The Blind Catfish – Folkolors

Ci hanno provato e ci sono riusciti i The Blind Catfish, non solo a rinverdire e rendere fresche canzoni cantate più di un secolo fa, ma anche a perseguire la loro idea di collegare il mondo attorno al nostro grande fiume con quello del suo omologo americano.

Torna il pesce gatto più irriverente e rock che il grande fiume abbia mai avuto tra i suoi abitanti, dal Piemonte fino al Mare Adriatico.

Il grande fiume è ovviamente il Po, anche se lo strano animale acquatico sogna la terra paludosa dei fondali del Mississippi, dove la musica a cui lui si ispira è nata ed ancora oggi si rigenera.
Torna la band carpigiana dei The Blind Catfish, che all’enorme abitante delle acque dolci si ispira e che nel rock blues trova la sua armonia musicale, anche se in Folkolors molto è cambiato a livello di sound dal bellissimo esordio The King Of The River, uscito un paio di anni fa.
La band ha pescato tra i canti della tradizione americana, gospel, spiritual e canti corali di prigionia, provenienti dagli stati del sud e, reinterpretandoli, ha dato vita ad un’opera affascinante, ovviamente strutturata sul blues ma ricolma del dolore di un intero popolo, tra funky e soul.
Rivivono così brani in origine solo cantati, autentiche perle a cui la band nostrana dona una nuova veste nel rispetto della tradizione, con la voce di Marco “Franky” Maretti che si colora di sfumature black, mentre, chiudendo gli occhi, si ha la sensazione di essere tra le piantagioni di cotone, quando dopo una giornata di interminabile ed inumano lavoro gli uomini e le donne intonano canti mentre tornano alle baracche.
Ed è lì che i The Blind Catfish ci portano, tra le note di Jesus And The Mainline, della drammatica e sentita Join The Revelator o di People Get Ready, dall’andamento soul che trascina come il letto del fiume, fluida come l’acqua del grande fratello in movimento perpetuo, testimone silenzioso del dramma e della stupidità degli uomini, della più ritmicamente bluesy Rosie e di Trouble Of The World, che la band interpreta come farebbe il migliore Sting.
Ci hanno provato e ci sono riusciti i The Blind Catfish, non solo a rinverdire e rendere fresche canzoni cantate più di un secolo fa, ma anche a perseguire la loro idea di collegare il mondo attorno al nostro grande fiume con quello del suo omologo americano.
Un album molto diverso dal primo lavoro, più incentrato su southern e blues rock, ma sicuramente maturo ed intenso.

TRACKLIST
1.Sometimes I Feel Like a Motherless Child
2.John the Revelator
3.People Get Ready
4.Jesus on the Mainline
5.How Long
6.Trouble So Hard
7.Rosie
8.Trouble of the World

LINE-UP
Marco Maretti
Luca Fragomeni
Francesco Zucchi
Federico Bocchi

THE BLIND CATFISH – Facebook

Uforia – Fight Or Flight

Fight Or Flight alterna spunti settantiani all’alternative rock nato negli anni novanta, mantenendo un approccio molto melodico dato dalla voce del singer Michael Ursini e irrobustito da chitarre grintose, forgiate nella piovosa Seattle.

Chi segue con più attenzione lo sviluppo dell’hard rock in questi primi anni del nuovo millennio, avrà sicuramente notato come le nuove band che si affacciano sul mercato tendono ad amalgamare con ottimi risultati tradizione e moderno rock alternativo.

La ricetta è più semplice di quanto si creda, all’ hard rock dei Led Zeppelin (per esempio) si aggiunge un po’ di grunge o del rock alternativo ed il gioco è fatto, più difficile ormai è risultare personali e scrivere belle canzoni.
I canadesi Uforia ci provano con Fight Or Flight, terzo lavoro in formato ep, cinque brani che vanno a formare un buon esempio di questo trend, magari non ufficializzato dal music biz, ma che sta prendendo campo in ogni parte del mondo, almeno per un certo modo di intendere il rock duro.
Fight Or Flight alterna così spunti settantiani all’alternative rock nato negli anni novanta, mantenendo un approccio molto melodico dato dalla voce del singer Michael Ursini e irrobustito da chitarre grintose, forgiate nella piovosa Seattle.
Niente di nuovo quindi, ma se amate il rock moderno ed un po’ freak di questi anni, brani come la title track o Radiation non potranno che sedurvi in balli al calar della notte ,su spiagge di quell’America di jeans strappati e voli sulle onde in piedi su una tavola, raccontata dal rock da ormai trent’anni.
Manca un full length per provare ad alzare l’asticella che rimane, per il gruppo, ad un altezza sufficiente per continuare il proprio sogno.

TRACKLIST
1.Fight or Flight
2.Radiation
3.Wake Me
4.Overthrow
5.Is Anybody Living?

LINE-UP
Michael Ursini – Vocals, guitars
Adam Brik – Guitars
Daniel Salij – Bass
Dylan Piercey – Drums

UFORIA – Facebook

Without Mercy – Mouichido

Un gruppo che per gli amanti del genere è un succulento e sanguinolento piatto dove tra Lamb Of God, Cannibal Corpse e Chimaira ci si abbuffa che è un piacere

Il Canada ha un forte legame con la musica metal, specialmente per quanto riguarda i suoni estremi di matrice death metal , anche se in questi ultimi anni, oltre che al tradizionale sound classico e progressive, non mancano ottimi gruppi alternative.

Ma con i Without Mercy si parla di metal estremo, su questo non c’è dubbio, rabbioso, violento ed in bilico (come sembra andare di moda nell’ultimo periodo) tra tradizione e modernità.
Dunque anche il quartetto di Vancouver sale sul carrozzone dove si sono sedute le band emergenti, dal sound che passa da bordate deathcore ad aperture meno sincopate, più veloci, ed in linea con il death metal classico.
Il gruppo, attivo ormai da più di dieci anni, ha dato alle stampe un solo full length omonimo, contornato da tre ep, compreso quest’ultimo Mouichido.
Quattro brani per una ventina di minuti al limite del brutal e bisogna dare atto al gruppo canadese di non lasciarsi andare a facili compromessi, ma di partire all’assalto con un sound estremo ed allucinato, dove le ritmiche moderne fanno da tappeto a solos che richiamano il sound della Bay Area e creando un buon ibrido.
In Waves, devastante brano death brutal core, vede la partecipazione in qualità di ospite di Mark Hunter dei Chimaira, la produzione valorizza la potenza dei quattro brani e la band se la cava senza sbavature.
Un gruppo che per gli amanti del genere è un succulento e sanguinolento piatto dove tra Lamb Of God, Cannibal Corpse e Chimaira ci si abbuffa che è un piacere.

