INSOMNIUM + TRIBULATION – 4 aprile Legend Club, Milano

Reduci da due date di successo a Bari e Bologna il 27 e 28 marzo, la melodic death metal band INSOMNIUM, una delle più importanti realtà del genere, è pronta per suonare a Milano al Legend Club il prossimo mercoledì 4 aprile.

La band è ripartita da metà marzo con la seconda parte del Winter’s Gate European Tour 2018 e sta percorrendo l’intera Europa, portando dal vivo la musica dell’ultimo epico concept album “Winter’s Gate” insieme ai migliori brani del repertorio Insomnium.
Il disco è una lunga suite di 40 minuti che esplora musicalmente una short story scritta dal cantante e bassista della band Niilo Sevanen.

Ma non è finita qui: per tutte le date italiane troviamo come special guest i TRIBULATION. La band svedese è tra le nuove proposte metal più acclamate, in uscita con il nuovo album “Down Below”. In grado di unire black metal, rock seventies, death metal e tanto altro in un melting pot unico.

Uno show da non perdere!

Questi i dettagli:
MERCOLEDI’ 4 APRILE
c/o LEGEND CLUB, viale Enrico Fermi 98, MILANO
Evento FB -> http://bit.ly/2z7cKO3

Biglietto:
In prevendita: 20 € + d.p. -> http://www.mailticket.it/evento/12271
In cassa la sera del concerto -> 23 €

Apertura porte: ore 21.00
Inizio concerti: ore 21.30

www.insomnium.net
www.facebook.com/insomniumofficial

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: THE CRYSTAL FLOWERS

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Oggi è il momento dei The Crystal Flowers, ottima band formata da esperti rockers romani.

MC Benvenuto a Overthewall! Ti chiedo immediatamente la genesi della band: come si formano i Crystal Flowers e quali sono le vostre precedenti esperienze musicali?

The Crystal Flowers è fondamentalmente un progetto esistenziale, risultato dei percorsi individuali di quattro “vecchi ragazzi” che, tuttavia, avevano in comune una inquietudine e insoddisfazione per quello che la proposta musicale contemporanea esprimeva in termini di conformismo musicale e commerciale, per certi versi anche nelle “nuove” tendenze. E’ stato quindi naturale convergere in una dimensione intima, privata… direi clandestina, per ricominciare partendo dal desiderio di ciascuno di scongiurare la “deriva professionale” e ritrovare essenzialità e autenticità delle origini. Tra le quattro mura di un seminterrato, come una società segreta…

MC Il vostro album di debutto è un ritorno alle radici del rock degli anni 60/ 70. Ci parli di questo lavoro?

Ritrovare le radici significa ritrovare, e senza compromessi tecnologici, quell’energia, ispirazione e suono definite dal perimetro chitarre basso batteria voce. Non come codice manieristico, ma come via espressiva fatta di analogico e acustico, di valvole e feedback, aliena a qualsiasi forma di contaminazione iperdigitalizzata. Crystallized suona come un vecchio vinile e parla con un sound e una energia che vengono da lontano. Utilizza un linguaggio evocativo (ma non rievocativo) senza tempo e comprensibile a chiunque. Anche i testi voglio raccontare tematiche riconoscibili e identificative, quali il disagio di un sentimento-prigione, la solitudine nell’epoca dei social, la vita come metafora del viaggio, la rabbia dei sopravvissuti nell’epoca dell’omologazione… Ecco, Crystallized è proprio questo: una chiamata a raccolta, un richiamo primordiale ai sopravvissuti…

MC Come mai “ritorno alle origini”? Secondo voi c’è qualcosa che può ancora insegnarci il movimento ribelle e rivoluzionario di quegli anni?

E’ ormai patrimonio comune la certezza che quel laboratorio trasversale (storico, sociale, culturale, artistico, ecc.) che sono stati gli anni tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70, sia stato anche un big bang di ispirazione delle mille vie intraprese dal rock, nelle sue diverse declinazioni e direzioni. Allora, se di eredità universale dobbiamo parlare, riconosciamo davvero anche quella ingenua ma potente voglia di intraprendere, di sperimentare, di superamento dei limiti e delle convenzioni precostituite. Diventa perfino una necessità, quasi un obbligo, recuperare questa spinta originaria senza la contaminazione del “troppo già detto” della nostra epoca… quella illuminazione, quella visione che solo l’idea originale può generarti. E se perfino uno come Prince, raro esempio di trasversalità musicale, ha alla fine riconosciuto: “la musica deve tornare indietro”, allora forse la direzione dei The Crystal Flowers è quella giusta. Almeno per noi.

MC Qual è l’elemento ideale per la band? Preferite esibirvi dal vivo o vi sentite più a vostro agio in studio di registrazione?

Sicuramente il live è la nostra dimensione: perché il rock è comunicazione “in diretta”, è energia e empatia, è un circuito emozionale che molto ha a che fare con l’amore/odio e tutto ciò che di positivo e vitale passa tra questi due estremi nell’interazione tra persone. Voglio dire, la fase intimistica di clandestinità serve a strutturare il nucleo delle idee, ma le idee vanno poi raccontate, anzi… rappresentate e urlate. Se sono autentiche, allora il circuito nel live si attiva e tutto prende vita.

MC Cosa è previsto nel futuro della band? Puoi darci qualche anticipazione per i nostri ascoltatori?

Nonostante un mercato non esattamente orientato alle nuove proposte e agli inediti, abbiamo vari progetti diversificati che partiranno dalla primavera, e che invitiamo tutti a seguire sulla nostra pagina FB. Ci siamo inoltre ricavati la fama di “incursori e disturbatori” anche in contesti apparentemente innaturali per il rock ma di grande effetto comunicativo, quale ad esempio la nostra presenza come “guest star” alle finali del Cantagiro 2016, la madre storica di tutti gli eventi pop italiani, con considerevole eco e risalto sulla stampa di settore. Sicuramente proseguiremo anche in questa direzione, nella tradizione di ogni spirito ribelle…

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?

facebook: https://www.facebook.com/thecrystalflowersband/
web: www.thecrystalflowers.com
@ : info@thecrystalflowers.com

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: SEPTEM

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Questa volta è il turno dei Septem, band spezzina messasi in luce negli anni scorsi.

MC Su Overthewall una straordinaria band di La Spezia, i Septem! Diamo il Benvenuto a Daniele Armanini voce e leader della band! Ciao Daniele!

Ciao Mirella e grazie per lo spazio che mi concedi.

MC Partiamo dalle origini. Come si forma la band?

I Septem si formano a La Spezia nel 2003 e sin da subito l’intenzione dei membri originari era quella di dare vita ad un gruppo che proponesse musica propria ed originale.
Dopo inevitabili e numerosi cambi di line- up nel 2008, col mio ingresso e quello di Enrico Montaperto (chitarra) la band si stabilizza ed inizia un lungo periodo di prove, produzione di brani ed attività live che porteranno ad amalgamare e affiatare tutti i componenti, nonché a fare grande esperienza che servirà di li a poco per la produzione discografica della band.
Nel 2011, infatti i Septem danno alla luce il primo demo registrato ai Nadir Studios di Genova e sempre sotto la sapiente guida di Tommy Talamanca (chitarrista dei Sadist), la band darà alla luce il primo album omonimo nel 2013 e il nuovo Living Storm nel 2016 sempre per Nadir Music.

MC Il vostro sound è un heavy metal che mescola melodie e suoni potenti, quali band sono state per voi fondamentali per creare la vostra musica?

Siamo cinque ragazzi con differenti gusti musicali ed influenze.
Il nosto background comprende davvero di tutto, dalle grandi classiche band (Iron Maiden, Metallica, Deep Purple, Queen, Black Sabbath, Led Zeppelin) a gruppi moderni (Lamb of God, Killswitch Engage ed altri), ma pure ascolti che esulano dal contesto rock/metal, come Lucio Battisti per esempio e molte altre influenze musicali.
Tutto questo si riverbera nella nostra musica trasformato però dalla nostra forte personalità.
I Septem sono solo i Septem.

MC Qual’è il metodo che seguite per la stesura dei pezzi? Chi si occupa di scrivere i testi e chi la melodia?

E’ un gioco di squadra.
Tutti e cinque partecipiamo alla stesura dei brani ed ognuno può portare idee valide che tutti sviluppano insieme e portano a compimento per ricercare la migliore forma possibile e la più grande qualità artistica di ogni singola canzone.

MC Living Storm è il vostro ultimo lavoro discografico targato 2016. Ci parli di quest’album?

Living Storm è un album di cui andiamo orgogliosi, così come lo eravamo di Septem.
In questo album siamo migliorati sotto ogni punto di vista e abbiamo dato alla luce un lavoro che ci soddisfa in pieno.
Potente, veloce, aggressivo, ma anche melodico e coinvolgente come piace a noi.
Ci sono tutti gli ingredienti musicali che volevamo regalare alla gente per divertirsi e godere di buona musica.
Living Storm inoltre è nato in maniera molto veloce e spontanea e senza studiarlo a tavolino ha assunto anche un filo conduttore (non un vero concept) che è quello del viaggio, che può essere inteso come fisico ma anche e soprattutto spirituale e mentale.
Siamo entusiasti del risultato ottenuto.

MC La vostra attività live vi ha portato a calcare palchi sia in Italia che all’estero. Mi dici quali differenze avete riscontrato? Dove vi siete sentiti veramente a vostro agio?

Devo dire che siamo sempre stati molto fortunati nelle nostre uscite live, parlando di audience, perché abbiamo sempre trovato grande calore ed entusiasmo nei nostri confronti, anche grazie alla nostra attitudine in sede live, devo ammettere.
Ricordo bei concerti un pò in tutta Italia e una grandissima accoglienza a Tirana e Londra.
I Septem si sentono sempre a proprio agio sul palco e amano incontrare e stare insieme a fans ed amici ogni volta che c’è la possibilità.
Vogliamo regalare divertimento ed energia a chi ci segue e amiamo ricevere il coinvolgimento e l’entusiasmo del nostro pubblico in modo da creare un circolo virtuoso che possa appagare tutti.

MC Quali sono le difficoltà maggiori che incontra una band che produce musica originale?

Le difficoltà sono tante e non starò qui ad elencarle perchè chi fa musica (o semplicemente la segue) sa benissimo di cosa parlo.
Noi siamo una band che si autogestisce in tutto e per tutto. Facciamo enormi sacrifici a tutti i livelli, anche personali, per andare avanti.
Non abbiamo mai scelto “scorciatoie facili” di vario tipo o mai abbiamo chiesto aiuti economici ad altri.
Ci siamo sempre rimboccati le maniche e conquistato con le unghie e con i denti ogni spazio possibile per divulgare la nostra musica.
Siamo i Septem, abbiamo le palle fumanti e ci mettiamo tutte le nostre forze ed impegno per andare avanti.
Chi verrà ai nostri live potrà rendersene conto

MC Ci sono novità nel futuro della band?

Abbiamo in cantiere nuove idee e nuovi embrioni di canzoni, stiamo anche lavorando per avere nuove date.
Ci stiamo dando da fare come sempre.

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi sul web? 

Ovviamente su Fb, Youtube, Spotify, ITunes, attraverso la nostra pagina e il nostro canale di cui vi lascio anche i vari links:

Video:
https://www.youtube.com/watch?v=DAVF0aukpqs
https://www.youtube.com/watch?v=tKacyQTtHXg

Youtube Official:
https://www.youtube.com/channel/UChkISqjdeaT5t8vwYfT-nJw

FB:
https://www.facebook.com/SEPTEMheavymetal/

Spotyfy:
https://open.spotify.com/album/0WqthYvvrYUpHcV4kCC1mR

Ma come sempre vi invito a seguirci dal vivo, perché è li che vedrete il meglio.

MC Grazie di essere stato su Overthewall! A te l’ultima parola!

