che valorizzano i brani dal tiro nu metal sono assolutamente perfette così come una produzione al top: fosse uscito qualche anno fa avrebbe insidiato i primi posti nelle classifiche dei gruppi da un milione di dollari che si facevano guerra a colpi di hit, oggi le cose vanno in maniera decisamente diversa.

TRACKLIST
1. All the Angels
2. Just One Gun
3. Nothing Changes
4. Pain of Pleasure
5. Love Song
6. Live & Die
7. Redline
8. Rock Star
9. I Know the Feeling
10. Still Alive
11. Tell Me
12. Hexxx

LINE-UP
Isaiah Stuart – Guitar
Kyle Cunningham – Drums
Angry Phill – Vocals

MADLIFE – Facebook

Rage – Seasons Of The Black

Seasons Of The Black si può certamente considerare un Rage album DOC, magari non il migliore del gruppo, ma sicuramente buono per proseguire la strada nel mondo metallico nel ruolo di protagonisti, come sempre, a dispetto degli anni che passano.

I Rage vantano una discografia immensa e per una buona metà di altissima qualità, con geniali intuizioni che hanno praticamente inventato un genere, sommate ad un approccio ed una coerenza che hanno fatto della band e del suo uomo giuda Peavy Wagner un monumento ad un certo modo di intendere il metal.

Oggi una delle band più importanti nate in Germania sotto la bandiera del power torna con un nuovo album: archiviato il periodo (splendido) in cui il funambolico Victor Smolsky elargiva prove chitarristiche dal taglio progressivamente neoclassico, dal precedente The Devils Strikes Again i Rage si avvalgono del più essenziale Marcos Rodríguez.
Con l’ausilio di Vassilios Maniatopoulos, dietro ai tamburi come nel precedente lavoro, il trio non si risparmia consegnandoci a distanza di un solo anno un buon lavoro, diretto, potente e melodico come nella tradizione dei dischi più lineari offerti in tutti questi anni.
Chiariamo subito un fatto importantissimo: il periodo orchestrale è finito da un pezzo, con i Rage a suonare power sinfonico, epico ed oscuro quando gli idolatrati sovrani del symphonic power metal di oggi erano solo dei lattanti, così come, con l’allontanamento di Smolsky, il sound ha perso quel tocco progressivo che ne aveva valorizzato l’ultimo periodo; la band è tornata così a suonare puro e diretto power metal come ai tempi di Black In Mind, da molti (compreso il sottoscritto) considerato uno dei loro lavori cardine.
Quindi Seasons Of The Black, seguendo la nuova/vecchia strada intrapresa con il precedente lavoro, risulta un pezzo di granito power metal, con i Rage a picchiare come forsennati su brani che dosano potenza metallica, melodie, accelerazioni power di livello superiore e refrain che entrano in testa dopo pochi passaggi, confermando che Peavy, pur invecchiando, non perde un grammo in talento compositivo.
Il mastodontico (in tutti i sensi) bassista e cantante continua imperterrito nella sua missione, mentre, assecondato dai nuovi compari, ci porge la mano per poi scaraventarci in mezzo alla tempesta di suoni che dalla title track ci investe senza tregua, con l’album che altrerna brani top (Blackened Karma, la devastante Walk Among The Dead) a qualche passaggio più ordinario (Septic Bite).
Con il mixaggio curato da sua maestà Dan Swanö ed una produzione perfetta per il genere senza essere troppo patinata, Seasons Of The Black si può certamente considerare un Rage album DOC, ma sicuramente buono per proseguire la strada nel mondo metallico nel ruolo di protagonisti, come sempre, a dispetto degli anni che passano.

Tracklist
1. Season Of The Black
2. Serpents In Disguise
3. Blackened Karma
4. Time Will Tell
5. Septic Bite
6. Walk Among The Dead
7. All We Know Is Not
8. Gaia 1:02 9. Justify
10. Bloodshed In Paradise
11. Farewell

Line-up
Peter Peavy Wagner – Vocals, Bass
Marcos Rodriguez – Guitars, Vocals
Vassilios Lucky Maniatopoulos – Drums, Vocals

RAGE – Facebook

Tommy Stewart’s Dyerwulf – Tommy Stewart’s Dyerwulf

Non mancano attimi di affascinante musica del destino, ma la sensazione all’ascolto è quella di un lavoro che decolla solo a sprazzi, per poi tornare in picchiata verso il compitino.

Una lunga e agonizzante marcia verso l’abisso più profondo, una jam doom metal che affonda le radici negli anni settanta, con un a musica del destino dal sapore old school.

Tommy Stewart, storico bassista dei thrashers Hollows Eve, continua la sua carriera solista, dopo un primo album incentrato sul doom licenziato a suo nome due anni fa (Clef Doom): Tommy Stewart’s Dyerwulf lo vede accompagnato da Eric Vogt alle pelli in questo viaggio nella classicità del genere, di matrice Black Sabbath.
Si scende verso l’ oscurità con questi sette brani che non danno tregua, cadenzati, allucinati, vere e proprie nenie liturgiche e danze macabre che non concedono tregua.
Non mancano attimi di affascinante musica del destino (Horror Show, Through A Dead Man’s Eye), ma la sensazione all’ascolto è un lavoro che decolla solo a sprazzi, per poi tornare in picchiata verso il compitino.
Sono infatti pochi i momenti davvero intensi, e i due musicisti si accontentano di portare l’album alla fine tra il già sentito così che Tommy Stewart’s Dyerwulf risulta un album di genere consigliabile solo a chi del classic doom è un ascoltatore accanito.