TRACKLIST
1.Worthless
2.In Waves (ft. Mark Hunter of Chimaira)
3.Burn
4.Morphine

LINE-UP
Alex Friis – Vocals
DJ Temple – Guitars
Ryan Loewen – Bass
Matt Helie – Drums

WITHOUT MERCY – Faceboook

Witchwood – Handful Of Stars

Siamo al cospetto di un gruppo straordinario che mette in fila tante realtà molto più blasonate

Con un po’ di ritardo rispetto all’uscita, torniamo a parlare degli Witchwood, i rockers nostrani, nati dalle ceneri dei Buttered Bacon Biscuits, che ci avevano entusiasmato con il loro primo full length, quel Litanies From The Woods che risultava una bellissima jam tra hard rock, folk, psichedelia e progressive, il tutto a formare un arcobaleno di suoni vintage d’alta scuola.

Handful Of Stars è la seconda uscita ufficiale in pochi mesi, un ep della durata di quarantacinque minuti, e la band anche qui non fa sconti con un songwriting che rimane di altissimo livello grazie a cinque perle rock retrò quanto si vuole, ma affascinanti ed attraversate da attimi di pura magia.
Il gruppo vede un primo cambio nella line up, il nuovo chitarrista Antonio Stella, e Handful Of Stars ci offre, oltre alle cinque nuove canzoni, due cover d’autore: Flaming Telepaths dei Blue Oyster Cult e Rainbow Demon degli Uriah Heep.
Gli Witchwood si confermano uno dei gruppi più convincenti nel saper ricreare le atmosfere in voga negli anni settanta, maestri nel saper coniugare una vena hard rock classica ricca di sfumature e suoni che, come strisce di colori nel cielo, formano un arcobaleno musicale ispirato ai gruppi storici ma sapientemente amalgamato in un sound unico.
Ed allora lasciatevi rapire dall’opener strumentale Presentation: Under The Willow, che tanto sa di Jethro Tull, o dall’hard rock classico, sempre velato di un’aura magica, delle bellissime Like A Giant In a Cage e A Grave Is The River, dalle atmosfere folk progressive della stupenda Mother, dalle ottime e personali interpretazioni delle due cover, per finire con la versione alternativa di Handful Of Stars, con le tastiere che, per qualche minuto, ricordano i Goblin, per tornare a jammare tra Pink Floyd e Jethro Tull in un sontuoso e organico fiume progressivo.
Siamo al cospetto di un gruppo straordinario che mette in fila tante realtà molto più blasonate: in questi anni in cui il il ritorno a certe sonorità riscuote grande interesse, specialmente nel nord Europa, l’acquisto di questo lavoro è dunque consigliato e va a comporre, con il primo lavoro, un inizio di carriera qualitativamente folgorante.

TRACKLIST
1.Presentation: Under The Willow
2.Like A Giant In A Cage
3.A Grave Is The River
4.Mother
5.Flaming Telepaths
6.Rainbow Demon
7.Handful Of Stars (New Version)

LINE-UP
Riccardo “Ricky” Dal Pane – Vocals, Guitars, percussion
Antonino Stella – Guitars
Stefano “Steve” Olivi (Hammond, Piano, Synth, Mood
Samuele “Sam” Tesori – Flute
Luca “Celo” Celotti – Bass
Andrea “Andy” Palli – Drums

WITCHWOOD – Facebook

Metall – Metal Heads

Metal Heads è un album un po’ troppo scontato, che alterna buoni spunti a cadute rovinose: nel genere si può sicuramente fare meglio.

Nel metal classico e nel power è indubbio che la Pure Steel abbia in mano delle ottime realtà, in arrivo dal nuovo continente ma anche e soprattutto nella vecchia Europa.

Poi non contenta la label tedesca si permette di riesumare vecchi gruppi del passato dandogli una chance in questo nuovo millennio, per mezzo delle sue molte label che alla casa madre si appoggiano.
Una di queste è l’Iron Shield, specializzata in sonorità thrash, ma questa volta alle prese con il power heavy metal dei rinati Metall, gruppo tedesco nato addirittura nei primissimi anni ottanta, con un solo demo uscito nel 1987 e di fatto mai sciolti.
Quindi, il gruppo capitanato dal bassista Sven Rappoldt arriva al debutto sulla lunga distanza trentasette anni dopo la sua nascita, probabilmente un record nel genere, anche se alla fine questo Metal Heads non va più in là di un discreto lavoro incentrato su un heavy metal old school, irrobustito da soluzioni ritmiche power metal e qualche buona cavalcata in crescendo.
Il sound del quartetto berlinese si può riassumere come un ibrido metallico tra Accept, Black Sabbath e Judas Priest, non male scritto così, ma il risultato alla fine convince solo a tratti.
Buone la prove del gruppo nella power song  Crimson King, nella sabbathiana Riding On The Storm e nell’epica Imperium, mentre lascia il tempo che trova il controcanto in growl su Fly; il resto dell’album viaggia sui binari della sufficienza e del già sentito, troppo poco per un gruppo tornato dopo così tanto tempo con del nuovo materiale.
Metal Heads è un album un po’ troppo scontato, che alterna buoni spunti a cadute rovinose: nel genere si può sicuramente fare meglio per cui l’ascolto è consigliato solo ai fans più curiosi e legati indissolubilmente al genere.

TRACKLIST
1. Metalheads
2. Fly
3. Crimson King
4. The Gods Above The Sky
5. Riding On The Storm
6. Glory
7. Imperium
8. Wrath

LINE-UP
Joel Stieve Dawe – Vocals
Daniel Dokic – Guitars
Marco Thäle – Drums
Sven Rappoldt – Bass

http://www.metall-heavyband.de/

Monsieur Gustavo Biscotti – Rabid Dogs

Questo è il rock, se volete, un mondo che va aldilà di inutili barriere e confini, una musica nata per ribellarsi e quindi è assolutamente inutile cercare di imprigionarla in schemi prestabiliti.

Sono sincero, quando mi hanno proposto di recensire questo album , il monicker usato dal gruppo mantovano mi ha lasciato molti dubbi, così avvicinarmi alla musica che compone Rabid Dogs, terzo lavoro dei Monsieur Gustavo Biscotti, è stata una piccola avventura, una scoperta che, ad ogni brano diventava consapevolezza di essere al cospetto di una band di tutto rispetto e di un lavoro che in se racchiude tanto del rock alternativo e del post punk degli ultimi due decenni.

