Zom – Nebulos

Nebulos è un disco di incontro e di sintesi di diverse maniere di intendere la musica pesante e non solo, ed è un tentativo molto riuscito.

Gli Zom sono una macchina di riff chitarristici potenti e contenenti un elevato tasso di groove dal gusto forte.

I tre americani provenienti da Pittsburgh non sono certamente un gruppo giovanile e lo si sente molto forte nel disco, hanno una grande esperienza e la usano tutta ed in maniera adeguata. In buona sostanza siamo dalle parti dello stoner fortemente imparentato con il grunge, e non tutti sanno fare questo ibrido, che è tale solo a parole, perché poi viene tutto molto naturale, siamo noi che dobbiamo sempre delimitare il territorio. Il trio è composto da Gero Von Dehn, anche nei Monolith Wielder, gruppo che abbiamo già potuto apprezzare sempre su Argonauta Records, Andrew D’Cagna dei Brimstone Coven e da Ben Zerbe, anche lui gravitante intorno ai Monolith Wielder. Gli Zom sono attivi dal 2014, questo è il loro debutto e sono molto chiari su cosa vogliono essere. Il loro suono è composto da un’importante base chitarristica, con la voce che va ad incastonarsi perfettamente con il lavoro del resto del gruppo, creando un groove molto coinvolgente, che seppur non rappresentando nulla di nuovo riesce ad essere molto incisivo e godibile. Nebulos si rivolge ad una platea ampia di amanti della musica pesante ma non solo, perché anche la componente grunge è ben presente e forma il dna di questo disco. Tutto il disco è pervaso da una consapevole malinconia di fondo, messa mirabilmente in musica e ogni passaggio ha un filo logico. Nebulos è un disco di incontro e di sintesi di diverse maniere di intendere la musica pesante e non solo, ed è un tentativo molto riuscito.

Tracklist
1. Nebulos/Alien
2. Burning
3. Gifters
4. Solitary
5. The Greedy Few
6. There’s Only Me
7. Bird On a Wire
8. Final Breath
9. New Trip

Line-up
Gero von Dehn
Andrew D’Cagna
Ben Zerbe

ZOM – Facebook

Greyfell – Horsepower

Qui si degustano i fiori del male, come diceva un connazionale dei Greyfell, e il tutto è pervaso da un dolce incantesimo malvagio, che vive di groove pesante e voli nelle varie sfere grazie alle tastiere e synth.

Un’avanguardia, per sua definizione, è un qualcosa che va avanti, marca il sentiero per chi da dietro la vuol seguire, fa nascere cose che ancora non c’erano.

I francesi Greyfell fanno questo e tanto altro, con un suono composto da elementi conosciuti ed usati ma totalmente rielaborati in una sintesi davvero molto efficace. Prendete per quanto riguarda le chitarre un suono ribassato ma non lentissimo, uno sludge doom tanto per intenderci, aggiungete un cantato molto alla Pentagram a volte basso a volte possente, un basso sgusciante, una batteria psichedelica e tastiere che permeano l’atmosfera che vi circonda, e sarete forse arrivati ad un decimo del suono di questi francesi. Il loro particolare impasto sonoro è una psichedelia profondamente altra, dove tutto non è ciò che sembra, e lo scenario muta in continuazione. Certamente vi sono elementi riconoscibili e tutto l’impianto non è totalmente inedito, ma è il tocco dei Greyfell che lo rende una cavalcata davvero senza freni in mezzo agli dei serpenti generati dal grembo di funghi allucinogeni. Non è tanto la potenza, che è tanta, ma è la saturazione mentale che generano nell’ascoltatore, i Greyfell ti catturano la mente e ti fanno volare lontano, ti scagliano per spiegarla meglio. Il disco che esce per Argonauta Records è totalmente fato in autonomia, e il suono è costruito molto bene, in maniera molto chiara e sequenziale come fosse un film. Qui si degustano i fiori del male, come diceva un connazionale dei Greyfell, e il tutto è pervaso da un dolce incantesimo malvagio, che vive di groove pesante e voli nelle varie sfere grazie alle tastiere e ai synth, aggiunti in questo disco, una scelta che ha pagato moltissimo. Molto intenso, molto etereo, una prova di vera avanguardia.

Tracklist
1. The People’s Temple
2. Horses
3. No Love
4. Spirit of the Bear
5. King of Xenophobia

Line-up
Boubakar – Bass
Thierry – Drums
Clément – Guitars
Hugo – Vocals

GREYFELL – Facebook

Incursed – Amalur

Il racconto epico degli Incursed è qualcosa che rimane nelle orecchie e nei cuori, figlio di un tempo passato che può tornare solo grazie a queste narrazioni.

I baschi Incursed sono fautori di un folk metal non convenzionale, molto veloce e potente dai forti accenti epici.