TRACKLIST
1.Lilith Crimson Deep
2.Behold! Your World Now Burns
3.Through A Dead Man’s Eye
4.Porpoise Song
5.Horrorshow
6.The Man Who Sold Rope To The Gnoles
7.Prince Of Fools
8.With Darkened Eyes

LINE-UP
Tommy Stewart – Bass, vocals
Eric Vogt – Drums

TOMMY STEWART’S DYERWULF Facebook

Mindcrushers – Born In Doom

Born In Doom risulta un album diretto, potente e devastante, dalle reminiscenze old school ma perfettamente inserito nel contesto estremo odierno, anche per la sua soffocante atmosfera in cui si aggirano spiriti metallici provenienti da più di un genere.

Tra le montagne e le valli del Veneto si aggira questa creatura oscura, dal 2010 conosciuta come Mindcrushers, con un demo all’attivo uscito ormai sei anni fa.

Dopo vari assestamenti nella line up, la band (ora un quartetto) si presenta al popolo metallico con questo ottimo lavoro dal titolo Born In Doom, composto da una raccolta di brani pesanti come macigni, tra thrash metal ottantiano, death metal, ed atmosfere pregne di oscura malignità dark.
Ne esce un album diretto, potente e devastante, dalle reminiscenze old school , ma perfettamente inserito nel contesto estremo odierno, anche per la sua soffocante atmosfera in cui si aggirano spiriti metallici in arrivo da più di un genere.
I Mindcrushers con sagacia alternano parti veloci e thrash ad altre dove le ritmiche si trasformano in potentissimi mid tempo e i solos riportano l’ascoltatore a godere dell’heavy metal oscuro degli anni ottanta.
L’ottima partenza con Death Is A Straight Procession, Slaves Of The White One e Boredom (da cui è stato tratto un video) mette subito le cose in chiaro, la band veneta non fa prigionieri, ci investe con il suo thrash death oscuro, valorizzato da spunti di metallo classico, formando un pezzo di granito mastodontico, un monumento di metal maligno che oscura il sole e forma un bombardamento di tuoni e fulmini senza soluzione di continuità, mentre Crystal Night Of Knives e la coppia conclusiva formata dalle notevoli Rise The Fallen e Dark Endless, sono altre tracce che alzano il livello di questo ottimo lavoro.
L’opera scivola come un mamba nerissimo e pericolosissimo, tra mid tempo e sfuriate death metal, come se i Morbid Angel, gli Asphyx e i Kreator sotto la guida dei Metal Church più oscuri, dessero vita ad una jam, un rito infernale dove non si perde tempo, si sacrifica e si uccide, senza pietà.
Una band che finalmente (visto i risultati) arriva all’esordio con una personalità ed un approccio da gruppo navigato: si può quasi toccare, tra i solchi dell’album, una forte convinzione dei propri mezzi, oltre a tutte le carte in regola per regalare agli amanti di queste sonorità ottima musica anche in un prossimo futuro.

Tracklist
1.Intro
2.Death Is a Straight Procession
3.Boredom
4.Slave of the White One
5.Tragedy of Happiness
6.Ogre
7.Inverted Buddah
8.Crystal Night of Knives (Kristallnacht)
9.Stone in a Glass
10.Rise of the Fallen
11.Dark Endless (Heart)

Line-up
Obscure – voice, bass
Francesco Brunello – rythmic, lead guitar
Diego Bordin – drums
Mauro Ferracin . guitar

MINDCRUSHERS – Facebook

Bleed Again – Momentum

I Bleed Again fino ad ora avevano licenziato tre ep nell’arco di tre anni e ora, con questo nuovo full length licenziato dalla Sliptrick, tentano l’entrata nelle grazie dei giovani fruitori del metalcore: ci riusciranno?

Metalcore, death metal melodico, moderno rabbioso e colmo di mid tempo pesanti come macigni, se poi ci si aggiunge un tocco di verve metallica in più e si amalgama tutto con chorus da urlare sotto il palco di qualche festival estivo, il gioco è fatto.