I Monsieur Gustavo Biscotti sono attivi da una dozzina d’anni, sono arrivati al traguardo del terzo album e senza tante menate e con tanta gavetta alle spalle raccolgono i giusti consensi, merito di un sound che, pur pescando da una moltitudine di influenze, risulta fresco, al passo coi tempi senza essere la solita minestra riscaldata o ruffiano tanto da piacere a prescindere.
Ora, cosa ci fa una band dal piglio punk rock alternativo su una webzine come MetalEyes? Buona domanda e allora vi rispondo: cosa ci facevano un po’ di anni fa i ragazzi con la maglietta dei Napalm Death nei negozi di dischi a comprare il nuovo album dei Fugazi o dei Sonic Youth, o cosa c’entrano i Pixies con i Neurosis o gli Isis?
Questo è il rock, se volete, un mondo che va aldilà di inutili barriere e confini, una musica nata per ribellarsi e quindi è assolutamente inutile cercare di imprigionarla in schemi prestabiliti: e allora fatevi sballottare dal suono punk, scarno, noise e rock’n’roll di Rabid Dogs.
Helmet e Jesus Lizard si contendono la paternità di questo lotto di brani che, in poco più di ventidue minuti, ci destabilizzano come solo il vero rock sa fare, una musica ribelle, senza vincoli, sfrontata e fuori dagli schemi: it’s only rock’ n’ roll, ma basta e avanza.

TRACKLIST
1. Louis’ Wine
2. Little Bastard
3. First Time Shadows
4. Twenty Tunnel
5. Paralytic Taylor
6. Modernism Is My Past Continuos
7. Johnny

LINE-UP
Paolo – basso, chitarra, voce
Giandomenico – chitarra, voce
Filippo – basso, voce
Lorenzo – batteria, voce
Jacopo – farfisa

MONSIEUR GUSTAVO BISCOTTI – Facebook

Firespawn – The Reprobate

The Reprobate è un album devastante e bellissimo, da avere, ascoltare e riascoltare fino a che il vostro lettore non comincerà a sanguinare.

Album e gruppi si avvicendano nel lettore cd e, chi più chi meno, aggiungono qualcosa di loro alla storia del death metal.

Poi arrivano i Firespawn dalla Svezia, composti da una manciata di musicisti che la storia del death metal l’hanno scritta davvero, un supergruppo capitanato da mister Lars Goran Petrov, non uno qualunque ma il cantante death per eccellenza, quel tipo che con il suo growl animalesco fece innamorare al limite della sottomissione schiere di fans con Left Hand Path dei suoi Entombed e, più avanti, si inventò il death’n’roll con l’altro capolavoro Wolverine Blues.
Insieme a lui troviamo Alex Impaler al basso (Necrophobic e con i Naglfar in sede live), Victor Brandt alla chitarra (Entombed A.D.) a far coppia con Fredrik Folkare (Unleashed, Necrophobic) e Matte Modin alla batteria (Raised Fist, ex-Dark Funeral, ex-Defleshed), così da aver già vinto prima ancora che The Reprobate ci investa con tutta la sua terremotante carica estrema.
Il secondo lavoro dei Firespawn segue di due anni la prima eruzione vulcanica, Shadow Realms, confermando il combo come band vera e propria non solo quale progetto estemporaneo.
Ed infatti The Reprobate risulta quanto di meglio si possa ascoltare all’interno del death old school di scuola scandinava, una lezione di stile perfettamente bilanciata tra Entombed ed Unleashed, devastante, violenta e tempestosa, attraversata da scariche ritmiche devastanti, da una melodia estrema coinvolgente nel gran lavoro della coppia d’asce, e l’orco Petrov che ci investe con tutta la sua intatta potenza.
Per molti sarà un problema questo lavoro, dopo anni passati a criticare un genere che sicuramente non vive di novità, ma si rigenera nella propria forza espressiva, combinando emozioni e tecnica in un sound dove la violenza è nobilitata da un approccio melodico che non ha eguali, specialmente se è creato e suonato con il talento di musicisti come i Firespawn.
Certo è che tra i solchi delle varie Serpent Of The Ocean, dell’accoppiata Damnatio Ad Bestias, Death By Impalement o della title track, troverete solo swedish death metal puro, senza trucchi né inganni, mastodontico monumento al genere interpretato da chi ha contribuito nell’accompagnarlo nel nuovo millennio e lo ha riportato sul trono del metal estremo mondiale.
The Reprobate è un album devastante e bellissimo, da avere, ascoltare e riascoltare fino a che il vostro lettore non comincerà a sanguinare.

TRACKLIST
01. Serpent Of The Ocean
02. Blood Eagle
03. Full Of Hate
04. Damnatio Ad Bestias
05. Death By Impalement
06. Generals Creed
07. The Whitechapel Murderer
08. A Patient Wolf
09. The Reprobate
10. Nightwalkers

LINE-UP
LG Petrov – Vocals
Alex Impaler – Bass
Victor Brandt – Guitar
Fredrik Folkare – Guitar
Matte Modin – Drums

FIRESPAWN – Facebook

Orquesta del Desierto – DOS

Un album che nella sua pacata e sorprendente bellezza nasconde il meglio del rock degli anni novanta e lo trasforma, con dosi di folk e psichedelia, come farebbe un Mark Lanegan perso nell’immensa distesa sabbiosa e ritrovatosi a jammare con un Jimmy Page armato di chitarra acustica e sombrero.

Cercatevi un posto caldo, portatevi quello che più vi aggrada quando decidete di ascoltare desert rock e, concentrati e in totale pace godetevi DOS, secondo album degli Orquesta Del Desierto, capolavoro registrato al Rancho De La Luna nel 2003 e che vedeva all’opera il gruppo con qualche new entry e numerosi ospiti.

Pete Stahl, Dandy Brown, Mario Lalli, Mark Engel, Mike Riley, Adam Maples, Pete Davidson, Tim Jones e con Emiliano Hernandez al sax e Bill Barrett alla tromba, regalarono uno degli album più intensi del genere, principalmente acustico ed influenzato da ritmi latini: DOS è un viaggio nel deserto dal trip psichedelico, affascinante e rilassante, come se l’acido questa volta avesse invaso positivamente le cellule cerebrali ed invece di caldo e demoni, serpenti ed incubi, si contornassero di visioni sulfuree, mettendo in primo piano la tradizione latina in un arcobaleno di ritmi e suoni.
Dopo dodici anni DOS rivede la luce tramite la Spin On Black, con una nuova veste grafica curata da Luca Martinotti ed in versione vinile mixato e rimasterizzato da Harper Hugg al Thunder Underground Studio di Palm Springs.
La nuova versione contiene inoltre due brani inediti in Europa (Rope e Reaching Out) e uno negli Stati Uniti (El Diablo Un Patrono).
DOS è un album emozionante, una passeggiata nel deserto in uno dei suoi splendidi tramonti al ritmo del rock, stonerizzato e dai rimandi latini, colmo di sfumature sognanti: un esperienza musicale dove lo stoner rock della Sky Valley incontra il ritmo tradizionale dei popoli che abitano le calde e aride pianure, mentre è sempre il tramonto a portare quella frescura che rigenera, prima che la notte cali sulla sabbia modellata dal vento.
Un album che nella sua pacata e sorprendente bellezza nasconde il meglio del rock degli anni novanta e lo trasforma, con dosi di folk e psichedelia, come farebbe un Mark Lanegan perso nell’immensa distesa sabbiosa e ritrovatosi a jammare con un Jimmy Page armato di chitarra acustica e sombrero.
Purtroppo DOS è stato l’ultima opera di questi folletti del deserto e mentre la stupenda Above The Big Wide (Screaming Trees, Zep e Kyuss ci salutano da Tijuana) ci avvicina alla fine del viaggio, la consapevolezza d’essere al cospetto di un capolavoro è pari alla tragica ed inevitabile sensazione di esserci ancora una volta persi in un caleidoscopio di suoni e colori di un’America magica e conturbante, bellissima e mistica.

