Hitwood – As A Season Bloom

Boccellari non concede neppure un secondo al proprio ego, creando un piccolo gioiello dove la parole d’ordine è emozione e consegnandoci un lavoro strumentale bellissimo.

Potremmo stare giorni, mesi o anni a discutere su quanto importante possano essere gli eventi di massa, lontano dal concerto in senso lato e più vicino proprio alla definizione evento e a quella frase (io c’ero) che diventa sempre più importante della musica stessa.

Poi, dopo avere discusso e litigato, chi dalla parte del fenomeno che unisce un intero popolo, chi invece dà ancora un valore quasi sacrale alla musica, anche e soprattutto al rock’n’roll o al metal estremo, si finisce al cospetto di un lavoro come As A Season Bloom, ep di quattro brani del polistrumentista lombardo Antonio Boccellari, alias Hitwood, reduce da un full lenght uscito lo scorso anno, intitolato When Youngness… Flies Away….
Un amore sconfinato per gli In Flames e il death metal melodico, un talento compositivo di sicuro valore ed il gioco è fatto: la sua musica può scorrere come un fiume di note, tra l’alternativo e l’estremo, piacevolmente strumentale, a tratti sognante, in certi passaggi quasi meditativa, in altri esplosiva e metallica.
Sembra facile a dirsi, ma non è così, i brani che compongono As A Season Bloom hanno una loro vita, anche se il tutto è perfettamente assemblato in un’unica opera musicale per la quale non servono le parole, persi nello spartito di A Spring Glare Where Green Shine the Brightest, piacevolmente progressiva, o nelle trame semiacustiche dell’alternativa Memories from a Gentle Summer Evening.
Tranquilli, il metal estremo è li che aspetta il suo momento, prima melodico e classico in Catch the Autumn Scent, brano a cui manca il canto di Anders Fridén per essere una canzone degli In Flames del periodo Whoracle, mentre il gioco si fa duro con la furia estrema della conclusiva Awaked By A Winter Blast, gioiellino swedish death da applausi.
Boccellari non concede neppure un secondo al proprio ego, creando un piccolo gioiello dove la parole d’ordine è emozione e consegnandoci un lavoro strumentale bellissimo, con una prima parte molto progressiva ed atmosferica che cresce d’intensità col passare dei minuti, per esplodere nell’ultimo brano: da avere e consumare.

Tracklist
1.A Spring Glare Where Green Shine the Brightest
2.Memories from a Gentle Summer Evening
3.Catch the Autumn Scent
4.Awaked by a Winter Blast

Line-up
Antonio Boccellari – Guitars, Bass, Drums

HITWOOD – Facebook

Essenza – Blind Gods And Revolution

Ennesimo ottimo lavoro per la band pugliese che, fuori dai comuni schemi, regala musica per chi sa ascoltare.

Tornano con un nuovo lavoro (il quarto di una storia nata nel lontano 1993) i leccesi Essenza dei fratelli fratelli Rizzello (Carlo, voce e chitarra, ed Alessandro, basso, accompagnati da Paolo Colazzo alla batteria), che danno un seguito al precedente “Devil’s Breath” del 2009.

Il nuovo album propone una mezzora abbondante di hard rock adulto, oscillante tra l’heavy ottantiano, uno spirito rock anni settanta, squisite divagazioni prog ed ottime parti ritmiche: tecnicamente impeccabile, mai ordinario, Blind Gods And Revolution accentua la peculiarità del trio nel non fornire all’ascoltatore troppi punti di riferimento, grazie a suoni ed atmosfere che mutano ad ogni passaggio inglobando il meglio di questi generi in un unico lavoro.
Rimane preponderante, a mio parere, una forte impronta settantiana, iniziando dalla produzione e dal cantato di Carlo Rizzello, il che ne fa un album imperdibile per gli amanti del rock più attempati; originale ed imprevedibile, il sound della band acquista valore col passare degli ascolti, permettendo all’ascoltatore di assimilarne le mille sfaccettature.
Album di non facilissimo ascolto, dunque, e sicuramente non un lavoro usa e getta come ormai siamo abituati a consumare in questi anni in cui tutto corre, bensì ottima musica che va curata, lavorata e fatta propria, lasciando che la moltitudine di note racchiuse nei brani del cd entrino dentro di noi, assaporandone ogni sfumatura, che sia essa rivolta all’heavy o al prog, o addirittura al folk come nella meravigliosa Seagulls In The Night.
I brani si susseguono tra ritmiche martellanti e trame complicate e avvincenti, i generi che di volta in volta ci appaiono tra le pieghe del disco rendono l’ascolto vario, anche se la concentrazione è d’uopo per seguire le molteplici strade prese dalla band e non perdersi all’ennesimo incrocio: i tre musicisti ci stupiscono per la scelta di vie talvolta a noi sconosciute ma affascinanti, giocando pericolosamente con la musica, come un incantatore di serpenti davanti ad un velenosissimo rettile.
Ennesimo ottimo lavoro per la band pugliese che, fuori dai comuni schemi, regala musica per chi sa ascoltare, confermandosi come realtà rock di altissima qualità.

Tracklist:
1. Plastic God (An Autumn Dream)
2. Bloody Spring
3. The Song Inside
4. The Fury of the Ancient Witch
5. Lost and Blind
6. Fight for Change
7. Seagulls in the Night
8. Time (Keep My Memories Alive)

Line-up:
Alessandro S. Rizzello – Bass
Paolo Colazzo – Drums
Carlo G. Rizzello – Vocals, Guitars

ESSENZA – Facebook

Broken Hope – Mutilated and Assimilated

I Broken Hope tornano in un momento prolifico e di ottimo livello per il genere, e un altro pezzo di storia si riprende il suo posto nella scena estrema attuale.

Mancavano i Broken Hope in questo inizio estate all’insegna del death metal, magari non una band di prima fascia, ma comunque una presenza storica nei primi anni del decennio d’oro per il metal estremo dai rimandi classici, gli anni novanta.