I Bleed Again la lezione la sanno molto bene e a parte la solita voce pulita che, puntualmente, troviamo ad accompagnare lo scream e che anche in questo caso non fa che smorzare tragicamente la tensione in brani che sembrano esplodere da un momento all’altro ma che le clean soffocano in un polentone adatto per ragazzini alle prime turbe adolescenziali.
Peccato, perché il gruppo di Brighton porta con sé quel tocco heavy tutto britannico, perciò non solo giovani band americane tra le proprie influenze ma pure vecchi marpioni con la bandiera inglese ben in mostra sul drumkit.
Chiaramente, i brani in cui la voce pulita si astiene dall’intervenire sono i migliori (Decimate, Drowning In Dreams), mentre a cercare di attirare l’attenzione di ragazzine in solluchero per il duro musicista metal con un cuore grande così ci pensano canzoni troppo scontate per non cadere nel dimenticatoio dopo il primo ascolto.
I Bleed Again fino ad ora avevano licenziato tre ep nell’arco di tre anni e ora, con questo nuovo full length licenziato dalla Sliptrick, tentano l’entrata nelle grazie dei giovani fruitori del metalcore: ci riusciranno?
Con un pizzico di Killswitch Engage, la potenza degli Hatebreed e qualche accenno ai Trivium e al metal più tradizionale potrebbero anche farcela, sperando di non essere fuori tempo massimo.

TRACKLIST
1.Decimate
2.Walk Through the Fire
3.Legacy
4.Drowning in Dreams
5.Slavery
6.Kurtz
7.Heart of Darkness
8.White Castle
9.Only We Can Save Us
10.Happy Never After
11.Icarus
12.Through My Eyes

LINE-UP
Jon Liffen – Bass
Russell Plowman – Drums
Chris Pratt – Guitars
Simon Williams – Guitars
James Dawson – Vocals

BLEED AGAIN – Facebook

Decrepit Birth – Axis Mundi

La band, pur sfoggiando la sua grande tecnica, lascia che le canzoni prendano vita, tra riff mastodontici, blast beat furiosi ed un lavoro prezioso della sei corde, melodica quanto basta per assecondare le altalene ritmiche e i vari cambi d’atmosfera.

Tornano dopo sette lunghi anni, a conferma di un anno da protagonisti per i suoni di stampo death e dei suoi lati più estremi (brutal, technical) i Decrepit Birth, gruppo dall’alto valore tecnico non supportato però dalla popolarità di altre realtà, specialmente statunitensi.

Poco male, la band in mano a Matt Sotelo dopo gli ottimi responsi dei lavori precedenti (specialmente il bellissimo Polarity, uscito nel 2010), saluta il 2017 con una mazzata straordinaria, affidata al nostro Stefano Morabito per mixaggio e masterizzazione ai 16 Cellar Studio  e composta da una dozzina di spettacolari brani dove tecnica, impatto e melodia si alleano per regalare grande musica estrema.
Axis Mundi a mio avviso accontenterà sia i fans del brutal che gli appassionati di death metal tradizionale, con il suo sound chiaramente di matrice statunitense, tecnicamente elevato alla massima potenza, ma valorizzato da una cura nei dettagli encomiabile ed una ispirazione notevole, mantenuta intatta anche dopo una  lunga pausa.
D’altronde i musicisti impegnati in questa mostruosa avventura accompagnando il chitarrista sono Bill Robinson (voce), Sam Paulicelli (batteria) e Sean Martinez (basso) , tipi poco raccomandabili, ex turnisti di gruppi top della scena (Malevolent Creation, Suffocation, Rings Of Saturn, Decapitated) e maestri del proprio strumento.
Si diceva, non è solo la tecnica a valorizzare Axis Mundi, che scorre estremo e piacevole, seguendo coordinate già scritte, ma con la personalità che è propria di una band del genere; ed infatti i Decrepit Birth, pur sfoggiando la sua grande tecnica, lascia che le canzoni prendano vita, tra riff mastodontici, blast beat furiosi ed un lavoro prezioso della sei corde, melodica quanto basta per assecondare le altalene ritmiche e i vari cambi d’atmosfera.
Vortex Of Infinity…Axis Mundi, apre le ostilità, Spirit Guide e Hieroglyphic valorizzano l’anima progressiva del gruppo mentre la splendida ed orchestrale Embryogenesis porta il sound dell’album sui livelli altissimi di Diminishing Between Worlds ed appunto Polarity.
Altro album imperdibile per gli amanti del death metal in questo anno di grosse soddisfazioni per il genere, in cui il gruppo regala sul finire ben tre cover di nomi altisonanti del metal estremo mondiale come Metallica e Sepultura.

Tracklist
1. Vortex of Infinity…Axis Mundi
2. Spirit Guide
3. The Sacred Geometry
4. Hieroglyphic
5. Transcendental Paradox
6. Mirror of Humanity
7. Ascendant
8. Epigenetic Triplicity
9. Embryogenesis
10. Orion
11. Desprate Cry
12. Infecting the Crypts

Line-up
Bill Robinson – Vocals
Matt Sotelo – Guitars
Samus – Drums
Sean Martinez – Bass

DECREPIT BIRTH – Facebook

Narthraal – Screaming from the Grave

Screaming from the Grave alterna ottimi brani ad altri leggermente più ordinari ma il gruppo, al debutto, non delude ed in generale l’album si presenta come un discreto esempio di quello che si suona da decenni nel Nordeuropa in campo death.

Una splendida copertina cimiteriale ed old school fa bella mostra di sé sul primo full length del quartetto islandese dei Narthraal, gruppo estremo attivo dal 2012 e con due ep già licenziati (Blood Citadel del 2014 e Chainsaw Killing Spree uscito lo scorso anno).