TRACKLIST
Side A
1.Life Without Color
2.Summer
3.Rope
4.Someday
5.Quick To Disperse

Side B
6.What In The World
7.El Diablo Un Patrono
8.Over Here
9.Sleeping In The Dream
10.Above The Big Wide
11.Reaching Out

LINE-UP
Pete Stahl – Vocals
Dandy Brown – Bass, organ, guitar, piano
Mike Riley – Guitar, organ
Mario Lalli – Guitar
Mark Engel – Guitar, organ, b .vocals
Adam maples – Drums, percussion
Pete Davidson – Drums, percussion

Bill Barret – Trumpet
Tim jones – Piano
Emiliano Hernadenz – Sax

ORQUESTA DEL DESIERTO – Facebook

Next Bullet – Zero

Tre musicisti provenienti da altre esperienze musicali (Overblood e Awake The Secrets) e dieci bombe thrash/punk/hardcore da sparare come una mitragliatrice impazzita in appena ventitré minuti di battaglia, sanguinaria, violentissima e senza compromessi.

Ecco un album che scaraventa al muro a suon di pugni e calci una gran parte del metal estremo con parola finale core.

Se vi siete abituati un po’ troppo ai suoni puliti, la rabbia troppe volte finta e gli atteggiamenti cool delle band metalcore, sostituite metal con thrash ed avrete trovato la miscela esplosiva che fa deflagrare i dieci brani racchiusi in Zero, primo album di questo trio proveniente dal nord est e che di nome fa Next Bullet.
Tre musicisti provenienti da altre esperienze musicali (Overblood e Awake The Secrets) e dieci bombe thrash/punk/hardcore da sparare come una mitragliatrice impazzita in appena ventitré minuti di battaglia, sanguinaria, violentissima e senza compromessi.
Non riesco ad immaginare la distruzione sonora che brani di una potenza gigantesca, pregni di un groove che non lascia scampo, accompagnato ad un sound dirompente, possano innescare dal vivo dove questo tipo di musica vive e trova la sua dimensione, lasciando ad altri produzioni patinate, coretti strappalacrime ed una disperazione più finta che il seno prosperoso e sodo di una sessantenne con più silicone che sangue in corpo.
Marc1 (voce), Paske (chitarra e basso) e Tom KT (batteria) sono una macchina da guerra, una crudele mietitrice che falcia tutto e tutti sotto cannonate metalliche come l’opener Next Bullet, le granitiche e devastanti All I Have Earned e Not Allow Them, il muro sonoro alzato da Born On The Wrong Side e l’urgenza punk rock della conclusiva Remember!.
Davvero notevoli, convincenti e dall’attitudine che sprizza dalle casse dello stereo come sangue da una ferita aperta da un pugno in pieno volto, i Next Bullet sono da supportare senza se e senza ma.

TRACKLIST
01. Next Bullet
02. All I Have Earned
03. Not Allow Them
04. Antiparasitic
05. Unrelenting Will
06. 2015: Mission Accomplished
07. Born On The Wrong Side
08. The New Hashtag
09. Kill The Maniac Pedophile
10.Remember!

LINE-UP
Marc1 – Vocals
Paske – Guitar, bass
Tom KT – Drums

NEXT BULLET – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

The Doomsday Kingdom – The Doomsday Kingdom

Questo nuovo capitolo della carriera di Leif Edling troverà spazio su molte delle classifiche di fine anno riguardanti il metal dalle sonorità classiche, c’è da scommetterci.

Torna Leif Edling, uno dei maestri indiscussi del doom metal mondiale: archiviata purtroppo la pratica Candlemass (vista la decisione degli altri membri di non pubblicare più nuovo materiale) si ripresenta con questa band nuova di zecca, che aveva fatto parlare di sé già lo scorso anno con la pubblicazione di un ep e ora pronta a sedersi direttamente sul trono del genere con un esordio mastodontico.

Il debutto omonimo su lunga distanza dei The Doomsday Kingdom infatti non lascia scampo: lo storico bassista ha messo in piedi una formazione di tutto rispetto con Andreas Johansson (Narnia, Rob Rock, Royal Hunt) alle pelli, Marcus Jidell degli Avatarium alla sei corde e Niklas Stålvind dei Wolf, straordinario interprete di questa raccolta di perle nere, al microfono.
Una prova sugli scudi di tutti i musicisti, con appunto un vocalist che non fa certo rimpiangere chi lo ha preceduto al fianco dell’immenso bassista svedese, alza non poco l’asticella di questo lavoro che riscuoterà sicuramente elogi ed applausi da parte di fans e addetti ai lavori
Un album di heavy/doom entusiasmante, come non se ne sentiva da tempo, ancora più bello a mio parere del primo gioiello targato Krux, (tanto per rimanere tra i progetti di Edling), proprio perché intriso di quell’heavy metal epico e old school, che ha le sue radici negli anni ottanta e che, unito al doom diventa una potente e devastante arma metallica
Epico, a tratti dannatamente affascinante nel dosare elementi settantiani ed atmosfere new wave of british heavy metal, The Doomsday Kingdom torna a far risplendere la stella del bassista dei Candlemass anche grazie ad un gruppo di musicisti spettacolari tra i quali spicca l’interpretazione fuori concorso di uno Stålvind sontuoso.
Edling si dimostra sempre in grado di scrivere grande musica: l’opener Silent Kingdom irrompe in tutta la sua carica, Never Machine (già apparsa sull’ep insieme a The Sceptre) si conferma come uno dei brani di punta dell’album, A Spoonful Of Darkness è una traccia heavy da antologia e la conclusiva The God Particle, con i suoi nove minuti, ci accompagna stravolti da tanta potenza alla fine di un’opera strepitosa.
Questo nuovo capitolo della carriera di Leif Edling troverà spazio su molte delle classifiche di fine anno riguardanti il metal dalle sonorità classiche, c’è da scommetterci.

TRACKLIST
1. Silent Kingdom
2. The Never Machine
3. A Spoonful Of Darkness
4. See You Tomorrow
5. The Sceptre
6. Hand Of Hell
7. The Silence
8. The God Particle

LINE-UP
Leif Edling – bass
Niklas Stålvind – vocals
Marcus Jidell – guitars
Andreas (Habo) Johansson – drums

THE DOOMSDAY KINGDOM – Facebook

Righteous Vendetta – Cursed

Purtroppo manca quel pizzico in più di estremismo sonoro che avrebbe attirato maggiormente i fans legati al deathcore, ma diamo atto ai Righteous Vendetta che l’uso di soluzioni richiamanti il nu metal di inizio millennio varia quanto basta l’atmosfera dei vari brani.