Swamped In Gore, il debutto licenziato nel 1991 e poi i quattro monoliti death metal usciti tra il 1993 ed il 1999, avevano consegnato la band alla storia del death metal statunitense, pregno di un’attitudine brutal che li poneva perfettamente a metà strada  tra l’accoppiata Obituary/ Macabre e Cannibal Corpse.
Poi come spesso accade, è arrivato un lungo stop durato tredici anni, durante il quale i Broken Hope hanno perso quel briciolo di notorietà nonché il singer Joe Ptacek, venuto a mancare nel 2010.
Il ritorno nel 2013 con il buon Omen of Disease segnava la riscoperta da parte dei fans del combo di Chicago, confermato da questo nuovo lavoro, che vede saldamente dietro al microfono Damian “Tom” Leski, già a ruggire sul precedente lavoro.
Mutilated and Assimilated esce per Century Media, sarà distribuito in diverse versioni ed inizierà la sua opera di distruzione nella seconda metà di giugno dell’anno di grazia 2017.
Non ci vuole molto per capire di che pasta è fatto il sound del gruppo americano, semplicemente perfetto nell’assecondare tutti i cliché della scuola d’oltreoceano: death e brutal si rincorrono per conquistare il trono su cui verrà sacrificato quest’opera, un vero massacro old school, puro e devastante metal estremo, oscuro, maligno e cattivo come un serial killer in pieno trip da tortura.
I Broken Hope sono musicisti tripallici e lo dimostrano con una forza ed un impeto fuori misura, il muro sonoro innalzato con The Bunker, o la terrificante title track viene abbattuto da una serie di blast beat ed esplosioni ritmiche terribili e poi subito dopo ricostruito con l’arrivo di potente metallo brutale (The Necropants).
Si chiude alla grande con i cambi di ritmo e la varietà di Swamped In Gorehog, mix letale di due brani presi da Swamped In Gore, progressivo e brutale death metal ed ottima conclusione di un album fiero e potente.
I Broken Hope tornano in un momento prolifico e di ottimo livello per il genere, e un altro pezzo di storia si riprende il suo posto nella scena estrema attuale.

TRACKLIST
1. The Meek Shall Inherit Shit
2. The Bunker
3. Mutilated and Assimilated
4. Outback Incest Clan
5. Malicious Meatholes
6. Blast Frozen
7. The Necropants
8. The Carrion Eaters
9. Russian Sleep Experiment
10. Hell’s Handpuppets
11. Beneath Antarctic Ice
12. Swamped-In Gorehog

LINE UP
Jeremy Wagner – guitars
Mike Miczek – drums
Damian Leski – vocals
Diego Soria – bass
Matt Szlachta – guitars

BROKEN HOPE – Facebook

Oranjeboom – Here Comes The Boom

Cinque musicisti con il rock americano nel sangue, che loro trasformano in un hard groove moderno, devastante quando vuole far male, sognante e ricco di quella poesia sudista che non lascia scampo.

L’hard rock si impregna di sudore e polvere, la strada brucia sotto le gomme della propria amante a due ruote: Sidewalk, con il suo sound  ci schiaccia la testa ormai spappolata dal sole e lacerata dal groove irresistibile di T.K.O. e delle altre tracce che compongono questo debutto tutto impatto ed attitudine dal titolo Here Comes The Boom.

Colpevoli di tante rotture di crani e ritiri di patente (se provate ad ascoltare l’album mentre guidate) sono gli umbri Oranjeboom, attivi dal 2015 come trio southern acustico ma trasformati in una hard rock band dopo l’entrata degli ultimi due elementi.
La firma con la label napoletana Volcano Records & Promotions e l’uscita dell’album in questa infuocata estate 2017, sono per la band lo scatto bruciante, la partenza a razzo, il diretto nello stomaco che ci voleva per iniziare al meglio la propria storia discografica.
E Here Comes The Boom è quello che gli amanti dell’hard rock moderno, dal groove micidiale, dalle atmosfere e dalle sfumature alternative stoner vogliono sentire, mentre la tradizione sudista è sempre li a farci godere di rimandi ai Lynyrd Skynyrd (Once Again), ai Black Label Society e ai Black Stone Cherry (Stolen Goods) e ai nostri Hangarvain (Bleeding Out).
Cinque musicisti con il rock americano nel sangue, che loro trasformano in un hard groove moderno, devastante quando vuole far male, sognante e ricco di quella poesia sudista che non lascia scampo e ci fa accostare la moto al lato della strada,  ad assaporare l’odore dell’asfalto bollente, segno di un viaggio che è lungi dal terminare.
Detto di una bellissima cover del classico di Stevie Wonder, Higher Ground, in versione stoner, vi consiglio di non perdervi questo bellissimo debutto, stando attenti agli effetti collaterali: un bisogno irrefrenabile di spingere sull’acceleratore e la voglia di mollare tutto ed avventurarsi per un viaggio ai margini della frontiera, accompagnati dalla musica degli Oranjeboom.

TRACKLIST
1. Sidewalk
2. T.K.O.
3. Stolen goods
4. Bleeding out
5. Higher ground
6. Once again
7. Anechoic chamber

LINE UP
Alessio (Smoke) Covarelli – Voice-Guitar
Mauro (Sgrat) Alocchi – Bass Guitar
Claudio (Pit) Patalini – Guitar
Riccardo (Rikki) Baldassarri – Guitar
Francesco (Kendy) Montalto – Drums

ORANJEBOOM – Facebook

Selcouth – Heart Is The Star Of Chaos

Un lavoro ambizioso che ha bisogno di essere apprezzato con la dovuta calma degli ascoltatori più attenti, un’opera che potrà piacere o meno ma indubbiamente di grande originalità.

Album affascinante e di difficilissima interpretazione, Heart Is The Star Of Chaos, debutto dei Selcouth licenziato dalla I, Voidhanger Records, si presenta come un caleidoscopio di influenze e generi musicali assemblati in un unico sound dalle mille sfumature, atmosfere e suoni,

Dietro al monicker si nasconde una multinazionale di musicisti, provenienti da vari paesi del mondo come la Finlandia, la Francia, la Spagna, la Russia e l’Argentina; infatti membri di Khanus, Smohalla, Stagnant Waters, Pryapisme, Fixions, As Light Dies, Aegri Somnia e Monje de Fuego fanno parte di questa colonia di talenti che vanno a comporre una line up interminabile.
Tutta questa abbondanza porta ad un unico risultato, sorprendere l’ascoltatore con sfumature e linee melodiche cangianti, in un’alternanza di musica senza confini , continuamente in movimento tra il bianco ed il nero, l’estremo e la melodia, ma sempre difficilmente catalogabile.
I nove brani formano una lunga jam di musica senza barriere tra l’eleganza del jazz e della fusion, l’intricata melodia del progressive più evoluto e l’irruenza del metal, con voci delle più disparate che si danno il cambio al microfono, per nulla scontate ma perfettamente inserite nelle varie atmosfere dei capitoli che formano Heart Is The Star Of Chaos.
La parola d’ordine è sorprendere e l’album è un viaggio visionario  e pieno di sorprese, dentro un vortice di musica che accoglie in sé lo spirito della musica moderna, progressivamente fuori dagli schemi.
Heart Is The Star Of Chaos è un lavoro ambizioso che ha bisogno di essere apprezzato con la dovuta calma degli ascoltatori più attenti, ed un’opera che potrà piacere o meno ma indubbiamente di grande originalità, posizionandosi a tratti tra le visionarie partiture degli Arcturus e Solefald.

