Vindland – Hanter Savet

Mirabile fusione di black e pagan, un’opera affascinante e ricca di antiche suggestioni.

Ritornano dopo sette anni i francesi Vindland con un’opera di pagan black metal di buon livello, ispirata, emozionante e coinvolgente; il disco in questione Hanter Savet è uscito nel 2016, è andato sold out e ora è stato ristampato con differente artwork, ma il contenuto è rimasto immutato, con nove brani per circa un’ora di grande musica.

La band, un trio, chitarra, vocals and drums, aveva già prodotto un demo (2007) e un EP (2009), ma ora per Black Lion Records compie il grande passo e memore delle proprie origini, la Bretagna nel nord ovest della Francia, esprime tutta la fierezza del suo popolo, abbandonando la lingua inglese e cantando in bretone. E’ come il ritorno di un guerriero dimenticato che vuole riappropriarsi del tempo perduto e fin dal primo brano Orin Kozh i bretoni esprimono tutta la loro furia e il loro gusto compositivo, intessendo su base black continui riff che denotano un grande gusto melodico; lo scream è convincente e deciso, le atmosfere evocative e fiere. Tutti i brani hanno grande forza, non ci sono filler, la band conosce l’arte di creare pagan black di gran classe e il pensiero corre a una leggenda norvegese di fine anni 90, i Windir del grande Valfar, che con la loro musica hanno emozionato nel profondo: i loro quattro full (Soknardair, Arntor, 1184 e Likferd) hanno rappresentato la quintessenza del pagan/viking black e, a mia memoria, nessuna band successiva ha mai raccolto la loro eredità. Ora i Vindland con la loro musica si avvicinano a quelle atmosfere e con il loro suono fanno riandare la memoria a quei gloriosi tempi. Un brano magnifico come Treuzwelus non può non “riscaldare” i cuori del vero ascoltatore di black, e l’alternarsi di furia e melodia con inserti di fisarmonica di Serr-noz lasciano stupiti di fronte alla capacità compositiva dei tre musicisti. E’ incredibile che una band non scandinava conosca così bene il segreto di coinvolgere l’ascoltatore in un affascinante turbinio di emozioni; non ci sono suoni post-metal, post-black, sludge,doom o altre forme di musica estrema, ma solo arrembante ed evocativo pagan black metal ricco di forza e gusto melodico: un fiume in piena che travolge tutto come nel brano Skorneg Du, dove la chitarra trova riff di altri tempi e la sezione ritmica non conosce ostacoli. Anche gli inserti folk e acustici inframmezzati nei brani sono ricchi di buon gusto e non spezzano la tensione e l’epicità del suono. Gli abbondanti undici minuti di Skeud ar gwez con i suoi iniziali arpeggi meditativi, tristi e melanconici, suggellano l’arte del trio bretone prima di una fluida e lunga cavalcata senza ritorno. Veramente un magnifico e inatteso lavoro che non lascerà tanto presto i vostri lettori di cd e la vostra anima.

Tracklist
1. Orin kozh
2. Treuzwelus
3. Serr-noz
4. Pedenn koll
5. Skleur Dallus
6. Morlusenn
7. Skorneg du
8. Skeud ar gwez
9. And the Battle Ended

Line-up
Camille Lepallec – guitars
Marc Le Gall – drums
Romuald Echival – vocals

VINLAND – Facebook

Usnea – Portals into Futility

Magnifico disco degli statunitensi che raggiungono il loro apice creativo: funeral, sludge e death fusi in modo magistrale.

A tre anni da un ottimo lavoro come Random Cosmic Violence la band statunitense di Portland si ripresenta con una magnifica opera, sempre su Relapse Records.

La band raggiunge, forse, il suo apice creativo, mantenendo il proprio trademark improntato su un suono dove si mescolano funeral-doom, death, sludge e aromi black: gli Usnea non sono i primi a cimentarvisi, ma  lo fanno con grande passione e importante conoscenza della materia; il songwriting è di alto livello e la capacità della band di creare suggestive atmosfere e melodie sempre su una base molto heavy, li fanno primeggiare. I cinque brani, tutti di lungo minutaggio, com’è giusto per il genere proposto, non sono particolarmente complessi ma sono ricchi di idee compositive sempre adeguate e la band si permette di suggerire la lettura di alcune opere distopiche e sci-fi, per meglio metabolizzare la struttura dei brani: ad esempio il brano Demon haunted world, disperato, cupo e opprimente è legato strettamente all’ omonimo libro di Carl Sagan del 1996. Altri scrittori noti e importanti come Frank Herbert (Dune) e Philip Dick (Valis) rappresentano suggestioni importanti per addentrarsi in cangianti brani come Pyrrhic Victory e A crown of desolation: nel primo la pesantezza del suono, l’alternarsi di vocals in scream e growl e l’atmosfera disperata si sfalda lentamente, nella parte centrale, in note cosmiche dove oscure dimensioni creano incubi in cui si smarrisce la memoria di sé. Nel brano finale A crown of desolation, mostro di abbondanti sedici minuti, si sublima la profondità emotiva della band, la devastante disperazione prende il sopravvento e un “io” travolto da minacce arcane perde completamente la speranza di ritrovare fragili equilibri; le vocals urlate, sgraziate accompagnate da un oscuro coro delineano scenari in cui la mente si spegne ed esplode come un nero cristallo impazzito.
Veramente un lavoro magnifico da assaporare lentamente, nota per nota, lasciandosi coinvolgere dalla notevole arte degli Usnea.

Tracklist
1. Eidolons and the Increate
2. Lathe of Heaven
3. Demon Haunted World
4. Pyrrhic Victory
5. A Crown of Desolation

Line-up
Joel Williams Bass, Vocals
Zeke Rogers Drums
Johnny Lovingood Guitars
Justin Cory Guitars, Vocals, Piano

USNEA – Facebook

Novae Militiae – Gash’khalah

La band è di livello superiore e ci annichilisce con black metal senza compromessi: la Francia si dimostra ancora una terra prolifica per l’arte nera.

Tenebrosi cori con un sinistro clangore di catene ci introducono alla seconda opera dei francesi Novae Militiae, già presentatisi nel 2011 con Affliction of the Divine: della band si sa soltanto che è originaria di Parigi mentre non si ha idea di chi e cosa suoni, né dove sia stato registrato il disco.