Attivi dal 2007, questi ragazzi suonano un folk metal con una base pagan, costruendo canzoni molto ben strutturate e frutto di una visione potente. Questo disco è la loro quarta uscita, il loro suono è in costante miglioramento e Amalur è un lavoro con molte sfumature, eppure organico nel suo essere una narrazione epica e mitica, incentrata sulle nostre antiche tradizioni andate perse a causa dall’allontanamento dal nostro baricentro naturale. Gli Incursed usano diversi registri musicali per rendere tutto ciò, avendo molte possibili soluzioni anche grazie al loro talento e alla loro capacità creatival. L’incedere è molto epico, le canzoni sono piccole sinfonie con base metallica, ma con escursioni in altri territori, come gli intarsi con strumenti antichi. Sono notevoli anche i pezzi meno veloci, carichi di una forza notevole data dal loro pathos. Il racconto degli Incursed è qualcosa che rimane nelle orecchie e nei cuori, figlio di un tempo passato che può tornare solo grazie a queste narrazioni. Il gruppo è capace di dosare sempre l’emozione, rendendosi comprensibile in tutti i suoi passaggi, riuscendo a non essere mai noioso. Molto di tutto ciò è dovuto sicuramente alle ottime frequentazioni che la band ha avuto sui palchi, con gruppi come Eluveitie ed Ensiferum, tra gli altri. Rispetto a questi due gruppi gli Incursed hanno una personalità molto spiccata ed una maniera di interpretare li folk metal che è radicato nella penisola iberica, con grande epicità e con una maniera di comporre molto diversa per esempio dai loro colleghi scandinavi. Un buon disco che porta il gruppo ad essere fra i migliori del genere.

Tracklist
1.Lurramets [intro]
2.Cryhavoc!
3.Psalm of the Accursed
4.Akelarre
5.The Awakening
6.Amalur
7.The Slavic Covenant
8.A Crownless King
9.The Hardest of Harvests
10.Zombeer Alcoholocaust
11.Brothers in Arms
12.Fear a’ Bhàta [bonus]

Line-up
Asier Amo – drums
Asier Fernandez – guitars
Jon Koldo Tera – harsh and clean vocals, keyboards
Lander Lourido – clean vocals, guitars
Mikel Llona – bass

INCURSED – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Massimo Argo

Voto
7

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
Folk Metal

Pagan Metal

Viking Metal

2017

Drive By Wire – Spellbound

La maturità compositiva è fuori discussione, il gruppo è già da tempo pronto per essere conosciuto dal grande pubblico e questo disco è un fantastico biglietto da visita.

Tornano gli olandesi Drive By Wire al loro decimo anno di attività, festeggiato con la ristampa su Argonauta Records del loro disco The Whole Shebang.

Il nuovo Spellbound ci mostra il gruppo nel suo massimo splendore, con un suono che è un felice incrocio di desert rock, stoner e molto blues, soprattutto nell’attitudine e nell’incedere. I Drive By Wire fanno molto bene e con più ruvidezza ciò che i Blue Pills hanno portato alla ribalta con il loro suono, e anche gli olandesi hanno una splendida voce femminile a guidarli, quella di Simone Holsbeek, bravissima a coprire una moltitudine di registri, versatile e calda. Il gruppo ci guida nel suo mondo, fatto di mistero, blues e note ruvide, con una voce calda e sognante che ci porta a seguirla sotto la luce della luna, benedicendo il femmineo. Si viene trascinati in questo sabba desertico da una musica che si fonde benissimo con la voce di Simone, e che raggiunge vette che pochi gruppi nel genere hanno saputo toccare. La qualità media del disco è molto alta, le tracce sono legate l’una all’altra non tanto da un concept, quanto da una comune visione che si esplica in una musica fortemente influenzata dal blues. Proprio quest’ultimo è il mojo principale di questo disco e la sua presenza è fortissima, sia nella composizione che nello spirito dell’album. Il coinvolgimento dello spettatore è una delle peculiarità maggiori degli olandesi, riescono a stimolare la tua curiosità e ti portano con un groove ipnotico. I riferimenti ci sono ma è tutto molto personale ed originale. I Drive By Wire riescono inoltre a dare una propria personale versione del desert rock che è una delle migliori in assoluto in giro, e questo disco è da primi dieci ascolti desertici da fare. La maturità compositiva è fuori discussione, il gruppo è già da tempo pronto per essere conosciuto dal grande pubblico e Spellbound è un fantastico biglietto da visita.

Tracklist
1. Glider
2. Where Have You Been
3. Mammoth
4. Apollo
5. Blood Red Moon
6. Superoverdrive
7. Van Plan
8. Lost Tribes
9. Devil’s Fool
10. Lifted Spirit
11. Spellbound

Line-up
Simone Holsbeek
Alwin Wubben
Jerome Miedendorp de Bie
Marcel Zerb
Rene Rutten

DRIVE BY WIRE – Facebook

Quicksand – Interiors

Fa molto piacere ascoltare qualche inedito dei Quicksand, perché sono un gruppo molto al di sopra della media; il materiale anche se datato è molto buono, sicuramente i nostri non hanno mai fatto un’uscita di scadente livello qualitativo, ed in questo avrebbero da insegnare a molti gruppi.