TRACKLIST
1. Strange Before The Calm
2. Nightspirit
3. Gaia
4. Querencia
5. Hopes And Lost Treasures
6. Below Hope
7. Sunless Weather
8. Flying Canopies
9. Rusticus

LINE-UP
Joonas “Sovereign” Juntunen
Markus Liimatainen
Aymeric Thomas
Meltiis
Juuso Juntunen
Mikko Nuorala
Vincent “Slo” Cassar
Andres Ruiz
Oscar “Nightmarer” Martin
Ai Vihervaara
Milja Juntunen
Tuukka Myllymäki

SELCOUTH – Facebook

JMP – Jam Movie Project

Una conferma del talento di questi splendidi musicisti, ed un album che dovrebbe far parte della collezione di chiunque abbia a cuore le sorti di queste due forme d’arte che il trio ha racchiuso in un prezioso scrigno.

Molte volte un capolavoro nasce per caso, da un incontro, una collaborazione, oppure uno sguardo o un’intuizione che l’artista mette in musica o illustra si un quadro.

Noi ci fermiamo alle due forme che, unendosi, creano opere monumentali, spesso senza fare a meno l’una dell’altra, facendo innamorare chi l’arte non la vive solo superficialmente: il cinema e la musica.
Torniamo ad occuparci della Qua’ Rock Records e del suo mastermind, il chitarrista Gabriele Bellini (Pulse R. e Hyaena tra gli altri) e del suo sodalizio con la cantante d’opera Claire Briant Nesti, in forza ai notevoli Inside Mankind e protagonista al microfono su Metamorphosis Revisited, dei “nuovi” Hyaena.
Insieme al fido batterista e percussionista Michael Agostini, terzo ed importantissimo tassello di questo fenomenale progetto, i due decidono di dare sfogo alla passione per il cinema con questa spettacolare e personale versione di brani tratti da film famosi ma, a mio parere, non così scontati.
Infatti, tre dei cinque brani prendono ispirazione dal mondo parallelo di Matrix, dalle intricate trame omicide di Saw e dall’atmosfera dark fumettistica del capolavoro Sin City, pellicole di cassetta ma spesso dimenticate nelle preferenze degli abituali frequentatori delle sale cinematografiche.
La grandezza di questo lavoro sta nella cura con cui i musicisti hanno composto questo immenso puzzle, oltre ovviamente alla bravura di una Nesti perfettamente a suo agio nel riproporre in versione operistica le varie atmosfere, usando la sua bellissima voce come un vero e proprio strumento, e un Bellini che fa meraviglie con la sei corde, con l’aggiunta di un drummer che sfoggia tecnica sopraffina ed almeno altre due braccia.
Detto delle bellissime ed oscure Halloween Songs (Saw), Can’t Kill Us (Sin City) e Clubbed To Death (Matrix), il cuore dell’album pulsa di uno splendido mix tratto dalle colonne sonore di alcuni tra i film più belli della storia del cinema più qualche accenno ad icone della nostra musica preferita, in un vortice di sorprese, come se schiacciando il tasto play avessimo aperto una straordinaria scatola musicale che i tre musicisti hanno riempito di sublime arte.
Rock Movie Story “Part One” e Olympics Movie sono due capolavori che non lasceranno indifferenti chi vive di musica a 360°.
Una conferma del talento di questi splendidi musicisti, ed un album che dovrebbe far parte della collezione di chiunque abbia a cuore le sorti di queste due forme d’arte che il trio ha racchiuso in un prezioso scrigno.

Tracklist
1 – Halloween Songs “SAW”
2 – Can’t Kill Us “SIN CITY”
3 – Rock Movie Story “Part One”
4 – Olympics Movie
5 – Clubbed To Death “MATRIX”

Line-up
Gabriele Bellini – Guitars
Claire Briant Nesti – Vocals
Michael Agostini – Drums, percussion

JMP – Facebook

Final Coil – Persistence of Memory

I Final Coil hanno creato un mondo di note rock che vivono di tramonti musicali, un sound che risulta come una giornata che volge al termine e all’imbrunire si tirano le somme delle ultime dodici ore alle prese con il mondo circostante.

E’ più difficile di quanto possa sembrare riuscire a combinare ed amalgamare, in un unico sound, rock alternativo, post grunge e progressive, senza diventare delle copie dei soliti e alquanto depressivi Tool, anche se l’atmosfera rimane intimista in tutta la durata dell’album.

I Final Coil, con il primo lavoro sulla lunga distanza ci sono riusciti, creando un mondo di note rock che vivono di tramonti musicali, un sound che risulta come una giornata che volge al termine e all’imbrunire si tirano le somme delle ultime dodici ore alle prese con il mondo circostante.
Provenienti da Leicester (Regno Unito), con due ep alle spalle ed una fresca firma con la nostrana Wormholedeath, il quartetto britannico, si è nutrito di musica rock sparsa per il vecchio millennio e la rigetta nel nuovo, rielaborata sotto forma di un post rock progressivo ed emozionale, raffinato e mai sopra le righe: progressivo nella più moderna concezione del termine, anche se lasciano ad altri mere partiture tecniche per una proposta senz’altro più emozionale e sentita.
Un rock che non sconfina mai nel metal, mantenendo un approccio a tratti indie, mescolandosi così tra le proposte più cool di questo inizio millennio: Persistence Of Memory è pregno di post rock che varia nei suoi sessanta minuti abbondanti di musica e che prova, riuscendoci, a non erigere barriere, passando con disinvoltura tra i generi e le atmosfere citate.
Ci si deve fermare e dedicarvi tutto il tempo necessario perché brani come l’opener Corruption, la lunga e cangiante Failed Light, l’eleganza del post rock adulto di Lost Hope, facciano braccia in noi prolungando un tramonto ormai passato al buio nostalgico di una notte profonda illuminata dalla luna e dalle raffinate note progressive dei Final Coil.

TRACKLIST
1. Corruption
2. Dying
3. Alone
4. You Waste My Time
5. Myopic 6. Failed Light
7. Spider Feet
8. Lost Hope
9. Moths To The Flame
10. In Silent Reproach
11. Alienation

LINE-UP
Phil Stiles – Lead Vocals; Rhythm Guitar; Lead Guitar; Synths & Programming
Richard Awdry – Lead Guitar; Rhythm Guitar; Vocals; Programming
Jola Stiles – Bass Guitar; Flute
Tony ‘Ches’ Hughes – Drums & Programming

FINAL COIL – Facebook

Jumpscare – Sowing Storm

EP di debutto per i napoletani Jumpscare, gruppo modern metal che si muove tra furia thrash e muri sonori di stampo metalcore.

I modern thrashers napoletani Jumpscare debuttano per Volcano Records & Promotions con Sowing Storm, ep di tre brani che mette in luce il buon impatto del quintetto.