Grazie a tutta la redazione del supporto e dello spazio concessomi.
Un saluto a tutti in nostri fans, amici e coloro che nel tempo ci hanno supportato e aiutato ad andare avanti; voi sapete chi siete.
Torno ad invitare tutti ad ascoltare il nostro Living Storm (e anche il primo album), comprare i nostri album e venire ai nostri concerti. Ciao a tutti.
Be good, drink beer, fuck and Rock’n’Roll

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: METALEYES IYE

La riproduzione audio dell’intervista di Mirella con Alberto e Stefano di Metaleyes IYE.

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Questa volta è il nostro turno, visto che Mirella ha voluto saperne di più sulla storia passata e presente di Metaleyes IYE: alle sue domande hanno risposto, esibendo un impercettibile accento genovese, Alberto e Stefano …

IN MOURNING-CLOUDS-ANTARKTIS 6 MAGGIO MONK CLUB ROMA

Dark Veil Productions è orgogliosa di presentare una serata di grande Doom/Death metal nordico. Sonorità estreme e atmosfere sofisticate per la prima volta su un palco romano. Dalle fredde lande di Vansbro, Svezia, gli IN MOURNING, pregevole gruppo melodic death metal nato nel 2000 dalla sinergia fra musicisti di grande livello provenienti da October Tide, Contortion, Majalis, Volturyion e, nella formazione più recente, da Katatonia con l’arrivo di Daniel Liljekvist dopo una militanza di sedici anni nella storica band. Gli In Mourning consegnano un melodic death molto sinfonico di grande impatto musicale, emotivo e spettacolare anche sul palco, dal quale incantano per potenza e scenograficità. A precedere gli headliners i CLOUDS, altra formazione che sempre attinge alle ambientazioni nordiche e fra band di grande pregio in ambito doom/death. Il loro atmospheric/sad doom è di assoluto valore, elegante e ricco di suggestioni e sonorità avvolgenti. Apriranno la serata gli Antarktis, spin-off degli stessi In Mourning, con il loro sludge/post metal concretizzatosi nel per ora unico bellissimo album “ILDLAANTE”.

LINK EVENTO FB
https://www.facebook.com/events/274663039735603/

https://www.facebook.com/darkveilproductions

Vento di Nord-Est: ricordando il prog italiano anni Novanta

Quando ormai la bella storia del new prog inglese degli anni Ottanta andava avviandosi verso il suo malinconico tramonto, gli echi – opportunamente rivisitati – cominciarono ad attecchire anche nel nostro paese.

Tra la fine del decennio e il principio del successivo, alcune coraggiose formazioni, su tutti i Men of Lake (i quali si ispiravano al progressive britannico dei Rare Bird ed al kraut rock dei primi Tangerine Dream) e i Jester’s Joke (dal nome marillioniano, pure loro arruolati dalla francese Musea) iniziarono a muovere i primi passi, dapprima su cassetta. Erano, del resto, gli anni dei demo tapes, e non solo per il metal. I più longevi sarebbero stati i Twenty Four Hours, ancora su Musea, in bilico tra i Pink Floyd di A Saucerful of Secrets ed atmosfere magniloquenti ispirate ai primi King Crimson, con il mellotron sugli scudi. Impossibile è dimenticare poi i fiorentini Nuova Era (lanciati dalla mitica Contempo Records) e lo storico ed ottimo debut inciso dai genovesi Eris Pluvia (Rings of Earthly Light, Musea, 1991), dai quali sono derivati, in seguito, Narrow Pass ed Ancient Veil, oggi ancora sulla breccia, e con ottimi dischi di matrice canterburyana. Da ricordare anche i toscani (di Livorno, per la precisione) Egoband, che, con Trip in the Light of the World (1992), incantarono non solo i fans del new prog alla Marillion, ma anche quelli di sonorità più hard e dark, alla Van der Graaf-Peter Hammill, prima di virare coi lavori susseguenti verso un anonimo r ‘n’ b psichedelico.

Sul finire degli Eighties, uno dei gruppi italiani più promettenti erano senz’altro i Black Jester, nati a Treviso e responsabili d’un entusiasmante hard prog, con magnifici impasti di chitarra e di tastiere, suoni barocchi e la particolarissima voce di Alex ‘The Jester’ D’Este (poi negli Snowblind, una cover band dei Black Sabbath). Dopo un promettente nastro omonimo, nel 1990, i Black Jester firmarono per la WMMS di Peter Wustmann, la label tedesca che – sino alla cessazione delle attività, tra 1996 e 1997 – tanto e bene avrebbe fatto, al fine di promuovere il nuovo progressive italiano. Nel 1993 e nel 1994, rispettivamente, i Black Jester pubblicarono i loro due capolavori: Diary of a Blind Angel e Welcome to the Moonlight Circus, felicemente impregnati di un pomp rock metallizzato, sinfonico e favolistico. Il gruppo si sciolse dopo avere tentato la difficile trasposizione di Dante su disco (The Divine Comedy, 1997). Alcuni dei suoi membri hanno successivamente suonato, con ex componenti delle Orme, nei più intimistici Faveravola (2006) ed, in particolare, nei Moonlight Circus. Questi ultimi hanno rilasciato Outskirts of Reality (2000) e Madness in Mask (2007): a tutti gli effetti, una ripresa e una continuazione, aggiornata al nuovo millennio, di quanto realizzato dai Black Jester nel 1994, assieme al paroliere Loris Furlan, oggi editore musicale, con la sua Lizard Records, presso la quale incidono interessanti artisti nostrani di prog, post rock, avanguardia e jazz rock.

Affini ai Black Jester, per provenienza geografica e genere musicale di appartenenza, erano pure gli Helreid, nati anche loro a fine anni Ottanta. Esordirono solo nel 1997, con lo stupendo Mémoires e, quattro anni più tardi, sempre per la piemontese Underground Symphony, realizzarono Fingerprints of the Gods (il titolo veniva dal classico di archeologia spaziale di Graham Hancock, Impronte degli dèi). Gli Helreid, di cui resta realmente nella memoria Mark the Wizard, sono da pochi anni in pista di nuovo: il disco del ritorno (aggiungendo una ‘h’ alla fine del loro nome) è stato Fragmenta, uscito nel 2012, idealmente in linea con gli esordi, come se il tempo non fosse mai passato.
La breve ma meritata stagione di gloria dei Black Jester, nella prima metà degli anni Novanta, fece altresì da traino per tutta una scena validissima ed in fermento, come quella del Nord- Est italiano di allora. L’epicentro era Treviso, dove tra il 1988 e il 1990 furono attivi gli Spleen (recuperati poi nel 1994 dalla Mellow), da cui sorsero i Marathon. Questi furono di fatto i Rush italiani. Dopo il demo World of Trend (1991), i Marathon si accasarono anche loro presso la WMMS e pubblicarono due strabilianti lavori, di metal-prog, melodico ed iper-tecnico: Impossible Is Possible (1993) e Sublime Dreams (1994), con la collaborazione di alcuni membri dei tedeschi Manner.

Il gruppo però forse più importante – non solo di Treviso e dell’Italia nord-orientale, ma di tutto il new prog italiano – rimangono di certo gli Asgard. Nati nel 1984 e quindi ispirati ai Marillion era-Fish, parteciparono alle compilation Italian Rock Invasion (1987) ed Exposure (1988) e si esibirono spesso in concerto: ancora oggi c’è chi ricorda con misto di emozione e nostalgia la loro suite in due parti The Light Spring, tra l’altro mai messa poi su disco. Dopo anni di concerti e di crescita costante gli Asgard furono il primo gruppo italiano a firmare per la WMMS. Il debutto, Gotterdammerung, vide la luce nel 1991. Fu una vera rivelazione, uno stupendo incrocio di retaggi marillioniani e echi della mitologia germanica in musica, un disco che inaugurava il nuovo decennio del prog italiano ed illuminava una scena, in quei giorni, in espansione davvero pronunciata. L’anno successivo, apparve il mini-CD Esoteric Poem, che, in tutto e per tutto, teneva fede al titolo. Alcuni puristi storsero non poco il naso – lo rammento bene, come rammento quegli anni – per gli inserti dark-ambient (molti allora ragionavano intendendo i generi alla stregua di compartimenti stagni), tuttavia gli Asgard avevano dimostrato, solo e semplicemente, di voler progredire lungo la loro strada. Arcana, apparso nel 1993, trovò il perfetto punto di contatto tra lo stile del primo disco e le atmosfere del secondo, preparando la strada alla svolta. Nel 1993, sempre per la WMMS, uscì Imago Mundi: il sound si era indurito e faceva incontrare le origini neo-prog della band con il prog-metal dei Queensryche e dei Dream Theater, con risultati potenti e sublimi. Lo stesso percorso, sia detto per inciso, dei tedeschi – anche loro su WMMS – Ivanhoe, i quali – specie con Visions and Reality (1994) e Symbols of Time (1995), prima di perdersi nel banale heavy maideniano di Paralized (1997) – si mossero tra Rush e Marillion, Dream Theater e Queensryche. Imago Mundi fu uno dei migliori dischi dell’anno 1993, ma anche il canto del cigno di una stagione. Infatti, tra problemi di line-up e ritardi nell’incidere le canzoni del nuovo album, gli Asgard si arenarono e tornarono sulle scene, per una piccola etichetta, solo sette anni dopo. Per quanto discreto, Drachenblut (2000) soffriva del tentativo in verità un po’ artificioso di riportare in vita lo spirito bucolico dei primissimi Genesis, quando ormai il momento magico era passato e l’occasione per un successo su più larga scala purtroppo perduta. Membri degli Asgard, nel 1994, collaborarono altresì alla realizzazione di quello che resta uno dei migliori dischi di pomp rock anni Novanta (insieme A Blueprint of the World, degli americani Enchant, 1993). Mi riferisco ad Hunting the Fox di Ines, bella e brava tastierista tedesca, accompagnata tra gli altri pure da componenti degli storici progsters Anyone’s Daughter e dei friulani Garden Wall (i soli ancora attivi oggi di quella scena, autori di molteplici eccezionali lavori, fra thrash, dark, prog e elettronica robotica). Quanto ad Ines, dopo quel magico esordio, non seppe più confermarsi: Eastern Dawning (1996) esibì una piatta new age, alla Lanvall, appena innervata da spunti per radio FM e momenti di blando soft prog (alla Rebekka), mentre The Flow (1999) denunciò una crisi d’identità notevole e fin più preoccupante, all’insegna di una insignificante world music, etnica e modaiola. Il quarto lavoro, Slipping Into the Unknown (2002), tentò se non altro di tornare all’hard rock, con ballate acustiche e influenze pop desunte dai (peraltro prescindibilissimi) dischi solisti di Phil Collins e Tony Banks.