La ragazza dal cappuccetto rosso, ritratta sulla copertina del nuovo lavoro dei Righteous Vendetta, ci invita ad una camminata nel boschi del Wyoming, intanto con quello sguardo dubito che verremmo infastiditi dagli abitanti della foresta.

Scherzi a parte, tramite Century Media arriva Cursed, il nuovo arrivato in casa Righteous Vendetta, metalcore band statunitense che poco aggiunge al genere se non un ennesimo album di metal moderno, melodico, dai ritmi sincopati e che alterna umori nu metal e melodiche parti con una voce pulita che intona chorus strappalacrime puntati al cuore di ragazzine del nuovo millennio.
Non è neppure poco che il gruppo è in circolazione, siamo arrivati infatti al quarto full length di una carriera iniziata nel 2008, costellata da una discografia che conta pure tre ep.
Con queste premesse ci si aspettava un album capace di colpire nel segno e, sotto il punto di vista commerciale, si può dire che il gruppo abbia centrato l’obiettivo, grazie ad una raccolta di brani ineccepibili sotto il punto di vista della produzione, del suono e dell’appeal.
Purtroppo manca quel pizzico in più di estremismo sonoro che avrebbe attirato maggiormente i fans legati al deathcore, ma diamo atto ai Righteous Vendetta che l’uso di soluzioni richiamanti il nu metal di inizio millennio varia quanto basta l’atmosfera dei vari brani.
Oltre all’ottima Psycho, traccia che non lascia scampo con il suo muro di groove, Cursed qualche buono spunto lo lascia intravedere (la title track, Daemons, la devastante Doomed), ma l’uso smodato delle clean e qualche soluzione ripetuta lungo i brani, non danno all’album quel quid in più per andare oltre una prova più che sufficiente.
L’appeal è comunque buono ed è probabile che l’album faccia sicuramente vittime tra i giovani fruitori del metal moderno.

TRACKLIST
1.War Is Killing Us All
2.Cursed
3.Weight Of The World
4.Daemons
5.A Way Out
6.Defiance
7.Psycho
8.Never Say Never
9.Doomed
10.Burn
11.Halfway
12.Become
13.Strangers

LINE-UP
Ryan Hayes — Vocals
Justin Olmstead — Guitar
Justin Smith — Guitar
Zack Goggins — Drums
Riley Haynie — Bass

RIGHTEOUS VENDETTA – Facebook

Lucifera – Preludio Del Mal

Le canzoni che compongono questa lunga discesa nell’abisso dei Lucifera sono ricche di un’attitudine old school sia per quanto riguarda la parte black, sia quando il gruppo nobilita la propria musica con cavalcate heavy/thrash.

Ecco il classico album che cresce con gli ascolti e mostra, per la gioia dei blacksters dai gusti morbosi ed invasati per occultismo e testi macabri, una band convincente.

Loro sono i Lucifera, provengono dalla Colombia, e sono attivi da una decina d’anni con una discografia piuttosto prolifica: non sono pochi infatti, di questi tempi, sette uscite discografiche tra full length, ep, split, demo e live.
La proposta del gruppo è un black metal d’impatto sorretto da ritmiche thrash e chitarre che, a tratti, si possono tranquillamente definire maideniane per un connubio vincente.
L’album è cantato in lingua madre, ma è sulla musica che va concentrata l’attenzione: il gruppo ha davvero una marcia in più ed un songwriting che ne valorizza le energie, riuscendo nell’impresa di rendere piacevole un lavoro estremo che supera i sessanta minuti.
Bastano un paio di ascolti o magari i primi tre brani di questo Preludio Del Mal per entrare nel mondo oscuro dei Lucifera, dove la strega Alejandra Blasfemia ci accompagna con il suo scream maligno e posseduto in questa realtà fatta di occultismo, diaboliche possessioni e male.
Come accennato, le canzoni che compongono questa lunga discesa nell’abisso dei Lucifera sono pregne di un’attitudine old school sia per quanto riguarda la parte black, sia quando il gruppo nobilita la propria musica con cavalcate heavy/thrash che, a tratti, entusiasmano.
L’opener Esclavos de Dios, Tormentas de Sangre e la conclusiva Blasfemias (undici minuti di raggelante black doom) sono i brani che più colpiscono, ma questo lavoro merita la giusta attenzione nel suo insieme e i Lucifera un applauso per il lavoro svolto.
Se vogliamo trovare un difetto a Preludio Del Mal è forse nella produzione, un dettaglio per un’opera da non perdere assolutamente da parte di un altro gruppo che MetalEyes è felice di proporre ai suoi lettori.

TRACKLIST
1.Esclavos de Dios
2.Los Demonios de Loudun
3.Tiempos Siniestros
4.Alianzas de Acero y Metal
5.Tormentas de Sangre
6.Culto Ancestral
7.A Través de la Muerte
8.Preludio del Mal
9.Leyendas Mortuorias
10.El Señor de las Moscas
11.Letanías Infernales
12.Blasfemias

LINE-UP
David HellRazor – Owner, Guitarist, All Music & Compositions)
Alejandra Blasfemia – Manager, Bass, All Lyrics & Vocals
Acid Witch – Guitar
C. Commander – Drums

LUCIFERA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=pQZc1psXa5w

Revenience – Daedalum

Un debutto sulla lunga distanza che promette bene per il futuro di questa band nostrana: in un genere inflazionato come il gothic metal, i Revenience hanno le carte in regola per ritagliarsi il loro spazio.

Symphonic gothic metal da Bologna con Daedalum, il primo full lenght dei Revenience, quintetto facente parte della grande e varia famiglia Sliptrick Records.

Come tutte le band gothic che si rispettino, anche i Revenience possono contare su una cantante, Debora Ceneri, dall’ottimo talento, personale e bravissima nel variare la sua performance quel tanto che basta per modellare le canzoni regalando loro una propria anima.
Il sound di Daedalum risulta così molto vario ed alterna canzoni gothic metal dal piglio estremo, con tanto di voce in growl (Simone Spolzino) a duettare con la musa, altri eleganti ed elettronici ed altri ancora più sinfonici, ampliando il più possibile il proprio sound.
Le ispirazioni sono molte e di vario genere (si passa con disinvoltura da Edenbridge e Within Temptation ai Lacuna Coil) e l’album ne trae beneficio, convincendo e lasciando intravedere ottime potenzialità grazie ad una manciata di tracce molto intriganti.
Fra queste sicuramente spicca il singolo Shamble, brano dall’enorme appeal, e poi Flail, altro bellissimo esempio di gothic metal sinfonico, fino ad arrivare all’apice di questo Daedalum, l’emozionante Shadows And Silence, sunto della musica del gruppo, tra parti più ariose, potenti ritmiche, solos classici ed una prova sontuosa di Debora Ceneri.
Un debutto sulla lunga distanza che promette bene per il futuro di questa band nostrana: in un genere inflazionato come il gothic metal, i Revenience hanno le carte in regola per ritagliarsi il loro spazio.