Attiva da un paio d’anni ma con una buona presenza live, la band dimostra la sua notevole carica metallica, a tratti estrema ma talvolta tenuta al guinzaglio da un approccio alternative metalcore con cui  prova a rendere più cool la proposta, riuscendoci solo in parte.
Infatti i Jumpscare offrono il meglio quando la parte selvaggia del vecchio e mai domo thrash metal prende il sopravvento, risultando invece leggermente forzati nelle parti in cui i ritmi si fanno più marziali e di tendenza.
The Climb è un brano che colpisce nel segno, riuscito nelle melodie senza perdere la carica estrema, segue il brano più thrash dei tre, l’opener My Purifyng Day, mentre con la title track le caratteristiche del sound utilizzato dal gruppo sono ben bilanciate tra furia metallica thrash oriented ed atmosfere core.
Si viaggia nei territori del metal moderno, i brani sono aggressivi e dall’impatto prevalentemente live, un muro sonoro che troverà la sua dimensione sopra un palco ma che ancora deve essere meglio focalizzato in fase di registrazione.
Aspettiamo buone nuove da un eventuale full length, consigliando l’ascolto ai fans accaniti del genere.

TRACKLIST
1.My Purifying Day
2.The Climb
3.Sowing Storm (The day of your dark decay)

LINE UP
Lorenzo Gallo  – Vocals
Salvatore Andrea Ciccarelli – Bass Guitar
Vincenzo Mussolino- Guitar
Graziano Ciccarelli – Drums

JUMPSCARE – Facebook

Les Chants du Hasard – Les Chants du Hasard

Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

Ancora oggi, a più di vent’anni dalla loro uscita, i primi due album degli Elend (Leçons de Ténèbres nel 1994 e Les Ténèbres du Dehors due anni dopo), sono considerati come dei capolavori di musica dark ambient e classica, nei quali l’attitudine estrema era assolutamente concettuale e la musica manteneva una sua perfetta connotazione fuori dagli schemi del metal.

Allora qualcuno parlava più di nuova musica classica che di sottogenere metal e non a torto, vista la totale mancanza di strumenti tradizionalmente rock.
Questo nuovo progetto, anch’esso di provenienza transalpina, si avvicina non poco allo stile del magico gruppo franco/austriaco, una one man band che vede il compositore Hazard alle prese con un’affascinate musica orchestrale, profondamente dark e dall’animo black metal, che si evince dall’uso dello scream, nei passaggi vocali, mentre le tastiere disegnano arabeschi sinfonici e drammatici.
Leggermente meno mistica ed occulta rispetto a quella degli Elend, la musica di Hazard è sicuramente più teatrale, creando un’opera che, chiudendo gli occhi, prende forma nella mente come trasposizione artistica sul palco di un teatro dell’orrore.
I sei capitoli seguono un percorso metaforico su dilemmi esistenziali, dunque lasciando ad altri sterili colonne sonore di film fantasy, mentre piano piano la musica di Hazard si fa spazio tra i meandri dell’inconscio, facendosi ad ogni ascolto sempre più profonda, oscura e a suo modo estrema.
Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

TRACKLIST
1. Chant I – Le Théâtre
2. Chant II – Le Soleil
3. Chant III – L’Homme
4. Chant IV – L’Enfant
5. Chant V – Le Die
6. Chant VI – Le Vieillesse

LINE-UP
Hazard – Orchestrations

LES CHANTS DU HASARD – Facebook

Thunder Godzilla – Thunder Godzilla

Discone pesante e potente, un macigno stoner che non fa prigionieri, per gli amanti del genere una gradita sorpresa tutta made in Italy.

Andromeda Relix ci stupisce ancora una volta con l’esordio dei Thunder Godzilla, gruppo stoner metal in arrivo da una Padova trasformata nel deserto della Sky Valley.

Il gruppo che accompagna le scorribande del famoso lucertolone in copertina è formato da Marco al basso ed alla voce, da Jonny alle pelli e da Espo alla sei corde, il suo sound è stoner metal doc, potente, devastante e pregno di quell’attitudine desertica dei primi Kyuss,
E sono proprio i Kyuss il gruppo a cui il trio fa riferimento, mantenendo comunque un’ottima personalità che affiora tra le trame fumose di questo pezzo di granito stonerizzato.
L’opener Tokio Avenger, le bordate stonate di Goliath, gli echi doom di Mammoth King fanno da colonna sonora alla distruzione che il rettile gigante perpetra in giro per lo spazio, ancora più profondo se accompagnato dal pesantissimo sound del trio padovano, assolutamente a suo agio nel portare ad un livello più estremo l’approccio di matrice desertica.
Qui si suona il genere senza compromessi, sguaiato, devastante e distruttivo, come lo scodinzolio dell’enorme coda dil Godzilla, mentre paesi e città vengono distrutti da questa apocalisse stoner.
Il sole cuoce crani e carni, la distruzione è computa e mentre la band ci lascia con il massacro beatlesiano di una Day Tripper sconvolta da sostanze illegali, il mostro si allontana, un pesante ammasso di artigli e ruvida pelle che neppure i missili dell’ormai decimata difesa terrestre riescono a scalfire.
Discone pesante e potente, un macigno stoner che non fa prigionieri, per gli amanti del genere una gradita sorpresa tutta made in Italy.

01. Tokyo Avenger
02. Lie to Me
03. Goliath
04. Fears
05. Get Away
06. Psycho
07. Mammoth King
08. Pressure
09. Yoga Fire
10. Black Hammer
11. Day Tripper

Line up:
Thunder Jonny – Drums
Thunder Espo – Guitars
Thunder Hiyuga – bass, vocals

THUNDER GODZILLA – Facebook

Walpyrgus – Walpyrgus Nights

La qualità altissima delle composizioni mi porterebbe a comporre un track by track oltremodo antipatico, quindi sappiate che, dall’opener The Dead Of Night fino alla conclusiva title track, è un susseguirsi di emozionanti avventure nel mondo dell’heavy metal classico.

Collaborare con MetalEyes significa sguazzare nell’underground, aiutati nella ricerca di chicche metalliche da presentare ai lettori grazie ad una serie di label che ci invitano all’ascolto di perle altrimenti a forte rischio di passare inosservate ai più.

