Kawir – Exilasmos

L’impasto sonoro è qualcosa che solo i Kawir propongono, e provoca un grande coinvolgimento, mostrando come la via ellenica al black metal sia ancora molto vitale e fertile, anche perché con il retroterra storico greco il materiale non manca di certo

Settimo disco per uno dei pilastri greci del black metal, i Kawir.

Questo gruppo faceva parte di quella nidiata satanica che la Grecia aveva partorito tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, con nomi come Rotting Christ, Varatrhon e Necromantia, gruppi che insieme ai Kawir hanno aperto una nuova ed importantissima via ellenica e mediterranea al black metal, molto diversa da quello scandinavo tanto da apparire in certi casi una cosa totalmente a sé. I Kawir di quella ondata hanno rappresentato e rappresentano tuttora la parte più pagana ed ellenica, e questo disco è una celebrazione delle gesta e delle vite di personaggi del pantheon greco come Edipo, Agamennone, e Tantalo fra gli altri. Il suono dei Kawir è un misto di black e di pagan metal, cantato con un growl molto preciso e di grande effetto. Il gruppo viaggia ad alte velocità, e la radice del suono sta in giri di chitarra black non iper veloci ma sostenuti, negli intarsi della parte ritmica e nel gran lavoro di tastiere e di strumenti tipici greci. L’impasto sonoro è qualcosa che solo i Kawir propongono, e provoca un grande coinvolgimento, mostrando come la via ellenica al black metal sia ancora molto vitale e fertile, anche perché con il retroterra storico greco il materiale non manca di certo. Il livello qualitativo dei dischi di questa band rimane molto alto, forse non al livello di innovazione che avevano i loro lavori degli anni novanta, ma Exilasmos si rivela bilanciato e coinvolgente, fatto da un gruppo che ha la completa padronanza dei propri mezzi e li usa al meglio. Exilasmos in greco antico significa placare la rabbia degli dei, e le storie qui narrate sono piene di paradigmi mitici che vanno bene anche per i nostri tempi.

Tracklist
01 Lykaon
02 Oedipus
03 Tantalus
04 Thyestia Deipna
05 Agamemnon
06 Orestes

Line-up
Therthonax – rhythm and lead guitars
Melanaegis – rhythm, lead guitars, solos, and 12-string acoustic guitar
Porphyrion – vocals
Echetleos – bass
Hyperion – drums and ercussions
Pandion – bagpipes, wind instruments, and psaltere
Aristomache – keyboards

KAWIR – Facebook

Rudhen – Di(o)scuro

Le chitarre ribassate raccontano di una psichedelia altra, un percorso di sabba che cominciò a Birmingham molto tempo fa ed arriva anche a Treviso, dove viene rielaborato in maniera inedita dai Rudhen, un gruppo che macina musica e tanto altro.

I trevigiani Rudhen arrivano al debutto sulla lunga distanza dopo due buoni ep, ed è davvero un gran disco.

Musicalmente siamo in territori stoner, con molte influenze, anche post metal in certi momenti. La cosa che spicca maggiormente è la creazione di questo groove continuo, un magma non velocissimo ma inesorabile che erode ogni cosa che incontra. Come detto già nella recensione di un loro ep su queste pagine, i Rudhen sono un gruppo che non si disperde nella nebbia di un genere abbastanza abusato, ma risaltano grazie alla loro potenza e alla varietà sonora. Inoltre come argomenti questo disco non si fa mancare nulla e spazia dalla presa della Bastiglia alla vicenda mai abbastanza narrata di Cartagine. Si spazia con la musica e con la mente, non si rimane mai fermi per più di qualche secondo, o perché spazzati via dai Rudhen, o perché loro stessi ti portano lontano. Più che essere sopra la media come qualità, è un lavoro fatto bene e con canoni personali. Certamente le loro coordinate sono conosciute, ma non è mai una musica scontata, e le chitarre ribassate raccontano di una psichedelia altra, un percorso di sabba che cominciò a Birmingham molto tempo fa ed arriva anche a Treviso, dove viene rielaborato in maniera inedita dai Rudhen, un gruppo che macina musica e tanto altro.

Tracklist
1.Castore
2.Magnetic Hole
3.Fragile Moon
4.14-07-1789 (Prise de la Bastille)
5.Carthago Delenda Est
6.My Girls are like Hallucinogenic Frogs
7.Polluce

Line-up
Alessandro Groppo: Voice
Fabio Torresan: Guitar
Davide Lucato: Bass
Luca De Gaspari: Drums

RUDHEN – Facebook

Monkey Onecanobey – Moco

Questo è il debutto di qualcosa che potrebbe essere di grande importanza per la musica italiana del sottobosco, ma che intanto è un piacere da ascoltare e da godere.

Il giovane duo spoletino dei Monkey Onecanobey è un qualcosa che non avete mia visto né sentito.

Sav e Phil sono amici fin dall’asilo, il primo suona la chitarra e canta, il secondo è un magistrale beatboxer, sì proprio quei moderni menestrelli che fanno il ritmo della batteria con la bocca: insieme fanno un blues così blues che parte dal cuore ed arriva fino al cervello. La formula sonora è pressoché inedita, e se ci pensa è un qualcosa di davvero atavico e semplice, ma farlo bene non è così facile. I due sono arrivati a suonare insieme dopo aver percorso sentieri differenti nella musica, e non si divertivano nemmeno tanto: poi Phil ha conosciuto l’opera del beatboxer inglese Dave Crowe, e da lì è partita questa fantastica avventura, Strange Days canterebbero i Doors. La voce di Sav è molto calda e ti entra dentro, inoltre con le sue vibrazioni riesce a fare diversi registri stilistici, anche se qui il blues, nel suo senso auemtico,  permea il tutto. Ascoltando questo caldo impasto sonoro si viaggia in diversi posti, dal deserto grazie a linee di chitarra e a suggestioni care a Kyuss e compagnia varia, a cose più particolari come i White Stripes più blues, o i primi Black Keys, anche se qui l’atmosfera generale è più psichedelica e potente, come un sogno che si trasforma in trip o viceversa. Si viene trasportati dalla forte carica di questo particolare incrocio musicale, e la nostra mente viaggia dolce. Il beatbox è fatto benissimo, ed è una delle cose che grondano più blues che possiate incontrare. Il risultato è un disco con parecchi elementi innovatori e soprattutto una cifra stilistica unica ed originale. Questo è il debutto di qualcosa che potrebbe essere di grande importanza per la musica italiana del sottobosco, ma che intanto è un piacere da ascoltare e da godere.