L’unica cosa su cui dobbiamo concentrarci è il puro suono del black metal denso, incompromissorio, violento, figlio delle migliori espressioni estreme d’oltralpe (Antaeus, Arkhon Infaustus). Non vi sono le commistioni post-black, post metal di cui alcune buone band francesi si nutrono, qui l’unico verbo è l’arte nera vomitata con violenza a incarnare il puro spirito del genefre. Fin dall’inizio la lezione è chiara, brani come Chasm of the cross e la violentissima Daemon est deus inversus annichiliscono con la loro furia iconoclasta, le melodie sono malate, oscure e sono sommerse da uno scream brutale e luciferino. I brani sono lunghi, carichi di odio, intensi a creare un rituale occulto dove non ci sono speranze per chi vi si addentra.
E’ il grido bestiale di una band che non si piega e lascia fluire come un fiume in piena la sua arte dannata infliggendo all’ascoltatore arcane e forti emozioni; la durata di circa un’ora impone di essere nel giusto mood per riuscire ad uscire sani di mente da questa agonia sonora. I ritmi cadenzati di Annunciatione e Fall of the idolsprovocano, ricordando a mio parere anche il Religious Bm, momenti di sconfinata angoscia e mistero dove l’atmosfera si impregna di zolfo e occulto e veramente l’inferno dista pochi passi. La perversa e blasfema follia non conosce pause e nel brano finale Seven cups of divine outrage l’atmosfera infernale sublima i nostri sensi e fa ricordare i tempi passati quando pronunciare la parola black metal impressionava e atterriva l’ascoltatore.

Tracklist
1. The Chasm of the Cross
2. Daemon Est Deus Inversus
3. Orders of the Most-High
4. Koakh Harsani
5. Annunciation
6. Black Temple Consecration
7. Fall of the Idols
8. Seven Cups of Divine Outrage

NOVAE MILITIAE – Facebook

Jordablod – Upon My Cremation Pyre

Un notevole esordio da parte di questa band svedese che ci fa conoscere la propria visione del black metal, tramite un’opera avvincente, complessa e personale.

Un lungo viaggio nel profondo cuore del black metal con un’impronta particolare e personale: l’underground, come al solito, non delude e per la sempre attenta Iron Bonehead esordiscono con il primo full i Jordablod, band proveniente da Malmo nel sud della Svezia.

Non molte notizie sulla band: hanno esordito nel 2015 con un EP, seguito nel 2016 da un demo e ora l’opera prima che evidenzia la grande personalità del terzetto, pronto ora anche ad esibirsi live.
Disco non facile da descrivere, sette brani in cui i musicisti sono animati da un sacro fuoco interpretativo dove la scrittura dei brani ha un ruolo importante; la profonda conoscenza della materia black nordica, sia svedese che norvegese, si aggiunge alla passione di chi ama questo suono.
I brani scritti dal terzetto creano, amalgamando black, death, psichedelia e aromi doom, un viaggio dove l’inventiva la fa da padrona, la capacità della chitarra di creare suoni, melodie in un qualcosa di peculiare, un viaggio lungo circa un’ora che non annoia minamamente, anzi, svela ad ogni ascolto nuovi particolari. L’opera ha veramente bisogno di numerosi ascolti per essere capita e valutata appieno. Brani come Chants for the black one e Of fiery passion con la chitarra che elabora suoni visionari e acidi va al di là della comune idea di black metal, con la sezione ritmica che segue traiettorie varie, le vocals sinistre con il loro scream e, il guitar sound penetrante, vario e incisivo incendiano l’atmosfera occulta e visionaria che permea tutto il lavoro; la band, anche quando rallenta i ritmi, per la verità mai comunque velocissimi, incanta con armonie arcane e traiettorie sonore mai scontate (Hin håle). L’omonimo brano finale deflagra in un black doom oscurissimo dove le blasfeme litanie non possono non portare ad una unica invocazione finale …may my deathly mother dance upon my cremation pyre.
Non ci sono riempitivi e il lavoro fa della complessità la sua forza, attirando numerosi ascolti e lasciando sempre soddisfatta la nostra voglia di arte nera. Una copertina molto particolare aggiunge valore a quest’opera prima, figlia di una visione personale e profonda conoscenza della musica estrema.

Tracklist
1. En Route to the Unknown
2. Liberator of Eden
3. Chants for the Black One
4. Hin håle
5. A Sculptor of the Future
6. Of Fiery Passion
7. Upon My Cremation Pyre

JORDABLOD – Facebook

Atriarch – Dead as Truth

La band ribadisce la bontà della sua arte, continuando il suo desolato, apocalittico e personale percorso artistico.

Non hanno bisogno di un’opera di lunga durata gli statunitensi Atriarch per ribadire, dopo tre full length, la bontà del loro percorso artistico sempre monolitico, atmosferico e soprattutto molto personale.

Anche il cambio del chitarrista, ora Joshua Dark al posto di Brooks Blackhawk, non ha sostanzialmente modificato la trama sonora imbastita dal quartetto che rimane carica di oscura atmosfera ed è frutto di una commistione di post-punk, nera darkwave, black doom e lampi di deathrock; grande lavoro della sezione ritmica dove la batteria è molto varia e potente ed il suono del basso sempre presente e poderoso sposta, forse, il suono su atmosfere più darkwave e post punk, meno su suoni metallici. Tale sensazione non scalfisce nel modo più assoluto l’essenza dell’arte del quartetto; fin dal primo brano Inferno si è chiamati a immergersi nelle tenebre più oscure, i ritmi sono lenti, ritualistici, apocalittici e scandiscono allucinazioni in cui orizzonti plumbei e confusi si scontrano in un universo desolato. La voce potente e declamatoria di Lenny Smith ci accompagna narrandoci di storie di violenza, odio, disperazione e morte. La musica degli statunitensi, di Portland, incastonando il meglio di certa ossessiva darkwave (Bauhaus, Killing Joke) in strutture black e doom crea una interpretazione decisamente unica del suono estremo, generando sublimi muri di suono che in Dead ricordano anche maestosità come i Joy Division dove …”love is lost, life forgot, nothing left inside”. Gli altri quattro brani per un totale di poco più di mezz’ora affondano e penetrano nell’anima di noi ascoltatori generando un’energia devastante, purificatrice per un mondo dolente incapace di risollevarsi dalle sue miserie.

Tracklist
1. Inferno
2. Dead
3. Devolver
4. Void
5. Repent
6. Hopeless

Line-up
Andy Savage – Bass
Joshua Dark – Guitars
Maxamillion Avila – Drums
Lenny Smith – Vocals

ATRIARCH – Facebook

Tau Cross – Pillar of Fire

Secondo eccellente lavoro per questo supergruppo che, unendo ingredienti come darkwave,crust,trash, sforna un’opera intensa, coinvolgente e da non lasciarsi sfuggire.