Il gruppo proveniente dalla terra del ghiaccio e dei vulcani erutta dieci brani sacrificati sull’altare del death metal old school, leggermente attraversati da maligno death/black di provenienza ed ispirazione est europea, ma comunque consolidato nella tradizione scandinava di primi anni novanta.
Come si evince dalla copertina di scuola nordica, con le truppe di non morti pronti ad invadere il regno dei vivi colpendo a suon di morsi le loro vittime, l’album rispecchia la tradizione del death metal nato nei primi anni novanta, pregno di devastanti ritmiche, chitarre che non dimenticano le melodie e rallentamenti, ora più marcati ora trasformati in mid tempo potentissimi.
Le accelerazioni di stampo black sono presenti ma non inficiano l’impatto death della musica di Viktor Peñalver e soci, partiti dalla ridente (ma non troppo) cittadina di Hafnarfjörður alla conquista del metal estremo underground.
Screaming from the Grave alterna ottimi brani ad altri leggermente più ordinari ma il gruppo, al debutto, non delude ed in generale l’album si presenta come un discreto esempio di quello che si suona da decenni nel Nordeuropa in campo death, anche se una produzione leggermente più pulita avrebbe permesso a tutte le canzoni di emergere, non solo a quelle più convincenti che alzano non poco il giudizio sull’opera (Worldwide Destruction e Feed The Pig).
Un lavoro sufficiente per non rimanere del tutto ignorato dagli amanti del genere, con ampi margini di miglioramento

TRACKLIST
1.Death of the Undying
2.Screaming from the Grave
3.Million Graves to Fill
4.Worldwide Destruction
5.Envy
6.Descent into Darkness
7.Blood Path
8.Symbols of Hate
9.Feed the Pig
10.Dismember the Entombed

LINE-UP
Viktor Peñalver – Vocals/bass
Birkir Kárason – Guitar
Jónas Haux – Drums
Tony Aguilar – Guitar

NARTHRAAL – Facebook

Tarlung – Beyond The Black Pyramid

Si continua, come nel primo lavoro, a danzare tra i cadaveri squartati dalla famelica creatura, mentre il doom e lo stoner amoreggiano lascivi con una psichedelia infernale, inesorabile arma per catturare e fare scempio di umane debolezze.

Due anni fa, passeggiando ai margini di un bosco immaginario, in un luogo sperduto tra le montagne austriache avevamo incontrato la mostruosa creatura dal nome Tarlung, un essere che si nutre di doom metal stonerizzato, mistica ed occulta creatura che faceva scempio dell’indifferente umanità che maldestramente si avvicinava troppo alla sua tana.

Poche notizie dopo il fiero pasto del primo full length, con un ep (Void) uscito lo scorso anno, ma ora la bestia torna più forte che mai a fare strazio di anime con Beyond the Black Pyramid, mastodontico e infinito lavoro che il terzetto ha preparato per torturare anime e corpi.
In quasi settanta minuti, questa volta Philipp “Five” (chitarra e voce), Clemens “Rotten” (chitarra) e Marian (batteria), non hanno voluto fare prigionieri, e ipnotizzando le vittime le hanno spogliate di ogni resistenza e scaraventate giù nei meandri della piramide nera, in balia di mostri da millenni residenti nell’ultima dimora del male.
Si continua, come nel primo lavoro, a danzare tra i cadaveri squartati dalla famelica creatura, mentre il doom e lo stoner amoreggiano lascivi con una psichedelia infernale, inesorabile arma per catturare e fare scempio di umane debolezze.
Beyond the Black Pyramid è una lunga e devastante (per la nostra ragione) jam acida e primordiale con almeno un terzetto di capolavori estremi dal lento e cerimoniale incedere: Kings And Graves, la title track e la conclusiva Karma.
Probabilmente non andranno mai oltre l’apprezzamento di quei pochi e fortunati ascoltatori che si imbatteranno in Beyond The Black Pyramid, ma per i Tarlung, continuando di questo passo, si prepara degnamente un futuro da cult band.

TRACKLIST
1.It Waits in the Dark
2.Dying of the Light
3.Mud Town
4.Kings and Graves
5.The Prime of Your Existence
6.Resignation
7.Born Dead
8.Beyond the Black Pyramid
9.Karma

LINE-UP
Marian Waibl – Drums
Rotten – Guitars
Philipp “Five” Seiler – Guitars, Vocals

TARLUNG – Facebook

Anubi’s Servants – Duat

A tratti il lavoro del gruppo entusiasma e le varie atmosfere create all’interno dei vari brani, pur mantenendo l’approccio estremo e consolidato nel genere, danno all’ascoltatore molti buoni motivi per ripartire daccapo al termine dell’ascolto.

Thrash metal old school pregno di sfumature death, epico e chiaramente ispirato all’antico Egitto, è la proposta degli Anubi’ s Servants, quartetto estremo in arrivo dall’Abruzzo.