Tracklist
1. Evolution PlayStation
2. Philled Lungs
3. Grinning in your face
4. Route66
5. I know
6. Traintears
7. Lose your mind
8. Personal Jesus

Line-up
Filippo Lombardelli – Beatbox
Saverio Baiocco – Voce/Chitarra

MONKEY ONECANOBEY – Facebook

Jess And The Ancient Ones – The Horse And Other Weird Tales

I finlandesi Jess And The Ancient Ones non avrebbero assolutamente sfigurato nel panorama psych rock degli anni sessanta e anni settanta, con il loro groove unico ed inimitabile.

I finlandesi Jess And The Ancient Ones non avrebbero assolutamente sfigurato nel panorama psych rock degli anni sessanta e anni settanta, con il loro groove unico ed inimitabile.

Il tutto parte dalla splendida voce di Jess, che tesse infinite trame melodiche che raccontano storie antiche e archetipe della nostra razza, momenti occulti ed esplosioni di vita. Il gruppo la supporta con una musica che non è assolutamente riconducibile a nessuna delle mode o dei modi attuali di fare musica. Il modo di comporre e di eseguire dei Jess And The Ancient Ones è qualcosa di totalmente libero, non ha alcuna costrizione ed è libertà totale, è orgia dei sensi e della bellezza messa in musica. Dimenticatevi qualsiasi cosa, denudatevi dei vostri finti io ed ascoltate questa raccolta di storie, quasi delle favole per adulti (ma quali sono le favole per bambini?), che raccontano di noi stessi per vie differenti. Le canzoni sono tutte diverse e al loro interno si celano molti cambi di registro musicale, ma tutto è molto organico e piacevole, come un’esperienza psichedelica positiva. L’occulto è ovviamente molto presente, ed è un motivo in più per apprezzare questi gruppo unico non solo nel suo genere, ma nel panorama musicale mondiale. L’intensità, la dolcezza, la forza, la carnalità, la spiritualità, c’è tutto, poiché tutto è collegato con tutto. Beatles, Pink Floyd e tanto altro qui trovano una sintesi che riporta ancora a qualcos’altro, in un rimando continuo come un ouroboros. Il problema è che bisogna aspettare fino al primo dicembre … ma ne varrà la pena.

Tracklist
1. Death Is The Doors
2. Shining
3. Your Exploding Heads
4. You And Eyes
5. Radio Aquarius
6. Return to Hallucinate
7. (Here Comes) The Rainbow Mouth
8. Minotaure
9. Anyway The Minds Flow

Line-up
Jess – Vocals
Thomas Corpse – Electric Guitar
Fast Jake – Electric Bass
Abrahammond – Keyboard
Jussuf – Drums and Percussion

JESS AND THE ANCIENT ONES – Facebook

Dr.Gonzo And The Cheesy Boys – The Witch

The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Due lunghe suite psichedeliche divise in due lati per un uno dei migliori gruppi italiani di musica visionaria.

I Dr.Gonzo and The Cheesy Boys sono un gruppo nato nel 2006 da amanti della musica anni settanta, che è il collante di questo gruppo. The Witch è in pratica un concept album sulla nascita, la vita e la morte di una strega, il tutto narrato con una musica che prende ispirazione dalla psichedelia inglese anni sessanta e settanta, e da un hard rock anch’esso di quell’epoca. Il disco è anche un esordio poiché il gruppo avrebbe inciso anche un altro disco nel 2009, The River, che non è mai stato pubblicato. La musica di The Witch è veramente stupefacente e ci riporta prepotentemente negli anni settanta, anche grazie all’uso di moog e hammond che procurano momenti di vero viaggio all’interno delle canzoni. Le canzoni sono strutturate per non essere tali ma lunghe jam nelle quali può succedere di tutto, e in esse possiamo trovare generi diversi, improvvisi cambi di atmosfera e di registro, da un’aria più atmosferica a qualcosa di più cupo, ma il tutto è molto intrigante e bello. Forte, come nella psichedelia inglese anni sessanta e settanta, è il richiamo verso l’occulto, verso quella parte di realtà che esiste ma che non vediamo, e personaggi come le streghe possono portarci oltre i nostri limiti. The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo, insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Tracklist
01. The Witch Pt. 1
02. The Witch Pt. 2

Line-up
Mattia Montenegri: drums
Emil Quattrini: Hammond, Moog, Rhodes, Mellotron
Carlo Barabaschi: guitar
Filippo Cavalli: bass

DR.GONZO AND THE CHEESY BOYS – Facebook

OMEGA

Eve, l’opus prima degli Omega da Rimini, è un disco notevole e che ha uno scopo ben più profondo rispetto alla musica normale. Scopriamolo con loro in questa intervista

ME Il black metal può essere un mezzo per destrutturare la nostra realtà e trovare qualcosa di vero?

Vero o irreale sono concetti totalmente relativi. Per un folle le visioni sono reali quanto per chiunque altro lo è il mondo che ci circonda. La musica può aprire il velo di questa realtà, quel che si trova oltre può essere reale o intangibile, dipende tutto da chi sta da questa parte del velo e quanto è disposto ad andare oltre.

ME Che obiettivi ha Eve?