Essenziale e potente! Con questi aggettivi si può definire la seconda prova offerta da questo supergruppo internazionale che affonda le radici in Canada, in U.S.A. e in United Kingdom.

Nel 2015 la prima opera omonima in cui grandi musicisti come Rob “The Baron” Miller alle vocals e Michael “Away” Langevin alla batteria, hanno dimostrato una volta di più il loro valore musicale; mi auguro che non ci sia bisogno di spiegare chi siano e da che band provengano! Con l’aiuto di altri quattro validi musicisti, dal passato meno importante e dopo due anni dal debutto, ci regalano altri cinquanta minuti di grande musica, dove le coordinate sonore sono similari al debutto e forse meglio messe a fuoco: l’unione tra post-punk, crust, darkwave (versante Killing Joke di Wardance e Requiem e in alcuni tratti ritmici i primi Red Lorry Yellow Lorry), trash e musica heavy genera, soprattutto nella prima parte del disco, una serie di brani potenti, trascinanti dove si erge in modo sontuoso il suono del basso, suonato da Tom Radio e dallo stesso Rob Miller (inizio di Deep State), che accompagna e crea muri sonori dove le chitarre intessono melodie semplici ma incisive; la voce rauca, ruvida, vissuta e spesso disperata di “The Baron” crea un contrasto efficace con la macchina da guerra precisa degli strumenti.
La prima parte, come si diceva, esprime la potenza e l’essenzialità di un suono (Raising Golem) seguendo derive trash, punk e post-punk, mentre la seconda parte rallenta i ritmi e da maggiore sfogo ad armonie darkwave e atmosferiche come nella splendida Killing the King, nella title track, dove si toccano vette dark-folk molto intense ricordanti le piccole gemme solistiche di Steve Von Till (Neurosis). Ultima nota di merito per il magnifico brano What Is a Man, che con suggestive note tastieristiche porta a compimento un lavoro che difficilmente lascerà il vostro lettore cd.

Tracklist
1. Raising Golem
2. Bread and Circuses
3. On the Water
4. Deep State
5. Pillar of Fire
6. Killing the King
7. A White Horse
8. The Big House
9. RFID
10. Seven Wheels
11. What Is a Man

Line-up
Rob (The Baron) Miller Bass, Vocals
Michel (Away) Langevin Drums
Andy Lefton Guitars
Jon Misery Guitars
Tom Radio Bass

TAU CROSS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3gd3xYtars8

Execration – Return to the Void

Un riuscito blend tra innovazione e tradizione in ambito Death da parte di una band con capacità non comuni.

Quarto full length per quest’ottimo quartetto norvegese attivo dal 2007 con il demo “Language of the dead”: ora, dopo aver portato a compimento pieno il loro stile, gli Execration escono per la prima volta con la Metal Blade.

Il suono, attraverso una lenta evoluzione in tre album usciti con cadenza triennale, è pienamente death nella forma ma con strutture particolarmente elaborate, lavorate su un suono di chitarra che inserisce dissonanze e crea atmosfere molto particolari; niente di ostico e sperimentale, ma un’opera di qualità dove il mix tra tradizione e innovazione crea brani dall’andamento sempre stimolante ed imprevedibile.
Il songwriting è di alto livello, i brani sono trascinanti ergendo un muro sonoro che ha la capacità di variare grazie all’incessante incrociarsi delle due chitarre; fino dall’opener Eternal Recurrence l’energia non manca, il growl intenso e intellegibile da quel “quid” in più che cerca di differenziare con coraggio il suono di questi artisti, le strutture elaborate sono ben studiate (Hammers of Vulcan) e i due chitarristi si lanciano in digressioni che mantengono sempre alto il livello di attenzione, senza annoiare mai, lambendo territori trash senza mai creare tecnicismi fini a sé stessi. Non ci sono filler e anche i due brevi intermezzi (Blood Moon Eclipse e Through the Oculus) sono piacevoli e fanno tirare il fiato prima dei successivi massacri; le atmosfere sinistre e dissonanti di Cephalic Transmissions danno un ulteriore tocco di imprevedibilità e personalità ai norvegesi.
La splendida title track suggella un disco pienamente riuscito e come al solito sta a noi, con ripetuti ascolti, dargli la giusta attenzione sperando di poter ascoltare live nelle nostre terre gli Execration.

Tracklist
1. Eternal Recurrence
2. Hammers of Vulcan 3. Nekrocosm
4. Cephalic Transmissions
5. Blood Moon Eclipse
6. Unicursal Horrorscope
7. Through the Oculus
8. Return to the Void
9. Det uransakelige dyp

Line-up
Cato Syversrud Drums
Jørgen Maristuen Guitars, Vocals
Chris Johansen Guitars, Vocals
Jonas Helgemo Bass

EXECRATION – Facebook

Loss – Horizonless

Un bel ritorno, dopo “Despond” del 2016, con un lavoro ispirato, ricco di suggestioni e sfumature.

Gli statunitensi Loss giungono finalmente, dopo ben sei anni dall’ esordio in full con Despond, a farci riascoltare la loro arte con un bel secondo lavoro, Horizonless, per la mai troppo lodata Profound Lore.

Nel genere proposto dal quartetto, il funeral doom, bisogna aver pazienza, saper attendere la giusta ispirazione, essere nel mood adatto  sia per chi propone tale arte sia anche per chi la ama ascoltare: il songwriting della band è ispirato, ben lavorato sui suoni delle due chitarre che ricercano con gusto sopraffino atmosfere dolenti, intense e coinvolgenti fino dall’ opener The joy of all who sorrow dove un growl disperato e convincente accompagna il lento incedere del brano; il viaggio prosegue con altri brani significativi, ricchi di sfumature, aiutati anche da un notevole drummin,g abbastanza vario e non solo ancorato agli stilemi classici.
Intermezzi brevi dai tratti ambient (Moved Beyond Murder) e noise-acustici con mandolino (I.O.) stemperano in parte la tensione aprendo per brani suggestivi come All Grows on Tears (titolo che è un programma) dove il lirismo tocca, nel suo maestoso incedere, vette veramente di primo livello (…bury me in a lonely place and plant thorns on my grave…); struggente l’inizio di Naught dove la melodia (chitarra e piano) crea un mondo notturno e lontano dove si staglia il growl pieno e melanconico del singer Michel Meacham ricordando in parte i magnifici Mornful Congregation. Altre delizie attendono chi si vorrà avventurare in questo piccolo intarsio di arte, dall’andatura simil liturgica di The End Steps Forth, con un cupo organo all’immane muro della title track dove il growl si inasprisce in un acido scream, per poi stemperarsi in un madrigalesco gioco di chitarre accompagnato infine da clean vocal suggestive. Ultima nota di menzione per il closing di When Death Is All, dove la band dà un ulteriore prova della forza della sua ispirazione, facendo salire il suo suono su chitarre che creano un fiume in piena introspettivo e melanconico … veramente magnifico!
In definitiva un ottimo ritorno che conferma la buona salute del funeral doom nel 2017 … cari Loss prendetevi tutto il tempo che volete, se i frutti sono cosi carichi e buoni.

