Society’s Plague – Call To The Void

Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questo gruppo, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico.

La storia degli americani Society’s Plague è una narrazione di tenacia e di amore per il metal, come tanti gruppi che vanno avanti spinti dall’amore per la musica in mezzo a tante difficoltà.

Nati nel 2007 in quel di Lexington, nel Kentucky, questi ragazzi hanno un sound moderno tra metalcore e metal più epico, con una forte melodia e composizioni molto buone. Questo disco è il secondo episodio sulla lunga distanza nella loro discografia ed è stato totalmente autoprodotto, e in seguito il gruppo si è accasato presso l’Eclipse Records che non si è lasciata scappare questo disco, che oltre che essere valido, è un ponte fra passato e presente e futuro del metal, soprattutto di quello americano. Infatti il suono di Call To The Void è adatto ad essere mandato in onda dalle radio americane di rock duro, cosa che qui in Europa ci manca. I ragazzi del Kentucky sono molto connotati nella loro personalità musicale e riescono a fare sempre ottime cose anche grazie all’intervento delle tastiere, che hanno una parte importante nel loro suono, e che insieme agli altri strumenti rendono un buon amalgama. La seconda prova del gruppo non era scontata, poiché il gruppo ne viene da una pausa dal 2013 al 2015, per poi tornare con un concerto sold out nella loro città. Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questa band, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico. Un disco che offre spunti molto interessanti, è solido e possiede elementi originali.

Tracklist
1. Ashes For Air
2. Whispers
3. Distant Waves (feat. Bjorn “Speed” Strid)
4. The Fall
5. Broken By Design
6. Paramnesia
7. Fear Is Failure
8. Abomination (feat. Michael Smith)
9. 1:01
10. Rise Of The Eidolon

Line-up
Matt Newton – Vocals
Joe Royer – Guitar
Roger Clem – Guitar
James Doyle (JD) – Drums
Aaron Sheffield – Bass

SOCIETY’S PLAGUE – Facebook

Ruach Raah – Under The Insignia Of Baphomet

Chitarre veloci e distorte, basso a bestia, cantato che gratta le gole infernali e batteria dritta come la caccia infernale, ed è quasi tutto ciò che si chiede ad un gran disco di black metal.

A partire dal titolo passando per la musica, questo disco dei portoghesi Ruach Raah è un piccolo gioiello di metallo nero e di lodi al nero signore.

Under The Insignia Of Baphomet è il secondo disco nella carriera dei lusitani, uno dei nomi migliori della scena più originale d’Europa insieme a quella francese. La cifra stilistica è quella del black metal d’assalto, rauco, veloce e cattivo. A differenza di altri gruppi portoghesi la produzione è buona, e la fedeltà è abbastanza buona, anche perché la potenza del gruppo ne avrebbe altrimenti risentito. Il disco è una chicca per chi ama il black metal che si avvicina al war metal, il tutto fatto con parecchia ortodossia e amore per il male. Il black che possiamo ascoltare qui è fatto molto bene e con grande passione, non si inventa nulla e non si ha nemmeno intenzione di essere creativi, perché non ve n’è bisogno, e si va molto al concreto. Cattiveria e velocità fanno ascoltare in qualche passaggio un accenno allo speed metal, non puro ma quello che piace e che mette in radio Fenriz dei Darkthrone. La scena portoghese alla quale appartengono i Ruach Raah ha varie declinazioni, ma quello che impressiona è la sua grande qualità, praticamente ogni disco di black metal che da dieci anni esce dalla Lusitania è assolutamente da sentire, e questo Under The Insignia Of Baphomet ne è un ottimo esempio. Chitarre veloci e distorte, basso a bestia, cantato che gratta le gole infernali e batteria dritta come la caccia infernale, ed è quasi tutto ciò che si chiede ad un gran disco di black metal.

Tracklist
1.Under the Insignia of Baphomet
2.Hang Humanity Upside Down
3.Commander of Rats
4.Hammering Down Their faces
5.A Ira do Lucifer
6.Scythe Militia
7.Funeral Fumes
8.Bodysnatchers
9.Lord of the Crypt

Sammal – Suuliekki

Psichedelia condita con funghi allucinogeni, rock anni settanta con venature prog per un risultato di altissimo livello.

Psichedelia condita con funghi allucinogeni, rock anni settanta con venature prog per un risultato di altissimo livello.

Con una musica così poco importa il fatto che cantino in finlandese, perché va benissimo ugualmente . I Sammal pubblicano su Svart Records il loro terzo disco, ed è stata una gestazione lunga, ma da come si può ascoltare ne è assolutamente valsa la pena. La musica di questi finnici è molto ricca e cresce spontaneamente come in una lunga jam, dove i limiti ed i generi vengono abbattuti, e tutto nasce, muore e si ricrea continuamente. Suuliekki è un groove contunuo, un respiro musicale ininterrotto fatto da musicisti di grande talento per una psych prog di grande effetto, dove nulla è lasciato a casa, studiando a fondo la composizione di ogni canzone, smussando e perfezionando in maniera continua. I Sammal ricevono una grande influenza dagli anni settanta, ma oltre ad essere originali riescono anche ad innovare questo suono, soprattutto nel mischiare vari strumenti e diverse situazioni. Ci sono assoli alla Pink Floyd, momenti di psych latinoamericana come nel primo Santana, intarsi totalmente rock anni settanta e su tutto ciò c’è la firma stilistica di un gruppo come i Sammal che raramente sbaglia una canzone. Il disco è davvero godibile e di effetto, e va ascoltato dall’inizio alla fine, ma si può anche scegliere una traccia e soffermarsi su di essa a lungo, dato che sono tutte molto ricche. Suuliekki ha diverse anime, che possono vivere di luce propria ma anche compenetrarsi molto bene, per un risultato finale davvero buono.

Tracklist
1.Intro
2.Suuliekki
3.Lukitut päivät, kiitävät yöt
4.Ylistys ja kumarrus
5.Pinnalle kaltevalle
6.Vitutuksen valtameri
7.Maailman surullisin suomalainen
8.Herran pelko
9.Samettimetsä

Line-up
Jura
Janu
Tuomas
Lasse
Juhani

SAMMAL – Facebook

Di’aul – Nobody’s Heaven

Una possente marcescenza è il marchio di questi ragazzi che, nella maggior parte delle loro canzoni, fanno un suono non molto veloce ma che corrode in maniera molto piacevole le nostre orecchie, dandoci una sensazione di blues metal, una via maledetta da seguire, ma che è anche l’unica possibile per dannarsi.