TRACKLIST
1.In a Landascape of Winter
2.Blown Away by the Wind
3.Shamble
4.Flail
5.Lone Island
6.A-Maze
7.Not My Choice
8.Revenant
9.Shadows and Silence

LINE-UP
Fausto De Bellis – Bass, Guitars
Simone Spolzino – Drums, Vocals (harsh)
Michele Di Lauro – Guitars
Pasquale Barile – Keyboards, Synths
Debora Ceneri – Vocals

REVENIENCE – Facebook

Dark Phantom – Nation of Dogs

Pensate al sound di Slayer e Testament più death oriented, ricamati dalla musica popolare che dà al tutto un tocco progressivo, ed avrete in mano la musica degli iracheni Dark Phantom.

Oltre alla soddisfazione nel trattare le opere di gruppi che nell’ambiente metallico sono delle icone, il bello di operare all’interno di una webzine è l’incontro con entità provenienti da paesi, in teoria, al di fuori della consueta scena musicale, soprattutto se parliamo di Iraq e l’abbiniamo al metal.

Così, solo come ascoltatore non avrei mai potuto conoscere i Dark Phantom, ed invece eccomi a raccontare a voi il primo full length di questo gruppo proveniente da Kirkuk, non proprio il luogo ideale per dei ragazzi con la passione del metal, il talento per suonarlo e il sicuro potenziale per imporsi.
Nella loro carriera troviamo un primo ep nel 2013 (Beta) e il debutto sulla lunga distanza dopo tre anni, ben spesi direi, visto la qualità di Nation Of Dogs, un album di thrash metal con atmosfere a tratti prese in prestito dalla musica popolare della loro terra per un risultato molto interessante.
Mezz’ora basta e avanza per il gruppo, che convince su tutta la linea dal thrash che si alimenta di death metal nel growl profondo del singer Mir, mentre le soluzioni arabeggianti più marcate nella title track e nella splendida Judgement Call, non fanno che lasciare una sensazione di maturità e personalità elevatissima da parte del combo.
Pensate al sound di Slayer e Testament più death oriented, ricamati dalla musica popolare che dà al tutto un tocco progressivo, ed avrete in mano la musica degli iracheni Dark Phantom: la band poi ci inserisce cavalcate di thrash metal old school e ne escono dieci brani che hanno il pregio di non risultare prolissi, sempre impostati come terribili fendenti, vari nella struttura, sorprendenti per la già ottima amalgama tra le influenze, e non così facile da proporre con una tale intensità.
Nation Of Dogs non vive del riflesso dei due brani menzionati ma risulta un ottimo lavoro nel suo insieme, con almeno altre due tracce che centrano il bersaglio, le devastanti O!Holocaust, una marcia metallica dal coro in clean arabeggiante e la conclusiva State Of War.
Solo complimenti per il gruppo iracheno e, anche se si può sempre far di meglio, il loro debutto si può già definire un album di culto, in bocca al lupo da MetalEyes.

TRACKLIST
1.Dark Ages
2.New Gospel
3.Nation of Dogs
4.Judgment Call
5.Unholy Alliance
6.O! Holocaust
7.Atomosphere
8.Confess
9.On the Brink of Terror
10.State of War

LINE-UP
MIR – vocalas
MURAD – Guitar
REBEEN – Guitar
MAHMOOD – Drums
SERMET – Bass

DARK PHANTOM – Facebook

Hybrid Sheep – Hail To The Beast

Un buon lavoro che unisce la tradizione death melodica con il più moderno metalcore, mantenendo una violenza estrema di fondo che entrerà nei cuori anche dei deathsters dagli ascolti classici.

Death metal melodico con qualche spunto core e soprattutto una carica niente male, in poche parole ecco Hail To The Beast, nuovo lavoro del quintetto francese degli Hybrid Sheep.

Nato quasi una decina di anni fa, il gruppo transalpino proprone il suo secondo full length, di corta durata (poco più di mezzora) e che spara ad altezza d’uomo una serie di cannonate niente male: prodotto a meraviglia, Hail To The Beast non si fa mancare nulla, dalla doppia voce (growl e scream) a ritmiche che alternano la potenza del metalcore con più veloci approcci death metal che le sei corde, molro melodiche, avvicinano a quanto fatto in Scandinavia nel dopo Clayman.
Poi il quintetto transalpino non manca di imprimere la sua personalità che vive di influenze moderne e, aiutato da una buona tecnica, si fa apprezzare con un lavoro urgente, senza compromessi e diretto: un muro sonoro in cui la melodia è fondamentale per la riuscita di brani spaccaossa come Towards Ruins And Oblivion, The World Eater, il death thrash da distruzione totale di Premature Burial e la conclusiva Into The Lion’s Den.
Un buon lavoro che unisce la tradizione death melodica con il più moderno metalcore, mantenendo una violenza estrema di fondo che entrerà nei cuori anche dei deathsters dagli ascolti classici.

1.Warface
2.Towards Ruin and Oblivion
3.Following Blind Leaders
4.The World Eater
5.The Last Breath of a Dying Earth
6.Premature Burial
7.Hail to the Beast
8.Harvest of Humans
9.Into the Lion’s Den

LINE-UP
Arnaud – Vocals
Alex – Guitar
Andre – Guitar
Max – Bass
Jordan – Drums

HYBRID SHEEP – Facebook

Nightrage – The Venomous

Una multinazionale del death melodico che non tradisce neanche questa volta, anzi ci consegna un album a tratti esaltante, tra ritmiche thrash, solos melodici e chorus si stampano in testa al primo giro di giostra.

Benedetto (o maledetto) death metal melodico, quando credi che ormai solo l’underground possa regalare qualche ottima sorpresa, mentre le band storiche continuano a sfornare lavori discreti ma lontani anni luce dai sfavillanti album degli anni novanta, ecco che arriva a far cadere ogni certezza il nuovo lavoro dei Nightrage, gruppo greco/svedese che può tranquillamente essere inserito tra le band portanti del genere , almeno della seconda ondata (quella che portò il sound nato nella penisola scandinava nel nuovo millennio).