In questa epoca oscura piena di tenebre, ogni tanto arriva un fulmine a rischiarare il tutto, e questo è ciò che fa il nuovo disco dei Quicksand.

Essi sono una specie di segreto di Fatima musicale, Interiors è il loro primo disco dopo Manic Compression del 1996, e quello era un capolavoro che ha influenzato moltissimi gruppi ,cialmente hardcore, nell’andare oltre i canoni del genere. Provenienti da quel laboratorio hardcore che era la New York degli anni novanta, dopo un ep omonimo diedero alle stampe due dischi sulla lunga distanza, Split del 1993 e Manic Compression del 1995, entrando con merito nella storia, grazie alla loro capacità di emozionare attraverso una musica solo in apparenza fredda e scontrosa. Il cantante Walter Schreifels, prima di militare nei Quicksand, ebbe l’onore di stare ed è ancora nei Gorilla Biscuits e ha fondato i Rival Schools, e il bassista Sergio Vega è ora nei Deftones, uno dei gruppi che maggiormente si sono ispirati ai Quicksand. Infatti nel 1997 i Quicksand si riformarono per partecipare ad un tour proprio con i Deftones, ma poi si sciolsero di nuovo. Non si conoscono bene i motivi della separazione, o forse si conoscono fin troppo bene, essendo i soliti di ogni altro gruppo. Sia quel che sia, arriviamo ad Interiors che è il frutto di sessioni di registrazione durante quella reunion temporanea per girare con i Deftones. Ascoltando il disco si ha la netta percezione che il tutto sia ancora da sgrezzare e abbia bisogno di ulteriore lavoro, ma basta già così per tornare a sognare come si faceva con i dischi precedenti. I Quicksand costruiscono cattedrali sonore piene di attesa e di lascivo piacere. La voce sussurra e le chitarre tagliano i nostri tendini emotivi, tanto da farci cadere in ginocchio ed ascoltare, volendone ancora. I brano sono stati prodotti da Will Yip, produttore fra gli altri di Lauryn Hill e Keane, che dà quel tocco di lucentezza che forse prima mancava. Interiors da l’esatta misura di quanti gruppi siano stati influenzati dai Quicksand, soprattutto nel modo di intendere la canzone, svolgendola in maniera quasi progressive, cosa che diventerà ancora più onirica nei Deftones. Hardcore che rimane come punto di partenza perché si va molto oltre, in territori sonori pieni di possibilità, con ancora molto da dire. Fa molto piacere ascoltare qualche inedito dei Quicksand, perché sono un gruppo molto al di sopra della media; il materiale anche se datato è molto buono, sicuramente i nostri non hanno mai fatto un’uscita di scadente livello qualitativo, ed in questo avrebbero da insegnare a molti gruppi.

Tracklist
1.Illuminant
2.Under The Screw
3.Warm And Low
4.>
5.Cosmonauts
6.Interiors
7.Hyperion
8.Fire This Time
9.Feels Like A Weight Has Been Lifted
10.>>
11.Sick Mind
12.Normal Love

Line-up
Walter Schreifels – Vocals/Guitar
Sergio Vega – Bass
Alan Cage – Drums

QUICKSAND – Facebook

Kaptain Preemo – Kaptain Preemo

La peculiarità migliore di questo gruppo è quella di saper rielaborare al meglio istanze musicali degli anni sessanta e settanta

Album d’esordio per i Kaptain Preemo da Parma, con la loro proposta di fuzz e psych, il tutto molto ben fatto e funzionante molto bene.

La peculiarità migliore di questo gruppo è quella di saper rielaborare al meglio istanze musicali degli anni sessanta e settanta. L’intento dei Kaptain Preemo è quello di farci vivere un’esperienza attraverso l’ascolto della loro musica. I generi sono il fuzz e la psych anni sessanta, non mancano momenti più duri alternati ad altre cose più dolci, e per tutto il disco aleggia lo spirito dei Kula Shaker, un gruppo che seppe fare un’ottima sintesi di generi diversi ed ingiustamente dimenticato. Ma qui abbiamo anche di più rispetto al gruppo inglese, dato che c’è un’impronta rock molto forte, che si esplica in cavalcate figlie di jam imperiose, che ci portano in territori molto lontani. I Kaptain Preemo sono attivi dal 2014, ma la loro capacità compositiva e la loro maniera di renderla presuppongono una maggiore esperienza. I nostri riescono a fondere la swingin’ London ad una forte presenza crawleyiana con la California degli anni sessanta, non solo quella baciata perennemente dal sole, ma anche quella più oscura dei seguaci di Manson. La psichedelia è un genere non semplice da maneggiare, ma questo gruppo lo fa molto bene, portando a galla aspetti originali; inoltre non troviamo nemmeno la distruzione totale della forma canzone come in taluni tipi di psych, ma il tutto è al servizio dell’esperienza da compiere. Un disco molto piacevole, ben composto e con ottime idee.

