Lightyears – Erase

Cinque brani di rock alternativo in cui il metal è presente, così come un approccio dark wave formando così un sound elegante ma nervoso, raffinato ma piacevolmente elettrico e solo a tratti suggestivamente estremo.

Rock, in una parola tutta la musica degli ultimi sessant’anni e che in tutti questi anni ha cambiato pelle centinaia di volte, adattandosi ai tempi, alla cultura e diciamolo, alle mode, mentre i decenni passano e chi di rock vive ascolta il suo evolversi ma anche la sua natura primaria.

Tempi, questi, di rock che denominato alternativo, tempi dove il suo figlio più ribelle (il metal) lo ha portato verso nuovi orizzonti accompagnato in questo suo viaggio appena intrapreso nel nuovo millennio, con molti dei sottogeneri che hanno segnato i decenni passati.
I Lightyears sono un quintetto nostrano, arrivano da Ferrara ed Erase è il loro debutto in formato ep, licenziato dalla Wormholedeath/The Orchard su licenza esclusiva di Too Loud Records: cinque brani di rock alternativo in cui il metal è presente così come un approccio dark wave e che vanno a formare un sound elegante ma nervoso, raffinato (anche per l’ottima voce della singer) ma piacevolmente elettrico e solo a tratti suggestivamente estremo.
Ed Erase vive la sua cangiante atmosfera con la consapevolezza di essere composto da buone canzoni rock, con l’energia e l’impatto di un sound che dal metal acquista l’energia e dall’alternative rock le melodie neanche troppo nascoste nell’opener Say It, come nel singolo Show Me, In A Bitter Taste o nell’ultima e metallica Sticks & Stones.
Un buon inizio, cinque ottimi brani che sono un punto di partenza per il gruppo ferrarese che suona un rock con tutte le sue ispirazioni ed influenze: sta a voi farlo vostro, ma un ascolto i Lightyears se lo meritano.

TRACKLIST
1. Say It
2. The Story
3. Show Me
4. A Bitter Taste
5. Sticks & Stones feat. Chuck Ford

LIGHTYEARS – Facebook

Black Hawk – The End Of The World

Giudizio positivo per un album piacevolmente tradizionale fino al midollo quanto onesto: per gli amanti dell’ heavy metal classico un ascolto consigliato.

Heavy metal old school e tradizione rispettata per i veterani Black Hawk, band tedesca che la Pure Steel, per mezzo di una delle sue anime (Pure Underground Records), supporta licenziando il nuovo album in questa primavera 2017, tempo di vacche grasse per certe sonorità

E i Black Hawk possono sicuramente considerarsi come una di quelle realtà che, passati gli anni novanta, hanno trovato nel nuovo millennio gli stimoli per proseguire una carriera iniziata alla fine degli anni ottanta e appunto ripresa nel 2005, con cinque album di metal classico prima di questo nuovo The End Of The World.
L’esperto quintetto prosegue nella strada forgiata nell’acciaio dagli Accept, dagli UDO, ed intelligentemente potenzia il tutto con scariche di potentissimo bombardamento di scuola Sinner/Primal Fear, cercando così di piacere anche ai più giovani.
Direi che i Black Hawk ci sono riusciti: il loro nuovo lavoro piace, in tempi in cui l’heavy metal classico è tornato, come molti altri generi, a guardare al passato, in questo caso epico, glorioso, potente e melodico.
Hard & heavy che sputa fuoco e fiamme, semiballad fiere come la title track e tanta melodia, sono le caratteristiche principali di questo lotto di brani, onesti e duri, classicamente graffianti e a tratti commoventi nel seguire i tratti distintivi del genere con brani che strapperanno più di un sorriso alle vecchie leve, ma riuscendo ad esaltare anche chi può ancora contare su una folta chioma da sfoggiare ai concerti.
Street Of Terror è una bomba e saluta la compagnia, veloce e tagliente, mentre Ruler Of The Dark è heavy metal ottantiano doc ; l’accoppiata Scream In The Night – Legacy Of Rock  mette tutti d’accordo, con la prima graffiante e dai rimandi Primal Fear, mentre in chiusura con Just Like Paradise e Dragonride’17 il gruppo si concede un passo nel power metal.
Giudizio positivo per un album piacevolmente tradizionale fino al midollo quanto onesto: per gli amanti dell’ heavy metal classico un ascolto consigliato.

TRACKLIST
1. Return Of The Dragon (Intro)
2. Streets Of Terror
3. Killing For Religion
4. What A World
5. Ruler Of The Dark
6. The End Of The World
7. Scream In The Night
8. Legacy Of Rock
9. Just Like In Paradise
10. Dancing With My demons
11. Dragonride’17

LINE-UP
Udo Bethke – lead vocals
Wolfgang Tewes – guitars
Günny Kruse – guitars
Michael “Zottel” Wiekenberg – bass
Matthias Meßfeldt – drums
guest musicians:
Hanjo Gehrke – acustic guitars, guitarsolo on “Dancing with my Demons”, keyboards & backing vocals
Conny Bethke – backing vocals
Stefan Weise – backing vocals

BLACK HAWK – Facebook

Altair – Descending : The Devilish Comedy

Quaranta minuti di power metal veloce e progressivo, potente e melodico, ovviamente dai tratti epici, sinfonico il giusto per poi ripartire con cavalcate metalliche tra tradizione tedesca e raffinata scuola scandinava.

La Sleaszy Rider si conferma come una delle label europee che, a livello underground, ha alzato non poco l’asticella qualitativa delle proprie proposte comprendenti praticamente tutte le correnti musicali del mondo metallico.