Perché The Venomous è davvero un gran bel disco, a metà strada tra il vecchio ed ormai classico sound ed un approccio leggermente più moderno, magari meno calcato che nel precedente album (The Puritan, uscito un paio di anni fa) e che porta la musica del gruppo a camminare perfettamente in bilico tra il death melodico classico dei primi In Flames e quello più moderno e thrash dei Soilwork.
Aggiungete un songwriting ispirato ed una prova sontuosa del buon Marios Iliopoulos alla sei corde, ed avrete uno degli album più riusciti in campo death melodico dell’ultimo anno solare.
I Nightrage hanno visto nel corso degli anni un via vai di musicisti del calibro di Tomas “Tompa” Lindberg e Gus G, altri che si sono dati il cambio dall’alba del nuovo millennio per tutti questi anni e per sette album, sempre diretti da Iliopoulos e dal bassista Anders Hammer .
Una multinazionale del death melodico che non tradisce neanche questa volta, anzi ci consegna un album a tratti esaltante, tra ritmiche thrash, solos melodici e chorus si stampano in testa al primo giro di giostra, ed un’atmosfera che, per chi ha vissuto gli anni d’oro del genere, risulta un ritorno al meglio che può offrire questo sound.
C’è poco da fare, il death metal melodico suonato a questi livelli rimane uno dei generi più esaltanti degli ultimi trent’anni, magari non sarà più una novità, ma brani come la title track, In Abhorrence, From Ashes Into Stone o Trail Of Ghosts riescono nell’impresa di farci tornare, almeno per una cinquantina di minuti, in quel di Göteborg, quando un album del genere era accolto come un regalo di Odino dai fans e dagli addetti ai lavori.

TRACKLIST
1. The Venomous
2. Metamorphosis/Day Of Wrath
3. In Abhorrence
4. Affliction
5. Catharsis
6. Bemoan
7. The Blood
8. From Ashes Into Stone
9. Trail Of Ghosts
10. Disturbia
11. Desolation And Dismay
12. Denial Of The Soul

LINE-UP
Marios Iliopoulos – Guitars
Anders Hammer – Bass
Ronnie Nyman – Vocals
Lawrence Dinamarca – Drums
Magnus Söderman – Guitars

http://www.facebook.com/nightrage/?ref=mf

Hellwitch – Syzygial Miscreancy

Che la band sapesse suonare non c’era alcun dubbio, chiaramente la proposta è più di quanto old school si possa trovare in giro, quindi questa ristampa è consigliata solo agli amanti dei suoni estremi di più datata derivazione.

Considerato dal gruppo come il loro primo full length, torna a tormentare le notti dei deathsters dai gusti old school questo piccolo gioiellino estremo uscito nel lontano 1990 targato Hellwitch.

Syzygial Miscreancy è composto da venticinque minuti di metal estremo di stampo death molto tecnico ed ovviamente di matrice statunitense.
D’altronde lo storico quartetto nasce addirittura a metà degli anni ottanta in Florida, seguendo le orme thrash metal degli Slayer ed in seguito aggiustando il tiro, così da creare un vortice di musica metallica dalla componente death.
La storia del gruppo ha visto vari stop nel corso degli anni, con una discografia incentrata su lavori minori (split e demo) ed un secondo album uscito nel 2009 dal titolo Omnipotent Convocation.
Tornata sul mercato quest’anno con un singolo licenziato dalla Pulverized records, la band che gira intorno allo storico cantante e chitarrista Patrick Ranieri, riporta in scena la sua porzione di violenza musicale, anche se solo con la ristampa del primo album, fatto di un death/thrash tecnico e marcio all’inverosimile, violentissimo, ancora orientato verso il thrash slayerano, ma tecnicamente ineccepibile, ricco di vortici ritmici composti all’inferno e solos taglienti.
Che la band sapesse suonare non c’era alcun dubbio, chiaramente la proposta è più di quanto old school si possa trovare in giro, quindi questa ristampa è consigliata solo agli amanti dei suoni estremi di più datata derivazione.

TRACKLIST
1.The Ascent
2.Nosferatu
3.Viral Exogence
4.Sentient Transmography
5.Mordirivial Dissemination
6.Pyrophoric Seizure
7.Purveyor of Fear

LINE-UP
Patrick Ranieri – Lead guitar/rhythm guitar/vocals
J.P. Brown – Rhythm guitar
Brian Wilson – Drums
Julian David Guillen – Bass (Live)

HELLWITCH – Facebook

VV.AA. – Metal Pulse: A Tribute To Dale Huffman

Bellissimo e sentito tributo della scena metal cristiana a Dale Huffman, proprietario di Metal Pulse Radio.

E’ da sempre luogo comune associare il metal con influenze sataniche ed aberrazioni di ogni sorta, specialmente se della cultura che sta dietro alla nostra musica preferita non si è informati e ci si convince degli stereotipi creati dall’ignoranza mediatica, mentre il movimento invece, in tutte le sue forme è sempre pronto a sostenere o commemorare chi, per essa, ci ha speso una vita intera.

La scena metal underground statunitense di matrice cristiana, per esempio, si è attivata per questo tributo ad un suo membro e fratello, Dale Huffman, proprietario di Metal Pulse Radio, deceduto nel febbraio di quest’anno dopo aver combattuto contro il cancro per due anni.
Rottweiler Records e Roxx Records, due delle maggiori etichette che si occupano di metal cristiano, hanno chiamato a rapporto una buona fetta dei gruppi del genere dando vita a questo tributo che non è solo un modo per ricordare la memoria di un personaggio importante in quell’almbito, ma anche un’occasione per far conoscere al mondo metallico una serie di ottimi gruppi che dell’heavy metal ne fanno una missione.
Di tutte le band che hanno risposto all’ appello, una buona parte sono finite su questo cd il cui il ricavato andrà alla famiglia di Huffman, mentre chi farà sua questa compilation avrà una panoramica esauriente su una scena cristiana che, aldilà dell’oceano, è molto sentita.
La raccolta parla chiaro, il metal cristiano è vivo e vegeto, perciò non solo Stryper (il gruppo più famoso), ma ottime realtà come i BioGenesis, ed il loro metal orchestrale rappresentato dalla monumentale Tears Of God, i Grave Robber con Fill The Place With Blood e la loro passione per Ronnie James Dio ed i power thrashers Join The Dead, devastanti ed aggressivi con la dirompente Walking In Darkness.
Una raccolta di brani selezionati con cura lascia un’ottima sensazione sul valore di questa scena che spazia dal thrash metal, all’heavy, dall’hard rock dei Messenger, al mid tempo tastieristico alla Savatage dei notevoli Promise Land.
Sarebbero da menzionare tutti i gruppi raccolti in questo tributo, però vi ricordo ancora gli heavy metallers Saint e la bellissima ballad The Chosen Few dei Worldview, ciliegine sulla torta musicale di questa grande iniziativa.
Se amate il metal classico la raccolta di brani e delle band è di altissima qualità, la voglia di conoscere realtà nuove delle scene in giro per il mondo è tanta, ed onorare un uomo che tanto ha fatto per il metal è il minimo.
R.I.P Dale.