Lo scopo di Eve è quello di liberare la mente dalla dimensione materiale che ci circonda e portarla ad un livello differente dove può muoversi senza vincoli di spazio e tempo, la negazione totale dell’io materiale in favore di un io più ampio.

ME Il sovrannaturale in musica ha senso?

Per sovrannaturale in musica si intende qualcosa che va oltre l’ascolto, qualcosa che può tessere una dimensione che diventa quasi reale all’interno della mente di chi sta ascoltando. Questo è lo scopo degli Omega.

ME Perchè vi siete ispirati al libro di Voynich e cosa ne pensate di tale libro?

Il manoscritto Voynich è un enigma che è rimasto intatto per oltre 500 anni, un opera visionaria e geniale a prescindere da tutto. Sin dai tempi più antichi l’uomo è attratto dall’ignoto, da ciò che è ermetico; il manoscritto è molto più che un libro, è la rappresentazione fisica di tutto questo.

ME Ci sono artisti con il quale vi piacerebbe collaborare?

Ci sono artisti che stimiamo, altri che ci ispirano, che siano essi musicisti o artisti in senso più ampio, fino ad oggi non abbiamo mai pensato ad una collaborazione, gli Omega sono una realtà estremamente ermetica, per ora le collaborazioni non sono nei nostri progetti.

ME Cosa vi ha spinto a suonare black metal?

Cercavamo una dimensione sonora concettuale che andasse oltre alla musica, cercavamo qualcosa che potesse condurre la mente in una dimensione differente rispetta a quella alla quale siamo abituati, il Black, il Doom, l’Ambient sono la naturale inclinazione musicale di chi vuol raggiungere questo scopo.

ME Se Eve dovesse essere un libro a chi affidereste le illustrazioni?

In un certo senso Eve è un libro, è la nostra personale interpretazione del Manoscritto Voynich, non solo musicale, ma anche visiva. Se non fosse morto da almeno cinque secoli, il misterioso autore del libro stesso sarebbe l’artista più adatto a tale scopo. Attualmente abbiamo deciso di rielaborare personalmente le illustrazioni del manoscritto e trasportarle all’interno della nostra visione, sfogliando il booklet del disco si può capire di cosa sto parlando.

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Eve, the opus from Omega from Rimini, is a remarkable record and has a goal far deeper than normal music. Let’s find out with them in this interview

ME Can black metal be a means of destroying our reality and finding something real?

True or unreal are totally related concepts. For a fool the visions are as real as anyone else is the world around us. Music can open the veil of this reality, what is beyond it can be real or intangible, it depends entirely on who is on this side of the veil and how much is willing to go further.

ME What is Eve’s goal?

The purpose of Eve is to free the mind from the material dimension that surrounds us and bring it to a different level where it can move without constraints of space and time, the total negation of the material in favor of a larger ego.

ME Does the supernatural in music make sense?

For supernatural in music, something that goes beyond listening, something that can weigh a dimension that becomes almost real within the mind of those who are listening. This is the purpose of Omega.

ME Why did you inspire Voynich’s book and what do you think of that book?

The Voynich manuscript is an enigma that has remained intact for over 500 years, a visionary and ingenious work regardless of everything. From the earliest times man is attracted to the unknown, from what is hermetic; the manuscript is far more than a book, it is the physical representation of all this.

ME Are there artists with whom you would like to collaborate?

There are artists we estimate, others that inspire us, whether they are musicians or artists in the broader sense, to date we have never thought of a collaboration, Omega is an extremely hermetic reality, for now collaborations are not in our projects .

ME What made you play black metal?

We were looking for a conceptual sound dimension that went beyond music, we were looking for something that could lead our mind to a different dimension respects what we are accustomed to, Black, Doom, Ambient are the natural musical inclination of those who want to achieve this goal .

ME Should Eve be a book to whom you would like the illustrations?

In a sense, Eve is a book, it is our personal interpretation of the Voynich Manuscript, not just musical, but also visual. If he had not died for at least five centuries, the mysterious author of the book himself would be the artist most suitable for that purpose. Currently we have decided to personally rework the manuscript illustrations and carry them inside of our vision, browsing the booklet can understand what I’m talking about.

Jx Arket – Meet Me Abroad

Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno.

Disco oltremodo entusiasmante per questa giovane band torinese. Prendete il miglior emocore anni novanta, un po’ di post hardcore e tanta urgenza pienamente hardcore e avrete un qualcosa che si avvicina a questo disco.

I Jx Arket esordiscono con molti botti, pubblicando un disco che fa cantare, puntare il dito in alto e buttarsi dal tavolo della cucina per fare stage diving con i vicini di sotto. Intensità, partecipazione, tanta rabbia e tanto amore, non è facile equilibrare questi elementi, ma i torinesi ci riescono molto bene e vanno anche oltre. Tutte le canzoni sono notevoli, il cuore della loro musica è oltreoceano, ma ci sono momenti pienamente europei, e in realtà si viene sempre stupito dalle loro soluzioni sonore. La melodia è l’asse portante della musica dei Jx Arket, e viene declinata in modi disparati con l’energia che rimane sempre molto alta. Pur essendo stato fondato solo nel 2016 il gruppo ha un disegno musicale ben preciso, ed infatti è attualmente impegnato in un tour europeo che sicuramente gli procurerà del seguito: Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno. Un disco che folgora e che farà gridare moltissimo sotto al palco. Questo album è un piccolo capolavoro, ed è stato possibile anche grazie all’opera di persone come Marco Mathieu, bassista dei Negazione e tanto altro, ancora in coma dopo un grave incidente motociclistico, ma lo spirito continua anche in dischi come questo, ed è un’eredità che nessun incidente potrà mai cancellare.
L’underground è bello grazie a cose come questo disco.