Con un occhio particolare anche per la scena italiana, la label greca non sta sbagliando un colpo e, parlando di suoni classici e dai rimandi power, dopo l’ultimo bellissimo album dei Kaledon ci presenta un’altra ottima band nostrana, i ferraresi Altair.
Attivi dal 2008, con un passato fatto di aggiustamenti più o meno importanti nella line up, gli Altair giungono al secondo album, dopo l’ottimo debutto licenziato nel 2013, quel Lost Eden che ha portato ottimi riscontri; si ripresentano con questo ottimo lavoro intitolato Descending: A Devilish Comedy, un concentrato di power progressive metal suonato bene, prodotto meglio e composto da un lotto di belle canzoni.
Si, perché poi alla fine lo scrivere brani dal buon appeal, pur mantenendo un approccio da metal band tecnica e progressiva senza far mancare all’ascoltatore melodie, refrain e ritornelli che entrano in testa al primo ascolto, diventa fondamentale per non farsi dimenticare, in questi tempi in cui tutto va di fretta anche nella musica (con opere che rimangono nel lettore, lo spazio di due o tre ascolti) .
E il sestetto di Ferrara ci riesce con questi quaranta minuti di power metal veloce e progressivo, potente e melodico, ovviamente dai tratti epici, sinfonico il giusto per poi ripartire con cavalcate metalliche tra tradizione tedesca e raffinata scuola scandinava.
Con il microfono ben saldo tra le mani del buon Simone Mala, interpretativo e sanguigno vocalist di razza, e le evoluzioni tecniche dei suoi compagni, Descending: A Devilish Comedy vi accompagnerà nel mondo del power metal elegante e melodico, metallico nel più tradizionale senso del termine tra Gamma Ray e Stratovarius, Helloween e Sonata Arctica e con un tocco di progressivo metallo di cui i Symphony X sono gli assoluti maestri.
Non rimane che piazzarvi le cuffie nelle orecchie e godere delle evoluzioni del gruppo nelle varie Path Of Worms, Seven, Sed Of Violence e la conclusiva A Lesson Before Ascending, per poi, alla fine, ripartire daccapo …

TRACKLIST
1. Descending
2. Path of Worms
3. Limbo
4. Seven
5. Godless
6. Seed of Violence
7. Flame of Knowledge
8. Frozen Graves
9. A Lesson Before Ascending

LINE-UP
Simone Mala – Voice
Luca Scalabrin – Bass/Vocals
Gianmarco Bambini – Guitar
Albert Marshall – Guitar
Enrico Ditta – Keyoboards
Simone Caparrucci – Drums

ALTAIR – Facebook

The Thirteenth Sun – Stardust

Se siete amanti del progressive metal moderno, quello che spazia tra il prog e la musica estrema con facilità disarmante senza dimenticare di emozionare, questo lavoro potrebbe risultare una sorpresa.

Nati intorno al 2011 per volere del chitarrista e cantante Radu e del tastierista Marius Muntean, i The Thirteenth Sun nel 2012 avevano iniziato il loro viaggio nell’universo della musica progressiva con il primo lavoro autoprodotto dal titolo Genesis.

Ritornano dopo cinque anni supportati da una label importante come Aural Music ed un album nuovo di zecca intitolato Stardust.
Prodotto da Edmond Karban (Negura Bunget, Dordeduh), accompagnato dall’artwork creato da Costin Chioreanu (Ulver, Arcturus, Enslaved, Arch Enemy), il nuovo lavoro della band proveniente dalla Transilvania si muove negli spazi del progressive metal moderno, alternando liquidi passaggi dalle atmosfere sulfuree, brani pregni di rock progressivo e bellissimi passaggi dove il black metal d’autore esce in tutta la sua pienezza, portando Stardust verso lidi estremi emozionanti.
L’album parte piano, come se la band si prendesse il tempo necessario per presentarsi all’ascoltatore, i primi brani (Universus e Pathways) infatti si addentrano nel progressive rock settantiano, mantenendo però un approccio moderno, tra reminiscenze pinkfloydiane e il Gilmour solista, qualche vento cosmico psichedelico ed una struttura melodica pacata.
Poi, come d’incanto, Universe Is Burning sposta le corrdinate stilistiche verso il progressive black, le ritmiche si fanno serrate e lo spirito di Arcturus e primi Covenant porta Stardust su altre galassie musicali, mentre lo scream si affianca alla voce pulita.
Un brano bellissimo che prelude al ritorno ad un sound più arioso in Melting Skies e nella marcia teatrale del piccolo capolavoro The Fabric Of Time, che esplode in una cavalcata black metal poi trasformata in un spettacolare brano prog metal, a formare il cuore pulsante di questo gioiellino musicale in arrivo dallo spazio via Romania.
Se siete amanti del progressive metal moderno, che spazia tra il prog e la musica estrema con facilità disarmante senza dimenticare di emozionare (il fantasma dei Leprous a tratti si impossessa del sound di Stardust) questo lavoro potrebbe risultare una sorpresa, consigliato.

TRACKLIST
01.Universus
02.Pathways
03.Planes of Creation
04.Universe is Burning
05.Melting Skies
06.The Fabric of Time
07.Glowing Sun

LINE-UP
Radu – vocals and lead guitars
Marius Muntean – keyboards
Septimiu Harsan (drums)
Marius Licu – guitars
Alecu – bass

THE THIRTEENTH SUN – Facebook

Desultory – Through Aching Aeons

Through Aching Aeons torna a far risplendere il death metal scandinavo con una serie di brani impeccabili sotto ogni aspetto, lasciando a molti dei nomi nuovi le briciole e a noi nove gemme estreme.

Vissuti all’ombra dei grandi nomi della scena svedese di primi anni novanta, quella che forgiò il death metal melodico (tanto per intenderci), i Desultory da Stoccolma non andarono oltre una popolarità di culto, conosciuti quindi dai soli fans che del genere volevano ascoltare tutto.