I Di’aul da Milano sono un gruppo dal groove unico, tra Crowbar, blues e vari riferimenti agli anni novanta e duemila.

Attivi dal 2010, questi ragazzi hanno un’identità musicale molto ben definita ed in grado di farli spiccare ben al di sopra della media della maggior parte degli altri gruppi. I Di’aul hanno un suono abrasivo che prende le mosse dal suono tipico della città di New Orleans in Lousiana, dove gruppi come i Crowbar, Pantera ed Eyehategod sono andati a sporcare i loro panni nelle paludi, per tornare molto diversi da prima. Una possente marcescenza è il marchio di questi ragazzi che, nella maggior parte delle loro canzoni, fanno un suono non molto veloce ma che corrode in maniera molto piacevole le nostre orecchie, dandoci una sensazione di blues metal, una via maledetta da seguire, ma che è anche l’unica possibile per dannarsi. I Di’aul con la loro musica avanzano come un veleno tossico nel nostro sangue, fino ad arrivare a sentirli come una droga. Nobody’s Heaven è un disco che crea addizione, lo si sente e si vorrebbe sentirlo ancora. Le soluzioni sonore cambiano di canzone in canzone e sono tutte notevoli, il canovaccio rimane più o meno fisso ma non ci si annoia mai, e questa è un’altra delle peculiarità importanti di questo gruppo. Un’altra cosa notevole è la voce di MoMo che graffia alla perfezione su tutti i pezzi, coadiuvato da un gruppo perfettamente oliato e con grande confidenza. Visti dal vivo al recente Argonauta Fest a Vercelli confermano l’ottima impressione data dal disco, e anzi vanno oltre. Album come questo sono da ascoltare, perché solo sentendoli ognuno può capirli e farsi catturare da un suono davvero speciale.

Tracklist
1. Nobody’s Heaven
2. Black Death
3. Garden of Exile
4. Low Est
5. Mother Witch

Line-up
Voice – MoMo
Guitar – LeLe
Bass – Jeremy Toma
Drums – Diego Bertoni

DI’AUL – Facebook

Lou Quinse – Lo Sabbat

Un bellissimo canto di ribellione, un non sottomettersi alla Chiesa, ai padroni e all’autorità, un cantico di povertà e di tendini sanguinanti, la storia dei perdenti che per la durata di un sabba sono liberati dal demonio: musicalmente è un tesoro unico, una gioia, bellissimo, perfino difficile da esprimere a parole, ascoltatelo.

Quando arriva Lou Quinse il Sabbat può cominciare. Questo gruppo ha una potenza, una poetica talmente debordante che in un attimo vi troverete a muovervi come ossessi sulle montagne occitane, mentre l’inquisitore Eymerich vi sta cercando più a valle.

I Lou Quinse sono la nostra radice medioevale, dove Cristo non era ancora così radicato, e in certe valli e montagne non lo è ancora adesso. Questi misteriosi musicisti torinesi hanno fondato il gruppo nel 2006 sulle montagne di Balme in val D’Ala, in piena regione occitana, e ci portano dentro le nostre tradizioni più vere e demoniache. Le storie che raccontano i Lou Quinse sono le vite di coloro che la Storia ha definito perdenti, ma che hanno continuato a vivere i loro luoghi e a pregare il nero signore, perché quando si ha fame e si è poveri Dio è molto lontano. I Lou Quinse sono un gruppo unico, hanno uno stile ed una potenza inarrivabile, mischiano perfettamente folk e black o death metal, e fanno un genere unico, da loro stessi definito alpine extreme metal folkcore. Il diavolo è qui il protagonista di questo sabba in tra atti di quattro canzoni ciascuno, dove i Lou Quinse reinterpretano a loro maniera un repertorio tradizionale. Il disco è bellissimo come il primo omonimo, anzi di più. Qui c’è una corrente che scorre impetuosa da migliaia di anni e non muore mai, perché viene dalla terra stessa, ed è legata ai veri ritmi dell’uomo della natura, una carnalità luciferina nel vero senso della parola, totalmente umana. Musicalmente è un disco impressionante, gli strumenti antichi e quelli nuovi si fondono perfettamente in una combinazione magica da sabba vero. Alla produzione c’è Tino Paratore, del quale basterebbe anche solo il nome, e poi il disco è stato ulteriormente perfezionato da Tom Kvalsvoll ad Oslo. Un bellissimo canto di ribellione, un non sottomettersi alla Chiesa, ai padroni e all’autorità, un cantico di povertà e di tendini sanguinanti, la storia dei perdenti che per la durata di un sabba sono liberati dal demonio, sia sempre lode a lui.
Musicalmente è un tesoro unico, una gioia, bellissimo, perfino difficile da esprimere a parole, quindi ascoltatelo. Inoltre il libretto è una piccola opera d’arte a se stante, in stile liberty.
Parliamo tranquillamente di capolavoro demoniaco.

Tracklist
1.Sus la Lana
2.Chanter, Boire et Rire Rire
3.Diu Fa’ ma Maire Plora
4.La Dançarem Pus
5.Lo Cuer dal Diaul
6.Dessus la Grava de Bordeu
7.Giga Vitona
8.Purvari e Palli
9.Lo Boier
10.La Martina
11.La Marmota
12.Sem Montanhols

Line-up
IX.L’ERMITE – voice and growls
I.LO BAGAT – diatonic accordeon
VII.LO CARRETON – flutes and pipes
XIX.LO SOLELH – guitars and Irish bouzouki
XVIII.LA LUNA – bass guitar
.LO MAT – drums and percussions

LOU QUINSE – Facebook

Celtachor – Fiannaíocht

Il disco è molto piacevole, ben composto e suonato: si rimane incollati ad ascoltare vicende sempre vive nel cuore degli uomini e il celtic black metal è un ottimo modo per continuare a tramandare queste tradizioni che sono sempre vive.

L’Irlanda è una terra di tenaci miti e leggende dove il cristianesimo è radicato, ma dietro a questa religione resistono molto bene figure e racconti che provengono da lontano, come quello messo in musica dal gruppo dublinese Celtachor, che qui mette in musica le gesta di Finn dei Fianna, una figura mitologica fra le più importanti nell’isola di smeraldo.