Tracklist
1. I’ll be the one
2. Just another sad song
3. Aokigahara
4. Rooms
5. Day off
6. Fragments
7. Jonathan Livingstone
8. Happines is not for us
9. Last words from the broken

Line-up
Andrea Mazzocca and Bruno Consani – guitars. Davide Giaccaria – voices
Marco Mei – drums
Paolo Brondolo – bass

JX ARKET – Facebook

Jellygoat – Eat The Leech

Secondo lavoro in studio per i Jellygoat da Milano, un gruppo che riesce a fondere molto bene l’hard rock, lo stoner e forti influenze grunge.

Secondo lavoro in studio per i Jellygoat da Milano, un gruppo che riesce a fondere molto bene l’hard rock, lo stoner e forti influenze grunge.

Il loro suono è molto scorrevole e piacevole, si può apprezzare la cura dei partico0ari e la solidità delle strutture compositive. La forza del gruppo sta nel fare un rock duro e graffiante con gusto, passione e  coivolgimento; negli ultimi tempi l’hard rock è uno dei generi che riesce a stare meglio a galla, ma molte uscite sono davvero dimenticabili, mentre i Jellygoat ci regalano un ep di ottime canzoni. La voce è nello stile Vedder, ma non è pura imitazione, perché da ciò escono cose buone ed originali. Eat The Leech è la dimostrazione che uno spirito hard rock tendente al grunge vive anche nelle generazioni che non hanno vissuto direttamente il periodo delle camicie a quadri di Seattle, ma ne hanno assorbito il gusto. Questo disco avrebbe fatto un’ottima figura nel palinsesto della defunta Rock Fm, che tanta nostalgia ci ha lasciato: Eat The Leech è una buona continuazione del discorso intrapreso con il precedente ep e fa prevedere un gran futuro per questo gruppo.

Tracklist
1. Perfect
2. Hate you
3. My song
4. Morning light
5. The devil’s slice
6. Brand new start
7. Out thrown (outro)

Line-up
Alessio Corrado (voce, chitarra)
Davide Borroni (chitarra, cori)
Ramona Orsenigo (basso)
Gianluca Carioti (batteria, cori)

JELLYGOAT – Facebook

Omega – Eve

Un altro livello di lettura è chiudere gli occhi e sentire cosa fa veramente questa musica, cosa provoca nelle nostre sinapsi: in codesta maniera si potrà scoprire un mondo, una raccolta di emozioni e stati d’animo come in un’ipnosi, perché questo disco è concepito per farci viaggiare alla ricerca del nostro io, della nostra volontà su questo pianeta, ma anche e soprattutto oltre questo pianeta e questi limiti che ci imponiamo.

Eve degli Omega è un disco che va ben oltre le emozioni che da un supporto fonografico, fa vedere orizzonti lontani.

Il disco è composto da vari livelli, quello più immediato può essere descrivibile come un tenebroso disco di black metal misto a doom ed un pizzico di death, con stacchi dark ambient. Un altro livello di lettura è chiudere gli occhi e sentire cosa fa veramente questa musica, cosa provoca nelle nostre sinapsi: in codesta maniera si potrà scoprire un mondo, una raccolta di emozioni e stati d’animo come in un’ipnosi, perché questo disco è concepito per farci viaggiare alla ricerca del nostro io, della nostra volontà su questo pianeta, ma anche e soprattutto oltre questo pianeta e questi limiti che ci imponiamo. Le tracce sono quattro, il disco va sentito come un continuum sonoro, una lunga suite di musica estrema. Eve è ispirato dal manoscritto Voynich, forse il libro più misterioso mai scritto, o forse soltanto un tentativo di oltrepassare la realtà andando oltre i sensi, in un flusso che lega tutto ciò che è stato, tutto ciò che è e tutto ciò che sarà. Lo stile musicale è pienamente narrativo, veniamo trasportati in una storia dall’architettura profonda con l’uomo al centro, ed intorno un universo che vortica. Il black metal qui è un punto di partenza, perché il suono di questo disco ne ha molti elementi, ma è un’opera nuova ed originale. Nel nuovo splendido libro Black Metal Compendium Volume II – Europa e Regno Unito – di Vavalà e Ottolenghi per i tipi della Tsunami Edizioni, gli autori spiegano molto bene cosa sia il black metal per noi mediterranei, ed in particolare per noi italiani, ovvero un codice da far evolvere, un punto di partenza per profonde esplorazioni, e Eve ne è la spiegazione perfetta: un manoscritto Voynich che ognuno deve decifrare, perché parla di noi stessi, della nostra storia, e della cosmogonia che abbiamo dentro. Un’esperienza, molto più di un disco.

Tracklist
1.Arboreis
2.Sidera
3.Mater
4.Laudanum

Line-up
Alexios Ciancio – Vocals
Mike Crinella – Guitars, Synths, Samples
Fabio Arcangeli – Bass
Marco Ceccarelli – Drums

DUSKTONE – Facebook

Iron Monkey – 09 13

09 13 è una prova potentissima e molto violenta, che fa ben capire perché come questo gruppo sia stato uno dei più amati del genere, e mostra anche quanto ancora possano dare alla musica estrema.

Torna con una formazione diversa uno dei gruppi fondamentali nella storia dello sludge, pubblicando un album pesantissimo e bellissimo.