Eppure la band fu una delle primi ad attivarsi, addirittura come gli act più famosi, la sua nascita risale infatti alla fine degli anni ottanta e la propria discografia inizia ufficialmente nel 1990, con l’uscita del demo From Beyond.
Il primo full length risale al 1993 e Into Eternity precede l’album di maggior successo del gruppo, oltre che piccola perla nera di metal estremo violento, melodico e progressivo: Bitterness, uscito nel 1994 porta maggiore attenzione da parte di media e fans sul quartetto che due anni dopo però fallisce il bis con un lavoro non pienamente riuscito come Swallow The Snake.
Una lunga pausa durata quattordici lunghi anni porta il nome dei Desultory nel nuovo millennio, e l’uscita nel 2010 di Counting Our Scars consegna agli amanti del genere un gruppo ritrovato, sensazione confermata da questo nuovo lavoro intitolato Through Aching Aeons.
Sette anni non sono pochi, specialmente se si vuole battere il ferro finché è caldo, ma probabilmente non è ambizione dei Desultory conquistare nuovi fans con uscite che non siano ponderate in tutti i dettagli come il nuovo lavoro dimostra.
Licenziato dalla Pulverised Records, Through Aching Aeons è un ottimo esempio di death metal melodico, che senza soluzione di continuità tracima violenza sonora, parti melodiche sopra le righe, trame progressive, ed un’oscurità di fondo che, se mi passate il termine, definirei old school.
Through Aching Aeons è un album cattivo ed oscuro, la scuola svedese torna a fare danni tra Dismember ed At The Gates in un boato che arriva forte e distruttivo alle orecchie dei deathsters sparsi per il mondo.
Registrato al Necromorbus Studio di Tore Stjerna (Watain, Repugnant, Tribulation) e accompagnato dal bellissimo artwork di Pierre-Alain D (Kamelot, Necrodeath), l’album torna a far risplendere il death metal scandinavo con una serie di brani impeccabili sotto ogni aspetto, lasciando a molti dei nomi nuovi le briciole e a noi nove gemme estreme tra le quali spiccano l’opener Silent Rapture, In This Embrace e Divine Blindess.
Mai come questa volta un articolo merita di concludersi con un sincero “bentornati”!

TRACKLIST
1. Silent Rapture
2. Spineless Kingdom
3. Through Aching Aeons
4. In This Embrace
5. Beneath The Bleeding Sky
6. Slither
7. Divine Blindness
8. Breathing The Ashes
9. Our Departure

LINE-UP
Klas Morberg – Vocals/Guitar
Håkan Morberg – Guitar
Thomas Johnson – Drums/Vocals
Johan Bolin – Bass

DESULTORY – Facebook

God Syndrome – Controverse

I God Syndrome ci investono con il loro Death metal che ha nelle melodie il punto di forza, incastonate in un debordante assalto sonoro a livello ritmico e valorizzato da un notevole lavoro chitarristico.

Tra le gelide pianure imbiancate della Russia, il metal estremo ha covato orde di fameliche realtà, molte delle quali già apparse su MetalEyes.

E’ l’ora di presentarvi anche questi devastanti God Syndrome, combo di deathsters attivo in quel di Samara dal 2011 e con un precedente ep licenziato nel 2013, dal titolo Downfall Omen.
E’ giunto il momento per il gruppo di tornare con il primo full lenght, questo ottimo Controverse che unisce il death melodico scandinavo a quello classico di matrice est europea, per un risultato convincente.
Aiutati da Pawel “Pawulon” Jaroszewicz (Hate/Antigama, ex-Decapitated, ex-Vader), i God Syndrome ci investono con il loro sound che ha nelle melodie il punto di forza, incastonate in un debordante assalto sonoro a livello ritmico e valorizzato da un notevole lavoro chitarristico.
Le coordinate sonore delle due scuole citate vengono alternate dal gruppo con molta naturalezza, talvolta le due anime all’unisono ci aggrediscono con potenza e melodia, con il growl che non lascia scampo, mentre velocità e rallentamenti diversificano l’atmosfera da tregenda di Controverse.
Tecnicamente dotati, i musicisti danno prova di bravura ed affiatamento, con Purge che arriva dopo l’intro ed apre le ostilità e Dark Sand che regala attimi di livello assoluto, con la sei corde che lacrima, torturata da Sergey Aksenov assoluto protagonista dell’ album che tra riff e solos non sbaglia un colpo.
E così tra furia e melodia Controverse trova la sua dimensione e quella del gruppo che lo ha scritto, con gli omaggi neanche troppo velati a Hypocrisy, Vader ed Hate: un lavoro ben fatto e sicuramente da apprezzare se siete amanti dei gruppi citati.

TRACKLIST
1.Intro
2. Purge
3.Clan
4.Five Acts Of Deception
5.Dark Sand
6.Summon The Sun
7.The Last Option
8.Fire
9.Tormans
10.The Law Of The Betrayed
11.Mercy
12.Hangman Of Atlantis

LINE-UP
Pavel Bamburov – Vocals
Sergey Aksenov – Guitars
Dmitry Kuznetsov – Bass
Alexander Krut – Drums

GOD SYNDROME – Facebook

Zora – Scream Your Hate

Scream Your Hate ha nella sua anima tradizionale il proprio punto di forza, oltre ad un approccio senza compromessi che piacerà non poco ai deathsters di origine controllata.

I brutal deathsters calabresi Zora sono attivi da quasi quindici anni e hanno rilasciato un buon numero di lavori minori che vanno ad affiancarsi al primo lavoro sulla lunga distanza uscito nel 2010 ed intitolato Gore.

Dopo una lunga serie di cambiamenti in line up, il gruppo si stabilizza come trio ed eccoci tra le mani un nuovo lavoro, uscito qualche mese fa ma che merita l’attenzione dei lettori dai gusti estremi di MetalEyes.
Mossi da un senso di odio e riprovazione per la società che ci circonda, i Zora, con Scream Your Hate, offrono un macigno estremo basato un brutal death di ispirazione statunitense, per una mezz’ora abbondante di impatto senza compromessi, devastante ed instancabilmente estremo.
Old school nel senso più positivo del termine, l’album non lascia spazio a dubbi sull’intento del gruppo, ovvero condensare il proprio sound all’interno di un’atmosfera da massacro sonoro, sottolineato da un growl pesante e profondo, ritmiche quadrate che alternano cadenzati muri sonori ad accelerazioni devastanti e senza soluzione di continuità.
Nel marasma sonoro creato dal trio vibonese, sono le ispirazioni tratte da band storiche come Cannibal Corpse, Suffocation e Broken Hope a venire inesorabilmente a galla tra le note delle varie Outcast, Refuse e Trapped Mosquito.
Consigliato agli amanti del brutal death metal, Scream Your Hate ha nella sua anima tradizionale il proprio punto di forza, oltre ad un approccio senza compromessi che piacerà non poco ai deathsters di origine controllata.

TRACKLIST
1. Dripping
2. Outcast
3. Blinded
4. Slave of Mind
5. Refuse
6. Trapped Mosquito
7. Banquet of Flesh
8. Abracadacab
9. Scream Your Hate

LINE-UP
Giampiero Serra – Drums
Tat0 – Bass, Vocals
Glk Molè – Guitars

ZORA – Facebook

In Articulo Mortis – Testament

Un album che, senza far gridare al miracolo, piace proprio per le sue melodie, mentre la parte estrema rimane nello standard, come molte volte accade.