Twisted Tower Dire è un nome che a molti non non dice nulla, ma per chi è attento al sottobosco musicale si tratta una band americana di culto, attiva da più di vent’anni nell’heavy power metal con una serie di album uno più bello dell’altro, con l’ultimo uscito ormai sei anni fa (Make It Dark).
Tre quinti di questa splendida realtà dell’ underground metallico classico statunitense li ritroviamo negli altrettanto spettacolari Walpyrgus: Jonny Aune, grande vocalist (ex Widow), Scott Waldrop ad una delle due chitarre (l’altra è lasciata nelle mani di Charley Shackelford) ed il bassista Jim Hunter a formare la sezione ritmica con il drummer Carlos Denogean.
Il quintetto del North Carolina arriva così a questo bellissimo debutto dopo che, in più o meno tre anni, ha rilasciato una serie di singoli e live all’insegna di uno splendido esempio di heavy metal old school, dalle tematiche horror, ma assolutamente melodico, ricco di solos maideniani, chorus magnifici ed un talento spropositato nel creare brani sparati direttamente nell’olimpo dell genere, tra tradizione britannica e power americano, un sodalizio perfetto per far perdere la testa ai defenders di tutte le età.
Io non so quanti avranno la fortuna di ascoltare Walpyrgus Nights e le sue otto irresistibili composizioni, ma credetemi se vi dico che qui siamo nella perfezione nel campo dell’heavy metal di ispirazione e attitudine vecchia scuola, non superando di fatto il 1985 come ispirazioni, ma arrivando sul tetto del metal underground (a livello qualitativo) in questo 2017 che sta dando grosse soddisfazione in campo classico.
La qualità altissima delle composizioni mi porterebbe a comporre un track by track oltremodo antipatico, quindi sappiate che, dall’opener The Dead Of Night fino alla conclusiva title track, è un susseguirsi di emozionanti avventure nel mondo dell’heavy metal classico.

TRACKLIST
1. The Dead Of Night
2. Somewhere Under Summerwind
3. Dead Girls
4. Lauralone
5. Palmystry
6. She Lives
7. Light Of A Torch (Witch Cross cover)
8. Walpyrgus Nights

LINE-UP
Jonny Aune – Vocals
Scott Waldrop – Guitars
Charley Shackelford – Guitars
Jim Hunter – Bass
Peter Lemieux – Drums
Tom Phillips – Keyboards, Guitars

WALPYRGUS – Facebook

Mess Excess – From Another World Part 1

Con un orecchio al metallo progressivo dei Queensryche e l’altro al rock raffinato delle icone prog settantiane, i Mess Excess costruiscono un concept ispirato e maturo

Gli album licenziati dalla nostrana Qua’ Rock hanno la caratteristica di non risultare mai banali o di maniera, è così che la label guidata dal chitarrista Gabriele Bellini (Pulse R., Hyaena) si sta ritagliando uno spazio sempre più importante sul mercato rock/metal nazionale.

Con i Mess Excess ci avventuriamo in un concept di matrice socio/politica e dal sound progressivo e molto originale, la prima parte di una storia che avrà la sua conclusione sul secondo capitolo.
From Another World Part 1 è il secondo album del gruppo toscano, attivo dal 2009 ed arrivato ad oggi dopo molti cambi nella line up e Fly Away, licenziato un paio di anni fa.
Caratterizzato da una doppia voce femminile, il sound si impossessa del rock progressivo in auge negli anni settanta e lo accompagna con il metal del decennio successivo, trasformandolo in un ottimo e personale esempio di maturità compositiva.
Con un orecchio al metallo progressivo dei Queensryche e l’altro al rock raffinato delle icone prog settantiane, i Mess Excess costruiscono un concept ispirato e maturo, una storia che affronta i misteri e i segreti del potere, molto attuale se ci specchiamo nella società odierna, ormai giunta ad un punto di non ritorno.
I Mess Excess ci regalano un album intenso, suonato divinamente e ricco di parti emozionanti, racconto e cantato splendidamente da Martina Lotti ed Helene Costa: una quarantina di minuti, durata perfetta per godere ed entrare nel mondo e nel racconto della band, facile da assimilare e notevole nel non lasciare mai che l’una delle due anime prenda il sopravvento, così da venire investiti da cambi di tempo e atmosfere, passando dal prog metal ritmicamente sontuoso al classic rock d’autore ed impreziosito da un gran lavoro dei tasti d’avorio.
Opera da ascoltare nella sua interezza, From Another World part 1 non ha brani trainanti, ma lascia quella sensazione di suite divisa in capitoli, come la tradizione progressiva vuole, partendo dall’inizio della storia (Amazing Dystopia), passando per lo strumentale Brainstorm, il metal progressivo della splendida In Loving Memory e delle talentuose note di Mesmerize e Deranged.
La raffinata eleganza della ballad Glimpse Of Hope chiude la prima parte di From Another World e ci dà appuntamento con il secondo capitolo, noi siamo già in spasmodica attesa …

TRACKLIST
1.Amazing Dystopia
2.Brainstorm
3.In Loving mamory
4.Mesmerize
5.Deranged
6.Glimpse Of Hope

LINE UP
Martina Lotti – Lead Vocals
Alessandro Santi – Guitars & Backing Vocals
Andrea Giarracco – Bass & Backing Vocals
Fulvio Carraro – Keyboards & Piano
Roberto Prato – Drums
Helene Costa – Backing Vocals

MESS EXCESS – Facebook

Atlantean Kodex – The Annihilation Of Bavaria

Questo ennesimo live album (il terzo in dieci anni) immortala gli Atlantean Codex in una delle loro migliori performance, questa volta sul palco di Theuern nel novembre di due anni fa.

Per gli amanti dell’epic doom metal i tedeschi Atlantean Kodex sono diventati in poco tempo una cult band, amata e rispettata da molti nell’ambiente.

Questo ennesimo live album (il terzo in dieci anni) immortala il quintetto di Vilseck in una delle sue migliori performance, questa volta sul palco di Theuern nel novembre di due anni fa, con un brano inedito dato in pasto agli astanti (Kodex Battalions) e più di novanta minuti di epico doom metal, con il gruppo solido come una quercia secolare della foresta nera ad ipnotizzare un pubblico partecipe ed in totale trip da battaglia, con guerre e fatti storici raccontati con un trasporto ed un talento emozionale che rende la proposta del gruppo fuori dai soliti schemi del genere conservatore per antonomasia.
Una band di culto, amatissima e seguita nei dettagli dai fans che accompagnano il singer Markus Becker in ogni sua performance, arrivando a toccare vette di puro delirio epico con band e pubblico a formare un solo mastodontico monumento al genere in molti dei brani proposti, su cui spiccano le splendide Twelve Stars And An Azure Gown, Enthroned In Clouds And Fire, dall’ultimo album The White Goddess uscito ormai quattro anni fa, o Pilgrim e A Prophet in the Forest dal primo full lenght, The Golden Bough (2010).
In poche parole questo nuovo album è un regalo del gruppo ai suoi fans, uno spaccato di quello che gli Atlantean Kodex sono stati in grado di offrire in questi anni, musica di qualità all’insegna dell’epic doom, un genere certo non facile da percorrere se non si è totalmente coinvolti nell’attitudine e nell’approccio, oltre ovviamente ad un talento compositivo adeguato.
Detto di un suono che rende giustizia alla musica senza farla sembrare plastificata come in molti album live, non mi rimane che consigliare l’ascolto agli amanti del genere che non conoscono ancora la band tedesca, mentre i fans abituali non necessitano sicuramente del mio invito ed avranno The Annihilation Of Bavaria già ben esposto nella loro discografia.