Tracklist
1.Intro: The Pentagram
2.I’ve Never Sold My Soul To Satan
3.Cosmic Plastic Lady
4.Who’s Who?
5.Drugs Are Working
6.I’m Gonna Save You Bobby
7.Magick Hangover
8.Diamond Shade

Line-up
Luke Zammarchi – Vocals, Guitar
Frank Fedi – Bass
Mek Spazio – Lead Guitar, Backing Vocals
Becky Sahira – Drums , Synth and Backing Vocals

KAPTAIN PREEMO – Facebook

Blinded By Yellow Sunbeams – Heart Denied

Le musiche dei Blinded By Yellow Sunbeams sono qualcosa di originale per i suoli italiani, perché si vanno a posizionare al confine fra industrial, metal e pop, in quelle belle zone grigie di contaminazione.

Blinded By Yellow Sunbeams è l’ambizioso progetto musicale del triestino Christian Thomas Castorina, precedentemente fautore dei At The Funeral My Violet Rabbit.

Conclusa questa esperienza, comincia il percorso dei Blinded By Yellow Sunbeams, giunto ora al quarto album con Heart Denied. Le coordinate musicali sono quelle dell’industrial metal, con molte escursioni nei territori dell’ebm e dell’elettronica altra. La passione che Castorina mette dentro a questo progetto è tangibile, e la sua capacità compositiva gli permette di raggiungere buoni risultati. La musica di Heart Denied, come quella dei tre album che lo precedono, nasce per dare qualcosa all’ascoltatore, provando ad elevare la sua coscienza, o almeno la sua percezione. Nel disco troviamo luce e ombra, dolcezza e violenza, lo ying e lo yang che tutti ci portiamo dentro, ed è un esplorare, una ricerca approfondita dentro e fuori da noi. Le musiche dei Blinded By Yellow Sunbeams sono qualcosa di originale per i suoli italiani, perché si vanno a posizionare al confine fra industrial, metal e pop, in quelle belle zone grigie di contaminazione. Christian fa quasi tutto da solo e lo fa bene, imparando molto bene la lezione dei maestri per cercare una sua via originale, riuscendovi. Maneggiare molti registri diversi non è indice di confusione se lo si fa con cognizione di causa e con una progettualità, come succede qui. Vi sono molte atmosfere diverse e tante suggestioni, le idee vanno in molte direzioni e sono tutte valide.

Tracklist
1.2Sec4You
2.Negative
3.The Heart Denied
4.Unusual System Breakdown
5.I Have No ID
6.M.I.T.M.A.
7.Ctrl+Alt+Del

Line-up:
Christian Thomas Castorina

BLINDED BY YELLOW SUNBEAMS – Facebook

American Standards – Anti Melody

Gli American Standards sono un grande gruppo di hardcore non convenzionale o artefatto, questa è musica che sanguina per davvero.

Gli ultimi tempi sono stati davvero difficili per questo gruppo americano di hardcore che sfocia nel metalcore.

Il chitarrista e membro fondatore Cody Conrad si è suicidato recentemente ed il padre del cantante Brandon Kallum è morto di cancro. Da qui parte la genesi di questo disco, un vero pugno nella faccia, fatto di hardcore potente e dalle molte sfaccettature, un suono che si sviluppa in molte direzioni. I ragazzi sono maturati molto ed il loro suono ha preso una direzione ben precisa, andando verso quel nuovo ibrido hardcore che i Converge hanno fatto nascere anni fa. Il suono è crudo, violento, veloce e senza fronzoli, molto americano nel suo essere hardcore moderno. Il disco è figlio del dolore, della perdita e della separazione da chi amiamo, e l’hardcore è l’abito perfetto per descrivere queste sensazioni. Non rimane molto tempo per perdersi in commiserazioni, non abbiamo la possibilità di schiacciare il tasto rewind o di riportare indietro la linea di avanzamento. Possiamo solo andare veloci e cercare di non farci male o di non procurarlo, sballottati dalla vita. Gli American Standards hanno preso dei bei colpi, e hanno riversato il loro dolore nella musica, facendo un notevole album di hardcore moderno. Ci sono momenti veloci ma anche passaggi più lenti ancora più devastanti di quelli veloci. Ci sono molti riferimenti all’opera dei maestri Converge, ma gli American Standards trovano una maniera personale ed efficace di fare musica. Anti Melody è un disco molto maturo e completo, che non segue l’attuale tendenza al metalcore di certi gruppi hardcore specialmente americano. L’hardcore è un linguaggio dalle molte applicazioni, ed in questo caso serve per gridare, per piangere chi non c’è più in una maniera diversa e positiva, urlando la rabbia condividendola con le altre persone. Cosa ancora più importante di tutte, è che gli American Standards sono un grande gruppo di hardcore non convenzionale o artefatto, questa è musica che sanguina per davvero.