Nei primi anni ’90, in Veneto, furono attivi anche i Top Left Corner, di Padova. Anche per loro un demo tape omonimo (1994), e due buonissimi dischi, per la WMMS: Mystery Book (1994) – col suo progressive epico alla Rush-Yes-Asgard – e Nowhere (1996). Sempre dal Nord-Est venivano inoltre i friulani Barrock, autentici maestri del prog sinfonico, guidati dal grande Walter Poles. Tre lavori, oltre alle tante cassette registrate tra il 1983 e il 1988: L’alchimista (inciso nel 1990 e pubblicato in Giappone dalla Moon Witch, l’anno dopo), Oxian (edito dalla olandese SI Music nel 1995) ed infine La strega, licenziato dalla ligure Mellow Records, nel 1999, proprio in conclusione della decade. In Friuli, ad Udine, furono attivi anche i Last Warning, nati nel 1987. Dopo il demo Bloody Dream (1992-1993), incisero per la WMMS il fantastico From the Floor of the Well (1994), a metà strada fra Threshold e Crimson Glory, per poi proseguire su Underground Symphony. Di Udine sono pure gli straordinari Quasar Lux Symphoniae, tra i maggiori e forse sottovalutati gruppi italiani di prog barocco ed orchestrale. Formatisi nel lontano 1976, incisero sempre per la WMMS due capolavori, quali la rock opera Abraham (1994) e il mitologico The Enlightening March of Argonauts (1997). E la loro discografia non si ferma qui.
Affini al vento che soffiava da Nord-Est furono poi i varesini Court, che si fecero notare col demo-tape Live, nel 1992. Il loro And You’ll Follow the Winds (1993) fu un autentico gioiellino hard-folk, che rimpiazzava senza rimpianti le tastiere (virtualmente assenti) con chitarre acustiche e flauto alla Jethro Tull. Fenomenali dal vivo – condivisero il palco fra Italia e Germania con i Black Jester e gli Ivanhoe, nell’estate 1994 – i Court smarrirono purtroppo quasi subito la propria identità: Distances (1997) mise in mostra soltanto un rock annacquato, con momenti di sbadiglio o addirittura irritanti, pochissimo prog e un vago orientamento psichedelico mal metabolizzato. Anche il successivo Frost of Watermelon (2007), ispirato ai Caravan, non lasciò il segno. Da riscoprire comunque il debutto, insieme a quello dei modenesi Lie Tears – i quali, dopo i nastri Hypnotic Mind (1995) e Lost Sand Sad (1997) – pubblicarono per la Underground Symphony A Gate for Another Life (1999), davvero bellissimo nei suoi riusciti intrecci di hard melodico inglese e new prog appena metallizzato.
Oggigiorno, quel mondo e quella scena musicale, che specie nel Nord-Est italiano dei primi anni ’90 vide emergere ottimi gruppi, non esistono più. Restano solo i ricordi. In generale, il new prog – sia inglese, sia europeo ed italiano – pare avere ormai esaurito la sua linfa vitale. Consiglio nondimeno di dare un ascolto a chi, nella nostra penisola, ancora ci crede e realizza CD validi e interessanti. Si ascoltino in particolare i Cage, i riformati CAP, gli Archangel (con Clive Nolan dei Pendragon, alle tastiere, in qualità di ospite), i Sithonia, i Gran Turismo Veloce, gli scoppiettanti Flower Flesh e, soprattutto, i grandissimi Graal, forse i migliori eredi in termini compositivi dei Black Jester, epici e gotici, con il loro hard prog pomposo e fantasy, che – attraverso quattro meravigliosi album – cita e riprende in una maniera originale, creativa e personale, l’eredità perenne di Uriah Heep, Magnum, Rainbow e Dio. Perché la fiamma non si spegne mai.

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: CLAUDIO SIGNORILE

La versione scritta dell’intervista effettuata su Overthewall da Mirella con Claudio SIgnorile.

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Questa volta è il turno di Claudio Signorile, musicista pugliese autore dell’apprezzato album Groove Experience.

MC Diamo il benvenuto su Overthewall al musicista Claudio Signorile!

Grazie a te Mirella, per ospitarmi durante Overthewall, e grazie naturalmente a tutte le persone che in questo momento seguono il programma… Proveremo a non deludere la loro curiosità !

MC Ciao Claudio! La tua passione per il basso inizia già da giovanissimo. Ci racconti le tappe più importanti della tua formazione musicale?

Ho cominciato a suonare il basso a 17 anni. Ero un grandissimo fan, assieme ad altri cari amici, dei Queen e sognavamo di formare una band e suonare un giorno davanti ad un pubblico. Che poi è il sogno di chiunque inizi a suonare uno strumento! Così ho iniziato e non mi sono più fermato. La mia formazione musicale comincia come autodidatta e resterà tale tranne poche eccezioni per brevi periodi. Ho suonato in tantissime band in cui mi son fatto e mi faccio ancora oggi le ossa, ma ho sempre avuto una passione per i grandi bassisti solisti, i grandi creativi e virtuosi dello strumento. Fondamentalmente, con la dovuta umiltà, è a loro che mi ispiro nel mio modo di suonare. I ricordi più belli del mio percorso in musica sono infatti, proprio quelli in cui ho potuto esprimermi come solista, durante ad es. la finale del concorso per bassisti emergenti, l’EuroBassDay, nel 2009 a Verona, oppure quando ho vinto il Tour Music Fest nella categoria musicisti, esibendomi durante la finale nello storico Piper di Roma. Poi, naturalmente, anche aver dato alle stampe due dischi, sempre come solista.

MC Ci sono artisti che hanno influenzato ed ispirato il tuo modo di suonare?

Sarebbe lungo citare tutti i musicisti che mi hanno influenzato, per cui rimarrò in tema bassistico. I bassisti che ho preferito nel corso degli anni, e che mi hanno marchiato a fuoco, sono stati quegli innovatori che hanno portato il basso ad un livello superiore, sia creativo che tecnico: Larry Graham, Stanley Clarke, Jaco Pastorius, Marcus Miller, Stu Hamm, Victor Wooten, Michael Manring. Ve ne sono molti altri, ma è impossibile citarli tutti.

MC La tua carriera è costellata appunto da importanti traguardi come la partecipazione al prestigioso concorso EuroBassday a Verona e, successivamente la vittoria nel concorso “Tour Music Fest”, giusto per citarne qualcuno. Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?

Tantissima soddisfazione. Quando ripenso a quei palchi, che ho calcato proprio come solista, facendo ascoltare al pubblico presente i miei brani – ribadisco… i miei brani – e non standard o reinterpretazioni di successi altrui, in più ricevendo anche complimenti… beh, non c’è nulla di paragonabile. Sono bellissime sensazioni.

MC Nel 2011, pubblichi il tuo primo album come solista, seguito, nel Dicembre 2017, dal tuo secondo lavoro “Groove Experience”. A distanza di 6 anni come vedi il tuo precedente disco? Quali sono le sostanziali differenze tra i due lavori?

Nel 2011 pubblicai A song 4 each day…. La differenza sostanziale con Groove Experience sta nel fatto che quell’Ep era tutto incentrato sul mio strumento. L’arrangiamento dei brani, per quanto ancora oggi continui a piacermi, era un contorno, un pretesto per suonare temi, assoli, etc. Il mio album nuovo invece, per quanto il basso conservi comunque un ruolo predominante, è decisamente più corale, con una partecipazione attiva di altri strumentisti che hanno plasmato con i loro momenti il mio lavoro. Anche lo sforzo produttivo è stato molto più importante e la differenza si sente eccome. In comune i due Ep hanno il fatto di essere entrambi molto melodici, accessibili, a mio avviso, anche ai non esperti di musica. Ma trattandosi comunque di lavori strumentali, il mercato a cui sono destinati resta ugualmente di nicchia.

MC “Groove Experience” è un album melodico che vanta la collaborazione di numerosi musicisti. Ci parli del disco e cosa rappresenta per te?

Per me Groove Experience rappresenta intanto un evoluzione, rispetto al mio Ep precedente, ma anche e soprattutto la sintesi di 22 anni passati in musica. Ho cercato di esprimere tutto me stesso, la mia creatività, la mia tecnica, le mie idee. E proprio allo scopo di raggiungere il mio obiettivo ho chiesto “aiuto” ad amici e colleghi musicisti che apprezzo molto, per creare un album corale, con idee altrui, ma che al contempo fosse quello che volevo io. Faccio un esempio: nei brani Horizon e When love ends non ho esitato a rivolgermi a due colleghi che suonano il mio stesso strumento e cioè i bassisti Vincenzo Maurogiovanni nel primo e Pierluigi Balducci nel secondo. Ho chiesto loro di suonare alcune parti perché avevo delle idee per quelle canzoni per le quali il loro stile, il loro modo di suonare diverso dal mio, mi sembrava più appropriato. Ho pensato quindi a quello che mi sembrava giusto per le mie composizioni e non ho esitato a rivolgermi ad altri due (illustri) bassisti, mettendomi quasi in disparte.

MC Ti senti più a tuo agio in studio o su un palco? Quale ritieni sia la dimensione più adatta per esprimerti al meglio?

Decisamente il palco, la dimensione live. Lo studio è bello per sperimentare, comporre, fare video per youtube, da condividere sul web, etc. Ma l’ emozione del palco, quando si suona in contesti piacevoli e divertenti davanti magari ad un pubblico attento e curioso, non ha paragoni.

MC Cosa c’è nel futuro musicale di Claudio Signorile? Ci dai qualche anticipazione per i nostri ascoltatori?

Al momento mi sto preparando per suonare dal vivo i brani del mio nuovo album. Trattandosi di un lavoro sul quale ho provato a sperimentare, specie in termini di suono ed effetti sul basso, sto dunque lavorando per ricreare le stesse sonorità e poterle utilizzare agevolmente in sede live.

MC Mi dici quali sono i tuoi contatti per seguirti sul web?

Il mio sito Web: www.claudiosignorilebassplayer.com
Oppure tramite social, principalmente su youtube (www.youtube.com/claox77) o Facebook (www.facebook.com/claudiosignorilebasssoloartist)

MC Grazie di essere stato qui con noi!

Grazie a voi di avermi ospitato. E’ stata una chiacchierata piacevole !

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: BLUE DAWN

La versione scritta dell’intervista effettuata su Ovethewall da Mirella con Enrico Lanciaprima, bassista/cantante dei genovesi Blue Dawn.

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Questa volta è il turno dei Blue Dawn, band genovese autrice lo scorso anno dell’ottimo Edge Of Chaos.

MC Parliamo della genesi della band, come nascono e si formano i Blue Dawn?

I Blue Dawn nascono all’inizio del 2009 dall’incontro fra me, Enrico Lanciaprima (basso e voce) e il batterista Andrea Di Martino, a noi si sono poi aggiunti Monica Santo alla voce e Paolo Cruschelli alla chitarra.
Con questa formazione abbiamo registrato il primo album omonimo del 2011, mentre nel secondo, Cycle Of Pain, alla chitarra Luigi Milanese ha sostituito Cruschelli, trasferitosi in Toscana, ma Milanese non si è unito stabilmente alla band e in seguito è stato sostituito da Andrea “Marty” Martino con cui abbiamo registrato il terzo album, Edge Of Chaos; infine, di recente, si è aggiunto anche Davide Bruzzi, già con Il Segno del comando, alla chitarra solista e alle tastiere.
L’ idea, fin da subito, fu quella di creare un suono che mischiasse l’hard rock degli anni ’70 con l’art rock e il doom Metal, un sound con diverse sfaccettature, insomma.

MC Ci sono band che vi hanno principalmente ispirato?

Sicuramente band degli anni ’70 dove ha origine il nostro suono, come Black Sabbath, Blue Oyster Cult, Led Zeppelin, bans art rock progressive e sperimentali come King Crimson e Roxy Music, ma anche gruppi più moderni come i Celtic Frost e i Type O Negative.

MC Come vengono realizzati i vostri brani? Uno di voi ne è il compositore oppure nascono da un lavoro comune?

Nei primi due dischi il 90% del materiale è stato composto da me, ma nel nuovo album “Marty” ha scritto quasi metà dei brani insieme a me, ci integriamo molto bene e questo ci ha aiutato a migliorare, io credo.

MC Ci parlate del nuovo album? Di cosa tratta e cosa rappresenta per voi?

Il nuovo album si chiama Edge Of Chaos (ai limiti del caos), perché pensiamo che descriva bene il momento storico che stiamo vivendo, nel quale molte persone hanno l’ impressione di vivere costantemente ai limiti del caos da un punto di vista socio-politico ed economico.
Ma si può intendere anche riferito ad un disagio psicologico, a volte legato alle difficoltà economiche che molti stanno vivendo o ai rapporti interpersonali, ormai sempre più complicati.
Da un punto di vista musicale, penso sia il nostro album più maturo e completo, che amalgama bene le diverse caratteristiche del nostro suono, dal dark all’ heavy doom, senza dimenticare il nostro lato più sperimentale. Da rilevare anche la presenza di ospiti prestigiosi come Freddy Delirio dei Death SS, autore dell’ intro elettronico, Matteo Ricci (ex Malombra) sul brano Baal’ s Demise, e Caesar Remain alla chitarra solista, oltre ai due musicisti esterni che ci aiutano sempre in studio, Roberto Trabona al sax e James M. Jason alle tastiere.