La band ha mosso i primi passi già nel 2012 come gruppo punk e, in seguito, dopo vari assestamenti della line up, il tiro musicale si è spostato definitivamente verso un thrash metal classico, dalle ispirazioni consolidate nelle terre germaniche nel periodo a cavallo tra gli anni ottanta ed il decennio successivo e dal concept che rimanda alle sacre terre del Nilo.
I servi di Anubis, il dio dei morti, non lasciano scampo, il loro sound vi mostra una via particolare al male, fatta di cunicoli, labirinti costruiti nella notte dei tempi, antiche tombe in cui maledizioni ed ogni tipo di trappola sono lì a custodire segreti millenari.
Appena le vostre infedeli membra si poseranno sui tesori custoditi al buio dei templi, gli Anubi’ s Servants vi daranno la caccia senza pietà e vi colpiranno con una serie di brani diretti, aggressivi e mortali: il loro sound vi entrerà nelle viscere per esplodere da dentro, in uno tsunami di ritmiche che alternano velocità ed epici mid tempo, mentre il dio dei morti urlerà la sua rabbia, bestiale e rabbioso.
Duat è un gran bel disco, un concentrato di metal vecchio stile assolutamente non originale, ma in possesso di una carica e di una forma canzone che lascia senza fiato.
A tratti il lavoro del gruppo entusiasma, le varie atmosfere create all’interno dei brani, pur mantenendo l’approccio estremo e consolidato nel genere, danno all’ascoltatore molti buoni motivi per ripartire daccapo al termine dell’ascolto.
Alternanza di velocità e mid tempo, ottimi solos, refrain perfetti e impatto che decolla per non tornare sotto i livelli di massacro, in sede live faranno probabilmente un alto numero di vittime.
The God Of The Dead, Sentence (preceduta da un intro epico cinematografica) e la lunga Damned-Intermezzo-Psycostasia sono il fulcro di Duat, un lavoro che di adrenalinico thrash/death in arrivo direttamente dalle catacombe nascoste all’interno delle piramidi.

Tracklist
1.Intro-The Veil Of Isis
2.The God Of The Dead
3.Intro-Sentence
4.Evocation
5.Crossing The River
6.Damned-Intermezzo-Psycostasia
7.Duat
8.Slave Blood-Outro

Line-up
Gianluca Iannotti – Bass
Andrea Strino – Drums
Karim Shokry – Guitars
Omar Shokry – Vocals

ANUBI’S SERVANTS – Facebook

Antichrist – Sinful Birth

L’album ha il pregio di non annoiare, investendo l’ascoltatore con una tempesta estrema dall’impatto di un uragano sulla costa, mentre le raggelanti note su cui si basa Sinful Birth si insinuano in noi come virus infetti e mortali.

Il maligno questa volta preferisce usare il thrash metal per divulgare il suo verbo tramite il quintetto svedese Antichrist.

Il gruppo nordico licenzia tramite la I Hate il suo secondo lavoro , successore dell’ormai lontano Forbidden World, uscito sei anni fa: thrash metal old school, estremizzato da furia distruttrice di stampo black è il sound offerto da questi devoti al signore oscuro e portatori di violenza, morte e male in musica.
Venom, Possessed e primi Slayer, irrobustiti da cattiveria ed attitudine black metal alla primi Darkthrone ed il gioco è fatto: un gioco mortale e pericolosissimo, un assalto ed un’aggressione al bene e a tutte le sue forme, mentre l’odio vince e la presa di potere da parte delle forze oscure è vicina.
Nel suo genere l’album funziona, l’assalto senza compromessi e l’impatto sono da gruppo che nel male ci sguazza, la velocità è da infarto e le atmosfere gelide creano momenti di puro disfacimento concettuale e sonoro.
Poi, tra violenza, velocità e perfidia, si arriva al momento clou di questo lavoro, lo strumentale Chernobyl 1986, dieci minuti di angosciante e violenta colonna sonora del disastro nucleare più devastante della storia, raccontato tramite il metal estremo degli Antichrist.
E’ indubbio che un brano del genere da solo alzi il livello di un album che dalla sua ha il merito di non annoiare, investendo l’ascoltatore con una tempesta estrema dall’impatto di un uragano sulla costa, mentre le raggelanti note su cui si basa Sinful Birth si insinuano in noi come virus infetti e mortali.

TRACKLIST
1.Instruments of Sadism
2.Savage Mutilations
3.The Entity
4.Under the Cross
5.The Black Pharaoh
6.Sinful Birth
7.Burned Beyond Recognition
8.Chernobyl 1986
9.Fall of the Temple of Solomon

LINE-UP
Sven Nilsson – Drums
Filip Runesson – Guitars
Steken – Vocals
Gabriel Forslund – Guitars
Gobbe Henningsson – Bass

ANTICHRIST – Facebook

Overkhaos – Beware Of Truth

Un debutto al di sopra di ogni aspettativa, del quale basta solo dire che tra le sue trame si trova tutto ciò che anima lo spirito musicale di capisaldi del genere come Symphony X, Nevermore ed Iced Earth.