Tracklist
1.Writers Block Party
2.Carpe Diem, Tomorrow
3.Church Burner
4.Bartenders Without Wings
5.Danger Music #9
6.Cancer Eater
7.Broken Culture
8.Chicago Overcoat

Line-up
Brandon Kellum- Vocals
Corey Skowronski- Guitar
Steven Mandell- Bass
Mitch Hosier- Drums

AMERICAN STANDARDS – Facebook

Begerith – A.D.A.M.

Chi ama il death metal più intenso e veloce qui troverà davvero un bel disco.

In fondo al 2017 arriva questo gran disco di death metal dei Begerith.

Questi ultimi sono dei russi di Vladivostok che si sono trasferiti in Polonia, ed effettivamente il loro suono è molto influenzato dalla scuola polacca del death metal, fatta conoscere nel mondo da gruppi come Behemoth, Vader e Hate, per citare quelli maggiormente conosciuti.
I Begerith sono al loro secondo lavoro sulla lunga distanza, e con A.D.A.M. Mettono in mostra tutte le loro qualità. Il suono, come detto sopra, è un death metal molto polacco, e ci sono anche forti influenze black metal, quello delle origini. Trovano anche molto spazio dei virtuosismi chitarristici mai fini a loro stessi, che potenziano la struttura dei brani. I Begerith mettono al centro di tutto la musica e ciò che veicolano con essa, infatti non si sanno i nomi dei componenti del gruppo, che sono indicati come Begerith e numerati da 1 a 4. Non si perde nemmeno tempo con i titoli delle canzoni, come potete notare. Il disco funziona davvero molto bene, è molto potente e bilanciato, ha un’ottima produzione e riesce a tenere sempre alta la tensione. Pur venendo da un ambiente musicale ben preciso i Begerith sono unici e il loro death è molto personale e devastante. Il disco è incentrato sulla figura di Adamo, scagliato da Dio sulla Terra, mostrando tutta la sua tracotanza. I testi sono molto interessanti, come spesso succede nel death metal, e non sono solo un contorno. I Begerith sono un gruppo affermato nella scena death metal, ed impressioneranno ancora di più grazie a questa prova, che è davvero buona.
Chi ama il death metal più intenso e veloce qui troverà davvero un bel disco.

Tracklist
1.Nome Fatas Hiss Mortus
2.A.D.A.M. I
3.A.D.A.M. II
4.A.D.A.M. III
5.A.D.A.M. IV
6.A.D.A.M. V
7.A.D.A.M. VI
8.A.D.A.M. VII
9.A.D.A.M. VIII
10.A.D.A.M. IX
11.A.D.A.M. X

Line-up
Begerith I – vocals, guitars
Begerith II – guitars
Begerith III – bass
Begerith IV – drums

BEGERITH – Facebook

Twingiant – Blood Feud

La progressione è incessante e senza scadimenti o cedimenti, anzi più ci si addentra dentro il disco più si viene ammaliati da questo suono, che renderà felice chi ama la musica pesante e pensante.

Devastazione completa operata mediante un uso massiccio di sludge e stoner all’ennesima potenza.

I Twingiant vengono dalla calda Phoenix, Arizona, sono attivi dal 2010 e questo è il loro terzo album sulla lunga durata. Il loro suono è molto pesante, un riuscito connubio fra potenza, lentezza ed una maestosità tipica di quei gruppi che hanno un passo differente rispetto alla maggior parte degli altri. Ascoltandoli si può percepire nettamente la grande capacità compositiva, che li porta a scrivere ed a suonare canzoni di ampio respiro, che ampliano la mente dell’ascoltatore mediante un potente rumore. Blood Feud è il racconto di un massacro, che procede ora lento ora veloce, ma che inesorabilmente spezza tendini e mette fine a molte vite. La progressione è incessante e senza scadimenti o cedimenti, anzi più ci si addentra dentro il disco più si viene ammaliati da questo suono, che renderà felice chi ama la musica pesante e pensante. I Twingiant hanno un tocco personale e riconoscibile, essendo uno dei migliori gruppi del genere, e il loro disco sarà una gioia per molte tormentati sonori. Le tracce si susseguono in maniera mirabile, costruendo un filo narrativo che le unisce in modo ben strutturato e complesso, granitico e terribile. Ci sono vari livelli in questo disco, e pur apprezzandolo fin dal primo ascolto, si riesce a cogliere sempre qualcosa di diverso ad ogni passaggio successivo. Alcuni momenti sono epici, come se ci trovassimo davvero nel Giappone medioevale, e la vita fosse solo una questione di affilatura della spada.