MC Quali sono le aspettative legate a questo lavoro?

Crediamo che questo album rappresenti quel salto di qualità che le recensioni finora uscite stanno riflettendo, un passo importante verso la completa maturazione e anche di un maggiore riscontro commerciale.

MC Avete calcato palchi molto importanti sia in Italia che all’estero? Che importanza ha per voi l’attività live?

In Italia abbiamo di recente suonato al primo festival Hard & Heavy mai svoltosi a Genova, con band di caratura internazionale quali Arcturus, Sadist, Mortuary Drape, ecc, nel 2012 abbiamo effettuato un mini tour nel Regno Unito, che è stato molto utile, poi abbiamo perso il primo chitarrista e abbiamo vissuto un periodo di instabilità che ha penalizzato l’ attività live, ora ci siamo rimessi in carreggiata e stiamo preparando un tour.

MC Come vedete l’industria discografica underground in questi tempi?

Noi per fortuna abbiamo alle spalle una delle migliori etichette underground in circolazione, Black Widow Records, il che dimostra che il buon lavoro paga, ma la situazione è indubbiamente difficile, poiché tutto il rock è tornato underground, non solo quello pesante, e vendere e ottenere riconoscimenti è sempre più difficile. La tecnologia è un’arma a doppio taglio.

MC Qual’è il sogno che vorresti realizzare con la musica?

Viaggiare in tutto il mondo suonando.

MC Dove possono seguirvi i nostri ascoltatori?

Questa è la nostra pagina Facebook con tutti gli aggiornamenti:
https://www.facebook.com/BlueDawnItaly/
Questo il canale Youtube:
https://www.youtube.com/user/BlueDawnItaly
E’ inoltre possibile ascoltare i nostri album su Spotify.

MC Grazie di essere stato su Overthewall! A te l’ultima parola!

Grazie a voi per lo spazio dedicatoci e continuate col vostro splendido lavoro per il rock nostrano! Ciao!

UBI MAJOR + IL SEGNO DEL COMANDO

Tappa domenicale di questo fantastico week end musicale Milanese, un fine settimana prog in giro per la città.

Prima serata con una grandissima novità per gli Ubi Maior, curiosi? Venite a sentirci!

Ingresso 10€ con consumazione inclusa!

Ubi Maior ~ progressive rock italiano-> https://www.facebook.com/ubimaiorweb/

Il Segno del Comando ~ esoteric prog rock italiano-> https://www.facebook.com/IlSegnodelComando.Official/

“Due band giovani, ma non troppo, […] l’esperienza è davvero significativa e si snoda su una ventina di anni di attività, periodo considerevole per poter tirare qualche somma.” come scrive Athos su mat 2020 (che ringraziamo per lo spazio che ci ha dedicato)

ABORYM + PETROLIO + SPECIAL GUEST – 30 MARZO @ PADIGLIONE 14 – COLLEGNO(TO)

GLZ Events, Leynir Booking e Synth Agency sono orgogliosi di presentare, il primo live torinese degli italiani pionieri dell’industrial rock metal: ABORYM.

L’evento si terrà Venerdì 30 marzo negli spazi del Padiglione 14 di Collegno (TO) e vedrà come opening acts il progetto Industrial/Noise, Petrolio + guest TBA.

Fautori da sempre di un avanguardistico mix di metal estremo ed elettronica, gli Aborym non hanno mai smesso di evolversi e sperimentare, passando dal ridefinire i paradigmi del Black metal all’esplorare i territori dell’elettronica più claustrofobica e ossessiva. Nati A Taranto nel 1992, nella loro carriera venticinquennale hanno riscosso l’acclamazione di critica e pubblico arrivando alla fama internazionale e a collaborare fin dai primi albums con influenti musicisti della scena norvegese fra cui anche Attila Csihar (Mayhem), Bård “Faust” Eithun (ex-Emperor) e Roger “Nattefrost” Rasmussen (Carpathian Forest). Album dopo album la band non ha mai smesso di costruire il proprio sound distintivo discostandosi progressivamente dalle sue radici Black metal e integrando sempre più elementi elettronico/industriali. Shifting.negative, uscito il 25 gennaio 2017 è il risultato ma non la conclusione di questo continuo processo evolutivo.

Facebook: https://www.facebook.com/aborymofficial/

Ad aprire la serata saranno le cupe atmosfere “Industrial Doom” di Petrolio, progetto solista di Enrico Cerrato già bassista e tastierista degli Infection Code storica realtà trash sperimentale piemontese e membro attivo di Gabbiainferno (industrial) e Moksa (jazz/noise/punk). Petrolio nasce nel 2015 e viene subito arruolato da diverse etichette indipendenti per l’originalità delle sue sonorità elettroniche, Ambient e Dark vischiose e dissonanti che accompagnano l’ascoltatore in un viaggio attraverso la decdenza della civiltà contemporanea, il debutto si chiama “Di Cosa Si Nasce” ed è uscito il 21 aprile 2017 per Dio)))Drone .

Facebook: https://www.facebook.com/petruspetrolio

Evento facebook:
https://www.facebook.com/events/1716877725036814/
Apertura cancelli : 20:30
Prezzo del biglietto in cassa : € 10,00

Rock In Park 2018

Rock In Park 2018: tutti i dettagli della decima edizione

Anche quest’anno, arriva puntuale l’appuntamento che celebra la scena alternative e underground milanese, e non solo.
Stiamo parlando del Rock In Park 2018, ormai diventato una conferma nel panorama italiano dei live show.
Un’edizione speciale, quella 2018: quest’anno si festeggia la decima edizione del festival che, per l’occasione, assumerà una veste più imponente! Un unico appuntamento esclusivo, con una settimana in più di programmazione, dall’11 Maggio al 17 Giugno, come da tradizione al Legend Club di Milano.
Il Rock In Park 2018 porterà novità interessanti: non si terrà l’edizione autunnale di settembre del festival, nuove sorprese sono in arrivo!
Gli anni di successo hanno fatto sì che la filosofia del Rock in Park venisse apprezzata e ammirata anche in altre città, portando alla nascita di eventi in contesti al di fuori della scena milanese, permettendo all’iniziativa di acquisire gradualmente un carattere sempre più itinerante. Nasce quindi il Rock in Park On The Road: una serie di show sparsi per tutta Italia!

Primo annuncio: il Rock My Life Festival che presenterà il Rock In Park, per la prima volta in versione Open Air, nella suggestiva cornice della Cava di Roselle, a Grosseto, i prossimi 13, 14 e 15 Luglio

Secondo annuncio: Rock In Park On The Road a Mantova. Venerdì 16 e sabato 17 marzo, presso l’Arci Tom calcheranno il palco i Genus Ordinis Dei e Giacomo Voli, co-headliner i Wolf Theory.

Evento Facebook 16 marzo
Evento Facebook 17 marzo

Tenetevi pronti: presto l’annuncio di tantissimi eventi!

Legend Club

Viale Enrico Fermi, 98

Milano

(MM3 Affori Centro)

BANDO DI PARTECIPAZIONE AL ROCK METAL FEST 2018 – “X Edizione”.

Il concerto si svolgerà Venerdì 17 Agosto 2018 a Pulsano (Taranto).

Per celebrare il decennale la serata si concluderà con l’esibizione dei NECRODEATH (scelti come headliner).

L’associazione “Rock Metal Events Onlus” ripropone il ROCK METAL FEST giunto alla sua DECIMA edizione con lo scopo di promuovere il movimento rock/metal.

Sono dunque ufficialmente aperte già da un paio di mesi le selezioni per il Rock Metal Fest che quest’anno si svolgerà venerdì 17 agosto 2018.

Le band hanno tempo fino al giorno 01 aprile 2018 (termine improrogabile) per compilare la richiesta di partecipazione e inviare il relativo materiale.

La partecipazione alla selezione e alla serata del ROCK METAL FEST è gratuita per tutte le band.

Non sono previste spese di iscrizione o contributi di partecipazione.

Non sono altrettanto previsti rimborsi spese di alcun genere.

L’associazione “ROCK METAL EVENTS Onlus” mette a disposizione delle band che si esibiranno il palco, l’impianto audio/luci professionale e fonico.

Le band per partecipare dovranno compilare in ogni sua parte il bando di partecipazione, le condizioni generali, la scheda di iscrizione alle selezioni ed inviare il materiale richiesto, come specificatamente indicato, qualsiasi mancanza ne pregiudicherà la partecipazione. Dal materiale ricevuto verranno selezionate le band che si esibiranno nella sera del 17 Agosto; il materiale ricevuto dalla direzione artistica non sarà reso.

Il materiale dovrà pervenire improrogabilmente entro il giorno 01 Aprile 2018.

Le band che si sono esibite nell’edizione precedente, non potranno prendere parte alle selezioni. Questo per dare la possibilità di esibirsi al maggior numero di band possibile.

Le band selezionate, così come gli orari di soundcheck ed esibizione saranno comunicati tempestivamente ed insindacabilmente dal Direttore Artistico Angelo Lippolis. Le band sono tenute a rispettare tali orari e a non creare problemi al sereno svolgimento della manifestazione.

Il BANDO 2018, con le condizioni generali e la scheda di iscrizione, è disponibile collegandosi ai seguenti indirizzi web:

SITO RME = http://www.rockmetalevents.it/

BANDO 2018 = http://www.rockmetalevents.it/wp-content/uploads/2017/11/BANDO-RMF-2018.pdf

L’evento è organizzato con il patrocinio del Comune di Pulsano e della Provincia di Taranto.

Ricordiamo sommariamente, per sottolineare l’interesse che ormai da alcuni anni suscita questo raduno metal, i nomi di alcune band che hanno partecipato con soddisfazione alle precedenti edizioni:

Motherstone (Roma), Aevum (To), Hate Inc. (Ta), Assaulter (Ta), Soul of Steel (Ta), Legio Tenebrarum (Ta), Project 2501 (Macedonia), Rage of South (Agrigento), InAllSenses (Caserta), Elegy of Madness (Ta), Perseus (Br), The Strigas (BAT), Alldead (Ta), Overkhaos (Ta), Rublood (To), Blindcat (Ta), Whattafuck!? (Ba), Hangarvain (Na), Fall Has Come (Caserta), Adamas (Spoleto), C.O.B.R.A. (Ta), Subliminal Fear (Barletta), Deathless Legacy (Pisa), Implodead (Bari), Fake Heroes (Pescara), Mad Hornet (Ta) e Full Leather Jacket (Belluno).

Tra Mozart e Lovecraft: le molte vite artistiche dei Mekong Delta

Questo straordinario gruppo, soprattutto ad inizio carriera, ha sempre saputo creare, attorno a sé, un alone di mistero, specie circa le sue origini e la sua prima formazione.

Il nome, Mekong Delta, è da riferirsi alla foce di un fiume del Vietnam, mentre l’intero progetto venne organizzato dalla mente, a dir poco geniale, di Ralph Hubert, ingegnere del suono di Living Death, Warlock e Steeler, nonché proprietario e factotum dell’etichetta discografica Aaarrg dal 1985.
I primi demo tapes dei Mekong Delta furono incisi da una line-up composta dal cantante Wolfgang Borgmann, dalle due asce dei Living Death (Reiner Kelch e Frank Fricke), da Hubert al basso (sotto lo pseudonimo di Bjorn Eklund) e da Jorg Michael, in quel momento già batterista di Avenger, Rage e Paganini (e in seguito con Tom Angelripper, Axel Rudi Pell, Headhunter, Schwarzarbeit, Running Wild, Grave Digger, Stratovarius e Saxon, tra i molti altri). Con questa formazione, i Mekong Delta realizzarono nel 1987 il loro primo album omonimo, contenente un thrash metal durissimo e vicino alla scuola newyorkese degli Anthrax.