Prima di dispensare elogi ad un’altra ottima realtà made in Italy,  permettetemi di fare i complimenti all’ennesima label che ci regala grande musica metallica dall’anima progressiva, la Rockshots Records, che dopo l’ultimo lavoro degli Hidden Lapse  ci delizia con un altro gioiellino in arrivo dalla Puglia, intitolato Beware Of Truth, full length di debutto per i notevoli Overkhaos.

Nato quattro anni fa con il monicker Imperium, il gruppo dopo un paio di avvicendamenti nella line up, vira dall’heavy metal classico ad un più raffinato progressive metal dalle forti connotazioni heavy/thrash e ne esce questo bellissimo album, incentrato su una storia che prende spunto dalla società in cui viviamo, in mano a politici e lobbies che si arricchiscono sulla pelle dei comuni cittadini, ormai impoveriti e spogliati di qualsiasi briciolo di dignità.
Si parte da qui per stupire con la colonna sonora di una storia non troppo originale (ma non è poi colpa della band se certe storture sono divenute ormai un vissuto quotidiano) per la verità, ma che incide non poco quando il gruppo parte in quarta e vola sulle ali di un power metal progressivo e dannatamente trainante.
Mimmo D’Oronzo è il singer, interpretativo, vero animale metallico che ricorda Warrel Dane, la punta d’acciaio di una freccia scagliata mirando al cuore degli appassionati da un’arco che si fregia di musicisti sopra la media come Davide Giancane e Giuliano Zarcone alle chitarre e la sezione ritmica composta da Anna Digiovanni al basso e Andrea Mariani alla batteria, mentre il sangue sgorga copioso dalla ferita mortale che gli Overkhaos hanno aperto nel nostro petto.
Beware Of Truth è heavy/thrash metal in stato di grazia che, elegantemente vestito di abiti progressivi, ci scaraventa al muro, con la schiena che scalfisce il cemento e le ossa che scricchiolano sotto i colpi inferti da queste dieci bordate che formano quasi un’ora di musica a tratti entusiasmante.
Khaos, The Lie You Need, Die Catsaw!, Anna’s Song sono forse le migliori tra queste, ma potrei nominarle tutte all’interno di un debutto al di sopra di ogni aspettativa, del quale basta solo dire che tra le sue trame si trova tutto ciò che anima lo spirito musicale di capisaldi del genere come Symphony X, Nevermore ed Iced Earth.

Tracklist
01 Prelude
02 Silent Death
03 Solar Starvation
04 Khaos
05 The Lie you Need
06 Crumbling
07 White Light
08 Die Catsaw!
09 Anna’s Song
10 Deadline

Line-up
Mimmo D’Oronzo – voce
Davide Giancane – chitarra
Giuliano Zarcone – chitarra
Anna Digiovanni – basso
Andrea Mariani – batteria

OVERKHAOS – Facebook

Infinitas – Civitas Interitus

Civitas Interitus è un lavoro piacevole, a tratti suggestivo, in altri più indicato per svuotare boccali di birra scura in qualche festa sperduta tra le vallate elvetiche: un album per divertirsi e, perché no, anche sognare.

Interessante progetto in arrivo dai monti della vicina Svizzera quello degli Infinitas, i quali danno alle stampe il loro primo full length.

La band, dalle forti connotazioni medievali, prende spunto da gruppi storici come gli Skyclad e debutta con Civitas Interitus, album dal sound che amalgama thrash, folk, reminiscenze power e qualche accenno estremom, dando vita ad un incalzante e a tratti epica storia fuori dal tempo.
Si potrebbe sintetizzare (come fa il gruppo stesso) in melodic thrash metal la musica che compone l’album, chiaramentedi matrice old school, su cui la cantante Andrea con buon impatto e interessanti soluzioni si destreggia con risultati che vanno aldilà delle aspettative.
Aggressiva e melodica, ma pur sempre d’impatto metal, la voce accompagna questi dieci brani, tra le foreste ed i castelli persi nelle Alpi in un tempo indefinito, se non per le ambientazioni epico folkloristiche che non solo accompagnano i brani più aggressivi (Alastor e Samael) ma creano atmosfere suadenti e pregne di sfumature tradizionali in tracce come la bellissima Amon, perla folk/thrash metal di questo lavoro.
Civitas Interitus è un lavoro piacevole, a tratti suggestivo, in altri più indicato per svuotare boccali di birra scura in qualche festa sperduta tra le vallate elvetiche: un album per divertirsi e, perché no, anche sognare.

Tracklist
1.The Die Is Cast
2.Alastor
3.Samael
4.Labartu
5.Aku Aku
6.Skylla
7.Rudra
8.Morrigan
9.Amon
10.A New Hope

Line-up
Andrea Böll – Vocals, Percussion
Laura Kalchofner – e-Recorder, Background Vocals
Pauli Betschart – Bass, Background Vocals
Pirmin Betschart – Drums, Vocals, Percussion, Clarinette
Selv Martone – Guitar, Virtual Instruments

INFINITAS – Facebook

MaidaVale – Tales Of The Wicked West

Le quattro sacerdotesse di Fårösund, senza cercare di stupire a tutti i costi, svolgono il compito prefissato nel migliore dei modi, ed il loro album ne esce alla grande, vintage fino al midollo, suggestivo e pregno di atmosfere stregate dal blues e dalla psichedelia-

Ora che i suoni vintage, nel metal e nell’hard rock, sono la nuova via per piacere agli ascoltatori, i gruppi dediti a queste sonorità spuntano come i funghi, un male se pensiamo ad un ennesima inflazione del mercato, un bene per i fans dei suoni nati nella seconda metà del secolo scorso.

