Rudhen – Imago Octopus

Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.

Assai vasto è il mare magnum dello stoner nostrano e non solo, dato che è un genere che negli ultimi anni ha conosciuto notevole diffusione.

Partendo da questo presupposto bisogna anche dire però che molte delle band si assomigliano, dividendosi all’incirca per gruppi di influenza, con chi è più desertico, chi più sabbatico, chi più regina dell’età di pietra, però essere originali non é affatto facile. I Rudhen invece ci riescono molto bene, dando alle stampe un ep di stoner di derivazione desertica, ma con una forte anima psichedelica, e quasi prog in certi frangenti. Le canzoni dei Rudhen sono concepite come dei potenti viaggi da compiere, e la meta è quella che ognuno di noi preferisce e si crea. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità di espressione musicale, dove una stessa traccia può mutare in diversi e multiformi disegni di luce nelle ombre. Con i Rudhen si parte e non si sa dove si arriva, ed è questo il bello. Il gruppo nasce in Veneto e tra un pub e l’altro nel 2013 si mettono insieme, nel 2014 iniziano a suonare e subito riescono a creare interesse intorno a loro, ed ascoltandoli non si fa fatica a capirne il perché. Questo loro secondo ep è sicuramente il loro lavoro più maturo e, a livello compositivo, è assai notevole: il loro suono non annoia mai, anzi si ha voglia di annidarsi comodamente in questi corridoi di suono vitaminico ed arioso. I Rudhen, grazie alle loro diverse influenze ed al loro talento, emergono nettamente dal resto degli altri gruppi ed assicurano ottimo stoner e soprattutto un grande divertimento.
Il groove di Imago Octopus è profondo e fresco, come una birra ghiacciata nel deserto che ci circonda.
La provincia colpisce ancora molto forte.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo – Voice
Fabio Torresan – Guitar
Maci Piovesan – Bass
Luca De Gaspari – Drums

RUDHEN – Facebook

Endezzma – Morbus Divina

Cinque anni dopo il primo full length tornano gli Endezzma con queste due perle nere antipasto, si spera, di una prossima prova sulla lunga distanza.

Storie di black metal: gli Endezzma sono un gruppo black metal norvegese, nata dalle ceneri dei Dim Nagel e fondata dal vocalist Morten Shax e da Trondr Nefas, ex Urgehal e Angst Skvadron scomparso nel 2012.

Nato intorno al 2005, il gruppo diede alle stampe un ep nel 2007 (Alone) e soprattutto un full lenght, Erotik Nekrosis, licenziato nel 2012 ed ultima testimonianza musicale del musicista norvegese.
La band ritorna sotto l’ala della Pulverised Records con questo bellissimo 7″ composto da due tracce, la devastante Morbus Divina, brano che da il titolo all’ep, classica song black metal tra Darkthrone e Satyricon, e la splendida Black Tempest, traccia capolavoro che, se riprende il mood del gruppo di Satyr e Frost, lo valorizza di un’anima metallica di stampo classico, marcia e oscura ma pur sempre con la fiamma che rivolge il suo calore all’heavy metal, squarciata da ritmiche infernali, oscure e maligne.
Il gruppo, ora in mano al solo vocalist, si completa con la sezione ritmica formata da Aske e Skriu (rispettivamente basso e batteria) e delle due chitarre, in mano a Mattis Malphas e Nihil.
Cinque anni dopo il quintetto scandinavo torna alle morbose trame di cui è capace, proponendo black metal come nella migliore tradizione norvegese con queste due perle nere antipasto, si spera, di un ‘altra prova sulla lunga distanza.

TRACKLIST
Side A
1.Morbus Divina

Side B
2.Black Tempest

LINE-UP
Mattis Malphas – Guitars
Morten Shax – Vocals
Nihil – Guitars
Aske – Bass
Skriu – Drums

ENDEZZMA – Facebook

A Sun Traverse – A Sun Traverse

Un’opera breve ma che fa presagire la prossima affermazione di una nuova realtà in grado di regalare emozioni agli estimatori del doom death melodico.