I Celtachor sono attivi dal 2010 e fanno un ottimo celtic black metal, con forti influenze folk e carico di momenti epici, con grandi prati macchiati di sangue. Rispetto ad altri gruppi connazionali i Celtachor non usano sempre il black metal, che rimane comunque nel loro carnet musicale, anche se non è l’unica peculiarità. La loro musica è una narrazione epica essa stessa, scandita da un cantato sia in chiaro che più raramente in growl, e da una forte sottotraccia doom metal, che regala maggior malinconia e forza al quadro generale. I Celtachor non sono assolutamente un gruppo scontato e riservano molte sorprese, ma soprattutto una narrazione possente e piena. Ascoltando Fiannaíocht sembra davvero di essere al fianco di Finn, il mitico guerriero cacciatore e della sua gente, i Fianna. Le sue gesta compongono il ciclo feniano che è uno dei corpus centrali della mitologia celtica ed irlandese. I Celtachor musicano perfettamente queste narrazioni archetipe, di una sapienza e di un folclore lontano nel tempo ma non nella sua essenza. Il disco, il secondo per la Trollzorn dopo Nuada Of The Silver Arm, è molto piacevole, ben composto e suonato: si rimane incollati ad ascoltare vicende sempre vive nel cuore degli uomini e il celtic black metal è un ottimo modo per continuare a tramandare queste tradizioni che sono sempre vive. L’Irlanda colpisce ancora con uno dei migliori gruppi di celtic black metal.

Tracklist
01. Sons Of Morna
02. King Of Tara
03. Tuiren
04. The Search For Sadbh
05. Caoilte
06. Great Ships Came From Over The Waves
07. The Battle On The Shore
08. Tears Of Aoife
09. Cauldron Of Plenty
10. Dubh, Dun Agus Liath

Line-up
Stephen Roche – Vocals/Whistles
David Quinn – Guitar/Backing Vocals
Anaïs Chareyre – Drums/Bodhran/Backing Vocals
Fionn Stafford – Guitar/Backing Vocals
Robert Macdomhnail – Bass/Bouzouki/Harp
Liam Henry – Violin/Harp

CELTACHOR – Facebook

Cabrakaan – Songs From Anahuac

Un ep molto originale e pieno di pathos, di vitalità messicana e di melodie ragionate, dove anche le durezze stanno bene nel contesto, dato che i Cabrakaan sono un gruppo molto particolare e lo fanno sentire molto bene.

Ep del 2014 per questo gruppo messicano che fa un buon folk metal con molte influenze che si potrebbero definire new age.

I Cabrakaan però non hanno molto di messicano, ma sono piuttosto un gruppo che va ad inserirsi in una maniera di fare folk metal che si potrebbe definire sinfonica. La loro musica non è segnata dalla durezza o dalla velocità, ma dalla costante ricerca del bilanciamento tra metal e folk, cercando sempre di trovare soluzioni sonore originali. La voce di Pat Cuikäni è molto bella e piena, carica di epicità e di possibilità canore, quasi come una guida in un mondo differente dal nostro. Le peculiarità di questo gruppo sono molte, e i ragazzi di Toluca hanno una forte personalità. Questo ep a volte sembra una colonna sonora di un manga o di un anime, come quelli di Miyazaki, dove la realtà è davvero sfumata e il sogno diventa tangibile. Anche il gioco fra aulica voce femminile e voce in growl è molto funzionale e ben fatto. La band trae una grossa ispirazione dalle tradizioni azteche e riesce a renderle molto bene anche dal vivo. Infatti, nonostante sia stato fondato solo nel 2012, il gruppo ha una solida reputazione internazionale, dato che ha partecipato a molti festival in giro per il mondo. I nostri si sono trasferiti da poco a Calgary in Canada, e da lì stanno preparando il nuovo disco che, ascoltato il loro primo ep, fa nascere una bella attesa. Un ep molto originale e pieno di pathos, di vitalità messicana e di melodie ragionate, dove anche le durezze stanno bene nel contesto, dato che i Cabrakaan sono un gruppo molto particolare e lo fanno sentire molto bene.

Tracklist
1. Cipactli
2. Citalmina
3. Obsidian
4. La Leyenda
5. La Llorona
6. Meshika

Line-up
Pat Cuikäni – Lead Vocals/Ocarinas
Marko Cipäktli – Drums/Harsh Vocals
Alex Navarro – Guitar
Paul Belmar – Guitar
Rex Darr – Bass

CABRAKAAN – Facebook

Exalt Cycle – Vindicta

L’amalgama funziona molto bene, e il risultato è un suono che ha parti di Deftones, un po’ di groove metal, una forte impronta grunge e tanta melodia che si sposa benissimo con un’oscura durezza.

Violenza, melodia e una grossa ispirazione dagli anni novanta e duemila.

Tutte cose positive se si vuole fare un disco di metal moderno come questo Vindicta degli Exalt Cycle da Milano. Il disco arriva quattro anni dopo il precedente Revelations ed è un passo molto importante per il gruppo, il cui zoccolo duro è formato dal duo Zack e Andy, rispettivamente cantante e bassista, ai quali si sono aggiunti Aimer alla chitarra e Marco alla batteria. L’amalgama funziona molto bene, e il risultato è un suono che ha parti di Deftones, un po’ di groove metal, una forte impronta grunge e tanta melodia che si sposa benissimo con un’oscura durezza. La dolcezza c’è ma bisogna trovarla in questo ciclo di vendette che chiamiamo vita. L’incedere del disco è molto piacevole, e la terra d’elezione è sicuramente l’America, ma il progetto è originale e pressoché unico almeno alle nostre latitudini. I ragazzi sanno come si va veloci, ma sanno anche mettere su molta melodia ed un grande impianto sonoro. In certi momenti ci si avvicina al metalcore, ma poi si torna sempre su posizioni originali, di ricerca musicale. Le varie stratificazioni sonore sono frutto di un grande lavoro in fase di composizione e di produzione. Ci sono ancora alcuni punti da rivedere, come la durata eccessiva di certe canzoni, ma il risultato è notevole e di qualità. Gli Exalt Cycle ci mostrano come la melodia possa sposare un’oculata durezza ed essere assolutamente non commerciali o peggio, piacioni. Questo disco sarebbe andato fortissimo su Rock Fm, perché il suono di gruppi come questo è ancora importante, ma a quell’epoca era praticamente quotidiano.