C’è una bella differenza tra black metal sinfonico e melodico: il primo è guidato da orchestrazioni classiche, il più delle volte cinematografiche e pompose, e la verve black viene messa in secondo piano dal monumentale suono orchestrato per stupire gli amanti del metal estremo con velleità sinfoniche.

Il back metal melodico, invece, mantiene inalterata la componente estrema raffinandola con melodie classiche, specialmente nel gran lavoro delle sei corde, qualche spunto progressivo ed un elegante uso dei tasti d’avorio dalle reminiscenze classic dark.
E’ quello che succedeva qualche anno fa in Testament, primo full lenght dei transalpini In Articulo Mortis, ristampato in questi mesi e che ci presenta un gruppo molto interessante.
Nato nel lontano 1992 e scioltosi ufficialmente nel 2013, il gruppo diede alle stampe due demo, prima di questo full length licenziato nel 2012 ed ora tornato sul mercato grazie alla Herbert West Productions.
Testament presenta un melodic black metal dalle influenze nordiche, poco appesantito di orchestrazioni ma  fluido nel suo essere classico e permeato da sfumature dark e incentrato su mid tempo in cui melodie pianistiche ed atmosfere malinconiche fanno da variante ad un andamento robusto, con uno scream abbastanza uniforme ad accompagnare la musica per tutta la sua durata.
Un album che, senza far gridare al miracolo, piace proprio per le sue melodie, mentre la parte estrema rimane nello standard, come molte volte accade.
Un male per molti ma non per tutti, date un ascolto a questo lavoro, nel suo insieme merita.

TRACKLIST
1.In articulo mortis
2.Le don obscur
3.Succubus
4.La rose et le marbre
5.My Underwater Queen
6.Embrace the Reapers Wrath
7.Lunar State
8.Diaboli in amorem

LINE-UP
J – Drums
C – Guitars
M – Guitars, Bass
S – Vocals

Soulspell – The Second Big Bang

Si torna a parlare di metal opera con il quarto album dei brasiliani Soulspell, creatura del batterista Heleno Vale, qui a dirigere la crema dell’heavy power mondiale nel suo nuovo e bellissimo lavoro, The Second Big Bang.

Le metal opera ormai fanno storia a sé nella discografia di una band, molte volte sono episodi che non trovano repliche, altre invece diventano il leit motiv di un’intera discografia o quasi.

Inutile ricordare l’importanza della seconda parte della discografia dei Savatage e, in seguito, delle opere di Ayreon e Avantasia in quello che ormai è un genere parallelo al metal di estrazione classica, ispirato dall’heavy e dal power a seconda della provenienza dei musicisti e pregno di sinfonie operistiche (da qui il nome metal opera).
Concept più o meno riusciti spesso trovano nella quantità e qualità degli ospiti intervenuti il loro maggiore interesse, molte volte superando quello per la musica vera e propria.
Si torna dunque a parlare di metal opera con il quarto album dei brasiliani Soulspell, creatura del batterista Heleno Vale, qui a dirigere la crema dell’heavy power mondiale nel suo nuovo e bellissimo lavoro, The Second Big Bang.
Prodotto da Tito Falaschi, masterizzato e mixato da Dennis Ward, si tratta di un monumentale lavoro in cui gli ospiti che si danno il cambio nelle varie parti sono il fiore all’occhiello di un album inattaccabile, perfettamente in grado di funzionare nella sua interezza, ma con brani che potrebbero tranquillamente viaggiare per conto proprio, mentre le cavalcate power tra Helloween ed Avantasia splendono tra le orchestrazioni ed epiche sinfonie, e a tratti ci si spellano le mani tra atmosfere hard rock e fughe metal prog.
Fin qui niente di nuovo, e ci mancherebbe, ma come il genere impone le sfumature cangianti di brano in brano mantengono altissima l’attenzione, anche perché le sorprese, specialmente al microfono, sono tante e di altissima qualità.
Infatti, tra gli altri, alla voce troverete Andre Matos, Arjen Lucassen, Blaze Bayley, Fabio Lione, Oliver Hartmann, Ralf Scheepers, Tim Ripper Owens, Timo Kotipelto, tutti a farvi tornare la voglia di power metal, melodico, epico e sinfonico, con i nomi di spessore che non si fermano ai soli cantanti ma proseguono con quelli alle prese con i vari strumenti, a partire da un Lucassen nei panni di tuttofare (oltre al canto, il menestrello olandese si cimenta con chitarra e tastiere), Jani Liimatainen e Kiko Loureiro alle sei corde, Frank Tischer (Avantasia) alle tastiere, Markus Grösskopf al basso, più un buon numero di musicisti della scena brasiliana.
Angra, Avantasia e Ayreon sono le influenze che escono prepotentemente dalle note di The Second Big Bang, album che merita l’attenzione degli amanti del genere, per un songwriting molto ispirato di cui si giovano brani intensi ed emozionanti come Sound Of Rain, Horus’s Eye, il singolo Dungeons And Dragons con il nostro Fabio Lione in pieno delirio rhapsodyano, e Game Of Hours.
Amanti delle metal opera fatevi sotto, questo lavoro sazierà la vostra fame di storie raccontate in musica e vi fornirà grandi soddisfazioni.

TRACKLIST
01 – Time To Set You Free
02 – The Second Big Bang
03 – The End You’ll Only Know At The End
04 – Dungeons And Dragons
05 – Horus’s Eye
06 – Father And Son
07 – White Lion Of Goldah
08 – Game Of Hours
09 – Super Black Hole
10 – Sound of Rain
11 – Soulspell (Apocalypse Version)
12 – Alexandria (Apocalypse Version)

LINE-UP
Vocals :
Andre Matos (The White Lion Of Goldah), Arjen Lucassen (Space And Time), Blaze Bayley (Banneth, the Keeper of the Tree), Daísa Munhoz (The Princess Judith), Dani Nolden (The Shadows), Fabio Lione (The Dungeon Master), Jefferson Albert (Padyal, the Worshipful Master), Oliver Hartmann (The Space Agency Director), Pedro Campos (Timo’s Mystical Body), Ralf Scheepers (The Clairvoyant), Tim Ripper Owens (The Holy Dead Tree), Timo Kotipelto (Greibach, The Mathematician) e Victor Emeka (Adrian, the Apprentice).