Con gli inglesi Iron Monkey ci eravamo lasciati nel 1999, quando si sciolsero dopo aver pubblicato due album devastanti come Iron Monkey e Our Problem, grondanti sangue e uno sludge metal imbastardito con il noise e con il metal, il tutto farcito da un groove marcio.
Nati a Nottingham e fieramente parte di quella scena, pubblicarono il primo album omonimo nel 1996 con la piccola Union Mill, e il disco venne ristampato l’anno successivo dalla concittadina Earache, il massimo all’epoca per chi volesse farsi devastare le orecchie. Gli Iron Monkey avevano e hanno un retroterra punk hardcore e ciò lo si può sentire anche ora, riuscendo ad unire ciò con altri elementi per un mix unico. La linea genealogica porta sicuramente ai Black Sabbath per quanto riguarda i riff, inoltre i ragazzi di Nottingham hanno sviluppato un qualcosa che dall’altra parte dell’oceano veniva su quasi uguale ad opera degli Eyehategod o dei Crowbar per certi aspetti. Bisogna però mettere subito in chiaro che il suono degli Eyehategod e degli Iron Monkey ha ben poco in comune se lo si ascolta, poiché gli inglesi hanno una maggiore linea melodica nascosta sotto un cumulo di pesantezza, mentre gli americani sono maggiormente legati alla jam come metodo di composizione.
Questo album non è affatto un tuffo nel passato, questa è una nuova fase nella vita della band: sono cambiati i componenti, nel 2002 è morto Johnny Morrow per un attacco di cuore, essendo gravemente malato ai reni, ed il suo posto alla voce è stato preso da S. Briggs dai Chaos Uk, il quale aveva suonato con Morrow nei My War. Rispetto a Morrow, Briggs possiede una voce meno potente e cavernosa, ma più adatta a pezzi maggiormente veloci. Uno dei pregi del gruppo, e che è fortemente presente su 09 13, è l’assoluta mancanza di pianificazione della canzone, si parte e poi si vedrà dove si arriva, per cui si alternano pezzi più lenti e pesanti ad altri veloci, quasi hardcore sludge, con il risultato di dare una mazzata incredibile all’ascoltatore. Gli Iron Monkey sono sempre pesanti e dal suono unico, ed in questo disco riescono a completare alcuni discorsi che nei lavori precedenti erano rimasti solo in nuce. 09 13 è una prova potentissima e molto violenta, che fa ben capire perché questo gruppo sia stato uno dei più amati del genere, e mostra anche quanto ancora possa dare, anche se in pratica l’unico membro originario rimasto è il chitarrista Robert Graves.

Tracklist
1.Crown of Electrodes
2.OmegaMangler
3.9-13
4.Toadcrucifier – R.I.P.PER
5.Destroyer
6.Mortarhex
7.The Rope
8.Doomsday Impulse Multiplier
9.Moreland St. Hammervortex

Line-up
JIM
LEGENDARY STEVE WATSON
BRIGGA

IRON MONKEY – Facebook

Ancient VVisdom – 33

Il suono è un qualcosa che non troverete da nessuna altra parte, bisogna completamente abbandonasi a questo piccolo grande capolavoro di musica occulta americana, che si sviluppa su più livelli e che potrebbe farvi vedere le cose in una prospettiva diversa, derivando direttamente dall’oscurità dei figli dei fiori, dalle pazze ore di Aleister Crowley e che continua a fluire tra le ere, non domata da duemila anni di cristianesimo.

Gli Ancient Vvisdom sono dei cantori dell’occulto, seguaci di Lucifero e del percorso della mano sinistra, adoratori della carnalità umana, ma soprattutto un grandissimo gruppo musicale.

Nato nel 2009 in quel di Austin in Texas, il trio si compone di Nathan Opposition, anche nei Vessel Of Light con Dan Lorenzo, suo fratello Michael e Connor Metsker. Nel 2010 incidono un dodici pollici split intitolato Inner Earth Inferno su Withdrawl Records con un certo Charles Manson, non so se lo conoscete. In seguito hanno pubblicato altri tre dischi dopo quel dodici pollici. La loro traiettoria musicale è un rock neo folk con innesti doom e gotici, dal forte retrogusto metal, e fortemente ispirato dalla tradizione del folk americano. In alcuni momenti ci si avvicina anche al death rock, ma è davvero difficile non privilegiare la matrice folk per definire il gruppo. 33 è un disco esoterico ed occulto, che parla di luce e tenebra molto diversamente dai soliti termini, e già dal titolo ha dei riferimenti ben precisi in tal senso. Qui, sia nella musica che nei testi c’è la carnalità umana, l’eterna lotta dell’umano per uscire fuori dai binari già determinati di un’esistenza priva di libero arbitrio. La musica è dolce e molto melanconica, ti culla nell’oscurità, adoratori di Lucifero ti sussurrano parole di conoscenza proibita e tutto il disco ha un sapore difficilmente dimenticabile. In 33 ci sono momenti di assoluto entusiasmo grazie ad un gruppo che è in stato di grazia, e che va ben oltre la musica. Il suono è un qualcosa che non troverete da nessuna altra parte, bisogna completamente abbandonasi a questo piccolo grande capolavoro di musica occulta americana, che si sviluppa su più livelli e che potrebbe farvi vedere le cose in una prospettiva diversa, derivando direttamente dall’oscurità dei figli dei fiori, dalle pazze ore di Aleister Crowley e che continua a fluire tra le ere, non domata da duemila anni di cristianesimo.

Tracklist
1. Ascending Eternally
2. Light of Lucifer
3. In the Name of Satan
4. True Will
5. The Infernal One
6. Summoning Eternal Light
7. Rise Fallen Angel
8. 33
9. The Great Beast
10. Lux
11. Dispelling Darkness

Line-up
Nathan “Opposition” Jochum – vocals, acoustic guitar, kick drum
Michael Jochum – guitar, back up vocals
Connor Metsker – bass

ANCIENT VVISDOM – Facebook

Aquiver – Frames

Le esperienze maturate negli anni dai diversi componenti del gruppo sono servite per aumentare la ricchezza di questo progetto comune, che ha grandi ambizioni e mezzi molto saldi per soddisfarle.

Gli Aquiver sono un gruppo di Reggio Emilia che rappresenta benissimo la congiunzione moderna tra metal, rock e pop.