Tracklist
1. Welcome To The Circus Of Hell
2. Vindicta
3. Black Butterfly
4. Lions
5. Sickened
6. Resistence
7.VS
8.Gravity
9. Predator
10. My Last Day
11.The War Of Nowhere
12.Babylon

Line-up
Zack : Voice
Keine : Bass
Marco : Drum
Aimer : Guitar

EXALT CYCLE – Facebook

Mortiis – Perfectly Defect

Un disco davvero interessante da parte una grande mente musicale, che quando si perde fa cose pessime, ma che quando è in forma come qui i suoi lavori sono un bellissimo sentire.

Håvard Ellefsen, in arte Mortiis, è un musicista che si ama o si odia, non si possono avere mezzi termini, ma forse la definizione migliore è interessante, perché la sua musica è sempre un qualcosa da sentire.

In questo periodo stiamo vivendo un intenso revival di Mortiis, ci sono ristampe come questa di Perfectly Defect del 2010 da parte della sua etichetta Omnipresence Records, viene pubblicato nuovamente il suo controverso libro Secrets Of My Kingdom; Return To Dimensions Unknown. Inoltre il 25 maggio sarà alle Officine Sonore di Vercelli per la sua unica data italiana con Nibiru e altri gruppi, e in quella occasione sfodererà l’opera prima della sua Era I, ovvero Anden Som Gjorde Oppror del 1994, un disco molto oscuro e quasi dungeon. Di Mortiis si potrebbe parlare per giorni, di come a 15 anni sia entrato a suonare negli Emperor, la fuga e poi la lunga carriera solista, ma concentriamoci su questo Perfectly Defect, che è un disco di elettronica al cento per cento, e di quella elettronica ipnotica e dalla grana grossa in quota Prodigy e Crystal Vegas. Il nostro norvegese possiede uno spiccato talento per il genere, del quale tesse trame molto interessanti, sviluppando bene i vari temi sonori, anche se a volte si dilunga un po’. Il disco nel 2010 segnava il suo ritorno sulle scene, dopo un’assenza dovuta ai suoi problemi con l’industria discografica. Perfectly Defect veniva regalato ai fan che si recavano a vedere la sua tournée con i Combichrist, e vi erano due versioni : una tour edition in cd con dieci brani, e una digitale sempre con dieci tracce. L’attuale edizione ha al suo interno dodici tracce, ed è un’esperienza amplificata rispetto all’originale. Mortiis spazia in molti territori elettronici, e come molti metallari che fanno elettronica, dà un taglio totalmente diverso rispetto a quella tradizionale. Perfectly Defect è un oscuro scrutare, sembra la colonna sonora di un videogioco gotico e perverso. La produzione è ottimale, come del resto tutti i suoni, ci sono canzoni che si avvicinano ai Prodigy, mentre altre sono composizioni più lente e di grande pathos. Un disco davvero interessante da parte una grande mente musicale, che quando si perde fa cose pessime, ma che quando è in forma come qui i suoi lavori sono un bellissimo sentire. Per festeggiare la ristampa Mortiis ha rilasciato in download libero un disco di remix chiamato Perfectly Reject che trovate qui http://perfectreject.mortiis.com/

Tracklist
1. Closer to the End
2. Perfectly Defect
3. The Sphere
4. Sensation of Guilt
5. Sole Defeat
6. Thieving Bastards
7. The Punished
8. Halo of Arms
9. Impossible to Believe
10. This Absolution
11. Hermaphro Superior
12. Contrition

MORTIIS – Facebook

Nibiru – Netrayoni

Se aveste la fortuna di parlare con i Nibiru, e ne vale la pena perché capireste molto di più della loro musica, vi sentireste dire che Netrayoni è il disco che rappresenta al meglio lo spirito di questo gruppo, che è quasi un medium per portare in mezzo a noi esseri di altri dimensioni, seguendo il flusso che esce quando diventiamo per davvero noi stessi, nel bene e nel male, oppure quando ci buttiamo dentro la musica, in questo caso facendola.

Netrayoni dei torinesi Nibiru è un disco che non è ascrivibile ad una sola dimensione, perché più che musica è un fluido che si espande in diverse direzioni, e l’umano non riesce a cogliere tutto di questo ciò, ora rimasterizzato e riproposto sul mercato da Argonauta Records.

Questo doppio disco ha tantissimi livelli e sottolivelli, è un detonatore che scoppia nel nostro cervello. Dal punto di vista compositivo non esiste una pianificazione, i brani sono stati creati con coscienze alterate per coscienze alterate. Una lunghissima jam, ed il lato musicale è solo uno dei tanti. La via carnale, la vita che sfiamma nei nostri corpi, dei antichi e poco benigni che ci guardando ed aspettano il nostro sangue. Tantissime visioni, in un disco ricco di immagini e di forza vitale, che non è detto che sia positivo, ed è anche un’opera che non rispecchia nessun bene e nessun male, è. Se aveste la fortuna di parlare con i Nibiru, e ne vale la pena perché capireste molto di più della loro musica, vi sentireste dire che Netrayoni è il disco che rappresenta al meglio lo spirito di questo gruppo, che è quasi un medium per portare in mezzo a noi esseri di altri dimensioni, seguendo il flusso che esce quando diventiamo per davvero noi stessi, nel bene e nel male, oppure quando ci buttiamo dentro la musica, in questo caso facendola. Netrayoni è un lunghissimo requiem, che anche quando finisce continua, come una radiazione di fondo, come un antico meccanismo dentro di noi, anche perché questo disco è fortemente contro la modernità e le sue asettiche sensazioni. Qui non c’è anestesia, a volte fa malissimo e disturba, ma questo è quello che c’è sotto la cortina delle buone intenzioni e delle nostre falsità di tutti i giorni. La rimasterizzazione del disco, e la conseguente fedeltà migliorata, ci proietta maggiormente all’interno di un piano astrale che non è per tutti. Parlando personalmente questo disco, e mi permetto di fare un’annotazione personale che ritengo sbagliata in una recensione ma questo è il caso, mi ha fatto conoscere i Nibiru e mi ha aperto tantissime porte, facendomi conoscere persone per me molto importanti, e mi ha fatto capire molto di me stesso. Spero avvenga lo stesso per voi, ma non è indolore, e non lo deve essere.