TRACKLIST
1. Metal Pulse Radio Intro / Ultimatum ‘Heart of Metal’
2. Dynasty ‘Metal Pulse’ (Previously Unreleased)
3. Promise Land ‘Christ In Us (CIU)’
4. Join The Dead ‘Waiting In Darkness’ (Previously Unreleased)
5. Rainforce ‘Shine A Light’ (Previously Unreleased)
6. BioGenesis ‘Tears Of God’ (Previously Unreleased)
7. Sunroad ‘In The Sand’ (Previously Unreleased)
8. Messenger ‘Christian Rocker’
9. Worldview ‘The Chosen Few’
10. Grave Robber ‘Fill This Place With Blood’
11. Sweet Crystal ‘Even Now’
12. Stairway ‘Across The Moon’
13. Shining Force ‘Holy of Holies’
14. The World Will Burn ‘Brand New Song’
15. Titanic ‘Freak Show’
16. Saint ‘In The Night’

ROXX RECORDS – Facebook

Mexican Chili Funeral Party – Mexican Warriors’ Revenge

Con i Mexican Chili Funeral Party si parte per un viaggio lisergico in compagnia di Led Zeppelin, Doors, Kyuss e Queen Of The Stone Age, con un pizzico di grunge e accenni funk rock.

Chissà se, fra qualche decennio, questi primi anni del nuovo millennio verranno ricordati come il ritorno dei suoni vintage ed old school.

Certo è che nel metal, così come nel rock, un’alta qualità che fa il pari con le molte uscite, stanno portando la nostra musica preferita ad una nuova sfida.
Chi avrà ragione? Quelli che sostengono che non esiste futuro per il rock ma solo un presente da vivere giorno dopo giorno, anno dopo anno, o quelli che hanno già partecipato alla cremazione del malato, da anni terminale e morto tra le nebbie di Seattle o i deserti della Sky Valley?
Come sempre la verità sta nel mezzo e così, a fronte di una crisi dei consumi che tocca inevitabilmente anche la musica, si continua a parlare di rock, magari old school, stonato o drogato dal blues ma pur sempre musica del diavolo che, in quanto tale, è viva e vegeta e brucia nel petto degli appassionati di tutte le età.
Ok, mi sono dilungato, forse troppo, ma una precisazione andava fatta, anche perché qui mi ritrovo con l’ennesimo top album, questo selvaggio e bellissimo Mexican Warriors’ Revenge, nuovo lavoro dei nostri Mexican Chili Funeral Party.
I cinque rockers brianzoli sono attivi più o meno dal 2009, almeno da quando hanno trasformato il loro territorio in un caldissimo e arido deserto, modello Sky Valley appunto, e da qui sono partiti per un trip chi li ha fatti viaggiare attraverso il rock del ventesimo secolo, prima con l’ep La Ballata del Korkovihor uscito nel 2010, poi con il primo full length omonimo licenziato tre anni fa, ed ora con questo bellissima seconda prova sulla lunga distanza in uscita per Sliptrick Records.
Hard rock, stoner e psichedelia, il tutto unito da uno spirito vintage che li porta ad avvicinarsi ai mostri sacri, ma con una personalità debordante, tanto che la band non ha paura di far incontrare i dinosauri settantiani con i grandi gruppi rock nati in uno dei decenni più prolifici della musica contemporanea (per chi scrive il più prolifico in assoluto), gli anni novanta.
Con i Mexican Chili Funeral Party si parte per un viaggio lisergico in compagnia di Led Zeppelin, Doors (bellissima la cover del classico Waiting For The Sun), Kyuss e Queen Of The Stone Age, con un pizzico di grunge e accenni funk rock che danno un senso musicale alla parola “chili” che fa bella mostra di sé nel monicker.
La prima parte si concentra sull’hard rock stonato con una serie di brani che fanno pensare a quello che accadrà in seguito (Vespucci, Power Of Love), ma dalla cover di Waiting For The Sun in poi è puro trip stoner psichedelico da infarto, con il sabba Lu Curt agitato da una chitarra zeppeliniana in overdose.
Un album bellissimo, intenso, selvaggio e primordiale: questo è rock, il resto sono solo chiacchiere.

TRACKLIST
1.01
2.Vespucci
3.Power of Love
4.La Ballata Del Korkovihor, Pt. II
5.Ranger
6.Waiting for the Sun
7.1605
8.Lu Curt
9.Tomahawk
10.11
11.Seul B

LINE-UP
Alessio Capatti – Voice and guitar
Andrea Bressa – Guitar
Andrea Rastelli – Drums
Carlo Perego – Bass
Mr. Diniz – Keyboards and guitar

MEXICAN CHILI FUNERAL PARTY – Facebook

Grog – Ablutionary Rituals

I Grog tornano con un nuovo massacro, una tortura ai padiglioni auricolari sotto forma di brutal death metal e grindcore.

Assolutamente devastante la proposta di questa storica band portoghese, attiva dai primi anni novanta.

I Grog tornano con un nuovo massacro, una tortura ai padiglioni auricolari sotto forma di brutal death metal e grindcore, ed un concept che rispecchia la musica prodotta con testi che parlano di morte, torture sessuali varie, porno e gore a manetta.
Quarto full length, più una manciata abbondante di demo compongono la discografia di questi quattro pazzi musicisti lusitani che, nel corso degli anni, hanno dovuto prendersi alcune pause anche relativamente lunghe dopo un decennio più prolifico come l’ultimo dello scorso secolo.
Per gli amanti del genere Ablutionary Rituals risulta il classico massacro, abituale di un genere che non trova grandi sbocchi creativi ma che punta tutto sull’impatto ed ovviamente sull’aggressione fatta di violenza senza compromessi, una serie di sevizie musicali che hanno nei blast beat l’arma micidiale, nelle chitarre che si distorcono in vortici di note maleodoranti e nel growl che, nel cliché del genere, racconta le nefandezze sulle quali la band innalza un muro sonoro di brutal death.
Hanno girato in lungo ed in largo suonando con i migliori gruppi del mondo estremo e si sente, l’esperienza è l’arma in più dei Grog, che come un serial killer sevizia ed uccide, chirurgico e freddo a colpi delle putride Revelation Pen Wound, intro claustrofobica che cede il passo alla devastante Uterine Casket e all’abisso brutale che si apre all’ascolto delle seguenti tracce.
Un’album assolutamente per fans del genere ma che sa come farsi apprezzare.

TRACKLIST
1.Revelation – Open Wound
2.Uterine Casket
3.Savagery
4.Sterile Hermaphrodite
5.Sarco-Eso-Paghus
6.Vortex of Bowelism
7.Cardiaxe
8.A Scalpel Affair
9.Gore Genome
10.Gut Throne
11….of Leeches Vultures and Zombies
12.Flesh Beating Continuum
13.From Disease to Decease
14.Katharsis – The Cortex of Doom and Left Hand Moon

LINE-UP
Alexandre Ribeiro – Bass
Rolando Barros – Drums
Ivo Martins – Guitars
Pedro Pedra “Aion” – Vocals

GROG – Facebook