Tracklist
1. The Joy of All Who Sorrow
2. I.O.
3. All Grows on Tears
4. Moved Beyond Murder
5. Naught
6. The End Steps Forth
7. Horizonless
8. Banishment
9. When Death Is All

Line-up
John Anderson – Bass
Jay LeMaire – Drums
Timothei Lewis – Guitars
Mike Meacham – Vocals, Guitars

LOSS – Facebook

Nokturnal Mortum – Verity

Uno splendido ritorno dopo otto anni con una opera maestosa e affascinante, ricca di folk e musica estrema … “i’ll meet you in ancient darkness ”

Ci sono band che, lentamente, si ammantano di un alone di leggenda, proponendo la loro arte con pazienza, centellinando con cura le loro uscite, senza fretta.

E’ questo il caso dei Nokturnal Mortum, band ucraina di Kharkiv, che dal 1995 con il demo Twilightfall ha aperto la propria carriera improntata su un black metal dalle forti tinte symphonic; nel corso degli anni, guidati dal leader Varggoth, hanno svelato la loro arte con splendidi lavori come Goat Horns, Lunar Poetry e altre piccole gemme.
Dopo otto anni da The Voice Of Steel, altro fulgido lavoro che consiglio di recuperare, ritornano con una prova “diversa” che forse non è altro che la sublimazione di un percorso singolare all’ interno della scena BM. Non possiamo sapere cosa ci svelerà il futuro ma l’ attuale presente, con Verity, presenta in settantaquattro minuti un’opera che miscela radici BM, suoni heavy e una forte componente folk, mai così presente nelle loro precedenti uscite; i cinque artisti creano, con l’aiuto di una gran quantità di strumenti (cello, violino, bandura, dulcimer, sopilkas, jaw harp), un suono denso, maestoso, epico, intrecciato dove non vi è mai una netta distinzione tra i generi, ma tutto è fuso in modo naturale da un songwriting sempre molto ispirato.
Le vocals si sovrappongono con chorus molto suggestivi e, alternando clean e harsh vocals, generano un’atmosfera molto particolare: la componente estrema nel suono non è preponderante ma è ben bilanciata con quella folk e forse questo potrebbe non essere di totale gradimento ai true blacksters; il lavoro porta lentamente ad assuefazione (anche io al primo ascolto non ne ero rimasto conquistato) e, tramite una lenta assimilazione di tutti gli ingredienti usati, garantisce qualità alla musica e al suo ricordo.
La qualità del songwriting è eccelsa, brani come la lunga Molfa ricchi di idee mai forzate, ma molto naturali: la misteriosa e oscura Song of the snowstorm, la potente e primordiale Wolfish berries, la evocativa Lira e la maestosa Night of the gods, veramente un capolavoro, forgiano quell “ancient darkness” che la band declama come obiettivo di questo affascinante viaggio.
Una splendida cover e un booklet degno di un re devono invogliarvi ad ascoltare ed acquistare questa opera incredibile da parte di una leggenda.

Tracklist
1. I’ll Meet You in Ancient Darkness (Intro)
2. Molfa
3. With Chort in My Bosom
4. Spruce Elder
5. Song of the Snowstorm
6. Wolfish Berries
7. In the Boat with Fools
8. Wild Weregild
9. Lyre (Komu Vnyz cover)
10. Black Honey
11. Night of the Gods
12. Where Do the Wreaths Float Down the River? (Outro)

Line-up
Knjaz Varggoth – Vocals (lead), Guitars, Keyboards, Bass
Bairoth – Drums
Rutnar – Bass, Vocals (backing)
Jurgis – Guitars, Vocals (backing)
Hyozt – Keyboards

NOKTURNAL MORTUM – Facebook

Vin de Mia Trix – Palimpsests

Inattesa, ma di gran valore, seconda opera della band ucraina… un blend di doom, funeral e death doom ricco di intuizioni e magnifiche emozioni.

Una buona annata, il 2017, per le sonorità doom e funeral doom!

Dopo l’opera molto valida dei Funeralium e quella eccellente dei Fuoco Fatuo, senza dimenticare altre belle cose (Facade, Mourning Dawn, etc), arriva del tutto inatteso il secondo full dei Vin de Mia Trix, quartetto ucraino attivo dal 2009, autore di una buona prima prova nel 2013 per Solitude Productions; ora la band realmente esplode con un enorme opus doppio, di soli quattro brani per la canadese Hypnotic Dirge; stupisce che l’etichetta russa Solitude Production si sia lasciata sfuggire questa gemma di grande musica dove si fondono in modo naturale e fluido derive funeral, aromi death doom, meraviglie doom adagiate su partiture ambient e post metal. Mettetevi comodi perché le tracce sono lunghissime, come deve essere un suono funeral che si rispetti, ma come dicevo sono anche molto naturali e non ci sono forzature e difficoltà nell’ascolto.
La band ha grandi capacità di songwriting e riesce ad amalgamare in modo sopraffino tante influenze creando qualcosa di abbastanza unico; l’ascolto è stimolante, ci sono sempre idee che mantengono vivo l’ interesse e in pezzi della durata media di oltre 20′ non è per niente facile.
Il suono elaborato dalle due chitarre è semplicemente maestoso, deciso, possente ma anche fortemente dolente e melanconico, sempre alla ricerca della atmosfera particolare; la band con questo concept intende tramandare, riscrivendole, le storie e gli archetipi che sono presenti nell’inconscio collettivo e nelle varie culture e mitologie di molti popoli.
Anche i titoli dei quattro brani hanno un sapore misterioso (Matarisvan, Pharmakos, Fuimus e Noe) e gli inizi ambient dei primi due brani non fanno che offrire un substrato particolare al tutto e la buonissima produzione con tutti gli strumenti ben equilibrati confeziona un “lavoro” veramente notevole; tutti i brani sono un lungo viaggio in cui  tutti gli ingredienti sono magicamente fusi:  ad esempio in Matarisvan, il primo brano, l’introspettivo incipit ambient si modula in atmosfere death doom e post rock debitrici del suono delle migliori band in questo settore.
Non vi è nulla di opprimente nel suono dei Vin De Mia Trix, e l’alternarsi di clean e harsh vocal (black e death) daà un ulteriore quid al tutto: questa forma d’arte, che sia doom, funeral o death doom ha sempre la capacità, quando viene manipolata da band dotate di sensibilità fuori dal comune, di scrivere pagine incommensurabili ed emozionanti.