Tracklist
1.Kshanika mukta
2.Apsara
3.Sekhet aahru
4.Qaa-om sapah
5.Arkashani
6.Kwaw-loon
7.Sekhmet
8.Celeste samsara is broken
9.Viparita karani
10.Sothis
11.Carma geta

Line-up
Ardat : Guitars, Percussions and Vocals
Ri – Bass, Drones and Synthesizers
L.C. Chertan – Drums

NIBIRU – Facebook

Mos Generator – Shadowlands

Sia su disco che dal vivo è sempre una gioia incontrare i Mos Generator, e questa ultima fatica è forse il loro miglior lavoro, che è un po’ la frase che quasi tutti i musicisti vorrebbero sentirsi dire.

Sono tornati i Mos Generator e sono cambiati, in meglio se possibile.

Il gruppo americano è sempre stato fautore di un buon stoner rock, un ponte fra anni settanta, ottanta e oltre, ma in questo disco aumenta la velocità e la consapevolezza di fare un qualcosa di unico ed originale. Con quello che ha prodotto e anche grazie al suo fedele seguito, il gruppo di Tony Reed non dovrebbe dimostrare più nulla, ma anche grazie allo smisurato amore che ha il leader per la musica, il discorso musicale compie un ulteriore passo in avanti, andando a ripescare molto dal passato, ma anche dotandosi di passaggi molto più oscuri come suggerisce il titolo. In Shadowlands si può trovare un suono indurito e un grande odore di southern rock, che è sempre stato presente nei lavori dei Mos Generator, ma qui è in misura maggiore rispetto al passato. La loro musica è sempre molto bilanciata ed equilibrata e trovano sempre la giusta miscela musicale, anche grazie ad una produzione davvero efficace. Le composizioni sono sempre interessanti e con un trama ritmica interessante che ne rende piacevole l’ascolto: la conoscenza musicale del trio è notevole, e anche fra di loro si sente che si trovano molto bene. Non è certo un disco innovativo, ma il prodotto di un gruppo che ha un’identità ben definita e porta avanti con successo un discorso musicale di impatto e molto piacevole. Ci sono anche momenti nei quali si rimane piacevolmente stupiti da cosa esce fuori da Shadowlands scoprendo un qualcosa di ricco. A volte ricordano il meglio dei Kiss fuso con una bella e robusta selezione del meglio del rock americano. Insomma, sia su disco che dal vivo è sempre una gioia incontrare i Mos Generator, e questa ultima fatica è forse il loro miglior lavoro, che è un po’ la frase che quasi tutti i musicisti vorrebbero sentirsi dire.

Tracklist
01. Shadowlands
02. The Destroyer
03. Drowning In Your Loving Cup
04. Stolen Ages
05. Gamma Hydra
06. The Blasting Concept
07. Woman Song
08. The Wild & Gentle Dogs

Line-up
TONY REED – guitar, vocals, keyboards, assorted instruments
SEAN BOOTH – bass
JON GARRETT – drums

MOS GENERATOR – Facebook

Kanseil – Fulìsche

Fulìsche è un affresco di quello che è stato nel suo profondo il Veneto, terra ricchissima e poverissima, di estrema povertà come di grande orgoglio, e che ora come tante altre terre ha perso la propria identità che però si può trovare in dischi come questi, che raccontano con dolcezza e durezza, usando il folk metal come dovrebbe essere impiegato, dato che è un ottimo mezzo per raccontare e per far assaporare storie.

I Kanseil sono un gruppo folk metal nato in Veneto, e più precisamente a Fregona in provincia di Treviso.

In poche parole questi ragazzi sanno rendere molto bene con la bella musica e testi molto interessanti l’affetto per un terra, la descrizione di vite difficili, e soprattutto il fortissimo amore per la vita in mezzo alle avversità. C’è una grande forza in mezzo a queste note, ora metalliche, ora fortemente folk, e sopratutto ci sono storie da raccontare, infatti Fulìsche è quasi come un libro da leggere, un resoconto fedele di storie, cuori e carni in tumulto, in un ambiente non certo facile. Ascoltando questo secondo loro disco sulla lunga distanza, uscito per Rockshots Records, ci si innamora facilmente della bellezza e della profondità di questo gruppo. Oltre all’ottimo folk metal, con intarsi death o black, ci sono canzoni totalmente folk nello spirito e nella musica, come Serravalle, che riportano indietro nel tempo, regalandoci il profumo di tempi lontani e ormai andati, e non so se fosse meglio o peggio, ma valgono la pena di essere cantati dai Kanseil. Per tutto il disco si ascolta un gruppo che va ad inserirsi tranquillamente nel novero dei migliori del folk metal italiano e non solo. Fulìsche è un affresco di quello che è stato nel suo profondo il Veneto, terra ricchissima e poverissima, di estrema povertà come di grande orgoglio, e che ora come tante altre terre ha perso la propria identità che però si può trovare in dischi come questi, che raccontano con dolcezza e durezza, usando il folk metal come dovrebbe essere impiegato, dato che è un ottimo mezzo per raccontare e per far assaporare storie.
La differenza la fa la classe musicale dei Kanseil, che sono tutto meno che la media folk metal band, in quanto hanno una profondità ed un livello di composizione davvero superiore, e rendono davvero molto all’ascoltatore. In alcuni momenti si può tranquillamente parlare di grande poesia, e si chiudono volentieri gli occhi per ritrovarsi in piccoli borghi al tramonto, o in mezzo a boschi che bruciano per le battaglie.
Un disco da sentire tutto più e più volte, che afferma ancora una volta il grande valore del folk metal italiano, e che porta alla ribalta ancora una volta il Veneto metallico, che sta davvero vivendo una grande stagione soprattutto in campo black e folk metal.

Tracklist
1. Ah, Canseja!
2. La Battaglia del Solstizio
3. Ander de le Mate
4. Pojat
5. Orcolat
6. Serravalle
7. Vallòrch
8. Il Lungo Viaggio
9. Densilòc

Line-up
Andrea Facchin – Lead Vocals
Federico Grillo – Guitars
Davide Mazzucco : Guitars, Bouzouki
Dimitri De Poli – Bass
Luca Rover – Drums
Luca Zanchettin – Bagpipes, Kantele
Stefano -Herian
Da Re – Whistles,Rauschpfeife

KANSEIL – Facebook

Duir – Obsidio Ep

L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato.