TRACKLIST
01. From Shores Forsaken
02. Pilgrim
03. Trumpets of Doggerland
04. Sol Invictus
05. Bilwis
06. Heresiarch
07. Twelve Stars and an Azure Gown
08. Der Untertang der Stadt Passau
09. Enthroned in Clouds and Fire
10. White Goddess Unveiled
11. The White Ship
12. Kodex Battalions
13. A Prophet in the Forest
14. The Atlantean Kodex

LINE-UP
Markus Becker – Vocals
Manuel Trummer – Guitars
Michael Koch – Guitars
Florian Kreuzer – Bass
Mario Weiss – Drums

ATLANTEAN KODEX – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=hHH1MJIr3i8

Vetriolica – Dichiarazione D’Odio

Ci mettono tanto impatto ed attitudine i Vetriolica, il loro lavoro risulta caratterizzato da una forza che vi travolgerà in tutta la sua insana potenza nella sua dimensione più consona, quella dal vivo.

E’ dagli inizi degli anni novanta che i Vetriolica da Verona hanno fatto la loro comparsa sulla scena estrema nazionale, prima con una formazione a tre che li ha visti protagonisti di infuocati live per supportare i due demo (Vetriolica e Bambini Epilettici) ed il primo full length Ferocia, prodotto da Paul Chain.

Nel 2013 il ritorno con una formazione a quattro ed una sezione ritmica nuova di zecca (Jack Tusk al basso e Hubert Fast alle pelli) che si aggiunge ai due musicisti storici, Henry Ford (chitarra e voce) e Marious Kalash (voce e chitarra).
Per Andromeda Relix esce questo nuovo lavoro intitolato Dichiarazione D’Odio, un belligerante esempio di metal estremo di matrice moderna, groovy e che unisce thrash, metalcore e qualche spunto hardcore per un devastante e quanto mai esplosivo risultato d’insieme.
Testi in italiano, urlati ma non sguaiati, una potenza senza freni e una devozione per i fratelli Cavalera fanno di Dichiarazione D’Odio il classico lavoro diretto e senza filtri, un muro sonoro violento che si avvale di qualche spunto melodico, ma non perde un grammo di pesantezza per tutta la sua durata.
La sensazione è di essere al cospetto di una band vera, lontana da certa aggressività di facciata o da ruffianerie volte a fare breccia nei giovani utenti di canali satellitari: con i Vetriolica ci si fa male, molto male, presi a pugni dall’immane violenza di Impatto Zero, Vuoto a Perdere o Psicotropazione.
Ci mettono tanto impatto ed attitudine i Vetriolica, il loro lavoro risulta caratterizzato da una forza che vi travolgerà in tutta la sua insana potenza nella sua dimensione più consona, quella dal vivo.
Un buon ritorno, consigliato agli amanti dei suoni estremi di matrice thrash core.

TRACKLIST
1.      Melma
2.      Vetriolica
3.      Impatto Zero
4.      Malata
5.      Exxon Valdez
6.      Vuoto a Perdere
7.      Senza Appello
8.      2473
9.      Psicotropazione
10.  Discesa agli Inferi

LINE UP
Marious Kalashnikov – Vocals, guitars
Henry Ford – Guitars, vocals
Jack Tusk – Bass
Hubert Taba – Drums

VETRIOLICA – Facebook

Druknroll – Bad Math

Se questi quindici minuti di musica racchiusi in Bad Math fungono da apripista ad un prossimo full length, state pronti perché ci sarà da divertirsi.

Thrash metal progressivo e moderno, attraversato da umori death ed elettronici per una proposta molto interessante, peccato solo che questo Bad Math sia un ep di tre brani.

I Drunknroll sono attivi dal 2006 come one man band del polistrumentista Druknroll e hanno all’attivo una manciata di full length e due ep.
Col tempo il musicista russo ha poi trasformato la sua creatura in una band a tutti gli effetti e questo nuovo lavoro vede i Druknroll esibirsi come quartetto, con Maks Perepelkin alla sei corde, il cantante Horror al microfono, Knip alle prese con effetti, chitarre e tastiere, ed ovviamente Drunknroll che si danna con chitarre, batteria, basso e tasti d’avorio.
Mekong Delta e Voivod aleggiano in un sound moderno ed estremo, qualche richiamo agli Strapping Young Lad ed una predisposizione per il death melodico sono le componenti che vanno a formare la musica del musicista russo.
Thrash metal che ha nell’anima progressiva il suo punto di forza, con le tastiere che creano ricami eleganti in un contesto violento, colmo di cambi di tempo e sei corde trattate con una perizia tecnica invidiabile.
Horror inveisce sul microfono con la rabbia di un singer melodic death e le tre tracce risultano un ottima presentazione del gruppo agli ascoltatori occidentali.
Se questi quindici minuti di musica racchiusi in Bad Math fungono da apripista ad un prossimo full length, state pronti perché ci sarà da divertirsi.

TRACKLIST

1. Bad Math
2. On the Hook
3. The Heroes of the War

LINE-UP

Maks Perepelkin – lead guitar
Horror – vocals
Knip – guitars, sound effects, keys
Druknroll – guitars, bass, keys, drums

VOTO
7.20

URL Facebook
http://vk.com/druknrollcommunity

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

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The Interbeing – Among The Amorphous

Un buon ibrido tra gli ormai scontati cliché di un genere (il metalcore) che risulta in affanno da un paio di anni a questa parte e l’industrial classico, più vicino al death metal, e meno ad MTV…

Tornano con il secondo lavoro sulla lunga distanza gli industrial metallers The Interbeing, gruppo danese che bene aveva fatto parlare di sé all’indomani dell’uscita del debutto Edge Of The Obscure, risalente ormai a sei anni fa.

Prodotto da Jonas Haagensen (Amaranthe, Pretty Maids e Volbeat), Among the Amorphous si muove tra l’industrial metal ed il metalcore, pregno di ritmiche sincopate ma dal potentissimo groove, fulminanti esplosioni e aperture melodiche nei cori puliti che, come di moda oggigiorno, abbondano.
Personalmente preferisco la band quando si fa rabbiosa nelle sue pulsioni  rabbiosa esplode all’unisono, una bomba estrema industrial metal come si sentiva un po’ di anni fa, tra la tecnica devastante dei Meshuggah  e le fredde ritmiche dei Fear Factory, mentre le parti melodiche abbassano leggermente la tensione avvicinandosi troppo al sound in uso di questi tempi.
Un dettagli perché l’uso dei campionamenti è perfettamente inserito nel metal moderno del gruppo, le atmosfere rimangono piacevolmente estreme e quando il gruppo si avvicina al djent risulta davvero in gamba (Borderline Human).
Chiaramente in un album del genere la differenza la fanno i brani che in generale si mantengono su buoni livelli, estremi, non facili da assimilare in modo immediato ma che escono alla distanza.
Un buon ibrido tra gli ormai scontati cliché di un genere (il metalcore) che risulta in affanno da un paio di anni a questa parte e l’industrial classico, più vicino al death metal, e meno ad mtv, Among The Amorphous ha nel suo insieme il suo punto di forza , anche se l’opener Spiral Into Existence e Pinnacle Of The Strain meritano una menzione, specialmente la seconda per un lavoro ritmico sopra le righe.
Un album che riporta l’attenzione sulla scena danese, almeno per quanto riguarda il genere, patria di gruppi notevoli come i Mnemic ed i Rauchy, ma poco prolifici, in un mondo musicale che, purtroppo anche nel metal tende a dimenticare.