Bass :
Daniel Guirado, Markus Grösskopf (Helloween) e Tito Falaschi

Guitars :
Arjen Lucassen (Ayreon), Cleiton Carvalho, Eduardo Ardanuy (ex-Dr. Sin), Jani Liimatainen (ex-Sonata Arctica), Kiko Loureiro (Megadeth / Angra), Leandro Erba, Marcos Pópolo, Rodolfo Pagotto (Vandroya), Thiago Amendola e Tito Falaschi.

Keyboards:
Arjen Lucassen (Ayreon), Fábio Laguna (Hangar / ex-Angra), Frank Tischer (Avantasia) e Rodrigo Boechat.

Drums :
Eduardo Santos, Gabriel Viotto, Heleno Vale e Juliano Caserta.

SOULSPELL – Facebook

Buckshot Facelift – Ulcer Island

Un album estremo ed alternativo (nel suo genere) che, partendo da una struttura grindcore, esplora diversi modi di suonare musica al limite.

Eccoci a presentavi una band grindcore proveniente da New York, i devastanti Buckshot Facelift.

Un grindcore dal piglio punk, alternato a devastanti e potentissimi tratti brutal death metal, sono le principali caratteristiche di questo famigerato quartetto nato qualche anno fa nella grande mela e che arriva oggi al quarto album dopo Universal Goat Tilt del 2007, Anchors of the Armless Gods licenziato nel 2009 ed il precedente Elder’s Rasp, uscito quattro anni fa.
Ulcer Island viaggia con una potenza lasciata libera di imperversare, mentre un songwriting molto vario riesce ad inchiodare alle cuffie anche se non si è fans accaniti del genere.
Sfuriate velocissime e frenate improvvise, attimi di quiete acustica, prima di riprendere il massacro, con un lotto di canzoni che trovano sicuramente apprezzamento da parte di chi ascolta grindcore, hardcore e metal estremo, mentre ad ogni passo la velocità aumenta, la potenza si fa pesante e monolitica ed i Buckshot Facelift escono vincitori dallo scontro con i nostri padiglioni auricolari.
I brani passano dalle tipiche sfuriate da un minuto di massacro, a tracce più articolate ed in linea con il death più sperimentale (Delusions Of A New Age, A Trophy Cup Intoxicant).
Un album estremo ed alternativo (nel suo genere) che, partendo da una struttura grindcore, esplora diversi modi di suonare musica al limite.

TRACKLIST
1.Ulcer Island
2.Czech Yourself
3.Afterbirth Puzzle 2016
4.Ascend to Descend
5.Burn the Baby Raper
6.OxyDocs
7.Sundress Skeletor
8.Comptroller Cult
9.What Does Fergus Dream Of?
10.Hell Eats Repetition (Goodbye)
11.Don’t Hang From the Pipes
12.Weathered Mask of Autumn (Unearthing the Armless)
13.Delusions of a New Age
14.Dustification (End Times version)
15.A Trophy Cup Intoxicant

LINE-UP
W. Smith – Vocals
Tom Anderer – Bass, Vocals
Sal Gregory – Drums
Rick Habeeb – Guitar, Vocals
Terrell Grannum – Guitar, Vocals

BUCKSHOT FACELIFT – Facebook

Centripetal Force – Eidetic ep

Thrash metal tecnico e progressivo è quello che ci propone questo terzetto italo/inglese formato da due musicisti attivi dal 1993 nella scena metallica torinese, i quali che si avvalgono della prestazione dietro al microfono del cantante John Knight (in forza ai Synaptic).

Thrash metal tecnico e progressivo è quello che ci propone questo terzetto italo/inglese formato da due musicisti attivi dal 1993 nella scena metallica torinese (il batterista Andrea Carratta ed il chitarrista Stefano Saroglia), i quali si avvalgono della prestazione dietro al microfono del cantante John Knight in forza ai Synaptic.

Eidetic è il loro primo lavoro, formato da tre brani che ci riportano tra le trame intricatissime del metal progressivo di natura estrema e di stampo thrash.
Non sono tracce facilissime da digerire se non si è amanti del tecnicismo, che raggiunge vette altissime per quanto riguarda la prestazione dei singoli musicisti, ma lasciando qualcosa a livello di fruibilità.
Certo è che i tre musicisti sono di un’altra categoria, costruendo una ragnatela di ritmiche, solos suonati alla velocità della luce ed una voce particolare che cresce col passare degli ascolti (a tratti sembra usata come strumento vero e proprio).
Dei tre brani, In Death Of A Marionette è quello più lineare e ad un primo ascolto è ovviamente quello che si ricorda più facilmente, ma dando il giusto tempo non mancano di convincere neppure Centripetal Force e Eidetic Memory le altre due tracce canzoni che completano l’ep.
Quello dei Centripetal Force è un sound che si avvale della perizia di questi tre ottimi musicisti e che, affondando le sue radici nelle opere di Coroner, Mekong Delta, Death e Cynic, verrà apprezzato dai fans di queste band.

TRACKLIST
1.Centripetal Force
2.Eidetic Memory
3.In Death Of A Marionette

LINE-UP
Andrea Carratta – beats
John Knight – screams
Stefano Saroglia – riffs

CENTRIPETAL FORCE – Facebook

Midnight Odyssey – Silhouettes of Stars

Una compilation perfetta per conoscere la musica di questa one man band australiana e magari cercarne le produzioni passate.

Succulenta compilation per questa one man band australiana di black metal orchestrale ed atmosferico, conosciuta come Midnight Odyssey, creatura astrale del polistrumentista Dis Pater.