Guardando la formazione degli A Sun Traverse, band danese all’esordio con questo ep autointitolato, chi ama i Saturnus e ne conosce a menadito la storia avrà avuto senz’altro un sussulto: infatti, ad esclusione del vocalist Michael H. Andersen, tutti gli altri musicisti coinvolti nel progetto furono artefici dell’incisione di quel capolavoro intitolato Veronika DecidesTo Die (2006).

Quindi era lecito attendersi da questo gruppo un death doom melodico e dalle ampie aperture atmosferiche e così è, visto che in circa 25 minuti il sestetto di Copenhagen mette in scena quello che è naturalmente nelle loro corde.
Al netto dei due brani strumentali, è il caso di soffermarsi sulle altre tre tracce, tra le quali l’opener Still Shining ha un andamento più movimentato pur non lesinando le consuete malinconiche progressioni chitarristiche.
Molto più saturniana invece è Dance Darkness, Dance introdotta da The Meadow: qui si riconoscono alcune delle coordinate tipiche quali appunto il piano, che fa la sua apparizione sia nell’intro che in alcun parti del brano, sia il magnifico assolo di chitarra; anche The Autumn Of Fall si ammanta di magnifiche e dolenti melodie, spingendo maggiormente sul piano ritmico e trovando in qualche modo una sorta di trait d’union tra Saturnus e Swallow The Sun, complice anche lo screaming utilizzato talvolta dal bravo Andersen. Molto bella comunque anche la traccia finale, uno strumentale dai tratti davvero inquietanti, suggello di un’opera breve ma che fa presagire la prossima affermazione di una nuova realtà in grado di regalare emozioni agli estimatori del doom death melodico.

Tracklist:
1.Still Shining
2.The Meadow
3.Dance Darkness, Dance
4.The Autumn Of Fall
5.The Harvest

Line-up:
Lennart Jacobsen – bass
Nikolaj Borg – drums
Peter Erecius Poulsen – guitars
Tais Pedersen – guitars
Anders Ro Nielsen – keyboards
Michael H. Andersen – vocals

A SUN TRAVERSE – Facebook

Clouds Of Dementia – Seventh Seal

Black Sabbath, Pentagram e Candlemass, nè più ne meno il sound del gruppo è ispirato a queste icone del genere, perciò un ascolto è consigliato a chi ama le band citate ed i loro figli sparsi per il mondo musicale.

Nel doom di stampo classico non sono poche le buone realtà che ci arrivano da tutto il mondo, ed in questa sede vi presentiamo il quartetto transalpino dei Clouds Of Dementia, all’esordio autoprodotto e promosso dalla Solstice Promotions, con Seventh Seal, ep di cinque brani ricchi di atmosfere heavy/doom classiche.

Tempi medi, rallentamenti e riff di granitico heavy metal si scagliano su ritmiche e sfumature messianiche in orge temporali dove vengono chiamate in causa i migliori act della musica del destino.
Dagli anni settanta passando per i vari decenni, la scena del doom classico ha vissuto una vita parallela mentre piano piano passavano le mode, continuando a proporre  litanie e riti di questa magica variante della musica heavy: i Clouds Of Dementia tutto questo lo fanno assaporare agli amanti del genere, con brani forgiati nello spartito dei mostri sacri del genere, con tutti i tasselli al loro posto e forti di una manciata di brani che da Welcome, passando per la title track e la notevole My Friend, non ci fanno risparmiare i complimenti per Jujux (voce) e soci.
Black Sabbath, Pentagram e Candlemass, ne più ne meno il sound del gruppo è ispirato a queste icone del genere, perciò un ascolto è consigliato a chi ama le band citate ed i loro figli sparsi per il mondo musicale.

TRACKLIST
1.Welcome
2.All My Prayers
3.Seventh Seal
4.Love Song
5.My Friends

LINE-UP
Jujux – Vocals
Ben – Lead Guitar
Chérubin – Rhythm Guitar
Cécile – Bass
Azra – Drums

CLOUDS OF DEMENTIA – Facebook

Dread Sovereign – For Doom The Bell Tolls

Un ep convincente, a conferma del fatto che i Dread Sovereign non sono solo un diversivo per Alan Averill.