Il loro debutto Frames è un disco ben composto ed eseguito con padronanza tecnica ed una sapiente produzione, e fa trasparire tutto il loro suono moderno. Il gruppo reggiano usa alcune cose del metal e del post hardcore, come inserti pop e qualcosa anche dell’indie, il tutto a seconda di ciò che vogliono esprimere nell’occasione. Il risultato è un suono molto americano, che sfocia in momenti aor, sempre intrisi di dolcezza ma adeguatamente induriti quando serve. Tecnicamente il gruppo ha una buona padronanza, con tutti gli elementi che si mettono in luce, ma spiccano soprattutto come collettivo più che come musicisti singoli. In Frames quasi tutti i brani sono possibili successi radiofonici o su internet, anche se il prodotto è un qualcosa che apprezzeranno sicuramente fuori dai confini patri, per questioni di gusti musicali. E la carriera internazionale è un qualcosa che sarà la maturale prosecuzione del discorso musicale di questi ragazzi, che sono giustamente ambiziosi. Questo suono può portare al successo se viene proposto ad un determinato bacino di utenza, data la natura giovanile dei generi trattati. Inoltre Frames è la dimostrazione che con talento, ma soprattutto voglia, si riescono ad ottenere buoni risultati anche per un underground che vuole emergere ed avere un seguito più ampio, facendo proposte di qualità. Le esperienze maturate negli anni dai diversi componenti del gruppo sono servite per aumentare la ricchezza di questo progetto comune, che ha grandi ambizioni e mezzi molto saldi per soddisfarle. Solidità e melodia sono i punti forti degli Aquiver.

Tracklist
01. Absence Rebound
02. CaSo
03. Save Your Day
04. Drawing Circles
05. Fall From Grace
06. Downfall
07. No More Words
08. A Million Red Lights
09. Moving Emotions
10. The One
11. Empty Space

Line-up
Luca Pretorius: Vocals
Marco Profeta: Bass
Daniele Fioroni: Guitar, Back vocals
Francesco Pani: Guitar, Back vocals
Luca Setti: Drums

AQUIVER – Facebook

Grog – Man Of Low Moral Fiber

Le emozioni non mancano in questo disco strumentale partorito da due menti musicalmente bulimiche, che abbracciano una moltitudine di situazioni e di gusti musicali.

I Grog sono un duo di Reggio Calabria al loro secondo ep per la netlabel Musichette Records.

Il loro suono è una jam di math e noise rock, un gioioso effluvio di note e di progressione musicale. Le emozioni non mancano in questo disco strumentale partorito da due menti musicalmente bulimiche, che abbracciano una moltitudine di situazioni e di gusti musicali. Non ci si annoia mai in giro fra questi suoni, tra momenti alla Don Caballero ed aperture ambient molto belle, tra il noise più graffiante e la psichedelia più sfrenata. Il disco dovrebbe essere visto ma soprattutto ascoltato come un continuo musical-temporale, infatti qui le divisioni e i titoli servono a ben poco, di fronte ad un fiume lavico di note. Il suono dei Grog non è potentissimo o distorto, ma pieno di idee e di invenzioni musicali. Si passa attraverso molti specchi tenendo ben ferme le coordinate musicali zappiane, ovvero non avere coordinate ma spaziare il più possibile. In questo contesto la musica è molto soggettiva, nel senso che questi suoni fanno scaturire in ognuno di noi qualcosa di diverso. Grande è stata la lezione per i Grog da parte di gruppi come gli Zu o altri compari della nouvelle vague rumorosa italiana, quel suonare senza limiti dando una visione distorta della distorta realtà. Ci sono dischi come questo che sono totalmente alieni al concetto di commerciale o alternativo, sono momenti musicali alti e stimolanti, assolutamente alieni rispetto alla musica normale. Ritmo, deviazioni, accelerazioni e miliardi di accordi, con uno stile compositivo molto vicino all’improvvisazione jazz, porta della libertà totale. In definitiva questo è letteralmente un disco di drum and bass.

Tracklist
1. The great Jeeg in the sky
2. Got Ham
3. Give more water, please everybody
4. L.A. Crime

Line-up
Luigi Malara – basso, glockenspiel, clavietta, tastiere
Filippo Buglisi – batteria, tastiere

GROG – Facebook

Cardinals Folly – Deranged Pagan Sons

I Cardinals Folly producono di nuovo uno dei dischi dell’anno in ambito doom e heavy.

Dalla patria dei suoni estremi arriva questa gran band di doom classico, suonato un po’ più velocemente rispetto al canone.

I Cardinals Folly sono una sicurezza per gli amanti dei suoni più tenebrosi e lascivi, con riff che compiono cerchi perfetti, con il marchio di fabbrica del doom classico. Cambi di tempo, suoni granitici e momenti più lenti e tenebrosi, tutto il repertorio del doom classico specialmente quello anni ottanta ma anche molto di più. Sotto le ceneri dei Cardinals Folly cova molto di più, dato che è ben presente l’heavy metal specialmente nella sua variante NWOBHM, ma anche qualche momento tendente al black metal classico, il tutto fatto benissimo. Certamente la spina dorsale del disco è composta da un doom classico e monolitico, dei St.Vitus più veloci e penetranti, possessori di indubbio talento. Dischi come Deranged Pagan Sons danno sensazioni molto forti, e si fa ascoltare dall’inizio alla fine, perché le canzoni hanno molte cose dentro di loro. Questa coproduzione Nine Records e Argonauta Records è fino ad ora il loro punto più alto, ed è senza punti deboli, molto solido, ben suonato e ben prodotto. Le chitarre sono clamorose anche nei momenti più lenti e meditativi, dove esce il fortissimo legame con i Black Sabbath, ma è un punto di partenza perché poi i Cardinals Folly sviluppano musica da par loro, ed è un bellissimo sentire. Queste chitarre, con un suono molto doom classico e la voce forte, possente ma melodica che entra in questo modo sono davvero una gioia, e non solo per i palati fini del genere, ma anche per chi subisce il terribile fascino della musica tenebrosa, anche se non è facile spiegare l’amore per il doom, perché è una cosa da provare.
I Cardinals Folly producono di nuovo uno dei dischi dell’anno in ambito doom e heavy.