I Duir sono un gruppo di folk black death che conferma il valore della scena folk metal italiana.

Si sono formati nel 2013 e hanno avuto diversi problemi di formazione, soprattutto per quanto riguarda il batterista, ma finalmente con l’ingresso del nuovo picchiatore di pelli sono andati avanti ed è un bene per chi ama certe sonorità. Fin dal nome Duir, che significa quercia, per le popolazioni celtiche un albero di grande importanza, i ragazzi veronesi hanno dato una forte impronta folk alla loro musica, ed inizialmente hanno cominciato ad affiancarlo al death metal, salvo poi introdurre una seconda chitarra e quindi avvicinarsi maggiormente al black metal attuale. Obsidio è un ottimo lavoro in bilico tra folk metal, viking, black e momenti epici. Il gruppo ha un potenziale davvero notevole e lo si sente in pieno ascoltando l’ep che è un degno successore di Tribe, anzi va molto oltre rispetto al predecessore, essendo una tappa importante della maturazione del gruppo. I Duir hanno un talento raro per i gruppi folk metal, ovvero quello di saper cambiare registro più volte all’interno della stessa canzone, dando una nuova interpretazione al tutto. Questo loro avvicinamento al black metal ha donato maggiore potenza ed incisività alle  canzoni, e ha anche accentuato il valore delle parti folk, che sono davvero notevoli. L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato. Ci sono passaggi molto belli, e nel complesso tutto il disco sprigiona un sentimento forte che difficilmente vi lascerà indifferenti.

Tracklist
1.Inconscio
2.Destarsi
3.Rise Your Fear
4.Dies Alliensis
5.Insomnia Seed
6.Obsidio

Line-up
Giovanni De Francesco : Voci
Mirko Albanese : Chitarra
Pietro Devincenzi : Basso
Thomas Zonato : Cornamusa Scozzese
Matteo Polinari: Batteria

DUIR – Facebook

Deny – Parasite Paradise

I gruppi come i Deny sono fieramente underground e non fanno certamente musica per fare soldi, ma sono anzi delle persone che vogliono comunicare qualcosa, per cui se sono tornati è perché hanno qualcosa da dire.

Primo disco dal duemila per questi protagonisti dalle scena svedese crust hardcore punk dal 1995 al 2000.

I Deny tornano con un ep di otto canzoni molto veloci e potenti, ben bilanciate fra il crust e l’hardcore. Il loro stile risente molto della vecchia scuola scandinava di quei generi, ma non c’è solo questo. I Deny con Parasite Paradise fanno capire perché all’epoca erano uno dei gruppi più interessanti. In queste otto tracce non troverete momenti stanchi o pesanti, ma solo cavalcate della giusta lunghezza, composte in maniera da poter esprimere la massima potenza anche dal vivo. Parasite Paradise è inoltre un nuovo inizio per loro, dato che sarà solo uno dei nuovi lavori che pubblicheranno nel 2018, e la loro etichetta Cramada ristamperà inoltre per via digitale il vecchio materiale, che è davvero molto valido. Il ritorno del gruppo svedese conferma una tendenza che fortunatamente era già nell’aria da tempo, ovvero l’aumentare di gruppi nuovi o il ritorno dei vecchi nella scena crust hardcore, che ultimamente non aveva vissuto anni brillanti, mentre invece ora sta vedendo di nuovo la luce. I gruppi come i Deny sono fieramente underground e non fanno certamente musica per fare soldi, ma sono anzi delle persone che vogliono comunicare qualcosa, per cui se sono tornati è perché hanno qualcosa da dire.
Aumenta la crisi, aumenta il crust.

04TRACKLIST
1. Inbred Insanity
2. Make It Great
3. Bring Me Down
4. Victims
5. Resisting Hard
6. Denied
7. What I Deserve
8. You Feed My Hate

LINE-UP
Bjuren – Vocals
Tobbe – Guitar
Jonsson – Guitar
Martin – Bass
Arvid – Drums

DENY – Facebook

Bong – Thought And Existence

Un disco che è un rito, un rito antico che abbiamo seppellito sotto montagne di false credenze, e non si parla di dei, ma dell’unico dio al quale parla Thought And Existence : il nostro cervello che vuol tornare verso le stelle.

Nuovo viaggio astrale offerto da un gruppo che va ben oltre la musica,i geordies Bong, qui alla loro ottava prova su lunga distanza.

Per chi già li conosce sa che una volta ascoltata la loro musica, la prospettiva delle cose cambia, come quando si legge un libro che sposta l’angolazione dalla quale vediamo la realtà e quindi riusciamo a scostare il velo che ricopre tutto. I Bong fanno musica rituale, aprono porte per andare in dimensioni diverse, e la loro musica non può essere fruita in maniera normale o consumistica, con le cuffie per strada. Bisogna prepararsi per un viaggio mentale, quindi ognuno deve fare la preparazione al rito alla propria maniera, consumando droghe od isolandosi, l’unico denominatore comune è alzare il volume, perché la musica dei Bong è cubitale e molto fisica. Nei dischi precedenti i Bong avevano fatto vedere di cosa sono capaci, ovvero di usare la musica come medium per eccellenza per riti di magick, la magia crowleryana e non solo, che fa andare su piani astrali diversi da quello, davvero misero, nel quale viviamo. Questa musica non è escapismo o un qualcosa di new age, ma è una forza antica che arriva da lontano, e non a caso i Bong sono inglesi, perché l’isola e la sua storia è fortemente permeata di magia e di forze che altrove non esistono, o sono presenti in maniera minore. L’Inghilterra ha un storia antichissima ed il cristianesimo o il protestantesimo qual dir si voglia, è presente da duemila anni, una parentesi ben minore se si pensa agli altri cicli storici. La sapienza druidica è continuata per vie laterali, ed in Thought And Existence è molto presente, come magia per riconnettersi a quello che siamo veramente, energia a stento trattenuta da un corpo e dalle membra. Ascoltando questi droni, questa frequenza che i Bong stendono per tutta la loro opera, si ha la sensazione di tornare a casa, di riunirsi con un qualcosa che ci è stato fatto dimenticare, ed infatti tutto il disco è come un marcia di entità che nello spazio si ricongiungono alle loro altre metà. I Bong fanno qualcosa di potentissimo e di davvero originale, e dare un genere alla loro emissione musicale non è facile, anche se si potrebbe dire che sia un qualcosa fra lo sludge e il drone, post metal altro. In questo frangente si coglie tutta la inadeguatezza della nostra civiltà a definire una cosa come Thought And Existence, perché questo disco viene da lontanissimo, ed è passato in qualcosa dello spirito psichedelico inglese degli anni sessanti e settanta, ma prima era nelle processioni druidiche lungo il serpente Tamigi: proviene dallo spazio ed è stato a volte visto dai Neurosis e dagli Ozric Tentacles, è pura energia mentale. Un disco che è un rito, un rito antico che abbiamo seppellito sotto montagne di false credenze, e non si parla di dei, ma dell’unico dio al quale parla Thought And Existence: il nostro cervello che vuol tornare verso le stelle.
Forse la migliore prova di un gruppo che non fa solo musica da consumare.