Nel 1988 apparve il capolavoro del gruppo, il concept album The Music of Erich Zann, prodotto dal medesimo Hubert, bissato dal mini Toccata, sul finire dell’anno. Con questi due lavori, in pratica, i Mekong Delta si posero come gli ELP del thrash. I testi e la copertina si ispirano alla fantascienza horror dell’omonimo racconto lovecraftiano ed offrono qualcosa di diverso ai tanti thrashers europei di fine anni Ottanta. In ambito techno-thrash, del resto, i precedenti erano pochissimi, solo Release From Agony dei connazionali Destruction e Killing Technology dei Voivod, oltre ai Watchtower. In anticipo pertanto su Coroner, Megadeth, Annihilator, Deathrow e Despair, i Mekong Delta mettono in mostra un approccio di tipo orchestrale, che necessita di ascolti ripetuti, per essere capito. Tempi dispari, riff imprevedibili, controtempi e cambi improvvisi di tempo abbondano. L’energia dei MD è inesauribile: si ascoltino Age of Agony, Confession of Madness, Prophecy e Memories of Tomorrow, oppure il thrash sinfonico dello strumentale Interludium (una versione riarrangiata della musica che Bernard Hermann scrisse per Psycho di Hitchcock, tratto dal noto romanzo di Robert Bloch, amico e discepolo di Lovecraft). Per dirla altrimenti, The Music of Erich Zann dimostra quanto la band di Ralph Hubert fosse “avanti” nella concezione musicale, sperimentale come negli Eighties sono stati in fondo pochi (vengono giusto in mente, per stare in territori metal, Celtic Frost e Prong).
La band tedesca si conferma con il terzo disco, The Principle of Doubt (1989), apparso per la Major Records, label sorta dalla fusione tra la Aaarrg e la Atom H degli Accuser. Intanto, Mark Kaye, alla chitarra, ha preso il posto di Kelch. Per il lavoro di scrittura, registrazione e produzione del quarto lavoro, Dances of Death (1990, di nuovo per la sola Aaarg) i Mekong Delta si chiudono in studio e per un anno intero: il segno del modo di lavorare di Ralph Hubert, certosino e maniacale, attento ai dettagli ed alle sfumature anche più minute. Il Robert Fripp del metal, verrebbe da dire, anche se il techno-thrash mutante e progressivo dei Mekong Delta è maggiormente debitore verso il fantasioso gusto emersoniano del virtuosismo, mai fine a se stesso e spesso giostrato sulle scale minori.

Nel 1991, mentre il thrash canonico si avvia ad entrare in crisi, i Mekong Delta celebrano, alla loro maniera, i vent’anni di Pictures at an Exhibition di ELP – lo storico e personale omaggio, in chiave pomp rock, reso dal celeberrimo trio inglese a Mussorgsky, nel 1971 – con il concerto di Live at an Exhibition. E’ la spia del fatto che ormai la creatura partorita dalla mente di Ralph Hubert intende da par suo guardare oltre, non solo i confini del thrash tradizionale, ma altresì quelli dello stesso metal, per abbeverarsi, sorretta del resto da doti tecniche e di scrittura impressionanti, alla scuola del prog anglo-britannico e della stessa musica classica, che lo aveva ispirato, in moltissimi casi. Escono così dischi coraggiosi e sperimentali, innovativi ed avventurosi, originali e creativi, come Kaleidoscope (1992) e soprattutto Vision Fugitives (1994), forse l’apice del gruppo: un post-thrash ipertecnico con archi, di ispirazione settecentesca e segnatamente mozartiana. Un lavoro realmente incredibile, a cui peraltro manca, oramai, un pubblico in grado di apprezzare e davvero le complesse quanto intricate stratificazioni armonico-melodiche dei Mekong Delta e le loro ricerche ritmiche sulle strutture degli accordi. Forse, il gruppo si è paradossalmente spinto troppo oltre e inevitabile arriva un temporaneo scioglimento.
Nella seconda metà degli anni Duemila, Hubert ha infine rimesso in piedi i MD ed ancora una volta ne sono venuti quattro dischi strepitosi: Lurking Fear (2007), Wanderer on the Edge of Time (2010), Intersections (2012) e In a Mirror Darkly (2014), forse meno orientati al techno-thrash degli esordi e più in linea con un comunque strabiliante ed eclettico metal prog neo-classico. Musica che rimane aristocratica e d’élite, esoterica (nel senso etimologico del termine), e quindi per pochi iniziati e non per tutti: di certo superbi esperimenti di metal sinfonico, da riscoprire.

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: ZEPHYR

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Oggi è il turno degli Zephyr, storica band heavy metal guidata da Alessandro Zazzeri. Buona lettura.

MC Gli Zephyr si formano nel 1979 riscuotendo immediatamente un ottimo successo. Ci parli dell’inizio di quest’avventura?

Il primo nucleo degli Zephyr nacque per caso dalla passione per la musica da parte mia, il tastierista Nicola Castanò, il bassista Marco Capecci e il batterista Fabio Chiarini. Eravamo tre quattordicenni tranne il batterista che era quindicenne. Successivamente Capecci nel 1984 fu sostituito con Paolo Rinaldini al basso. Subito ci mettemmo a fare cover dei Deep Purple, Led Zeppelin, Black Sabbath, Uriah Heep e brani nostri in linea con quel sound, in
quanto erano quelli i nostri gruppi preferiti. Eravamo decisamente fuori moda per i tempi. In particolare in italia in quel periodo la musica mainstream era la disco music e la primissima new wave pop, niente a che fare con l’hard rock. Anzi la musica rock nel vero senso della parola era quasi sparita dai media italiani. Insomma eravamo una delle poche piccole realtà fuori dagli schemi imperanti del periodo. A dir la verità lo siamo sempre stati anche negli anni
a seguire. Questo a creato interesse nei nostri confronti da parte di una fedele, e devo dire, inaspettatamente numerosa nicchia di appassionati. Ovviamente ci ha chiuso anche qualche porta a livello mediatico, ma noi ce ne fregavamo, per noi contava suonare ciò che ci piaceva e facevamo parecchi concerti. Ci siamo molto divertiti. Questa era la nostra filosofia, lo è sempre stata. E ne andavamo fieri.

MC Nel 82 vincete il “Cantagiro Romagnolo” e immediatamente dopo trionfate al festival “Heavy Mass”, primo raduno hard rock/heavy metal per gruppi emergenti. Quali sono i ricordi più significativi di quelle esperienze?

Nel 1982 registrammo il primo nostro demo con pezzi originali e partecipammo al Cantagiro romagnolo, una kermesse molto popolare allora, per cantanti e gruppi emergenti… e lo vincemmo. Madrina delle numerose serate di quel festival era una certa Cicciolina, che poi faceva il suo spettacolo molto, molto osè… incurante dei minorenni (noi compresi). Che dire, altri tempi. Successivamente nel 1985 registrammo il nostro secondo demo e lo spedimmo a Clive Griffith, indimenticato presentatore della fu Video Music, poi diventata MTV, prima emittente di video musicali in Italia. A Clive piacemmo molto e ci intervistò all’interno di un programma della medesima emittente (Heavy con Kleever) primo programma di video heavy metal in Italia. In seguito Clive si ricordò di noi e quando Video Music organizzò il primo raduno di gruppi hard/heavy “Heavy Mass”, ripreso dalla emittente nel palazzetto dello sport di Pistoia, in occasione della uscita del primo numero di “H.M” prima rivista del genere in italia, ci chiamò per partecipare. Il tutto venne trasmesso dalla emittente Video Music e noi risultammo il gruppo più apprezzato, sia dal pubblico in loco sia da quello televisivo che dagli stessi organizzatori della emittente televisiva, tanto che ci
commissionarono la sigla per un programma, “Road show”, andato in onda nel 1987.

MC  Nonostante questi successi la band si scioglie e tu collabori con i Rex Inferi altra band storica dell’heavy metal italiano. Ci parli di questa parentesi della tua attività?

La pubblicità che ci venne dalla esperienza Video Music ci consentì di fare numerosi concerti molto apprezzati; ci sentivamo pronti per il grande salto…. Ma come spesso accade, e allora più di ora, il salto di qualità non avvenne; questo portò allo scioglimento del gruppo. Troppe aspettative tradite. Col senno del poi eravamo solo degli illusi, in quanto in quegli anni avere successo, nel vero senso della parola, per una band italiana hard/metal era praticamente impossibile. Tante le band che avrebbero meritato… In realtà però sempre rimaste un fenomeno di nicchia. Noi poi eravamo una band atipica, in quanto più sul versante hard rock, quindi fuori moda anche per quel movimento. Facevamo parte di una nicchia nella nicchia, e se da un lato questo ci caratterizzava in positivo, dal punto di vista commerciale ci castrava ulteriormente.
L’esperienza con i Rex Inferi è dovuta alla mia amicizia con Maurizio Samorì, grandissimo chitarrista. Cantai su tre brani (uno andò perso) nell’ottimo “Like a hurricane”. I Rex Inferi erano un grande e storico gruppo, sono orgoglioso di avervi partecipato

MC Ma gli Zephyr restano il fulcro della tua creatività musicale e con un provino dove suoni tutti gli strumenti, riesci a convincere la LM Records a mettere la band sotto contratto.
Quanto ti ha aiutato la passione per la musica in tutti questi anni?

La passione per me è tutto. Ho continuato e continuo a scrivere canzoni e ho realizzato due cd a nome Zephyr, a testimonianza di quella esperienza che nel mio piccolo porto nel cuore con grande orgoglio.

MC Nel 91 ti affermi in varie manifestazioni musicali molto importanti anche da solista e con un altro progetto, gli Washing Machine, e nel 97 riformi gli Zephyr e nel 2008 pubblicate finalmente”The Last Dawn”.
Cosa ha rappresentato questo disco per te?

Sì, io ho continuato a suonare e cantare in vari progetti e mi sono tolto anche qualche soddisfazione: come arrivare secondo nel 1991 al “Festival di Ariccia” trasmesso in diretta su Rai 2 e più recentemente, nel 2007, con gli Washing Machine con un nostro brano trasmesso Su Radio Rai 2.
Il mio primo disco The Last Dawn è uscito postumo nel 2008 per problemi (fallimento) della LM Records. In realtà si tratta di una registrazione del 1989. In quel disco suonai tutti gli strumenti e ovviamente cantavo. Sfortuna volle che uscì quasi 20 anni dopo e questo ha sicuramente nuociuto al nome Zephyr e all’esser meno popolari di quello che forse avrebbero meritato. Ma pazienza, sono cose che succedono.

MC  Nel 2015 Taste The Bomb, che contiene ben 18 tracce, conferma il definitivo ritorno della band. Ci parli di quest’album?

Più recentemente  ho realizzato Taste The Bomb … 18 tracce! Contiene numerose ballate, questo ha fatto storcere il naso a qualcuno, ma altri lo hanno apprezzato proprio per questo. Personalmente ne vado fiero. Forse la produzione non è all’altezza del precedente (nel 1989 il nome Zephyr aveva un’altra risonanza) ma i pezzi secondo me sono validi, gli arrangiamenti molto più complessi e maturi e la mia voce si esprime in varie coloriture, era quello che volevo. Anche in questo caso, tranne la batteria (Guido Minguzzi), tutte le voci e strumenti sono suonati da me. Ci sono anche brani in italiano.

MC  La componente live è sempre stata importante per te e per la band. Com’è cambiato il pubblico rispetto gli anni 80/90?

Penso di non sbagliare a dire che gli Zephyr siano state tra le band del genere ad aver all’attivo più live della media. Questo perché il pubblico rispondeva positivamente e semplicemente i gestori di festival e locali ci richiamavano volentieri. Noi ci divertivamo e ci facevamo le ossa. I nostri live duravano all’incirca 2 ore e mezza e davamo tutto noi stessi.
Forse è proprio questo che è cambiato negl’ultimi anni. Ora vedo gruppi tecnicamente molto validi ma freddi, quasi distanti, che si atteggiano molto, e soprattutto sembrano cloni di cloni. Ecco io penso che i gruppi della nostra generazione fossero più sinceri, più veri, anche perché le difficoltà erano talmente grosse che se non eri veramente convinto di quello che facevi non potevi sopravvivere. Al di là della qualità e della serietà (c’erano sfigati e figli di papà anche allora), ora vedo un sacco di gente che nonostante i capelli lunghi, le borchie, gli atteggiamenti e le classiche pose plastiche da rocker, sembrano, e spesso lo sono, degli “impiegati del catasto” che giocano a fare i duri su un palco. Sì, ritengo che il discrimine sia proprio la spontaneità e la credibilità; qualità che mancano a molti musicisti odierni. Il pubblico se ne accorge, secondo me.