Tracklist
1.Throttled
2.Poison Control Party Line
3.Ride The Gun
4.Re-fossilized
5.Shadow of South Mountain
6.Formerly Known As
7.Last Man Standing
8.Kaishakunin

Line-up
Jarrod – Bass/Vocals
Nikos – Lead/Rhythm Guitar/Backup Vocals
Tony- Lead/Rhythm Guitar/Backup Vocals
Jeff – Drums

TWINGIANT – Facebook

Igorrr – Savage Sinusoid

C’è tantissimo qui, e descriverlo è davvero impossibile, deve essere un’esperienza personale, basti dire che è una delle migliori cose musicali che vi potrebbe capitare fra le mani, un unicum al mondo, forse nell’universo, perché è a quest’ultimo che Savage Sinusoid si riferisce.

Come in un immenso videogioco musicale o un divertissement molto corposo e di valore, ecco il nuovo disco di Igorrr, il progetto del geniale multi strumentista francese Gautier Serre.

La sua musica è completamente libera, slegata da ogni pregiudizio di genere, o per accontentare il pubblico, ma scaturisce libera dalla sua genialità. Che Gautier sia geniale non lo si scopre certamente oggi, ma con questo Savage Sinusoid potrebbe aver toccato il suo apice creativo fino ad oggi almeno. Il disco non ha uno sviluppo, ma è caos messo in musica. Il caos ha solo per noi piccoli occidentali un’accezione negativa, mentre in molte altre culture è sinonimo di creatività e di sviluppo, come lo è in natura, si veda la relativa teoria. E in questo disco è esattamente così, si passa dall’oltranzismo in quota Meshuggah, alla drum and bass più scalciante, dal djent maggiormente spinto al death metal futurista. Parlare di generi non ha però molto senso qui, perché ci si trova di fronte ad un potentissimo flusso di coscienza sonoro, un vento che soffia impetuoso e e fortissimo, un’ordalia di suoni che grazie alla bravura di Gautier acquista un senso compiuto e non diventa mai confusione. Non ci vuole una mente aperta bisogna solo aprirla di fronte a tanta abbondanza e ad un disegno totalmente differente, una potente visione ed un immaginario floridissimo. C’è tantissimo qui, e descriverlo è davvero impossibile, deve essere un’esperienza personale, basti dire che è una delle migliori cose musicali che vi potrebbe capitare fra le mani, un unicum al mondo, forse nell’universo, perché è a quest’ultimo che Savage Sinusoid si riferisce.

Tracklist
1.Viande
2.ieuD
3.Houmous
4.Opus Brain
5.Problème d’émotion
6.Spaghetti Forever
7.Cheval
8.Apopathodiaphulatophobie
9.Va te foutre
10.Robert

IGORRR – Facebook

Omega Machine – The End That Comes With Omega Machine

Un disco che apre nuovi spiragli al modo di fare musica pesante in Italia, una prova granitica che regala momenti esaltanti ma soprattutto che spinge a sentirne il contenuto a volume molto alto.

Notevole disco di esordio per questo potente e fantasioso gruppo di industrial metal torinese.

La loro musica è maestosa come la storia che raccontano in questo disco, ovvero la narrazione di un’improvvisa invasione aliena e del tentativo di difesa da parte dell’umanità, ma nulla si può contro l’Omega Machine. Il suono è poderoso e molto potente, con una produzione che ne rende benissimo la profondità. L’immaginario di questo disco è la sci–fi di serie b degli anni sessanta, come si può ben evincere dalla copertina di SoloMacello. Nel disco viviamo benissimo questa battaglia fra i terrestri e gli invasori, anche mediante suoni provenienti da questa guerra estrema. Industrial metal ma non solo, perché gli Omega Machine spaziano per molti generi e soprattutto lo fanno a modo loro, mettendo sempre qualcosa di personale nel calderone bollente del loro suono. Per cui si passa da cose alla Dillinger Escape Plan a nervose colate laviche simili a quelle di Souls At Zero dei Neurosis. Gli Omega Machine sanno benissimo come fare un disco di musica pesante, molto maturo per essere un esordio. Verrete catturati da questi corridoi sonori, da queste mille curve diverse, da stop and go o da momenti totalmente saturi di potenza con il gruppo torinese che sfiamma. Un disco che apre nuovi spiragli al modo di fare musica pesante in Italia, una prova granitica che regala momenti esaltanti ma soprattutto che spinge a sentirne il contenuto a volume molto alto.

Tracklist
1.Gloomy Gait of the Frightstrider
2.Xenoferox Megalodeimos
3.To Neuter a World
4.Crushmoured Assault Raid
5.It Came to Vomit Liquid Fire
6.Terrorstorm Over the Oceanic Battlefront
7.Rust Infector – Aberration Among Monsters
8.Annihilatory Siege of Planet Earth / The End That Comes

Line-up
Kaizer Blasted Kosmos: guitars, programming, samples, synths
Nebular Sub-Terror: bass

OMEGA MACHINE – Facebook

Wasted Theory – Defenders Of The Riff 2017 Edition

I Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool.

Ristampa con bonus tracks del secondo disco dei Wasted Theory, ad opera dell’italiana Argonauta Records.

Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool. Il rumore ci salverà, ed in particolare quello di questi americani del Delaware è davvero bello pieno e invita ad un ascolto ripetitivo. Le radici del loro suono sono da ricercare all’indietro nei Kiss e in gruppi come in Thin Lizzy, ovvero rock and roll bastardo, per poi ridiscendere fino a band come High On Fire ed altri, però più duri. I Wasted Theory hanno un suono sudista, che unito ad una fortissima ironia rende molto bello il tutto. Nel loro suono si può adirittura rintracciare qualcosa di blues, ma più che altro nella loro maniera di porsi ed in alcuni giri di chitarra. Il titolo rende benissimo ciò che ascolterete, dato che i riff qui sono tutti validissimi e raggiungono pienamente il loro scopo. Ci sono momenti più veloci, altri più lenti e pesanti, ma ciò che non manca mai è quella sensazione di divertimento e di ascolto di un gruppo che è totalmente in controllo, e che si diverte talmente che straripando lo trasmette al suo pubblico. Certe ripartenze sono degne dei migliori Karma To Burn, ma i Wasted Theory sono di maggior coinvolgimento e comprensione. Southern rock e metal, hard rock, stoner, desert ed un pizzico di heavy metal classico sono solo alcuni degli ingredienti di questo buonissimo moonshine potente ed inebriante. Nel 2016 molti addetti ai lavori hanno incluso questo disco nella loro list di migliori uscite dell’anno, ed in questa ristampa potrete gustare due killer cover di un brano degli Alabama Thunderpussy ed uno dei Nazareth. Lunga vita ai difensori del riff.

Tracklist
1.Get Loud or Get Fucked
2.Black Witch Blues
3.Atomic Bikiniwax
4.AmpliFIRE!
5.Gospel of Infinity
6.Belly Fulla Whiskey
7.Under The Hoof
8….And The Devil Makes Three
9.Throttlecock
10.Odyssey Of The Electric Warlock
11.Rockin’ is Ma Business (ALABAMA THUNDERPUSSY)
12.Changin’ Times (NAZARETH

Line-up
Brendan Burns,
Larry Jackson Jr.
Andrew Petkovic
Rob Michael

WASTED THEORY – Facebook

Devlsy – Private Suite

Ascoltando Private Suite si capisce che è un disco di caratura superiore, che unisce vari linguaggi musicali in una miscela di qualità superiore.

Nella continua ed inarrestabile avanzata e crescita del black metal arriva questa seconda opera dei lituani Devlsy , fautori di un post black metal molto interessante.

In realtà si può parlare di opera black metal tout court, anche se l’impostazione è sicuramente diversa rispetto a quella classica. Le chitarre molto ribassate ed un ritmica pulsante ci portano in giro per mondi distorti, dove menti lontane nello spazio hanno rinchiuso le nostre anime, e non è prevista la salvezza. I Devlsy sono un gruppo dalla grande fantasia sonora, ed infatti i signori dell’ATMF, etichetta triestina con un catalogo di gran valore, non hanno perso l’occasione per pubblicare questo disco. Lo scopo di Private Suite è di creare un labirinto sonoro che ci metta in contatto con dimensioni che sono oltre la nostra comprensione, perché dischi come questo non sono mera musica, ma rituali per andare da qualche altra parte. Ancora una volta il black metal è un contenitore incredibile, sorgente che fa scaturire molteplici codici diversissimi fra loro, in grado di far ragionare le menti che lo vogliano. Il distorto universo sonoro dei Devlsy è un qualcosa che va esplorato, sono moltissimi gli angoli molto notevoli, e su tutto aleggia un disegno superiore. Ascoltando Private Suite si capisce che è un disco di caratura superiore, che unisce vari linguaggi musicali in una miscela di alta qualità. Questi lituani fanno piangere e sognare, abbeverandoci alla fonte del nostro eterno dolore, là dove si può solo lenire con la fuga, senza mai curare. Il disegno sonoro dei Devlsy è di gran valore e traccia una traiettoria che crescerà ancora, e già questo è un disco assai notevole. Nella traccia sonora Bring MyWord canta anche un certo Dave Ed dei Neurosis, che non necessitano certo di presentazione.

Tracklist
1.Corridors
2.Hatching Tomb
3.Bring My Word
4.Patient #6
5.Porta Formica
6.Horizon Attached

DEVLSY – Facebook

Hooded Priest – The Hour Be None

Gli Hooded Priest fanno un suono che piacerà moltissimo agli amanti del doom più classico, underground e cavernoso, quelle persone che frequentano locali bui per vedere concerti dal volume altissimo.

Dal 2006 gli olandesi Hooded Priest fanno calare il suono della falce mortale sulle lande fiamminghe e ben oltre.