Tracklist
01. The Golden Fields
02. Tlön, Uqbar, Orbis Tertiu

Line-up
David Terry – Bass
Mike Smith – Drums
Mike Vest – Guitars

BONG – Facebook

Dimmu Borgir – Eonian

Se prendiamo Eonian come disco in sé si può tranquillamente affermare che sia un buon esempio di symphonic black death con forti intarsi di musica classica.

Decimo disco per gli amatissimi o odiatissimi norvegesi Dimmu Borgir, ed è un’opera che ha avuto una lunghissima gestazione, essendo uscito sette anni dopo Abrahadabra.

Tanto tempo è passato in mezzo a molti problemi, molti cambi di formazione, l’abbandono di Mustis e Ics Vortex, con tutte le polemiche e problematiche legati a questi avvenimenti. Come sempre però arriva la musica e tutto si sistema. Eonian è un album che non sposta di molto il discorso musicale portato avanti fin dal 1993 da questi norvegesi, ma amplifica la parte sinfonica e melodica non perdendo però in potenza. I Dimmu Borgir sono cambiati rispetto agli esordi, ora sono un po’ meno veloci e hanno acquisito maggiore solennità e anche una maggiore inquietudine di fondo, poiché il suono è diventato più da incubo. Se prendiamo Eonian come disco in sé si può tranquillamente affermare che sia un buon esempio di symphonic black death con forti intarsi di musica classica. Ovviamente essendo dei Dimmu Borgir dividerà sempre il pubblico fra chi li ama e chi li odia per gli eccessi sonori e la poca finezza .
Questo ultimo disco non dirà la parola definitiva sui Dimmu Borgir, ma li continuerà a far apprezzare ai loro fans e ne conquisterà di nuovi perché possiede un innovazione del loro suono, quasi un cercare di legare la loro visione musicale al metal moderno, senza però venirne snaturati. Ad esempio, un elemento molto importante di Eonian sono i cori, che aggiungono davvero una grande intensità, soprattutto quando si intersecano con le tastiere ed il resto del gruppo. Un disco dalla gestazione sofferta ma che ripaga l’attesa, e che soddisferà molti palati diversi. I mondi descritti da questo disco sono in qualche altra dimensione rispetto alla nostra, e gli antichi guardiani ci guardano. Per chi cerca qualcosa di diverso dai Dimmu Borgir questo non è il posto adatto. Mentre chi li ama o vuol sentire un symphonic black death di spessore, qui c’è tutto.

Tracklist
1. The Unveiling
2. Interdimensional Summit
3. ÆTheric
4. Council of Wolves and Snakes
5. The Empyrean Phoenix
6. Lightbringer
7. I Am Sovereign
8. Archaic Correspondence
9. Alpha Aeon Omega
10. Rite of Passage

Line-up
Shagrath – vocals
Silenoz – guitars
Galder – guitars

Current live line-up:
Daray – drums
Gerlioz (Brat) – keys

DIMMU BORGIR – Facebook

Pennywise – Never Gonna Die

I Pennywise sono uno dei gruppi migliori del punk rock, o hardcore melodico qual dir si voglia, e come altre band di una certa età regalano una prova impeccabile e molto ben bilanciata, sicuramente una delle grandi uscite di questi ultimi tempi nel genere.

Venticinquesimo disco nella lunga carriera dei californiani Pennywise e non si vede ancora la fine per questa band, ormai leggendaria.

Never Gonna Die è una chiara dichiarazione di intenti fin dal titolo, ed è un disco potente e che contiene tutto il talento ed il mestiere del gruppo, che riporta sempre sui solchi la carica e la cattiveria che ha dal vivo. Il disco mostra anche lati musicali dei Pennywise che sono meno noti, come una maggiore complessità delle canzoni, e la capacità di cambiare registro musicale più volte all’interno della stessa canzone. Il suono è quello classico dei Pennywise, ma testimonia la loro bravura e soprattutto la loro capacità di fare dischi diversi al contrario di come dicono molti. I Pennywise sono uno dei gruppi migliori del punk rock, o hardcore melodico qual dir si voglia, e come altre band di una certa età regalano una prova impeccabile e molto ben bilanciata, sicuramente una delle grandi uscite di questi ultimi tempi nel genere. Never Gonna Die è pieno di ottime canzoni, possiede uno grande spirito e ha dentro ancora tantissima rabbia. Oltre al desiderio di suonare e di girare per il mondo i Pennywise hanno ancora tantissima rabbia dentro, che è il loro motore primo e lo si può sentire molto bene: le canzoni sono rabbiose anche perché più passano gli anni e più il livello della merda sale. Il gruppo della sud California rappresenta una bella porzione di americani incazzati, che non ci stanno a subire le cose che stanno succedendo, perché l’America non è soltanto la Bible Belt o New York. Molte sono le citazioni dai dischi precedenti dei Pennywise sulla bella copertina. Un viaggio che si preannuncia ancora molto lungo e seminatore di rabbia.

Tracklist
1. Never Gonna Die
2. American Lies
3. Keep Moving On
4. Live While You Can
5. We Set Fire
6. She Said
7. Can’t Be Ignored
8. Goodbye Bad Times
9. Can I Get A Little Hope
10. Won_t Give Up the Fight
11. Can_t Save You Now
12. All The Ways U Can Die
13. Listen
14. Something New

Line-up
Jim Lindberg – vocals
Fletcher Dragge – guitars
Randy Bradbury – bass
Byron McMackin – drums

PENNYWISE – Facebook

Kosmogyr – Eviternity

Un buon disco, che nella sua attinenza all’antico corso del black metal guarda decisamente in avanti.