MC Cos’è previsto nel futuro degli Zephyr? Ci sono progetti che vorresti realizzare?

Ora sto componendo nuovo materiale che registrerò in un Cd appena posso e ho voglia. Sarà più heavy del precedente anche se non mancherà qualche ballata acustica. Non per scelta “commerciale” ma perché mi va così. Il non dover dipendere dal successo ha almeno questo lato positivo: te ne puoi fregare altamente e fare quel che ti pare. Per me vale solo la testimonianza e il mio divertimento, poi se con la mia musica si diverte anche qualcun’altro, tanto meglio. Se devo essere sincero trovo un po’ patetico chi, come nel mio piccolo, arrivato agli ‘anta pretenda qualcosa di più di questo e si atteggi ancora a essere considerato la miglior rockstar del proprio pianerottolo…

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi sul web?

Non sono un cultore del web e non mi interesso più di tanto a questo aspetto, ma comunque sul Web gli Zephyr sono presenti in qualche video su Youtube, oppure su Facebook direttamente come Zephyr dove si troveranno soltanto notizie veramente importanti; non qualsiasi “scorreggia” come fanno certi altri gruppi che pensano di essere i Rolling Stones “de noartri”. Ci tengo a non fare certe figure (da noi si dice: non sono un “pataca”).

MC Ti ringrazio di essere stato con noi. Ti lascio l’ultima parola

Coltivate le vostre passioni fino a che potete, al di là della qualità delle stesse. Non pretendete troppo, non tutti possono fare successo, non tutti se lo meritano, non tutti hanno fortuna e il carattere adatto. Il successo non deve essere il solo traguardo, l’importante è essersi divertiti ed aver espresso sé stessi o comunque una parte importante di sé stessi. Io ho avuto la fortuna di centrare questi obiettivi. Lo auguro a tutti

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: ROSSOMETILE

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Inauguriamo questa rubrica con i Rossometile. Buona lettura.

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Inauguriamo questa rubrica con i Rossometile. Buona lettura.

Voi siete attivi già dal 1996. Com’è nata l’esigenza di voler proporre musica originale?

È nata dal primo giorno in cui abbiamo imbracciato uno strumento! Abbiamo avuto percorsi diversi e quando ci siamo incontrati per fondare i Rossometile io avevo già suonato e registrato brani con altri progetti, tutti volti alla realizzazione di inediti. Erano gli anni ‘90 e in quegli anni era abbastanza naturale concentrarsi su proposte proprie. Forse oggi lo è un po’ di meno perché, secondo me, con la grandissima diffusione che la musica ha oggi, chi inizia adesso è più propenso ad imitare che a proporre cose nuove.

Ci sono band a cui vi siete inizialmente ispirati?

Sicuramente si, però, per nostra fortuna, credo che queste influenze non si siano mai avvertite nella nostra musica. Il motivo probabilmente sta nel fatto che i membri dei Rossometile hanno avuto storicamente sempre influenze musicali diverse, davvero distanti tra loro, per cui la fusione dei nostri mondi musicali e dei nostri ascolti ha portato, per forza di cose, ad un risultato poco etichettabile, e questo lo consideriamo un elemento positivo.

Le vostre sonorità spaziano in diversi generi rock e metal, passando per il rock, il prog, il gothic e state preparando nuovi brani symphonic metal. Come mai questi cambiamenti da album in album? Un rifiuto ad etichettarsi?

Non si è trattato di qualcosa di studiato ma è capitato naturalmente durante il nostro percorso. La causa principale di ciò sono senz’altro i frequenti cambi di formazione che abbiamo avuto, soprattutto nel ruolo della voce. Questo in qualche modo ha influenzato le nostre scelte e in alcuni casi ha indirizzato la fase compositiva in modo da adeguarsi alle caratteristiche vocali della singer. Per noi infatti la vocalità è sempre al centro della composizione. Siamo consapevoli di aver prodotto una discografia molto eterogenea e del fatto che ciò contribuisca a renderci poco etichettabili, tuttavia è stato un percorso naturale e anche abbastanza inconsapevole.

A chi è affidata la composizione e la stesura dei testi e quali sono le tematiche che trattate nelle vostre canzoni?

Della scrittura dei testi e della composizione dei brani in genere me ne occupo io. Poi con la band si fa una rifinitura dell’arrangiamento. Le tematiche dei testi sono abbastanza varie come lo è la musica, anche se fondamentalmente spaziano nell’introspettivo e a volte dello storico scientifico. Sicuramente per scelta non c’è nulla di politico o sociale. Dietro ogni brano c’è una visione, un immaginario che afferisce a stati d’animo, a situazioni della mente oppure ad episodi storici o aspetti scientifici romanzati.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Abbiamo un album in preparazione. Si tratta del quinto album. Per metà attualmente è già registrato. Stiamo sviluppando altre idee per completarlo. Nei prossimi mesi inizieremo già a pubblicarne qualche traccia mediante un video sul nostro canale youtube senza attendere l’ultimazione dell’intero album. Abbiamo di recente pubblicato un video con il rifacimento in chiave sinfonica della prima parte di un brano intitolato Nel Solstizio d’invero parte 1 e 2, incluso nel nostro quarto album Alchemica. Tra poche settimane pubblicheremo anche la seconda parte. Per quanto riguarda il live abbiamo in programma di ripartire in primavera con una serie di date in tutta Italia e in autunno, per la prima volta, anche fuori dai confini nazionali.

Mi dite i vostri contatti sul web per i nostri ascoltatori?

pagina fb: https://www.facebook.com/rossometile/
sito : http://www.rossometile.it/
canale youtube: https://www.youtube.com/user/rossometile/featured?view_as=subscriber
instagram: https://www.instagram.com/rossometile/

Grazie di essere intervenuti. Vi lascio l’ultima parola!

Grazie infinite per averci dedicato un po’ del vostro tempo! Per noi è molto importante! Vi auguriamo di cercare e di trovare sempre la bellezza e di nutrirvi sempre di musica e cultura, le uniche cose in grado di salvare il mondo!

TREVOR AND THE WOLVES

Quando si intervistano personaggi come Trevor, non bisogna nemmeno introdurli, ma solo mettersi comodi e leggere cosa dicono, e Trevor ha molto da dire, sia sul suo ultimo progetto che sul resto.
Buona lettura.

ME Ciao. Ci racconti come nasce questo progetto ?

TREVOR: Ciao ragazzi, intanto grazie per quest’opportunità. Un saluto a tutto lo staff di MetalEyes e a tutti i lettori.
Trevor and the Wolves è il mio progetto solista, lontano dai miei Sadist. Ho voluto mettere in piedi questa nuova avventura con lo scopo di fare qualcosa di alternativo alla mia band principale, pur restando consapevole che sono nato come cantante death metal e voglio restare tale. L’hard rock, l’heavy classico appartengono a tutti noi che ascoltiamo musica da fine anni settanta, era mia intenzione fare qualcosa che fosse legato a quegli anni e credo che Road to Nowhere rispecchi appieno tali sonorità. Si tratta del mio album solista, ma che al tempo stesso richiedeva il supporto di una band che potesse sposare il progetto stesso, e così sono nati i “miei Wolves”, musicisti di ottima caratura tecnica, scelti non sono per le loro capacità sul singolo strumento ma perché si tratta di grandi amici prima di essere esecutori. Da subito c’è stato buon feeling e anche in sede live abbiamo sperimentato l’amalgama e l’amicizia che ci portiamo sul palco. Avere buona attitudine e il giusto approccio è basilare per una band rock.

ME Quali sono state le influenze musicali che sono confluite nel lavoro?

TREVOR: Come detto, Road to Nowhere è un album hard’n’heavy che rispecchia i canoni del genere, sia musicalmente parlando che attitudine. I rimandi sono quelli che ci portano indietro nel tempo, nonostante la produzione curata da Tommy Talamanca nei Nadir Studios sia da considerarsi assolutamente odierna. Gli stilemi dell’hard rock richiedevano un mixing acustico, suonato con cuore e passione. Sono davvero soddisfatto del lavoro venuto fuori, non ho nulla da recriminare e questo è ciò che più conta. Devo fare i miei più sinceri complimenti alla band e a tutte le persone che hanno lavorato duro per la realizzazione di questo disco. Road to Nowhere è da considerarsi un album a km 0, visto che tutti i miei collaboratori, oltre ad essere persone preparate e professionalmente parlando molto serie, sono anche ottimi amici e che non sono solo vicini affettivamente. Matteo Siri ha diretto il video di Burn at Sunrise così come il secondo che uscirà a breve, di cui non voglio svelare altro, Ennio Parodi si è preso cura di tutto il set fotografico, mentre Eloisa Parodi e Manuel Del Bono hanno lavorato a quattro mani su tutta la parte grafica. Ne è scaturito un gran lavoro da parte di tutti che mi rende orgoglioso. Infine la produzione esecutiva del disco fatta da Nadir Music S.R.L. Ad arricchire il disco sono intervenuti alcuni super musicisti che hanno voluto partecipare alla realizzazione di questo mio sogno, grandi nomi come quelli di Christian Meyer batterista di Elio e le Storie Tese, Stefano Cabrera violoncello dei Gnu Quartet, Paolo Bonfanti, chitarrista e bluesman apprezzato anche oltreoceano, Grazia Quaranta con la sua voce blues/soul (ascoltare per credere), Francesco Chinchella e Daniele dei Winterage, rispettivamente alla ghironda medioevale e cornamusa. Ne è scaturito un gran lavoro grazie anche a loro.

ME Dopo anni di permanenza e di duro lavoro in campo musicale cosa pensi della musica e dell’industria musicale?

TREVOR: Purtroppo non penso bene, sono un pessimista di natura e ovviamente spero di sbagliarmi. Questo non vuol dire che bisogna gettare la spugna anzi, siamo tutti tenuti a fare di più, tuttavia temo che per troppi anni nel nostro paese si sia pensato che il metal fosse divertimento, sono stati persi almeno vent’anni di lavoro e questo si ripercuote sulla nostra scena musicale. L’industria musicale è in netta crisi ormai da anni, non crediamo però che il nemico numero uno sia la masterizzazione, il download o i siti digitali, anzi la fortuna del nostro genere è quella che il feticcio fisico tiene ancora. Il male peggiore è il cambiamento storico e generazionale oltre che l’over offerta, negli anni ottanta le nuove uscite erano venti/trenta l’anno, mentre oggi parliamo di centinaia in un solo mese, è una cosa scontata, la carcassa è divisa da più predatori. Poco importa, ho le spalle larghe e non ho assolutamente voglia di alzare la bandiera bianca, anzi il vessillo col teschio pirata è sempre issato.

ME Se dovessi dare la definizione di metal cosa diresti?

TREVOR: Cuore, passione, fede, spirito di sacrificio, ore di sala prove, adrenalina incontenibile che sconvolge il tuo modo di essere. Credetemi, il metal non è per tutti, bisogna averlo dentro, non si è mai trattata di una moda. Il mio modo di vivere il metal è sempre stato molto viscerale, così come per la squadra del cuore, non puoi concederti alcun tradimento.

ME La musica può essere quindi uno stile di vita?

TREVOR: Assolutamente sì, specie come detto nel caso del metal, e comunque nelle forme di rock. Sono sempre più felice e soddisfatto di appartenere ormai da tanti anni a questo mondo, appartengo al metal e il metal appartiene a me!