TRACKLIST
01. Spiral into Existence
02. Deceptive Signal
03. Sins of the Mechanical
04. Borderline Human
05. Purge the Deviant
06. Cellular Synergy
07. Enigmatic Circuits
08. Pinnacle of the Strain
09. Sum of Singularity
10. Among the Amorphous

LINE UP
Dara Toibin – Vocals
Torben Pedersen – Guitars, Vocals
Boas Segel – Guitars, Programming
Jacob Hansen – Bass
Kristoffer Egefelt – Drums

THE INTERBEING – Facebook

Burning Witches – Burning Witches

Album da incorniciare e appendere al muro come un quadro che nasconde un incantesimo, Burning Witches è consigliato a chi vuole ascoltare heavy metal classico, duro come l’acciaio e diabolicamente melodico.

Debutto omonimo per le cinque streghe svizzere, al secolo Burning Witches, che non mancherà di infiammare cuori ed orecchie dei metallari dai gusti classici.

Prodotto da V.O. Pulver e Marcel Schmier (Destruction) l’album è un tuono seguito dal un lampo di devastante heavy metal tutto grinta, attitudine e bravura; si perché Seraina, Romana, Alea, Jay e Lala oltre ad essere davvero belle, sono bravissime, ipnotizzando, esaltando e piazzando incantesimi diabolici a colpi di metallo che sputa lingue di fuoco.
Le Burning Witches sono attive da un paio d’anni, fondate in quel di Brugg dalla chitarrista Romana Kalkuhl, raggiunta in poco tempo dalle altre ragazze per dare inizio al sabba metallico, prima con un singolo uscito lo scorso anno e composto dai brani Black Widow e Burning Witches, che ritroviamo su questo full length fatto di un heavy metal graffiante, suonato e cantato ottimamente e composto da un lotto di canzoni eccellenti, per quarantacinque minuti di delirio metallico, tra riff taglienti, refrain irresistibili e melodie sopra la media, che vanno a comporre uno dei dischi classici più belli dell’anno.
Non cercate di resistere a questo violento e rabbioso incantesimo, le cinque spose del diavolo vi strapperanno l’anima con una serie di hit heavy metal che seguono i binari infernali dei Judas Priest, l’oscurità che pervade l’U.S.Metal e avvicinano il loro album al bellissimo esordio dei Benedictum di Veronica Freeman, anche se Burning Witches risulta più legato al metal classico ottantiano rispetto alle bordate heavy hhrash di Uncreation.
Non una nota fuori posto, non un brano che sia sotto l’eccellenza, Burning Witches è addirittura troppo bello per essere vero, proprio come una fattura, dove la parola magica va ricercata tra le note di questa raccolta di spettacolari pezzi di granito heavy metal come le già citatate Black Widow Burning Witches, il mid tempo in crescendo di The Dark Companion, la bellissima ballad Save Me, o la devastante e sanguinosa Creator Of Hell.
Album da incorniciare e appendere al muro come un quadro che nasconde un incantesimo, Burning Witches è consigliato a chi vuole ascoltare heavy metal classico, duro come l’acciaio e diabolicamente melodico.

TRACKLIST
1.Black Widow
2.Burning Witches
3.Bloody Rose
4.Dark Companion
5.Metal Demons
6.Save Me
7.Creatures of the Night
8.We Eat Your Children
9.Creator of Hell
10.The Deathlist
11.Jawbreaker

LINE-UP
Jeanine Grob – Bass
Lala Frischknecht – Drums
Romana Kalkuhl – Guitars
Seraina Telli – Vocals
Alea Wyss – Guitars

BURNING WITCHES – Facebook

Monnalisa – In Principio

In Principio è un ottimo lavoro di prog rock/metal cantato in italiano, nel quale i testi sono perfettamente inglobati in un personale ed elegante, in grado di soddisfare gli amanti del progressive e quelli del metal.

L’heavy metal classico e di matrice ottantiana si allea con il progressive, conquistando i cuori di entrambe le sponde con l’aiuto dei Monnalisa.

Il quartetto veneto, attivo dal 2009 e con un passato nelle vesti di cover band dei grandi classici da cui traggono ispirazione per comporre il loro materiale, ha raggiunto una stabilità nella line up nel 2013 ed il primo frutto è questo album, licenziato dalla Andromeda Relix,  label  che di buona musica se ne intende.
In Principio è un ottimo lavoro di prog rock/metal cantato in italiano, nel quale i testi sono perfettamente inglobati in un personale ed elegante, in grado di soddisfare gli amanti del progressive e quelli del metal.
Fin dall”opener Specchio si nota subito come il gruppo si affida ai tasti d’avorio di Giovanni Olivieri (anche cantante) per ricamare arabeschi di musica con raffinati scambi tra le tastiere e la chitarra di Filippo Romeo, accompagnati da una sezione ritmica efficace ma mai invadente composta da Manuele ed Edoardo Pavoni (rispettivamente basso e batteria).
La cosa straordinaria di questo lavoro è che, chiunque abbia un minimo di cultura musicale, potrà trovare una nota o una sfumatura che lo portera a riconoscere non solo le influenze del gruppo, ma le proprie preferenze tra il rock progressivo settantiano , l’hard rock ed il metal del decennio successivo, tutti elementi perfettamente inseriti nello spartito sontuoso di In Principio.
L’intro purpleiano di Il segreto dell’alchimista, la metallica epicità di Infinite Possibilità, il prog metal della spettacolare Oltre e la raffinate melodie di Viaggio Di Un Sognatore vanno a comporre la gran parte di questo bellissimo debutto, prodotto negli Opal Arts di Fabio Serra, leader dei Røsenkreütz.
Un album che sembra arrivare da un’altra epoca, ma che per magia è perfettamente a suo agio in questo inizio millennio, con le sue ispirazioni e la voglia di far sognare almeno per una quarantina di minuti, giusto il tempo per vivere le atmosfere di questa bellissima raccolta di canzoni che smette di regalare emozioni solo alla fine della splendida Ricordi.