Tracklist
1. Matarisvan
2. Pharmakos
3. Fuimus
4. Noe

Line-up
Serge Pokhvala – Guitars
Andrew Tkachenko – Vocals
Alex Vynogradoff – Bass, Vocals, Guitars, Piano
Igor Babaev – Drums

VIN DE MIA TRIX – Facebook


Descrizione Breve

Manilla Road – To Kill a King

Up the hammers, down the nails ! …anche dopo 40 anni risuona fiera la “chiamata alle armi” da parte di Mark “the Shark” Shelton.

In un mondo musicale sempre affannato nel ricercare nuove sensazioni, sempre frenetico nell’accendere e spegnere nuovi generi musicali, è veramente un piacere potersi soffermare e assaporare l’arte di una band attiva da quarant’anni (40!!!).

I Manilla Road del leader Mark “the Shark” Shelton hanno creato un loro suono nel nome del più puro metallo epico di stampo americano, ricco di pathos, oscurità, mai ridondante e purtroppo dallo scarso appeal commerciale.
Strana storia quella dei Manilla Road, sempre sostenuti dai loro fans ma poco considerati a livello commerciale e boicottati da molti ascoltatori ricercanti, forse, un epic metal di più facile impatto; particolare la loro proposta modulata in 17 album ,con alcune vere gemme nel triennio 85-87 (Open the Gates,The Deluge, Mystification), ma con una buona produzione media, varia nel ricercare attraverso il guitar work sempre appassionato, intricato, epicamente melodico e la voce nasale di Mark l’oscura essenza di un suono che non ha trovato moderni epigoni. Le critiche mosse negli anni al leader sono state quelle di non essersi modernizzato con il suo suono, proponendo sempre, con poche variazioni, le stesse atmosfere; sinceramente mi sembra che siano critiche sterili: quando si trova una band che si è creata un proprio sound e rimane coerente con esso, suonando con competenza, passione e sudando “sangue” sui propri strumenti, bisogna solo ammirare e ascoltare con il cuore e non con il cervello. Anche la nuova opera, illustrata da una bella copertina di Paolo Girardi, offrendo dieci nuovi brani per un’ora di durata, ci dimostra come la “penna” dello Squalo, autore di tutti i brani, sia ancora intrisa di particolari idee melodiche intricate ed oscure, con soluzioni atmosferiche intriganti e coinvolgenti; la lunga title track, più introspettiva che classicamente epica, posta in apertura, ha una sentore antico e si conclude con un lungo assolo fluido, ispirato e molto sentito. Fragranze psichedeliche si ritrovano sparse per tutta l’opera (Never Again) mentre i brani più tirati (Conqueror e The Arena) ricordano una volta di più come si deve suonare heavy metal di classe. Dato non scontato, quando si parla dei Manilla Road, anche la produzione è buona, mentre alcune prove recenti ne erano state mortificate (vedi Playground of the Damned del 2011); per rincarare la dose ricordo a chi non si sazia mai di queste sonorità l’uscita del secondo disco del progetto parallelo, gli Hellwell, accreditato all’amico E. C. Hellwell, dove Mark scrive i testi e la musica suonando un heavy più duro, ancora più cupo e orrorifico.
In conclusione, “chapeau” a un artista che alla tenera età di sessant’anni è in grado di emozionare con la sua incontaminata arte!

Tracklist
1. To Kill a King
2. Conqueror
3. Never Again
4. The Arena
5. In the Wake
6. The Talisman
7. The Other Side
8. Castle of the Devil
9. Ghost Warriors
10. Blood Island

Line-up
Mark Shelton – Guitars, Vocals
Bryan “Hellroadie” Patrick – Vocals
Andreas Neuderth – Drums
Phil Ross – Bass

MANILLA ROAD – Facebook

Dødsengel – Interequinox

Un grande ritorno del duo norvegese,con un grande opus di arte nera, esoterica e ricco di mistero e fascino … I am NOTHING, I am EVERYTHING….

Un percorso artistico inattaccabile e sempre votato all’ inesplorato!

Il duo norvegese di Alesund fin dal 2009, con il full Visionary, ha creato, alimentato, sviscerato una sua particolare idea di black metal devota alla tradizione ma ricca di soluzioni particolari sia nel suono, sia nelle vocals che nelle atmosfere arrivando, forse, all’apice visionario con il doppio Imperator del 2010, opera maestosa, occulta capace di creare un universo magico, esoterico dalle molteplici sfaccettature.
I Dødsengel tornano ora dopo uno iato temporale di cinque anni, con un’altra opera di gran qualità per la Debemur Morti, etichetta il cui catalogo è ricchissimo di perle oscure votate alla elaborazione di “mutante” black metal. In questo nuovo opus i Dødsengel (Angel of Death) continuano a lavorare sulla loro ispirazione visionaria sperimentando e aggiungendo antichi aromi psichedelici, mai così presenti fino ad ora (Varaens Korsvei), vocals particolari ed inquietanti (Emerald Earth); il suono nei vari brani alterna accelerazioni velocissime, figlie di una conoscenza approfondita del vero BM (la meravigliosa Opaque con il suo finale epico e ricco di suggestione), con parti rallentate ai limiti del doom dove si esprime maggiormente la loro idea dell’arte estrema sempre imprevedibile e cangiante.
Le capacità vocali di Kark sono veramente mutevoli, passando da un sinistro scream a un suggestivo e funzionale clean simile a una litania inquietante; la band sa suonare e sa emozionare nel profondo e il ritorno dopo la lunga attesa mi ha entusiasmato e mi ha fatto ulteriormente capire la grande qualità della proposta di questo duo che in meno di dieci anni ha creato e suonato, anche con alcuni split con gli statunitensi Nightbringer ed i cileni Hetroertzen, uno stellare black metal sempre creativo, misterioso e ricco di intuizioni “melodiche” ben oltre la media.

TRACKLIST
1. Pangenetor
2. Prince of Ashes
3. Værens Korsvei
4. Emerald Earth
5. Opaque
6. Illusions
7. Palindrome
8. Ved Alltings Ende
9. Rubedo
10. Gloria in Excelsis Deo
11. Panphage

LINE UP
Malach Adonai Drums
Kark Vocals, Guitars, Bass

DODSENGEL – Facebook

Völur – Ancestors

Interessante e molto ben riuscito blend di dark folk,doom e ambient che ci riporta indietro nel tempo,alle radici di un suono.