Dopo diversi cambi di formazione, tanti concerti e la scrittura di nuovo materiale ecco il nuovo disco per l’etichetta svedese I Hate: tra i migliori esponenti della scena del nord Europa e con alle spalle un’intensa attività live, gli Hooded Priest sono una delle band seminali per la scena doom olandese, in virtù di caratteristiche che li rendono unici. La prima peculiarità che si nota è il cantato molto teatrale di Luther Finlay Veldmark, e la sua presenza scenica che lo fa apparire come uno stregone sciamano che fa da medium fra noi ed un altro mondo, sicuramente più tremendo del nostro. La musica degli Hooded Priest è un doom classico con forti influenze heavy, molto simile ai primi Candlemass, ma con riff maggiormente veloci, inoltre troviamo notevoli intarsi di tastiera che rendono il tutto ancora più doom. La qualità del disco è alta, come tutte le produzioni di questo gruppo che cura molto la propria narrazione musicale: ascoltando The Hour Be None il tempo scorre in maniera diversa, e si allargano le pozze di sangue sotto le nostre ferite, si aprono lentamente i sarcofaghi ma i morti ci prendono velocemente. L’atmosfera è lenta ma il gruppo imprime al suo suono alcune notevoli accelerazioni di stampo heavy, sempre con
attitudine doom. Gli Hooded Priest fanno un suono che piacerà moltissimo agli amanti del doom più classico, underground e cavernoso, quelle persone che frequentano locali bui per vedere concerti dal volume altissimo, da Malta all’Irlanda, perché è una scena davvero internazionale e radicata, seppure non conti grandi numeri. Ascoltando questo disco capirete cosa è il doom underground, e se non vi interessa nessun problema, tanto tutti diventeremo cenere.

Tracklist
1.Dolen – Exiting the Real
2.Call for the Hearse
3.These Skies Must Break
4.Herod Again
5.Locust Reaper
6.Mother of Plagues

Line-up
Luther Finlay Veldmark – Vocals
Jeff von D – Guitar
Joe Mazurewicz – Bass
Quornelius Backus – Drums

HOODED PRIEST – Facebook

Collapse Under Empire – The Fallen Ones

Non è solo post rock, o decostruzione dei fondamentali di quest’ultimo, ma qualcosa che si lega indissolubilmente alla nostra anima, e ci ricorda che non siamo solo corsa, fatica e numeri su un bancomat.

Definire i Collapse Under Empire un gruppo post rock è alquanto limitante nei loro confronti.

Certamente il loro genere di appartenenza è questo ibrido di rock ed altre cose, un dilatarsi moderno ma allo stesso molto antico per quello che provoca dentro chi lo sente e lo apprezza. I Collapse Under Empire hanno la missione di espandere la nostra coscienza, ma soprattutto di abbattere i confini dei nostri angusti mondi e proiettarci oltre, molto otre, per sfuggire alla bruttezza ed alla limitazione delle nostre vite. The Fallen Ones è il sesto disco di questo gruppo di Amburgo, ed è un cominciare a girarsi indietro ed omaggiare chi è caduto al nostro fianco, in un’età non più verde dove coloro che sono rimasti indietro cominciano ad essere molti. Una delle chiavi di lettura di questo disco, come di tutta la discografia dei Collapse Under Empire, è l’empatia, questo sentire insieme, l’avere le stesse emozioni, e qui di emozioni ce ne sono tante. Bisogna chiudere gli occhi e lasciarsi andare a suoni che non hanno nulla di predefinito o di caratterizzante, ma servono per raggiungere uno scopo, quello di emozionare l’ascoltatore; ci sono momenti di autentica beatitudine,  nei quali si viene trasportati in iperuranio dove la sofferenza è sublimata e la si rivive in un’altra maniera. Troppo spesso ci affanniamo, corriamo intorno alla nostra coda senza mai prenderla, mentre ci si dovrebbe fermare ed elevarsi al di sopra, ascoltando un disco come questo, un piccolo bosco incantato dove ci si può permettere una breve sosta per una magnifica terapia. I vari suoni del gruppo che scorrazza per generi diversi, cercando e trovando sempre la giusta soluzione sonora, ci portano in uno stato zen di calma e di contemplazione della bellezza, un ascoltare finalmente qualcosa di bello, di prezioso ed importante. Inoltre il duo tedesco ha una facilità di spiegarsi attraverso la sua musica, ed una grande umiltà che a volte spiazza. Non è solo post rock, o decostruzione dei fondamentali di quest’ultimo, ma qualcosa che si lega indissolubilmente alla nostra anima, e ci ricorda che non siamo solo corsa, fatica e numeri su un bancomat.

Tracklist
1.Prelude
2.The Fallen Ones
3.Dark Water
4.A Place Beyond
5.Blissful
6.The Forbidden Spark
7.The Holy Mountain
8.Flowers from Exile
9.The End Falls

Line-up
Martin Grimm
Chris Burda

COLLAPSE UNDER EMPIRE – facebook

Descrizione Breve

Autore
Massimo Argo

Voto
85

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
Post Rock

Landscape

Cinematic

2017