Questo monumentale lavoro (più di due ore di musica estrema), raccoglie una serie di inediti, due singoli (Magica e The Night Has Come For Me) più la cover di un brano degli Emperor, Cosmic Keys From My Creations & Times.
Il sound creato da Dis Pater è dunque un black metal orchestrale, ricco di lunghe parti strumentali, a tratti vicino all’ambient ma più spesso contornato da un’aura spaziale come il concept creato dal suo creatore.
Una musica che a livello artistico risulta molto interessante e che ha bisogno del suo tempo per essere apprezzata, visto la lunghezza dei brani che non giova sicuramente all’appeal della musica dei Midnight Odyssey.
L’alternanza tra lo spirito ambient e quello più metallico ed estremo varia l’ascolto di quel tanto che basta per arrivare in fondo senza grossi problemi, anche se non manca qualche pausa.
Nei brani in cui l’anima black metal prende il sopravvento (What Was Is No More, The World Tree Burns To Vapour), echi di Emperor e Limbonic Art si ascoltano tra le note, con uno scream che mantiene un piglio epico e declamatorio, mentre è un attimo essere ancora una volta cullati dalle lunghe parti atmosferiche (Sorrow Of Deadalus, Dis Pater).
Una compilation perfetta per conoscere la musica di questa one man band australiana e magari cercarne le produzioni passate.

TRACKLIST
Disc 1
1.The Night Has Come for Me
2.Magica
3.Cosmic Keys to My Creations & Times (Emperor cover)
4.Sorrow of Daedalus
5.What Was Is No More
6.Fighting the Seraphim
7.Descent
8.The World Tree Burns to Vapour
9.Lost and Forgotten

Disc 2
1.Nocturnal
2.Your Death Is Chosen
3.The Tempest Entranced
4.Dis Pater
5.A Whisper’s Emptiness
6.Theme of Forest and Firmament

LINE-UP
Dis Pater – All instruments, Vocals

MIDNIGHT ODYSSEY – Facebook

Nitrogods – Roadkill BBQ

I musicisti sono di provata esperienza, quindi i brani viaggiano che è un piacere, la produzione è perfetta per rompere membrane di vecchie casse impolverate e il tutto suona rock’n’roll come padre Lemmy ha insegnato ai fedeli.

Lemmy ed i suoi Motorhead , oltre a lasciare un vuoto incolmabile tra gli amanti dell’ hard & heavy più grezzo e rock’n’roll, sono uno dei gruppi più venerati ed emulati che il mondo della nostra musica preferita possa vantare.

I Nitrogods, trio tedesco arrivato al terzo album, sono una di quelle band che vivono nel mito del bassista inglese, eppure stiamo parlando di musicisti di spessore della scena metallica tedesca come il chitarrista Henny Wolter (Thunderhead, Primal Fear, Sinner) ed il batterista Klaus Sperling (Freedom Call, Primal Fear), qui al servizio del mastodontico bassista/cantante Claus “Oimel” Larcher.
Voce che sembra arrivare da qualche buco dell’inferno dove Lemmy, bottiglia di Jack nella mano destra e seno prosperoso di una groupie nell’altra, si sollazza con buona pace di Satanasso, e sound che fa sbattere natiche e teste al ritmo di un rock’n’roll ipervitaminizzato, senza soluzione di continuità, leggermente più melodico delle sfuriate hard & heavy a cui ci aveva abituato Mr.Kilmister.
Roadkill BBQ è un buon lavoro, che perpetua un rito hard rock ormai consolidato nei soliti ed abusati cliché, ma che sa come far divertire, specialmente se lo si ascolta correndo per le strade con la vostra quattroruote o in un fumoso ed alcoolico localino a tema.
I musicisti sono di provata esperienza, quindi i brani viaggiano che è un piacere, la produzione è perfetta per rompere membrane di vecchie casse impolverate e il tutto suona rock’n’roll come padre Lemmy ha insegnato ai fedeli.
Inutile e superfluo il solo nominarvi una traccia, l’album è da spararsi con le modalità dette sopra ed arriverete alla fine con la voglia di rischiacciare il tasto play e scolarvi un’altra birra 0 whiskey.
Nella versione deluxe troverete un bonus cd con le cover di Overkill, Bomber, Aces Of Spades e Iron Fist … vi devo dire chi le ha scritte?

TRACKLIST
1. Rancid Rock
2. Roadkill BBQ
3. My Love’s A Wirebrush
4. Boogeyman
5. Bad Place Wrong People
6. Wheelin´
7. A Los Muertos
8. The Price Of Liberty
9. Race To Ruin
10. I Hate
11. Father
12. Where Have The Years Gone
13. Russian Rocket (Bonus)
14. Did Jesus Turn Water Into Beer (Bonus)

LINE-UP
Henny Wolter – Guitars
Oimel Larcher – Bass, Vocals
Klaus Sperling – Drums

NITROGODS – Facebook

Divine Element – Thaurachs of Borsu

I primi brani trovano nell’impeto della battaglia la loro forza così da risultare i più canonici, mentre è la seconda parte che riserva le parti più epiche, lasciando che il sound si ricami di note folk, mentre una voce narrante ne rende maestoso l’incedere.

I Divine Element sono un duo greco/ungherese formato da Ayloss (chitarra, basso e synth) e Antonis (voce) e che, aiutati dal session drummer Hannes Grossman, ci invitano sulle colline dove è in atto una battaglia all’ultimo sangue.

Il loro sound è un buon esempio di death/black metal epico e battagliero, pregno di cavalcate dove non manca la componente tragico guerresca, qualche spunto folk e tanta fierezza metallica.
Il duo è attivo da più di dieci anni ed è al secondo lavoro sulla lunga distanza dopo sette anni dal debutto omonimo, un progetto che continua con Thaurachs Of Borsu, album che non dispiacerà agli amanti del metal estremo tutto sangue, battaglie ed eroi.
I cavalieri giungono sulla collina e la battaglia ha inizio, le ritmiche black accompagnano un growl death metal, mentre la chitarra scocca frecce classiche con solos e refrain melodici.
I primi brani trovano nell’impeto della battaglia la loro forza così da risultare i più canonici, mentre è la seconda parte che riserva le parti più epiche, lasciando che il sound si ricami di note folk, mentre una voce narrante ne rende maestoso l’incedere.
Call Of The Blade e Traitor’s Last Stand sono la coppia di canzoni poste quasi in chiusura (l’ultima, Augury For A Shapeless Future, è una suggestiva outro) e colpiscono con il loro sound che risulta una cavalcata verso la gloria, tra fughe metalliche e buone parti folk progressive, alzando di molto la qualità di un lavoro che cresce con il passare dei minuti.
Le influenze sono da riscontrare nei gruppi epic/black e folk, quindi si tratta di un disco da ascoltare senza remore se siete fans del genere.