Un disco scritto fra due continenti, prodotto viaggiando attraverso i bytes delle connessioni internet, ma dal cuore antico e totalmente black metal.

I componenti del gruppo sono l’americano Ivan Belcic alla voce e alla batteria elettronica e il cinese Xander Cheng alla chitarra ed al basso. I due si sono incontrati a Shangai e hanno deciso di fare un disco assieme, anche se poi Belcic ha lasciato la Cina alla volta della Repubblica Ceca. Ciò non ha impedito ai due di continuare ad elaborare il disco scrivendosi per posta elettronica, usando i vari software di produzione per mandarsi le parti sonore e continuare a progredire con il lavoro. Ne è sicuramente valsa la pena, poiché è un buon disco di black metal che guarda al passato, agli anni novanta del genere, ma ha moltissime contaminazioni, dal prog all’atmospheric, passando per momenti anche quasi ambient. La coppia a distanza funziona, le canzoni sono composte molto bene, hanno una forte componente di malinconia e lasciano un ottimo retrogusto. Forse il rapporto a distanza di questi due musicisti ha permesso alla materia di decantare il giusto tempo necessario per capire e sentire cosa fosse meglio fare. Il cuore dell’opera sono le connessioni che il black metal ha con le profondità del nostro essere, dove i muscoli ed il cuore si fondono con il nero metallo e ne nasce qualcosa di molto vicino alla vita reale. Un buon disco, che nella sua attinenza all’antico corso del black metal guarda decisamente in avanti.

Tracklist
1.Sui Generis
2.The Wane
3.Quiescent
4.Eviternity
5.Frailty
6.Refulgence
7.Iridescent
8.Vision
9.Thalassic Lunacy

Line-up
Xander Cheng
Ivan Belcic

KOSMOGYR – Facebook

Me Vs I – Never Drunk Enough

Never Drunk Enough si pone come un lavoro che rilascia delle belle endorfine, e piacerà a chi ascolta hardcore punk ed ha un po’ di apertura mentale, perché se si dà una possibilità a questo disco ne verrete ricompensati.

Trio padovano che fa un hardcore che strizza l’occhio allo stoner e ai Raging Speedhorn.

Per i Me Vs I questo è l’ep di debutto ed è un gran bell’inizio. Nei primi minuti dell’ascolto il disco non impressiona più di tanto, ma progredendo nell’ascolto le sensazioni positive aumentano, e con esse la potenza ed il fascino del disco. I Me Vs I fanno un hardcore che non è un hardcore punk puro, ma è molto spurio, essendo contaminato dallo stoner e da un metal moderno che spunta in alcuni momenti. Il risultato è un ep di sette pezzi che ci porta dentro ad una musica veloce e sinuosa, con la peculiarità di essere suonata senza il basso: sinceramente non si sente la mancanza di un simile strumento, anzi forse snaturerebbe il loro suono che va benissimo così. I Me Vs I portano se non qualcosa di nuovo, una sfumatura di un suono che troppe volte è ortodosso e con poche cose da dire, con gruppi che si differenziano poco uno dall’altra. I Me Vs I possono piacere o no, ma fanno qualcosa di molto interessante e diverso, e molto piacevole da sentire. L’hardcore ha tante declinazioni e questa, in Italia e non solo, non si era ancora sentita. Never Drunk Enough si pone come un lavoro che rilascia delle belle endorfine, e piacerà a chi ascolta hardcore punk ed ha un po’ di apertura mentale, perché se si dà una possibilità a questo disco ne verrete ricompensati.

Tracklist
01. MadNess
02. Me Vs. I
03. Places
04. Keep Off The Grass
05. Empty
06. De-Vices
07. Up & Down

Line-up
Matteo Brunoro: Voce
Alberto Baldo: Chitarra
Francesco Baldo: Batteria

ME VS. I – Facebook

V-8 Compressor – Don’t Break My Fuzz

I V-8 Compressor indagano un altro lato della musica pesante, producendo un disco molto divertente, che è un misto di stoner, fuzz, southern metal e tanto hard rock, con momenti maggiormente psichedelici.

Album di debutto per gli imperiesi V-8 Compressor, un gruppo che fa stoner metal a mille all’ora, con tanta velocità ed amore per sua maestà Lemmy Kilmeister.

Fra i componenti possiamo trovare Pixo, che suona anche nei mitici e mefitici Carcharodon, uno dei migliori gruppi rumorosi della costa ovest ligure e non solo. I V-8 Compressor indagano un altro lato della musica pesante, producendo un disco molto divertente, che è un misto di stoner, fuzz, southern metal e tanto hard rock, con momenti maggiormente psichedelici. I membri della band non sono dei novellini e non devono dimostrare nulla, e la loro missione è quella di divertire il pubblico e loro stessi. La produzione li supporta benissimo, perché lascia una patina di sporcizia al suono, che pur essendo limpido ha quel speciale sapore di fango e sudore che calza molto bene. Il disco funziona ottimamente e ha molti livelli, dato che passa agevolmente da un genere all’altro senza mai perdere la sua coerenza ed identità. Il suono del trio ligure è molto ben definito e tutto va nella direzione voluta: verso l’inferno, perché è lì che siamo diretti. Le radici del suono dei V-8 Compressor sono da ricercarsi molto lontano, in quel rock blues di figli maledetti della grande terra oltre l’oceano, ma forse anche prima, in quel milieu di diseredati che vivevano molto veloce e morivano giovani. Don’t Break My Fuzz è un disco che può durare molto nelle orecchie degli ascoltatori, perché ha tante cose da dire e da sentire, il tutto fatto da persone che hanno una passione vera, e che non hanno paura di alzare il volume, senza tante pose o proclami, ma con testa bassa e corna in alto. Ennesima conferma che la provincia dell’impero è sempre prolifica e fa ottime cose, ma sopratutto prova a divertirsi.

Tracklist
1.Don’t Break My Fuzz
2.Stray Hound Dogs
3.No Sissies
4.Loud Knocks
5. Sgrunt Cow
6.Aniridia
7.Snake Charmer
8.Grey City
9.Appaloosa

Line-up
Pixo: bass/vocals
Matt Lithium: guitar/vocals
Doktor T: drums/bardot game

V-8 COMPRESSOR – Facebook