Nell’ underground non mancano nuove realtà che arrivano all’esordio prendendo come esempio le nuove new sensation dell’hard rock dai rimandi blues e psichedelici come i Blues Pills.
Dalla Svezia (e non è un caso, visto la tradizione per i suoni settantiani nel paese scandinavo) arrivano dunque le MaidaVale, gruppo tutto al femminile che tramite la Sign Records esordisce con Tales Of The Wicked West, bellissimo esempio di hard rock psichedelico e blues, ipnotico come una danza sotto la luna splendente sui boschi delle foreste nordiche.
Le quattro sacerdotesse di Fårösund, senza cercare di stupire a tutti i costi, svolgono il compito prefissato nel migliore dei modi, ed il loro album ne esce alla grande, vintage fino al midollo, suggestivo e pregno di atmosfere stregate dal blues e dalla psichedelia, con quel tocco sabbathiano che avvicina il sound agli hard rockers dai gusti vintage.
Blues e psichedelia sono un binomio più pericoloso di quello che si possa pensare, esaltato dalla voce di Matilda Roth in (If You Want The Smoke) Be The Fire o Restless Wanderer, con una Find What You Love And Let It Kill You che trasforma il verde della natura svedese nel color sabbia del deserto americano, in un trip che la voce femminile accentua facendo sognare dentro ad un caleidoscopio di musica rock sopra le righe.
Finirà questo fiume in piena che porta a valle tanta musica vintage e come sempre rimarranno solo i migliori, e le MaidaVale sono candidate a restare, non perdetevele.

TRACKLIST
01. (If You Want the Smoke) Be The Fire
02. Colour Blind
03. The Greatest Story Ever Told
04. Truth/Lies 05. Dirty War
06. Restless Wanderer
07. Standby Swing
08. Wish I’d Been Born At Sea
09. Find What You Love And Let It Kill You

LINE-UP
Johanna Hansson – Drums
Matilda Roth – Vocals
Linn Johannesson – Bass
Sofia Ström – Guitar

MAIDAVALE – Facebook

Dark Avenger – The Beloved Bones : Hell

Suoni di nobile metallo heavy/power ed un approccio magniloquente ed oscuro fanno di questo album un autentico masterpiece, incollando l’ascoltatore dalla prima all’ultima nota alle cuffie, con il rischio che prendano fuoco sotto tonnellate di riff e solos ed una vena progressiva stupefacente.

Ne è passata acqua sotto i ponti da quando, nel lontano 1995 i brasiliani Dark Avenger debuttavano con il primo, omonimo album.

Dopo sei anni, precisamente nel 2001, Tales Of Avalon: The Terror consegnò il gruppo di Brasilia all’immortalità grazie ad una prova non solo clamorosa a livello tecnico, ma soprattutto benedetta da un songwriting superlativo.
Sedici anni sono una vita musicalmente parlando e i Dark Avenger, dopo averci provato con la seconda parte del concept che li ha resi famosi tra gli amanti dei suoni heavy/power (Tales Of Avalon: The Lament) nel 2013, tornano con una nuova storia ed un bellissimo e quanto mai devastante lavoro, The Beloved Bones : Hell.
E, in effetti, la band scatena un autentico inferno di suoni metallici, con una serie di brani che si candidano come uno dei più riusciti esempi del genere in questo 2017.
Il full length è stato registrato, mixato e prodotto dal chitarrista Glauber Oliveira e masterizzato da Tony Lindgren presso i Fascination Studios, un’ulteriore garanzia di qualità, e licenziato dalla Rockshot Records .
Suoni di nobile metallo heavy/power ed un approccio magniloquente ed oscuro fanno di questo album un autentico masterpiece, incollando l’ascoltatore dalla prima all’ultima nota alle cuffie, con il rischio che prendano fuoco sotto tonnellate di riff e solos ed una vena progressiva stupefacente.
Siamo tornati ai livelli che la band raggiunse all’alba del nuovo millennio, con un Mário Linhares letteralmente indemoniato dietro al microfono ed i suoi compari che sembrano suonare tra le fiamme di qualche girone infernale, diabolici ed assolutamente imprevedibili nelle intricate trame di brani spettacolari.
Il metal classico nella sua forma più dura, aggressiva, ma allo stesso tempo raffinata ed elegante con brani che formano una mastodontica opera che si avvicina pericolosamente alla perfezione, questo è The Beloved Bones: Hell.
Inutile, come sempre in questi casi, un track by track che nulla aggiunge a quanto scritto (Smile Back To Me, King For A Moment, Parasite e Purple Letter sono tracce che nel genere trovano pochi confronti): i Dark Avenger sono tornati con l’album della vita, quello che conferma dopo così tanti anni tutto tutto il bene detto dagli addetti ai lavori ai tempi dell’uscita del secondo bellissimo lavoro.