Tracklist
1.Worship Her Fire
2.Dionysian
3.Deranged Pagan Sons
4.The Island Where Time Stands Still
5.Three-Bladed Doom
6.Suicide Commando
7.I Belong In The Woods
8.Secret of the Runes

Line-up
Mikko Kääriäinen – bass, vocals
Juho Kilpelä – guitar
Joni Takkunen – drums

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Across The Atlantic – Works Of Progress

Il pop punk in questa maniera lo sanno fare solamente in America, ed è un qualcosa che va fortissimo nelle radio punk e metal, specialmente quelle del circuito dei college.

Gli Across The Atlantic vengono fuori dal tumultuoso underground texano, e più precisamente da San Antonio.

La loro proposta musicale è un pop punk con spruzzate di post hardcore, con molta energia e rivolto principalmente ad un pubblico giovanile. Le linee melodiche di Works Of Progress tengono molto bene e il disco scorre facilmente, con ritornelli e stacchi che rimangono in testa, e con un gran sapore di dolcezza. Il pop punk in questa maniera lo sanno fare solamente in America, ed è un qualcosa che va fortissimo nelle radio punk e metal, specialmente quelle del circuito dei college. Negli Across The Atlantic possiamo trovare oltre a tutto ciò anche una buona dose di post hardcore, specialmente nei giochi di rimando fra voce melodica e voce più grezza. La composizione del disco è di buon livello, i texani hanno già capito molto bene cosa può funzionare e cosa no, e dalla loro hanno una notevole energia. Questo lavoro piacerà a chi già segue questo genere e ha dimestichezza, e farà sicuramente nuovi proseliti per chi si avvicinerà a queste sonorità con questo disco. La Sharptone Records, sussidiaria della Nuclear Blast Records, sta costruendo un roster interessante di gruppi che spaziano dal metalcore al pop punk e post hardcore come appunto gli Across The Atlantic. Un disco come Works Of Progress mancava in questa carrellata, ed è anche figlio del gran lavoro che ha fatto per emergere questo gruppo che ha tutte le carte in regola per spiccare il volo.

Tracklist
1. Prelude
2. Playing For Keeps
3. Sundress Funeral
4. Cutting Corners
5. Chin Up
6. 24 Hours
7. Word of Mouth
8. Self (less)
9. Starting Over
10. Blind Eyes
11. Works Of Progress

Line-up
Jay Martinez- Vocals
Jason Lugo- Guitar
Julio Bautista- Guitar
Jayy Garza- Bass
Cody Cook- Drums

ACROSS THE ATLANTIC – Facebook

Vessel Of Light – Vessel Of Light

Vessel Of Light è qualcosa di profondamente americano, con quel suono potente, chiaro e dal groove forte che ti tiene incollato allo stereo, grazie anche al notevole talento del duo.

A volte sembra che alcune cose o situazioni vengano fuori dal nulla, ma se si analizza maggiormente il tutto si nota che le strade tracciate in precedenza sarebbero confluite in un cammino comune.

Questo è il caso dei Vessel Of Light, un duo composto da Dan Lorenzo (già negli Hades, Non–Ficition, e The Cursed), e Nathan Opposition, cantante degli Ancient VVisdom, con i quali condividono l’etichetta Argonauta Records.
Tutto cominciò quando Dan Lorenzo scrisse un annuncio sulla rivista del New Jersey Steppin’Out, mettendosi in contatto con Nathan Opposition. Dan considerava fino a quel momento terminata la sua carriera di chitarrista, mentre Nathan lo considerava uno dei migliori architetti di riffs di chitarra in giro per il mondo. Così quando Nathan chiese a Dan di scrivere delle canzoni lui non potè rifiutare, ed ecco il risultato. Questo disco omonimo è un concentrato di maestosi giri doom di chitarra, con un cantato magnifico di Nathan Opposition. Vessel Of Light è qualcosa di profondamente americano, con quel suono potente, chiaro e dal groove forte che ti tiene incollato allo stereo, grazie anche al notevole talento del duo.
Le canzoni sono costruite con un andamento deciso e al contempo etereo, si viaggia con potenza, attingendo dalla tradizione americana di questo suono. Non ci sono pause o momenti di smarrimento, ma si ondeggia la testa per tutta la durata del disco, che è solido come una pietra che rotola e che sposta l’aria già prima di arrivare a destinazione. Vessel Of Light possiede un mojo doom blues che ne fa un’opera unica e lo fa ascoltare dall’inizio alla fine.
Strade fatte per incrociarsi e per diventare giganteschi vortici musicali.

Tracklist
01. “Where My Garden Grows”
02. “Dead Flesh And Bone”
03. “Meant To Be”
04. “Descend Into Death”
05. “Living Dead To The World”
06. “Vessel Of Light”

Line-up
Dan Lorenzo
Nathan Opposition

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Enslaved – E

E è uno dei capolavori del genere musicale chiamato metal, è un avanzamento della specie, un immenso universo fatto di note, tenebre, colori e gusti, che va gustato ad occhi rigorosamente chiusi per poter viaggiare nella sua interezza.

Attesissimo ritorno degli Enslaved, uno dei più interessanti gruppi metal degli ultimi anni e non solo, un combo che sta cambiando dalle fondamenta la musica pesante: E è la migliore testimonianza di ciò.