Molto, molto interessante e affascinante il secondo lavoro dei Völur, trio canadese di Toronto, dedito a un blend di folk ancestrale, doom, ambient assai intenso e ricco di sfumature.

La loro peculiarità si accentua ulteriormente visto che nel loro suono non è prevista alcuna chitarra, ma il tutto si dipana tra un suono di basso che si divide tra ruoli melodici e ritmici, un drumming lento ed evocativo e il violino che modula una moltitudine di ambientazioni, sfiorando anche la “chamber music”, che variano dal pastorale all’ancestrale creando atmosfere di pace e serenità, increspate da momenti di furore in cui emerge tutta l’oscurità e la drammaticità dei loro testi.
Questo Ancestors è il secondo capitolo di una serie di quattro opere incentrate sul vecchio mondo spirituale germanico ; il suono si dipana lento, oscuro, contemplativo in quattro lunghi brani in cui i tre musicisti intrecciano i loro strumenti per creare una miscela antica, che riporta alle origini di certo suono doom (non metal) in cui la potenza e la contemplazione convivono;
E’ come se un vecchio mondo magico tornasse alla luce dopo essere stato oscurato dalla nebbia del tempo; i suoni dell’ opener Breaker of Silence profumano all’ inizio di sapori antichi, polverosi per poi aprirsi, dopo una memorabile frase di basso, in tutta la loro suggestiva potenza: l’ultimo brano, Breaker of Famine, aggiunge anche vocalità black che accentuano la oscura tavolozza dei “colori” di questa opera.
Come sempre ripetuti ascolti giovano all’“innamoramento” di un disco che, forse, avrebbe dovuto essere pubblicato in una stagione non canicolare come l’estate; questi suoni hanno bisogno di scure notti e brevi giornate per poter entrare appieno nel cuore di chi vuole “sentire”.

TRACKLIST
1. Breaker of Silence
2. Breaker of Skulls
3. Breaker of Oaths
4. Breaker of Famine

LINE-UP
Lucas Gadke Bass, Vocals
Laura Bates Vocals, Violin, Effects
Jimmy P Lightning Drums, Percussion

VOLUR – Facebook

Below the Sun – Alien World

Spesso il secondo disco può nascondere insidie ma la band siberiana, traendo linfa vitale da un masterpiece della fantascienza, crea un viaggio affascinante e misterioso.

DOOM, profondamente doom con intense venature “progressive” e sfumature death il secondo lavoro dei siberiani Below the Sun a due anni di distanza dall’esordio Envoy; il misterioso quartetto si ripresenta con un’opera difficile, con un concept tratto dal masterpiece Solaris del 1961 del grande scrittore polacco Stanislaw Lem, libro affascinante di fantascienza filosofica trasposto cinematograficamente dal regista russo Tarkovskij.

I musicisti russi raccolgono la sfida e in otto lunghi brani ci impressionano con un lavoro cangiante, ricco di suoni e idee creando una immaginifica “colonna sonora”, un viaggio carico di emozioni, di introspezione, di ricerca interiore; opera non facile da comprendere, sono necessari molti ascolti per apprezzare appieno il labirinto di suoni che la band crea senza utilizzare alcun synth o keyboard: ciò è stupefacente perché chi ascolta non può non rimanere rapito di fronte agli ampi spazi strumentali concepiti all’interno dei vari brani.
L’opener Blind Ocean nei suoi dieci minuti di durata esplora lo spazio fin dall’inizio per poi porci di fronte alla grandezza di una forma aliena, l’oceano intelligente che ricopre completamente la superficie del pianeta Solaris, creando un mix di emozioni che vanno dallo stupore alla paura, fino al lirismo intenso della parte finale dove la chitarra solista intesse trame fitte, ricche, romantiche e molto introspettive. Suoni post-metal avvolgono e rendono le altre composizioni cariche di mutevole fascino come in Giants Monologue dove una cadenza pesante e lenta crea una atmosfera di misteriosa attesa che lentamente si richiude in sé stessa. Un sentito plauso alla band perché sicuramente l’idea del concept ha stimolato molto l’inventiva dei musicisti e li ha suggestionati nell’elaborare e comporre un disco veramente bello, maestoso e misterioso.

TRACKLIST
1. Blind Ocean
2. Mirrors
3. Giant Monologue
4. Dawn for Nobody
5. Release
6. Dried Shadows
7. Black Wave
8. In Memories

LINE-UP
Void Drums, Vocals
Vacuum Guitars
Quasar Guitars, Vocals
Lightspeed Bass

BELOW THE SUN – Facebook

Fuoco Fatuo – Backwater

Un meraviglioso, oscuro opus di grande arte funeral senza eguali in Italia: una grande crescita artistica di questa band che ha prodotto uno dei migliori dischi del 2017.

Impenetrabile dai raggi del sole, ma proiettato costantemente verso il nero vuoto cosmico, verso le nostre più ataviche angosce e paure!

I Fuoco Fatuo, band varesina attiva dal 2012, stupiscono con una seconda opera di funeral doom di altissimo livello; nel roster della famosa etichetta canadese Profound Lore, dopo essersi fatti scoprire nel 2014 con The Viper Slithers in the Ashes of What Remains, più ancorato su lidi death/doom, con l’attuale opera Backwater esprimono veramente un colossale suono funeral, opprimente, angosciante che prende alla gola e non ti fa respirare dall’inizio alla fine dei suoi 62 minuti.
Non vi è una sola nota, nei quattro lunghissimi brani, che non crei un’atmosfera ammorbante, come un magma lavico denso, viscoso che ricopre ogni cosa, che si muove lentamente e ti soffoca; forse l’ unica possibilità di fuga è verso il vuoto cosmico, dove però le nostre paure non sono affatto lenite ma saranno ulteriormente accresciute: brani con titoli suggestivi come la meravigliosa Sulphureous Hazes, in cui la componente death, rimane legata solo alla parte vocale, mentre il suono può in parte ricordare i finnici Tyranny o gli Swallowed di Lunarterial, con in aggiunta una componente lisergica e visionaria molto particolare.
La misteriosa cover virata su colori nero e viola, la masterizzazione del suono da parte di un grande musicista come James Plotkin (Scorn, Khanate solo per nominare alcune collaborazioni) arricchiscono un’opera che non ha, al momento, molti eguali nel nostro territorio; come ha detto un amico, bisogna lasciarsi intercettare dalla buona musica e in questo caso, una volta entrati nell’inferno, non va opposta resistenza e si deve imparare a convivere con le nostre paure.
Dall’ascolto di quest’opera si esce lacerati nel profondo dell’anima: brani come Perpetual Apochaos e Nemesis, nel loro mastodontico svolgersi, non possono lasciare indifferenti chi si nutre di funeral doom. Non per molti, ma forse neanche per pochi … tra i migliori dischi del 2017.