ME Quali obiettivi ti poni con questo nuovo progetto?

TREVOR: Sto raggiungendo i miei primi cinquant’anni, sarebbe stupido vivere di sogni e illusioni, questo non significa essere disincantati, a volte sognare è bello ma bisogna sempre avere almeno un occhio aperto che ti possa far vivere le emozioni con i piedi saldi a terra. Non mi sono posto alcun obiettivo se non quello di fare le cose al meglio e di lavorare sodo sulla promozione dell’album. Una cosa è certa, Road to Nowhere non sarà un capitolo isolato, anzi a dire il vero sto già pensando a un nuovo full length anche se ora è forse prematuro, visto che oltre alla promozione del disco appena uscito sono impegnato anche con la stesura dei brani relativi al nuovo album Sadist; insomma si tratta di una bellissima catena di montaggio!

ME Il bellissimo video di Burn At Sunrise è stato girato in posti a te molto cari…

TREVOR: Il progetto Trevor and the Wolves da una parte nasce per soddisfare la mia voglia di fare qualche passo indietro nella mia storia di musicista, di metalkids, di ascoltatore, dall’altra posso confermare che si tratta di un omaggio alla mia terra. Il videoclip di Burn at Sunrise ne è la prova: nonostante a tratti alcune riprese ci rimandino al Nord America in realtà siamo sull’Appenino Ligure in luoghi a me molto cari, avvolti da un fascino incredibile. Ma non è tutto, il brano di chiusura Unforgivable Mistake si riferisce al “Road to Nowhere”, lungo viaggio che mi ha portato in giro per il mondo, a visitare posti incantevoli ma che, al tempo stesso, mi ha ricordato ancora una volta che non c’è partenza più bella del ritorno a casa!

ME In Italia è possibile fare metal di buon livello?

TREVOR: Assolutamente sì, il metal è arte e non dobbiamo dimenticarci che l’Italia è un paese di grande cultura e arte. Purtroppo non abbiamo supporto dai media di maggior rilevanza ma questa è storia vecchia, fortuna che abbiamo imparato a camminare con le nostre gambe. Nel nostro paese abbiamo grandissime band che suonano ogni giorno in anguste sale prova. Dovremmo solo cercare di essere più uniti, specie tra le band più giovani. Quello che di certo fa male alla scena musicale è l’assenza quasi totale di cooperazione, l’unione fa la forza non è solo un proverbio.

ME Grazie mille. Ciao.

TREVOR: Grazie a te e tutta la redazione, un forte abbraccio a tutti voi e ai lettori di MetalEyes, ci si vede on stage e come sempre… In alto il nostro saluto!!
Trevor

Breve storia di un grande gruppo: gli Holy Moses

Quando si parla di thrash in Germania vengono subito in mente i big four tedeschi (Kreator, Sodom, Destruction e Tankard). Eppure, se non altro per longevità, si potrebbero aggiungere anche gli Holy Moses, dalla discografia davvero nutritissima. Andiamo, pertanto, a riscoprirli, tramite questa breve retrospettiva.

Gli Holy Moses furono fondati da Raymond Brusseler, nel lontano 1979, influenzati dall’hard rock e dall’heavy britannico di quel periodo. Per un quinquennio il gruppo vivacchiò e la vera svolta arrivò solo nel 1984, quando entrarono in formazione i due coniugi Classen, Sabina alla voce ed Andy alla chitarra. Con loro vennero incisi due nastri, Walpurgis Night e The Bitch, che fruttarono un contratto con la Aaarrg Records (la label dei connazionali Mekong Delta e Living Death e dei belgi Target). Il 1986 vide l’esordio degli Holy Moses sulla lunga distanza, con Queen of Siam, ancor oggigiorno un piccolo classico. L’anno del vero salto di qualità fu tuttavia il 1987, quando apparve il loro Finished With the Dogs, che conquistò i fans del thrash. I pezzi sono colmi di carisma e molto oscuri, classici dello speed teutonico con il basso martellante, riff secchi e decisi, sorretti da una produzione ferrosa e metallica. La title-track ha inoltre una carica punk che è degna degli Exploited più tirati. Fortress of Desperation si inoltra invece nel doom: i risultati sono a dire poco grandiosi e inquietanti. Anche il mosh-core di Six Fat Woman, con una doppia cassa chirurgica, non è di certo da meno, con ottimi effetti nel dialogo tra la voce solista ed il coro, nel refrain. Da parte sua, Rest in Pain possiede poi un’atmosfera indubbiamente più orrorifica, arricchita da numerose dissonanze genuinamente sinistre e rallentate. L’iconografia generale del disco è sempre cupissima, fatta di vetri rotti, lastre di metallo arrugginite, rifiuti e cemento: un espressionismo volutamente sgraziato, degno sul palco dei migliori Killing Joke.

Nel settembre del 1987, anche per cavalcare l’onda del successo, gli Holy Moses licenziarono l’EP-picture disc Road Crew, con due nuovi pezzi sul retro: Current of Death e Life’s Destroyer. Il fine, evidente, era quello di promuovere il successivo tour in Germania occidentale insieme a DRI e Holy Terror. Nel frattempo, mentre la situazione interna alla band rimaneva non poco burrascosa e molti avvicendamenti di line-up si susseguivano con una certa frequenza, l’istrionica cantante si esibì con ottimi riscontri nelle vesti di presentatrice del programma televisivo dedicato alla musica Mosh.
Nel 1988, vista l’attenzione del pubblico e le buonissime vendite, gli Holy Moses firmarono con la WEA ed entrarono negli studi di registrazione Horus di Hannover per incidervi il loro terzo album, prodotto dal famoso ed affermato Alex Perialas (Anthrax, SOD ed Overkill tra gli altri). I problemi, peraltro, non mancarono: durante le registrazioni il chitarrista Thilo Hermann se ne andò per tornare nei Risk e venne sostituito da Reiner Laws, il quale però su The New Machine of Lichtenstein non suonò affatto, responsabile soltanto della grafica di copertina. La nuova formazione si presentò, con una esibizione davanti a ventimila persone, al Dynamo Open Air, nel maggio del 1989. Il disco però non ebbe il successo sperato e la WEA ruppe il contratto. Fallita l’esperienza con una major, la band tedesca si accasò presso la Virginia Records e, nel rapido volgere di pochi mesi, confezionò l’ottimo World Chaos (1990), in tutto e per tutto un ritorno ai suoni ed allo stile di tre anni prima, forte anche dell’ottima prova finalmente fornita dalla sezione ritmica (Thomas Becker al basso e Uli Kusch alla batteria).

Gli Holy Moses – a differenza di altri colleghi, in patria ed all’estero – non subirono particolarmente il contraccolpo della crisi innescatasi, nel movimento thrash, a partire dal 1991, realizzando ancora Reborn Dogs (1992), l’antologia Too Drunk to Fuck (1993) e No Matter What’s the Cause (1994). Il calo di interesse verso il genere tuttavia prostrò alla fine anche la loro carriera. Riemersero soltanto all’alba del nuovo millennio, con l’entusiasmante Master of Disaster (2001), seguito dai validissimi Disorder of the Order (2002), Strenght Power Will Passion (sin dal titolo una vera dichiarazione di intenti, realizzato tra il 2004 e il 2005) e Agony of Death (2008). Nel 2012 uscì anche la raccolta In the Power of Now, utilissima per chi si volesse accostare loro la prima volta: venti classici del loro repertorio, ri-registrati ex novo, con due brani inediti, aggressivi e asciutti come da tradizione, con il thrash tedesco old school che si rivolge anche a metal classico e hardcore-death, attraverso momenti più elaborati e vari. Notevole, infine, è pure il nuovo capitolo in studio, Redifined Mayhem (2014), forte di una maturità tecnico-compositiva e di una classe identitaria ormai inossidabili.

DANIEL CAVANAGH (ANATHEMA), “MONOCHROME TOUR”, 13 aprile 2018 a ROMA, WIshlist Club

In collaborazione con Aftermath Music Norway, Dark Veil Productions è orgogliosa di presentare la data romana del “Monochrome Tour” di Daniel Cavanagh, il 13 Aprile 2018 al Wishlist Club.

Dopo la meravigliosa notte del 12 Luglio 2017 al Giardino del Monk con il fratello Vincent nel concerto “Anathema Acoustic”, Daniel tornerà nella capitale per presentare il suo primo album solista “Monochrome” (Kscope 2017), apprezzatissimo lavoro a sette tracce caratterizzato da un mood intimo e sofisticato; un’atmosfera elegante e malinconica che ritroveremo anche nei “classici” dello splendido repertorio della band d’origine che Daniel non mancherà di proporre al suo pubblico. Una sera di primavera all’insegna della grande musica d’autore, un appuntamento davvero imperdibile per gli amanti delle sonorità Anathema e per i cultori del rock di pregio.

EVENTO FACEBOOK https://www.facebook.com/events/734936743368067/

Thrash 1991: l’inizio di un decennio di crisi

Come cambiano in fretta ed improvvisamente, a volte, le cose. Anche per la musica.

Il 1990 fu per il thrash un anno formidabile, con le uscite di Souls of Black dei Testament, Persistence of Time degli Anthrax, Seasons in the Abyss degli Slayer, The American Way dei Sacred Reich, When the Storm Comes Down dei Flotsam and Jetsam, Can’t Live Without It dei Gang Green, Live Scars dei Dark Angel, In The Red dei CIA (progetto di Glenn Evans, dei Nuclear Assault), The Edge of Sanity degli Hexenhaus, Rust in Peace dei Megadeth, Violent by Nature degli Atrophy, Speak Your Peace dei Cryptic Slaughter, Faded Glory degli Acrophet, Beg to Differ dei Prong, Lights Camera Revolution dei Suicidal Tendencies, Twisted Into Form dei Forbidden, Idolatry dei Devastation, Best of Wishes dei Cro-Mags, Act III dei Death Angel, Vanity/Nemesis dei Celtic Frost, Condemned to Eternity dei Re-Animator, Psychomorphia dei Messiah, For Those Advantage degli Xentrix.

In Germania videro la luce Coma of Souls dei Kreator, Cracked Brain dei Destruction, Better Off Dead dei Sodom, The Meaning of Life dei Tankard, Dances of Death dei Mekong Delta, World Chaos degli Holy Moses, Urm the Mad dei Protector e Parody of Life degli Headhunter. In Canada, gli Annihilator bissarono il già straordinario esordio con Never Neverland.
Il mega-tour mondiale Clash of the Tytans, inoltre, incendiò molti palchi e nulla pareva poter fare presagire una qualunque crisi di sorta. Il genere – per dirla altrimenti – pareva più vitale ed in forma che mai. Oltretutto, diverse band – sia di prima sia di seconda fascia – avevano sensibilmente migliorato le proprie qualità tecniche ed erano maturate non poco, il che lasciava ben sperare in vista del futuro. Eppure, riflusso ed oblio erano dietro l’angolo, come un triste destino e un malaugurato esito ultimo.

Nel 1991 due autentici boom discografici, almeno sul piano delle vendite, furono il black album dei Metallica e Nevermind dei Nirvana. Il primo, pur buono, tradì un genere, una carriera fino ad allora a dir poco ineccepibile e un’intera scena musicale. Il secondo lanciò la nefasta moda dell’alternative e del grunge. Le case discografiche più importanti iniziarono ad interessarsi, quasi solo, di camicie a scacchi e finti depressi.
I gruppi cosiddetti ‘minori’ (ma non sempre per valore artistico) si sciolsero uno dopo l’altro in un clima di crescente e ingiusta indifferenza musicale. I maggiori, come vedremo nel corso di questa inchiesta, dovettero sovente reinventarsi. L’estremo sopravvisse altrove: il black rinacque in Norvegia e terre scandinave, assumendo caratteristiche e tratti peculiari tutto sommato a sé stanti; l’hardcore si trasformò spesso in crossover (altro trend), mentre il grind (che, storicamente, veniva dal crust punk britannico) si uniformò quasi ovunque al death: quest’ultimo, a sua volta, non smise di vivere i suoi anni grandi in Florida ed in generale oltreoceano, ma nel vecchio continente o smussò gli spigoli (pensiamo agli svedesi Entombed, dopo i primi due favolosi LP) o si ammorbidì, con innesti gotici, prog e sinfonici (tre grandi nomi, su tutti: Therion e Dark Tranquillity, per stare sempre in Svezia; Atrocity, se vogliamo spostarci più a sud in terra tedesca).