Non sembra, ma sono già passati venticinque anni dal loro esordio Vikingligr Veldi, black metal puro e norvegese, per poi arrivare al secondo Frost, un inno all’orgoglio di essere norvegesi e pagani. Da quel momento gli Enslaved hanno cominciato ad esplorare un orizzonte musicale più vasto di quello originario, che era comunque splendido, arrivando a toccare vette molto alte, mantenendo un percorso artistico molto originale e personale. Tutti i tredici album precedenti degli Enslaved sono meritevoli di attenzione ma, dal disco del 2015, In Times, le cose sono cambiate ulteriormente, poiché per loro quello è stato uno spartiacque, nel senso che può essere considerato un punto di rottura importante, una pietra miliare che ha segnato un prima ed un dopo. In Times è un album di metal estremo progressivo, se si dovesse dare una definizione, nato dall’esigenza di dover chiudere una parte della carriera, unendo il vecchio ed il nuovo per dare poi vita a qualcosa di ancora diverso. E quel qualcosa di nuovo si intitola E: il quattordicesimo disco della più che ventennale carriera di questi musicisti di Bergen può essere considerato quello della libertà totale, nel quale si sono espressi senza aver aver nessun obbligo, se non quello di fare ciò che volevano. Si è parlato e scritto molto intorno alla genesi di questo disco, al cambio operato con In Times che ha fatto perdere parte dei propri fans, dei lunghissimi tour, ma di fronte a questo lavoro tutto viene spazzato. E è uno dei capolavori del genere musicale chiamato metal, è un avanzamento della specie, un immenso universo fatto di note, tenebre, colori e gusti, che va gustato ad occhi rigorosamente chiusi per poter viaggiare nella sua interezza. Fin dalla prima lunga suite Storm Son si rimane affascinati dalla costruzione sonora, pura psichedelia tenebrosa, sempre pienamente e fieramente nordica, come se i vichinghi avessero suonato con i Pink Floyd e Syd Barrett, perché di quest’ultimo qui c’è l’assolutezza di certe soluzioni sonore, un gusto per il surrealismo ed una grazia davvero fuori dal comune. Non volendo assolutamente fare nessuna polemica, posso affermare che avevo apprezzato il precedente In Times solo dopo un po’ di tempo, avendo bisogno di qualche indizio in più per poter assaporare ciò che vi era contenuto. Qui invece è stato amore a prima vista, folgorazione totale, si scappa da Midgard per arrivare direttamente a sentir suonare gli Enslaved in Asgard. La ricchezza strutturale di questo disco è scioccante, in sei pezzi si viene catapultati in quella che a tutti gli effetti un’opera teatrale che travalica la musica, un inno all’unione tra natura e uomo, che è un po’ il sotto testo di tutta la poetica degli Enslaved. E ha al suo interno momenti black metal, cavalcate death, tanta psichedelia, incredibili momenti di organo e sax, in una ricerca totale di un suono altro. Ogni canzone contiene un mondo di generi e sottogeneri al suo interno, tutti legati da un’opera immane di cesellatura perfettamente compiuta. Ascoltando E si apprezza la compiutezza di una visione musicale inedita, perché questo è un disco più estremo anche dei loro esordi black metal, nel quale si osa dalla prima all’ultima nota spingendo la musica estrema in un futuro ancora tutto da costruire, ma che prima non c’era. Magnificenza assoluta per un capolavoro del metal, che potrà non piacere a chi è rimasto tenacemente ancorato alla prima parte della carriera del gruppo di Bergen, e sui gusti non si può davvero discutere, anche perché uno dei motivi della grandezza degli Enslaved è che la loro discografia copre tutta la gamma del metal estremo ed oltre, per cui ognuno può scegliere ciò che gli aggrada maggiormente.
Set the controls for the heart of the sun.

Tracklist
1. Storm Son
2. The River’s Mouth
3. Sacred Horse
4. Axis Of The Worlds
5. Feathers Of Eolh
6. Hiindsiight

Line-up
Ivar Bjørnson | guitars.
Grutle Kjellson | vocals & bass.
Håkon Vinje | vocals & keys.
Cato Bekkevold |drums.
Ice Dale | lead guitar.

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Rancho Bizzarro – Rancho Bizzarro

I Rancho Bizzarro arrivano da Livorno con due chitarre, un basso e una batteria e fanno un desert stoner rock strumentale molto efficace e molto desertico.

Izio Orsini, bassista e fondatore dei Rancho Bizzarro, è un uomo che ha un gran talento musicale, ama visceralmente un certo tipo di suono e appena può sperimenta, facendo dischi bellissimi come Weedooism, sempre per Argonauta Records sotto lo pseudonimo Bantoriak, e ora torna con questo progetto di musica strumentale.

I Rancho Bizzarro arrivano da Livorno con due chitarre, un basso e una batteria e fanno un desert stoner rock strumentale molto efficace e molto desertico. La lezione dei Kyuss, di Brant Bjork solista e di quel filone nato fra le sabbie del deserto è la maggiore fonte d’ispirazione per questo gruppo, ma non certamente l’unica. La jam in sala prove è il fondamento di questo gruppo, entrano, suonano e si crea la magia, poi in studio si edita e si dà quel tocco in più. Essendo un gruppo strumentale non c’è il supporto della voce che a volte può mascherare qualche deficit musicale e viceversa, ma qui la ricchezza musicale renderebbe eventuali parti cantate quasi fastidiose. L’atmosfera è molto western e desertica, i riff precisi, il basso di Izio scava tortuosità dentro le linee melodiche, e la produzione è ricca, fa risaltare bene i suoni, mentre a volte in questo genere si tende ad alzare troppo gli alti. E poi ovviamente l’influenza sabbathiana è presente, ma anche perché quei ragazzi da Birmingham hanno fatto dei paradigmi a cui devi rifarti se vuoi musica pesante, poi devi essere bravo a rielaborare il tutto per conto tuo, e i Rancho Bizzarro lo sono.
Questo gran bel disco strumentale, strutturato e suonato molto bene, sarà una sorpresa per chi non conosceva ancora Izio Orsini, che qui raccoglie dei magnifici musicisti e solleva molta polvere del deserto.

Tracklist
1 Five Hermanos
2 Garage Part Two
3 Incredible Bongo
4 Mood Brant
5 Yo Man
6 Katching
7 Mr Aloba

Line-up
Izio – bass
Matt – guitar
Mark – guitar
El Meloso – drums

RANCHO BIZZARRO – Facebook