Tracklist
1.The Beloved Bones
2.Smile Back to Me
3.King for a Moment
4.This Loathsome Carcass
5.Parasite
6.Breaking Up, Again
7.Empowerment
8.Nihil Mind
9.Purple Letter
10.Sola Mors Liberat
11.When Shadow Falls

Line-up
Gustavo Magalhães – Bass
Hugo Santiago – Guitars
Mário Linhares – Vocals
Anderson Soares – Drums
Glauber Oliveira – Guitars

DARK AVENGER – Facebook

Bone Man – III

Il modo particolare di approcciarsi al rock dei tedeschi Bone Man deriva dagli ultimi anni del secolo scorso e viene investito da un attitudine psichedelica, decollando e rimanendo in quota per tutta la durata di III.

Ci si può perdere anche nelle foreste della Germania, specialmente se veniamo rapiti dal sound di questo ottimo sesto lavoro dei Bone Man, trio che dell’ hard rock fa il suo credo, psichedelico e dai rimandi novantiani.

Infatti, il modo particolare di approcciarsi al rock dei tedeschi deriva dagli ultimi anni del secolo scorso e viene investito da un attitudine psichedelica, decollando e rimanendo in quota per tutta la durata di III.
Il trio picchia non poco, il rock graffiante dei primi Soundgarden viene stonato da tonnellate di mood psichedelico senza mai perdere la forma canzone, dunque dimenticatevi lunghe jam, care ai gruppi underground odierni (in linea con l’attitudine old school tanto cool in questi anni): tra lo spartito di III si respira rock, nascosto sotto una coltre di watt, ma dall’ottimo appeal.
Con These Days Are Gone, Wreck Under The Sea e il suo mood oscuro, Incognito con il basso che pulsa sotto l’effetto di allucinati rimandi ottantiani, e la furia stoner di Zeitgeist, si continua a girare intorno ad una radura con la brutta sensazione di esserci già passati più volte, mentre la fredda notte incalza e la speranza di tornare sulla retta via diventa una mera illusione.
Avvicinatevi con cautela a III, ma fatelo, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.Pollyanna
2.Zeitgeist
3.These Days Are Gone
4.Cold Echo
5.False Ambition
6.Wreck Under The Sea
7.Incognito
8.Years Of Sorrow

LINE-UP
Marian Klein – Guitar
Arne Doepper – Bass
Dennis “Ötzi” Oelze – Drums

BONE MAN – Facebook

The Mustangs – Just Passing Through

Just Passing Through, nuovo album dei The Mustangs, è un viaggio tra le anime del blues contemporaneo degno dei più grandi interpreti americani e del Regno Unito.

Si vola sulle ali del blues con il nuovo album di una band britannica molto apprezzata nella scena, i The Mustangs.

Attivo dal 2001, il gruppo proveniente dall’Hampshire arriva quest’anno al traguardo della doppia cifra in quanto a lavori pubblicati, confermando tutto il valore espresso fino ad oggi e l’ottima reputazione che si è costruito negli anni tra gli amanti del genere e gli addetti ai lavori.
Blues rock d’autore, dunque, anche per questo nuovo Just Passing Through, licenziato dalla Trapeze Music con cui la band collabora da tempo: l’album è formato da un lotto di brani che seguono la tradizione del british blues, alternandolo con bellissimi camei d’ oltreoceano, quindi nella musica del gruppo inglese si rincorrono le due principali anime del genere, che si incontrano e si allontanano come amanti brucianti di passione.
E’ questa la caratteristica principale del sound dei The Mustangs, che confezionano un lavoro vario e piacevole,con la chitarra di Adam Norsworthy a ricamare armonie campestri ed il profumo dell’erba bagnata dalle pioggia del nord si mescola con quello del fieno nelle pianure a sud del nuovo continente.
L’album parte con il freno a mano tirato e i primi brani, fin da Hiding From the Rain, risultano attraversati da un mood cantautorale, con il sound a scivolare sulla chitarra del leader, ma da Just The Way It Is il sole fa capolino tra le nuvole, la temperatura si alza non poco tra le armonie di Because It’s Time ed i cori a cappella di Cry No More e la febbre che si alza nella Saturday Night dei The Mustangs.
Il blues della passionale e sanguigna Save My Soul e la straordinaria From Somewhere To Nowhere alzano non poco il valore di questo lavoro che, come suggerisce la copertina, è un viaggio tra le anime del blues contemporaneo degno dei più grandi interpreti americani e del Regno Unito.

Tracklist
1.One Way Ticket
2.Hiding From The Rain
3.Fingerprints
4.Beautiful Sleeper
5.Just The Way It Is
6.Because it’s Time
7.Cry No More
8.Saturday Night
9.What Lies Within
10.Vinegar Fly
11.Save My Soul
12.From Somewhere To Nowhere
13.How Short

Line-up
Adam Norsworthy – Lead Guitar, Vocals
Derek Kingaby – Blues Harp
Jon Bartley – Drums, Backing Vocals
Ben McKeown -Bass, Backing Vocals

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