TRACKLIST
1. Sulphureous Hazes
2. Rainfalls of Debris
3. Perpetual Apochaos
4. Nemesis

LINE-UP
G. Guitars, Bass
M. Vocals, Guitars
F. Drums

FUOCO FATUO – Facebook

Slægt – Domus Mysterium

Black Heavy Metal ! Questa e’ la pozione magica creata con grande competenza da questi artisti danesi…

Una brillante prova da parte dei Slægt, quartetto di Copenhagen che, a partire dal 2012, ha elaborato un proprio suono passando dalla prima prova Ildsvanger, prettamente black metal, all’EP Beautiful and Damned in cui qualcosa si stava modificando per poi culminare in Domus Mysterium dove il loro black heavy metal rifulge splendidamente.

La band sapientemente e con grande gusto ha miscelato sensibilità black metal, gocce di trash, aromi psichedelici e un grande suono heavy anni 80, componendo otto brani per una durata di circa 55 minuti; le canzoni sono realmente evocative, la produzione decisamente buona evidenzia un guitar sound molto nitido e fluido, la cover raffigurante il loro “the eye of the devil”  e le vocals che alternano uno espressivo scream mai esasperato con un grintoso clean, danno vita a una piccola opera d’ arte del tutto inattesa.
Lunghi intermezzi strumentali nella loro inventiva profumano del migliore heavy anni 80 accompagnati da intarsi acustici di madrigalesca memoria (vengono in mente in alcuni momenti i Dissection); l’eclettismo e la competenza della band si esplicano in brani medio-lunghi, ricchi di idee a partire dall iniziale Succumb, con un inizio screziato della migliore psichedelia, per poi essere travolti da I Smell Blood, di cui esiste anche un video, con eccitanti intrecci di chitarre.
La struggente e sinistra melodia di The Tower può ricordare il miglior horror sound dei bei tempi, il breve intermezzo pianistico di Burning Feathers, dalla cristallina e antica melodia, apre la strada agli ultimi due lunghi brani: Remember It’s a Nightmare e la title track, nelle quali la capacità della band di scrivere splendide ed epiche songs viene fuori in tutta la sua limpidezza; chiaramente non si inventa niente di nuovo, ma il caleidoscopico blend creato e suonato con grande passione dai danesi appare sempre fresco e non può non essere apprezzato da attenti ascoltatori open-minded… “rise up in the Tower, climb high as they cower, ascend into glory with passionate fury…”

TRACKLIST
1. Succumb
2. I Smell Blood
3. Egovore
4. In the Eye of the Devil
5. The Tower
6. Burning Feathers
7. Remember It’s a Nightmare
8. Domus Mysterium

LINE-UP
Asrok – Bass, Guitars, Vocals
Olle Bergholz – Bass, Vocals (backing)
Ccsquele – Drums
Anders M. Jørgensen – Guitars (lead)

SLAEGT – Facebook

Hexer – Cosmic Doom Ritual

Titolo immaginifico per un’opera estremamente atmosferica che proietta verso l’ignoto.

La fertile scena tedesca genera un’ altra piccola gemma di arte nera: gli Hexer, band di Dortmund di recente nascita (2014), dopo un EP (Holodeck Sessions) del 2015, esplode letteralmente con il full Cosmic Doom Ritual, dal suggestivo e grandioso titolo in cui esplora la propria idea della materia doom ammantandola di visioni psichedeliche, stoner e creando un’atmosfera insana, surreale, proiettata in uno vuoto cosmico sempre affascinante da esplorare.

Il loro suono cresce lentamente, senza fretta, increspato da note di cupo synth, creando un mood ritualistico con melodie sempre evocative come nel primo brano, Merkaba, dove millenarie tempeste di sabbia si abbattono su rovine perdute di mondi antichi immersi in deserti roventi: gli Hexer possono ricordare gli Esoteric per il loro incedere ipnotico anche se non raggiungono la loro pesantezza
Il secondo brano Pearl Snake profuma di intensa essenza orientale iniziando come un “raga” indiano, per poi incendiarsi in note stoner e doom che planano su templi abbandonati dove antichi culti sono stati celebrati: un brano veramente particolare denotante una visione personale della materia; l’ ultima traccia Black Lava Flow, dopo un inizio funeral, prosegue con note heavy doom ipnotiche e incessanti, per poi planare ancora su suggestioni orientali e, infine, come nuovi Hawkwind proiettarsi verso il cosmo. Decisamente una bella scoperta, con un buon guitar sound sempre ispirato, le melodie create dal synth e le influenze orientali a dare un tocco personale ed originale. Da seguire con attenzione.

TRACKLIST
1.Merkaba
2.Pearl Snake
3.Black Lava Flow

LINE-UP
L Synth, Samples
D Bass, Vocals
J Drums
M Guitars, Vocals

HEXER – Facebook

King Woman – Created in the Image of Suffering

Una buona prima opera da una band che “condensa” doom emozionale con shoegaze e post rock.

Bastano poco meno di quaranta minuti ai King Woman per presentarci la loro arte!

A chi segue il doom, come me, il trovarsi di fronte un disco con un minutaggio “ristretto” può infastidire; il suono doom ha bisogno di tempi dilatati per esprimere al meglio la propria dolente spiritualità; in questo caso però la proposta musicale del gruppo guidato dalla vocalist Kristina Esfandiari, nel miscelare doom, post rock, shoegaze e aromi psych crea un flusso continuo, avvolgente come una liturgia ammantata da chitarre ora decise, ora morbide che fanno da cangiante tappeto alle liriche di sofferta introspezione scritte dalla stessa vocalist, segnata da un’infanzia imprigionata nel fanatismo religioso della famiglia. La voce della Esfandiari rappresenta il valore aggiunto con i suoi toni drammatici, carichi, capaci di ammaliare creando un’atmosfera mistica, sussurrata (Hierophant), un ipnotico viaggio che non presenta picchi qualitativi ma si fa, forse, preferire negli ultimi quattro brani dove le note di un suggestivo violino e gocce di psichedelia d’annata inondano i brani di una profonda disperazione.
Anche questa volta la Relapse ha visto giusto, andando un po’ oltre le sue normali coordinate sonore, dando lo spazio per esordire ai King Woman (finora avevano soltanto un EP al loro attivo) che attendiamo fiduciosi ad altre prove, sperando in uno sviluppo maggiore dei brani (lo spirito doom è duro a morire); opera interessante che merita …

TRACKLIST
1. Utopia
2. Deny
3. Shame
4. Hierophant
5. Worn
6. Manna
7. Hem

LINE-UP
Kristina Esfandiari – Vocals, Lyrics
Colin Gallagher – Guitars
Peter Arensdorf – Bass
Joey Raygoza – Drums

KING WOMAN – Facebook

Rebirth of Nefast – Tabernaculum

Un opus magnum di arte nera intricato, aggressivo ma carico di antiche e sinistre suggestioni.