TRACKLIST
1.A Realignment with Destiny
2.Thaurachs of Borsu
3.Onto the Trail of Betrayal
4.Beyond This Sea
5.Interlude (The Point of No Return)
6.Call of the Blade
7.Traitor’s Last Stand
8.Augury for a Shapeless Future

LINE-UP
Ayloss – Gutars, Bass, Synths
Antonis – Vocals
Hannes Grossman – Session Drums

DIVINE ELEMENT – Facebook

Zombie Lake – The Dawn Of Horror

Un macigno strutturato su mid tempo potentissimi e devastanti pezzi di raw thrash metal, questo è The Dawn Of Horror

Grind, death , black metal, industrial, le vie delle musica estrema hanno molte strade su cui viaggiare per arrivare al traguardo, certo è che una delle più difficili (e solo facili all’apparenza) è quella del thrash metal, troppo spesso poi nascosto dalla potenza del death e per molti diventato death/thrash, tanto per semplificare il tutto.

Ci sta, rimane il fatto che proposte estreme come quella degli svedesi/statunitensi Zombie Lake risultano un devastante esempio di thrash metal, estremizzato da rimandi al death, all’horror metal e al black, così da diventare un’orgia di suoni estremi come un pasto, consumato da famelici zombie, a base di arti e cervella dall’umana origine.
Il gruppo licenzia il secondo lavoro per la Iron Shield, un pezzo di incudine thrash metal pesante e orrorifico, estremo come solo lo splatter sa essere, che non passerà inosservato: la furia estrema di questo album è puro odio distruttivo, un macigno strutturato su mid tempo potentissimi e devastanti pezzi di raw thrash metal.
Questo è The Dawn Of Horror e su queste coordinate sfilano i nove inni alla totale distruzione senza compromessi, ma se volete dei titoli allora ecco Werewolf Attack, l’accoppiata Dead Eyes/Motorcycle Hammers e la conclusiva The Final Outbreak of Aggression, gli apici di questa blasfemia senza fine.
Volete un album estremo nel vero senso del termine? Eccolo.

TRACKLIST
1.Bridge Over Bloodred Water
2.Killed a Thousand Times
3.Werewolf Attack
4.The Ceremony
5.Hoardering Skulls
6.Dead Eyes
7.Motorcycle Hammer
8.Almighty Sorcerer
9.The Final Outbreak of Aggression

LINE-UP
Martin “Golem” Missy – Vocals
Derek “Neglect” Schilling – Guitar & Bass
Antman – Drums
Bill Kelly – leadguitar
Ryan Lipynsky- leadguitar

ZOMBIE LAKE – Facebook

Raging Dead – When The Night Falls

Una conferma o una nuova realtà, fate voi, rimane il fatto che l’album risulta un ottimo lavoro e i Raging Dead hanno sempre più fame e si nutriranno di voi dopo avervi investito con When The Night Falls.

Vi avevamo parlato dei Raging Dead un paio di anni fa, in occasione dell’uscita del primo ep, Born In Rage.

Due anni dopo ritroviamo il quartetto nostrano con un nuovo lavoro (questa volta sulla lunga distanza) ed un contratto con la label americana Pavement Entertainment.
L’horror/sleazy/punk metal della band continua la sua decadente marcia tra le tombe scalfite dal tempo in un cimitero dimenticato nel mezzo della pianura padana, un rock’n’roll sinistro e marcio come i cadaveri che, uno ad uno escono dai buchi brulicanti di vermi in una serata di luna rosso sangue, mentre i quattro non-morti imbracciano i propri strumenti dando inizio allo zombie tsunami intitolato When The Night Falls.
Un sound diretto, sporco e cattivissimo, dieci tracce aggressive come un’ orda famelica che investe il Nord Italia ed infetta il mondo intero, questo risulta l’esordio sulla lunga distanza dei Raging Dead, i quali portano all’attenzione degli ascoltatori il loro rock ricco di sfumature ed atmosfere che si rifanno alle leggende del genere, senza dimenticare l’aggressività stradaiola del metal ottantiano e alle più giovani, ma ancora più maligne, forme di rock estremizzato come quelli di Murderdolls e Rob Zombie.
Un album tirato dall’inizio alla fine, un morso famelico che amputa arti a colpi di punk/rock/metal senza soluzione di continuità, mentre gli zombie continuano il loro massacro, la notte si fa giorno e la title track, Nightstalker e Bloodlust trascinano i resti delle vittime nel buio della tomba per terminare il banchetto.
Una conferma o una nuova realtà, fate voi, rimane il fatto che l’album risulta un ottimo lavoro e Cloud Shade, Matt Void, Simon Nightmare e Tracii Decadence hanno sempre più fame e si nutriranno di voi dopo avervi investito con When The Night Falls.

TRACKLIST
1. Streets Of Rage
2. When The Night Falls
3. Within Shadow
4. Army Of The Restless
5. Nightstalker
6. Bloodlust
7. Crimson Garden
8. Scratch Me
9. Doomsday
10. Ballad Of The Storm

LINE-UP
Cloud Shade – Vocals, Guitars
Matt Void – Guitars
Simon Nightmare – Bass
Tracii Decadence – Drums

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Divinity – Immortalist

Un ottima idea quella di unire le tre parti di Immortalist, così da formare un unico e devastante pezzo di granito metallico che, tra potenza estrema e melodie, soddisferà sicuramente la fame dei fans del metal estremo moderno di estrazione thrash.

I Divinity sono un gruppo dedito ad una forma che è una buona via di mezzo tra il thrash metal moderno ed il melodic death metal scandinavo.

Nata in Canada (Calgary) a cavallo dei due millenni, la band ha dato alle stampe due full lenght e tre ep, che formano un concept intitolato Immortalist, usciti tra il 2013 e quest’anno.
Ora le tre parti (Awestruck, Momentum e Conqueror) vengono unite dal gruppo in un’unica compilation intitolata appunto Immortalist, trasformandosi così in un monumentale album che trasuda metallo e che nei suoi settanta minuti di durata regala momenti di altissimo livello, come D.M.T., brano thrash metal progressivo e melodico che vede la partecipazione dietro al microfono di Björn “Speed” Strid, vocalist dei Soilwork. E proprio dalla band svedese il sound dei Divinity è ispirato nella sua parte europea, mentre il resto del lavoro lo fanno le influenze di marca statunitense, tra Testament, Strapping Young Load e Machine Head.
Sempre in bilico tra la potenza del thrash/groove metal in uso aldilà dell’ Atlantico e la velocità e la melodia death metal scandinavo dal piglio melodico, Immortalist, pur nella sua durata, ovviamente diventata notevole, non annoia.
Il songwriting dunque è sicuramente efficace, così come il livello tecnico dei musicisti coinvolti, in particolare una sezione ritmica modello carro armato.
Oltre alla già citata D.M.T., l‘ album nel suo insieme non mostra cali di tensione e si avvale della buona qualità di brani come The Dead Speak From Beyond, Lucid Creator e Conqueror.
Un ottima idea quella di unire le tre parti di Immortalist, così da formare un unico e devastante pezzo di granito metallico che, tra potenza estrema e melodie, soddisferà sicuramente la fame dei fans del metal estremo moderno di estrazione thrash.