In effetti, la svolta impressa dai Metallica del 1991, perlomeno nell’immediato, pareva essere senza ritorno (e non solo per i Four Horsemen, che unicamente da Death Magnetic sarebbero ritornati al thrash). Per gli altri loro colleghi, la scelta fu triplice: o sciogliersi (come accadde a tante apprezzate seconde leve statunitensi), o rivolgersi a soluzioni più commerciali, o indurire la proposta.
Dopo il 1991, nulla fu più come prima e si aprì una decade di delusioni ed incertezze. Intendiamoci: l’heavy classico andò anche lui in crisi (solo parzialmente riscattato, da metà anni Novanta in poi, dal power melodico e dal prog-metal). Idem dicasi per il glam, l’epic, il pomp rock e l’AOR, ma per il thrash le cose assunsero una piega forse ancora peggiore e più drammatica.
I Death Angel abbandonarono la partita, così come i Dark Angel di Gene Hoglan, il cui capolavoro, l’indimenticabile Time Does Not Heal, ebbe la sfortuna di uscire proprio nel 1991. I Megadeth, dal canto loro, realizzarono il loro black album con Youthanasia (nel 1995) e chiusero il decennio con il pessimo Risk. Gli Anthrax, con John Bush degli Armored Saint, alla voce, tennero ancora botta con l’ottimo Sound of White Noise (peraltro, molto più industrial), quindi si smarrirono in modo del tutto inatteso (Stomp 442 è tra le autentiche oscenità dei Nineties ed a dirlo non è di certo un purista).

Gli Annihilator modificarono il loro stile, con inflessioni dapprima di ascendenza Dream Theater (Set the World on Fire, 1993) ed in seguito industriali (Remains, 1997). Celtic Frost, Sabbat, Sanctuary e Nasty Savage si separarono, chi temporaneamente e chi per sempre. I Pantera si diedero al groove metal. I Corrosion of Conformity presero la via del southern e dello sludge sperimentale. I Flotsam and Jetsam, tra l’ancora buono Cuatro (1992) e Unnatural Selection (1999), realizzarono due dischi davvero anonimi di piatto e scialbo HM. I Sacred Reich portarono inizialmente avanti il discorso da loro avviato nel 1990, incidendo l’interessante ed originale Independent (1993), che, tuttavia, quasi nessuno allora notò più. E pure per loro la parola fine venne scritta presto.
Con coerenza ed integrità, rimasero in pista Overkill e Metal Church, entrambi dediti nei Novanta a un fecondo e nobile intreccio di retaggio speed-thrash ed elementi di derivazione US metal. Sia gli Overkill, sia i Metal Church, peraltro, furono seguiti quasi soltanto dai fedelissimi e dai defenders di provata intransigenza alle nuove mode. Il techno-thrash mutante non morì (pensiamo ai Voivod e ai Coroner) ma per alcuni esordienti – in Finlandia gli ARG, in Austria i Ravenous – debuttare proprio nel fatidico ’91 fu quanto mai deleterio (ancora oggi infatti sono rimasti nomi di nicchia e di culto, per pochi estimatori).

Esemplare, al riguardo, la parabola dei tedeschi Sieges Even: un fenomenale esordio nel 1988, con il techno-thrash iperconcettuale e cinematico di Lifecycle, quindi il passaggio, guarda caso appunto dal 1991, a un prog metal assai melodico e blandamente jazzato.
Visto che, con i Sieges Even, siamo arrivati a parlare di Germania, vediamo un poco più in dettaglio che cosa accadde nel paese che, dopo gli Stati Uniti, aveva dato di più alla causa del thrash. Dopo il 1991, la scena tedesca subì veramente il colpo. Se da un lato i Kreator cominciarono a sperimentare con intelligenza e coraggio nuovi approcci sonori, di matrice industrial e dark-wave elettronica, ed i Sodom riuscirono a stare sulla breccia sporcando ulteriormente il loro stile, con ruvidi innesti, prima death e poi hardcore punk, moltissimi gruppi – in vero, quasi tutti – che avevano gravitato, attorno a loro, nel ricco panorama thrash germanico scomparvero oppure cambiarono genere, virando verso il power melodico (gli Angel Dust, ad esempio).
I Destruction, da parte loro, rimasero in silenzio per quasi quattro anni, il che già la diceva lunga, circa la loro crisi, e tra il 1994 ed il 1995 pubblicarono due sconcertanti EP, lontanissimi dal genere che li aveva visti tra i grandi protagonisti, convertiti ora ad un groove metal modaiolo e di scarsa qualità. Pessimo fu pure il disco edito nel 1996, dalla Brain Butcher, The Least Successful Human Cannonball: un tradimento bello e buono della antica causa, giustamente e coerentemente rinnegato in seguito dall’act tedesco, tornato a nuova vita a partire dal 1999-2000. Durante i Nineties, in Germania, si persero le tracce di Asgard, Assassin, Brainfever, Darkness, Assorted Heap, Vectom, Deathrow, Despair, Exumer, Grinder, Iron Angel, Living Death, Risk, Vendetta e Violent Force. L’underground speed-thrash pareva scomparso. La rinascita giunse solo, nel 2001, con il ritorno al thrash da parte dei Kreator: il combo di Mille Petrozza, con Violent Revolution, aggiornava, con classe, stile e potenza, l’universo sonoro e anche l’iconografia di Coma of Souls, dando vigore e slancio nuovi a una scena da quel momento in via di resurrezione artistico-musicale.

Il peggio era, ora, alle spalle. Ma ritorniamo al 1991, vero e proprio annus horribilis per il movimento thrash, in particolare per quello della Bay Area di San Francisco.
A conti fatti, i grandi che seppero resistere e ripartire furono coloro che accettarono la sfida, per un verso ammettendo (sia pure a malincuore) che una stagione – durata poi solo otto anni, da Kill ‘Em All e da Show No Mercy all’anno del black album – s’era comunque ormai conclusa e che solamente incattivendo in maniera ulteriore il suono era possibile dar nuova vita e almeno in parte nuovo volto al thrash tradizionale, alzando l’asticella in direzione death e stando così al passo con i tempi, senza però rinnegarsi. E’ quanto fecero i Sadus di Steve Di Giorgio (forse il più grande bassista metal del mondo dopo la scomparsa di Cliff Burton), i Sepultura (non senza flirtare, qua e là, col nu metal più creativo), i Testament (i cui album incisi per la Spitfire non saranno all’altezza dei classici degli anni ’80, ma tuttavia tengono il passo e preparano alla rinascita, anche dell’intero movimento), gli Slayer (i quali, nel 1991, pubblicarono il granitico doppio live A Decade of Aggression, seguito da tutta una serie di album seri, professionali e assolutamente inappuntabili sino ad oggi) e volendo i Demolition Hammer di New York.
Oggi, si sa, il thrash è letteralmente risorto, fra ritorni di vecchi eroi e nuovi promettenti gruppi. Gli Slayer, i Metallica, i Megadeth e gli Anthrax (i così detti Big Four) sono di nuovo in gran spolvero e lo stesso può dirsi di Testament, Death Angel e Annihilator (a dicembre del 2017 apprezzati al Live Club di Trezzo sull’Adda), di Exodus ed Hexx, Laaz Rockit, Prong, Whiplash, Flotsam and Jetsam e dei tedeschi Kreator, Destruction, Sodom, Tankard, Accuser, Protector, Holy Moses, Necronomicon e Paradox. Tutti nuovamente sulle ali della meritata ribalta, non senza una maturità, sia compositiva, sia esecutiva, che è inevitabilmente figlia degli anni e del tempo frattanto trascorso.
Oggi abbondano finalmente le ristampe. La scena italiana è nutritissima e di vivo spessore. Il black-thrash è tornato in auge con Inquisition, Akroterion, Condor, Evil Spirit, Ulvedharr e Bunker 66 (e a breve dovrebbe arrivare l’atteso come-back dei Possessed). Gruppi di culto del passato, oltre a veder finalmente riediti su CD i propri dischi, si sono inoltre ricostituiti, pubblicando nuovi lavori, come nel caso dei californiani Dream Death (non senza consistenti componenti doom) e Detente.

Vi è poi una rinnovata e prolifica scena di nomi nuovi, da seguirsi con la dovuta attenzione: Skeletonwitch, Bonded by Blood, Warbringer, Gama Bomb, Havok, Vektor, Power Trip, Enforcer, Evil Invaders e Ranger in primis. Ma occhio, altresì, a Resistance, Lair of the Minotaur, Without Waves, Black Fast, Revocation e Municipal Waste in America, a Dew-Scented, Disbelief, Grantig, Ravager, Reflection, Repent, Running Death, Septagon, Stormhammer, Valborg, Vulture e Zombie Lake in Germania, ai neozelandesi Stalker, ai russi Hell’s Thrash Horsemen, agli indiani Kryptos, ai finlandesi Ranger, ai polacchi Raging Death, ai brasiliani Woslom, agli ungheresi Ektomorf, agli ellenici Sacral Rage e Chronosphere, agli svizzeri Excruciation (con influenze Killing Joke e post-punk), agli australiani Destroyer 666, Envenomed, Hidden Hintent, Harlott, In Malice’s Wake e soprattutto Meshiaak, agli svedesi Armory e Night Viper, ai danesi Battery ed ai canadesi Droid, Warsenal, Untimely Demise e Arckaic Revolt, senza dimenticare i sempreverdi e inossidabili Onslaught in Inghilterra, sovente in tour e dal catalogo adesso quasi tutto disponibile.
Insomma, la crisi innescatasi nel lontano 1991 è stata positivamente superata. E’ divenuta un ricordo, che sa comunque di storia. Vera e vissuta.

TIFONE CREW: nasce il collettivo underground catanese, dettagli sul primo evento JETTASANGU FEST

Tifone Crew nasce sul finire del 2017 da un collettivo di musicisti, artisti e operatori del settore culturale uniti dall’obbiettivo di promuovere eventi musicali underground a Catania. L’ambito di riferimento è tutto ciò che rientra nei canoni di un certo modo di intendere la musica (inedita), principalmente in area metal, hardcore, stoner, hip-hop, post-rock, alternative.
Tifone Crew non è un’agenzia di booking, dunque, ma una comunione di intenti che mira a rinvigorire una scena che negli ultimi anni sembra ridotta in fin di vita, favorendo la cooperazione tra le varie realtà presenti sul territorio: musicisti, band, locali, illustratori, fotografi, videomaker.
Jettasangu Fest è la prima produzione del collettivo catanese, dedicata alle realtà estreme locali e articolata in due serate. La prima vedrà alternarsi sul palco i chirurgici slammers Gangrenectomy, i Fordømth, combo black/sludge/doom al proprio esordio live, e i Whispering Haze, devoti al più puro Gothenburg Sound. L’appuntamento è fissato per sabato 17 febbraio 2018 al Ramblas DiscoPub di Catania. Di seguito tutti i dettagli e il flyer, realizzato da Gore Occulto.

JETTASANGU FEST VOL. 1 W/
WHISPERING HAZE [Melodic death metal]
https://www.facebook.com/whisperinghaze/

FORDØMTH [Black/sludge/doom metal]

GANGRENECTOMY [Slam brutal death metal]
https://www.facebook.com/GangrenectomySlam/

17.02.2018
H 22.00
Ramblas DiscoPub, Via Manzoni 86, Catania
Ingresso: 3€
Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1909790252669440/
Tifone Crew: https://www.facebook.com/tifonecrew/
E-mail: tifonecrew@gmail.com