Una oscura perla fuoriesce, senza alcun preavviso, dalla infinita scena black metal underground: i Rebirth of Nefast, in realtà one man band di Stephen Lockart, in arte Wann, esistono dal 2006 ma fino ad ora avevano prodotto solo un demo (Only Death 2006) e uno split con Slidhr nel 2008, poi il nulla.

Wann ha continuato a suonare insieme a musicisti di altre splendide realtà musicali islandesi, vedi Sinmara e Wormlust, e irlandesi come Myrkr senza però riesumare la sua principale creatura; da una terra, l’Islanda, che sta proponendo molti tra i migliori artisti del genere, tipo Svartidaudi, Almirkvi, Myspyrming, solo per citarne alcuni, appare questo opus magnum di majestic and magnificent black metal.
Registrato agli studio Emissary di Reykjavik di proprietà dello stesso Wann e prodotto dalla Norma Evangelium Diavoli, l’opera nella sua lunga durata, un’ora abbondante, presenta sei brani in cui sono elaborati con grande cura black metal, doom, ambient, prog a formare una esperienza uditiva atmosferica monumentale ed eclettica: Wann ha una forza compositiva unica, è abile a variare all’interno di ogni brano le varie componenti creando dei portali che si dischiudono su arcaiche dimensioni.
Tempeste sferzanti si alternano a presenze oscure, culminanti in magnifiche atmosfere sorrette da suoni di tastiera e violini (il suggestivo ultimo brano) che racchiudono misteri esoterici ed occulti; fin dal primo brano The lifting of the veil tutte queste coordinate sono presenti, un inizio lento, maestoso, inquietante evolve lentamente verso una sfuriata black incompromissoria per poi sfumare in dolenti note di maestose tastiere. Tutti i rimanenti cinque brani propongono variazioni e sfumature riconducibili a un suono dark, intricato, aggressivo, inquietante.
Da ascoltare nel giusto mood e necessariamente da centellinare perché, come tutte le grandi opere, si apre lentamente lasciando sensazioni che ogni adoratore delle nere arti non può non apprezzare: insieme all’esordio dei Digir Gidim, una delle rivelazioni di questo inizio anno!

TRACKLIST
1. The Lifting of the Veil
2. The First Born of the Dead
3. Alignment Divine
4. Carrion Is a Golden Throne
5. Magna – Mater – Menses
6. Dead the Age of Hollow Vessels

LINE-UP
Wann – All instruments, Vocals

REBIRTH OF NEFAST – Facebook

The Obsessed – Sacred

“Signori” si nasce! Wino può ancora insegnare l’arte di fare grande musica.

Quando ho letto la notizia che Scott “Wino” Weinrich, attivo sin dagli anni ’80, aveva riattivato la sua prima storica band The Obsessed dopo 20 anni di silenzio, devo dire che il sangue ha iniziato a ribollire

Il ritorno della band che, con lavori come Lunar Womb e The Church Within, aveva tracciato una strada maestra per le generazioni figlie dei Sabbath con il suo suono doom ricco di antica atmosfera, non poteva che emozionarmi; non è che Wino in questi anni sia rimasto fermo, anzi è sempre stato immerso in diversi progetti, dai seminali Saint Vitus agli Spirit Caravan, alla super band Shrinebuilder e altri, in cui ha elaborato la materia doom contaminandola con stoner, psichedelia e altre belle cose. Ora per la Relapse Records il ritorno definitivo! Sempre in trio, chitarra (Wino), basso (Dave Sherman) e batteria (Brian Costantino), Sacred dimostra una volta di più la dedizione, la convinzione di un grande musicista che ama il suo lavoro e vuole rendere, con la sua musica, questo mondo un posto migliore.
L’opera è varia e non si nutre di solo doom ma incorpora e amalgama hard rock di classe, aromi punk, fragranze stoner e gocce acide a formare una dimensione spirituale difficilmente riscontrabile nelle nuove generazioni; la calda, vissuta voce di Wino non può non emozionare chi si alimenta da anni con queste sonorità.
Si parte alla grande con Sudden Jackal, che miscela hard rock e doom come solo i maestri sanno fare e dimostra la classe infinita di chi si è sempre dedicato anima e cuore a questo suono, di chi lo vive quotidianamente infischiandosene del passare del tempo; il secondo brano Punk Crusher mette in riga tutti quelli che si cimentano in questa arte, con il carisma, la classe di chi sa di aver osato oltrepassare le barriere del tempo e di non voler darsi per vinto: un sound perfetto dal vivo, con Wino invincibile a declamare ….star, lord, father give us strength to prevail… da suonare e risuonare in un loop infinito.
La title track e Perseverance of Futility spiegano una volta di più l’arte del riff che ti rimane in testa ipnotizzandoti; l’ inizio screziato di blues di Stranger Things conferma la grande conoscenza musicale di Wino, che riprende anche un vecchio brano del 1974 dei Thin Lizzy (It’s Only Money da Night Life), mentre Razor Wire e Haywire sono brevi assaggi punk da parte di chi ha una visione universale dell’arte musicale.
In definitiva, un bel ritorno, vario, suonato e cantato con passione e onestà, sperando di poter vedere presto i The Obsessed dal vivo anche nelle nostre terre.

TRACKLIST
1. Sodden Jackal
2. Punk Crusher
3. Sacred
4. Haywire
5. Perseverance of Futility
6. It’s Only Money (Thin Lizzy cover)
7. Cold Blood
8. Stranger Things
9. Razor Wire
10. My Daughter My Sons
11. Be the Night
12. Interlude

LINE-UP
Brian Costantino – Drums, Vocals
Dave Sherman – Bass
Scott “Wino” Weinrich – Guitars, Vocals

THE OBSESSED – Facebook