TRACKLIST
1.Specchio
2.Il Segreto Dell’Alchimista
3.Catene Invisibili
4.Infinite Possibilità
5.Oltre
6.Viaggio Di Un Sognatore
7.Ricordi

LINE UP
Manuele Pavoni – Bass
Edoardo Pavoni – Drums
Filippo Romeo – Guitars
Giò Olivieri – Vocals, Keys

MONNALISA – Facebook

Sacred Oath – Twelve Bells

Old school metal in the modern world, si legge sulle informazioni della loro pagina Facebook, frase che calza a pennello per il quartetto statunitense che viaggia a mille con una serie di brani che fanno impallidire le ultime generazioni.

Sembra facile scrivere un album fresco, potente e spettacolarmente heavy, ma non è così.

Il mercato, specialmente quello underground, è colmo di gruppi più o meno bravi che sfornano a getto continuo opere metalliche che si rivelano delle buone proposte, con almeno due o tre canzoni ottime ed un livello generale che garantisce il supporto di fans e addetti ai lavori, ma per diventare una cult band, per proporre musica di alto livello c’è bisogno di più fattori, tra cui uno stato di grazia che dà all’artista una marcia in più.
Sacred Oath è un nome che a molti dice poco, ma per chi ama il metal underground di stampo classico è sinonimo di ottima musica metallica, in arrivo dagli States, precisamente dal Connecticut; vecchi metallari (il gruppo è attivo dal 1984) che non ne vogliono sapere di mollare la presa sui nostri bassifondi e nell’anno di grazia 2017 se ne escono con Twelve Bells, ultimo e ottavo album di una carriera che ebbe uno stop tra il 1987 ed il 2005 ma che ha trovato negli ultimi anni qualità e continuità.
Licenziato in Europa dalla eOne e registrato nello studio del cantante/chitarrista Rob Thorne, l’album è un bellissimo, potente e melodico esempio di heavy/power americano, spettacolarizzato da ritmiche ed atmosfere che della classica oscurità tutta yankee si nutrono, valorizzato da un songwriting elevato che permette al gruppo di fare il bello e cattivo tempo in tutta l’ora a sua disposizione.
Old school metal in the modern world, si legge sulle informazioni della loro pagina Facebook, frase che calza a pennello per il quartetto statunitense che viaggia a mille con una serie di brani che fanno impallidire le ultime generazioni.
Canzoni con riff, ritmiche e chorus perfetti, solos che arrivano solo nel momento opportuno, ballad in crescendo che lasciano trasparire un amore neanche troppo velato per il metal del vecchio continente (Never And Forevermore), song che ricordano i primi passi dei fratelli Oliva (Bionic) e tanto power oscuro e a tratti progressivo (Well Of Souls e la conclusiva The Last Word) dove echi di Fates Warning e Queensryche, rendono raffinato il tiro metallico alla Metal Church che il gruppo a più riprese fa proprio.
In conclusione, un album perfetto, nel genere uno dei migliiori usciti nell’ultimo periodo, fidatevi e cercatelo, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.New Religion
2.Twelve Bells
3.Fighter’s Heart
4.Bionic
5.Never and Forevermore
6.Demon Ize
7.Well of Souls
8.Eat the Young
9.No Man’s Land
10.The Last Word

LINE-UP
Brendan Kelleher – Bass
Kenny Evans – Drums
Bill Smith – Guitars
Rob Thorne – Vocals, Guitars

SACRED OATH – Facebook

Pristine – Ninja

Classic rock ed una voce fuori categoria fanno dei Pristine un monumento al rock settantiano innamorato di sua maestà il blues, e Ninja dà una spallata al precedente lavoro, piazzandosi in vetta alla classifica dell’anno come miglior album, nel suo genere.

Torna la band norvegese capitanata dalla vocalist Heidi Solheim, i Pristine, una sensuale e lasciva macchina rock blues che non lascia scampo e mette in fila praticamente tutte le realtà di questa ultima ondata dalle sonorità vintage.

Tre album, di cui l’ultimo, lo splendido Reboot uscito lo scorso anno e finalmente la firma prestigiosa per Nuclear Blast, etichetta che annovera tra le proprie fila i Blues Pills, band con cui Heidi e soci hanno condiviso un lungo tour.
Ora, come la Solheim  possa scrivere così tanta musica (nel frattempo ha  licenziato due album da solista) rimane un mistero, ma anche con questo nuovo Ninja siamo su livelli altissimi.
Classic rock ed una voce fuori categoria fanno dei Pristine un monumento al rock settantiano innamorato di sua maestà il blues, e Ninja dà una spallata al precedente lavoro, piazzandosi in vetta alla classifica dell’anno come miglior album, nel suo genere.
Elegante, sanguigno e splendidamente interpretato da una vocalist scesa da un altro pianeta, l’album con l’aiuto di Nuclear Blast dovrebbe sfondare e dare al gruppo la notorietà che merita, facendo tremare le reputazioni di Rival Sons, The Answer e compagnia di rocker.
Ninja vive di blues , di grande musica che dagli anni settanta arriva come un lampo nel nuovo millennio ed affascina, suadente come un serpente ipnotizza per poi colpire con l’elettricità del rock , in un saliscendi di emozioni ed atmosfere che la Solheim guida da grande interprete, una strega del rock’n’roll, una musa del nord pronta a fare vittime con la sua splendida musica.
Songwriter d’eccezione dunque, poi cantante personalissima ed interpretativa, con i musicisti che formano il gruppo ad assecondare con una prova perfetta le atmosfere che, con il passare del tempo, si fanno sempre più psichedeliche e a tratti claustrofobiche.
You Are The One sembra uscita da un classico dell’ America sudista, le note profumano di erba arsa dal sole, mentre Sophia è hard rock settantiano e ci prepara al primo capolavoro del disco, The Perfect Crime, blues tragico in cui la cantante norvegese fa il bello ed il cattivo tempo con una prestazione straordinaria.
The Rebel Song è dinamica, The Parade brucia benzina rock’n’roll e Ghost Chase torna sulle rive del fiume più famoso del blues, mentre Jekyll & Hyde è un blues psichedelico d’autore che ci porta verso la fine di Ninja con la delicata Forget.
Finisce con una Solheim delicatissima questo altro bellissimo album di quella che diventerà la band retro rock più famosa del pianeta: grande interprete, grandi brani … che volete di più?

TRACKLIST
1. You Are The One
2. Sophia
3. The Perfect Crime
4. The Rebel Song
5. The Parade
6. Ghost Chase
7. Ninja
8. Jekyll & Hyde
9. Forget

LINE UP
Heidi Solheim – vocal
Espen Elverum Jakobsen – guitar
Åsmund Wilter Eriksson – bass
Benjamin Mørk – hammond organ
Kim Karlsen – drums

PRISTINE – Facebook