TRACKLIST
1.Manhunt
2.Atlas
3.Hallowed Earth
4.D.M.T.
5.PsyWar
6.Distorted Mesh
7.The Dead Speak from Beyond
8.Lucid Creator
9.The Reckoning
10.All Seeing Eyes
11.Momentum
12.Conqueror

LINE-UP
Sean Jenkins – Vocals
Jeff Waite – Vocals
James Duncan – Guitars
Brett Duncan – Drums
Keith Branston – Bass

DIVINITY – Facebook

Death Of Kings – Kneel Before None

Kneel Before None è una bomba sonora, un concentrato di metallo old school violentissimo, suonato ad altissime velocità, atmosfericamente perfetto nel risvegliare streghe come in una notte in quel di Salem.

Se siete dei metallari convinti che la parola old school porti con sé solo sonorità pregne di nostalgica passione ma obsolete, molte volte non supportate da una registrazione almeno dignitosa, fate un passo indietro ed ascoltatevi questo pezzo di meteorite speed/thrash in arrivo dagli Stati Uniti.

Tornando indietro agli anni ottanta, tra heavy metal tripallico reso estremo da dosi fatali di thrash metal, il nuovo lavoro dei Death Of Kings scende dallo spazio a pazza velocità in rotta di collisione con la Terra, produce un buco nero spazio temporale,  e come un serial killer vi rincorre, vi scova e vi fa a pezzi a colpi di metal vecchia scuola.
Kneel Before None è l’esordio sulla lunga distanza, preceduto da un singolo (Hell Comes to Life) e licenziato dalla Boris Records: la band, attiva dal 2010, porta in dote una manciata di lavori minori, così come migliaia di altre realtà che si affacciano sul panorama metallico mondiale, solo che i Death Of Kings non sono una band normale.
L’album, infatti, è una bomba sonora, un concentrato di metallo old school violentissimo, suonato ad altissime velocità, atmosfericamente perfetto nel risvegliare streghe come in una notte in quel di Salem, valorizzato da un lotto di brani esaltanti, tra ritmiche infernali di scuola speed metal, solos graffianti ed al limite dell’umano e voci possedute da demoni evocati dall’ennesimo lungo sabba.
Shadow Of The Ripper, Regicidal e l’atomica Knifehammer sono solo alcune delle violente raffiche di vento atomico che spazzerà via tutto dopo l’impatto del meteorite, lasciando solo morte, distruzione e i servi del demonio a girare tra i cadaveri come iene affamate.
Bellissimo lavoro, consigliato agli amanti del genere, anche se un ascolto non farebbe male neppure a chi pensa che certe sonorità in uso negli anni ottanta non fossero abbastanza cattive.

TRACKLIST
1.Shadow Of The Reaper
2.Sojourn
3.Regicidal
4.Descent Into Madness
5.Hell Comes To Life
6.Knifehammer
7.Plague (Upon the World)
8.Too Fast For Blood
9.Revel In Blasphemy

LINE-UP
Matt Matson- lead vocals, guitar
Scott Price – bass, vocals
Matt Kilpatrick – guitar, vocals
Amos Rifkin – drums, vocals

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Bullet-Proof – Forsaken One

Il sound racchiuso in Forsaken One è 100% thrash metal, legato alla tradizione statunitense ma senza disdegnare sfumature moderne

I Bullet Proof sono un gruppo italo/slovacco, nato a Bolzano tre anni fa ma, di fatto, band internazionale già sul mercato con l’esordio De-Generation, uscito due anni, ideale preludio a questo ottimo secondo lavoro.

Il sound racchiuso in Forsaken One, infatti, è 100% thrash metal legato alla tradizione statunitense ma senza disdegnare sfumature moderne (specialmente per quanto riguarda arrangiamenti e produzione) ed un gusto melodico nei solos di matrice heavy metal.
Il quartetto formato da Richard Hupka (chitarra e voce) e suo figlio Lukas (batteria), a cui si aggiungono Max Pinkle (chitarra) e Federico Fontanari (basso), ci consegna un lavoro roccioso, agguerrito, ma straordinariamente melodico, laddove le sfuriate thrash lasciano il posto a lunghe e spettacolari parti heavy, con le chitarre che si vestono di un metal elegante per poi trasformare il sound da una sorta di un rassicurante Dottor Jekyll ad un cattivo ed indomabile mister Hyde.
Così, una volta che il lato oscuro prende il sopravvento, la band alza l’asticella e Forsaken One vola, con la sezione ritmica che è un rullo compressore grazie ad un Lukas Hupka straordinario picchiatore, mentre le due asce sfornano riff e solos che sono vangelo per ogni thrasher che si rispetti.
L’opener Might Makes Right, la title track, la splendida e melodica No One Ever e le devastanti Abandon e Revolution ci consegnano un lavoro che non lascia scampo, perciò bando all’esterofilia (e anche se fosse qui parliamo di una band italiana soprattutto per sede operativa) e buttatevi in un headbanging sfrenato in compagnia dei Bullet Proof: gli eroi della Bay Area sono tutti lì ad applaudire.

TRACKLIST
01 – Might Makes Right
02 – Forsaken One
03 – Portrait Of The Faceless King
04 – No One Ever
05 – I Was Wrong
06 – Abandon
07 – Lust
08 – Revolution
09 – Little Boy

LINE-UP
Richard Hupka – Lead Vocals, Guitar
Max Pinkle – Guitars
Federico Fontanari – Bass Guitar
Lukas Hupka – Drums

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