A quasi tre anni dall’ottimo All Hell’ Martyrs ritroviamo i Dread Sovereign, quella che pare essere diventata l’attuale priorità musicale di Alan Averill alias Nemtheanga, visto il prolungarsi del silenzio discografico dei Primordial.

For Doom The Bell Tolls esce in formato 12 pollici e di fatto consta di tre brani veri e propri, più due strumentali e la cover di Live Like An Angel, Die Like A Devil dei Venom.
Il contenuto del lavoro, per quanto possa avere un carattere estemporaneo vista la sua relativa brevità, parrebbe propendere verso forme di heavy doom più in linea con la tradizione, per quanto reso sempre inquieto dal timbro vocale non comune di Averill, senza farsi mancare accelerazioni che nel precedente full length non venivano esibite in maniera così convinta.
Ritengo però che, come spesso accade negli Ep, vi sia un brano portante con tutti gli altri che gli fanno da corollario, è non c’è dubbio che questo corrisponda a Twelve Bells Toll In Salem, lungo episodio che a mio avviso rappresenta al meglio la vera natura dei Dread Sovereign, con il suo pesante carico psichedelico che si fa spazio nella seconda parte rispetto ad una prima metà in cui, invece, spadroneggia la solita debordante interpretazione di Nemtheanga su un magnifico tappeto doom.
Sarebbe facile liquidare i Dread Sovereign come una sorta di versione a 16 giri dei Primordial, alla luce anche della presenza del drummer Sol Dubh che, con il vocalist, compone la rocciosa base ritmica: in realtà le cose non stanno così perché, come già ampiamente dimostrato in All Hell’s Martyrs, Bones si dimostra ancora una volta chitarrista versatile e capace di spostare il sound della band su piani stilistici differenti, passando dai toni classici del genere a sfumature gothic, che in questo caso si manifestano maggiormente in una traccia a tratti dai sentori nefiliani come The Spines Of Saturn.
Per il resto, buona anche This World Is Doomed, specie nella sua seconda parte, quando è il doom psichedelico a prendere la scena rispetto ad una più movimentata fase iniziale, mentre la cover dei Venom è il classico elemento che nulla aggiunge e nulla toglie al valore di un lavoro che offre almeno una mezzora di musica convincente, a conferma, soprattutto, del fatto che i Dread Sovereign non sono solo un diversivo per Alan Averill, il che fa presagire buone nuove anche per il futuro.

Tracklist:
1. For Doom The Bell Tolls
2. Twelve Bells Toll In Salem
3. This World Is Doomed
4. Draped In Sepulchral Fog
5. The Spines Of Saturn
6. Live Like An Angel, Die Like A Devil (Venom Cover)

Line-up:
Nemtheanga – vocals, bass
Dubh Sol – drums
Bones – guitar

DREAD SOVEREIGN – Facebook

Snake Bite Whisky – Dirty

Rock ‘n’ roll metallizzato, irriverente e senza compromessi, sex drugs & rock ‘n’ roll con annessi e connessi, completamente devoto al sound americano con i suoi difetti e le sue mille virtù.

Gli Snake Bite Whisky sono una delle più promettenti sleazy street bands australiane.

Attivi dal 2014 hanno dato alle stampe un singolo ed un ep, Two Steps To Oblivion, accolto molto bene negli States, tanto che il gruppo ci ha passato mesi a suonare in lungo e in largo. Tornano con Dirty, altro ep composto da cinque brani di hard rock ‘n’ roll, come lo si suonava nella città degli angeli negli anni ottanta.
Dunque rock’n’roll metallizzato, irriverente e senza compromessi, sex drugs & rock’n’roll con annessi e connessi, completamente devoto al sound americano con i suoi difetti e le sue mille virtù.
La biografia che accompagna l’opera parla di Guns’n’Roses e Motorhead, ma se per i primi se ne può parlare Lemmy lasciamolo dov’è, qui si fa rock emulando gruppi nati aldilà dell’oceano, perciò tra i solchi delle indiavolate Comes Around, Dirty Mouth e Shoot You Down troverete neanche troppo velati riferimenti a Motley Crue, Faster Pussycat, L.A Guns e teppaglie varie che dettavano legge sul Sunset Boulevard trent’anni fa.
Niente male, l’attitudine c’è ma il senso di copia incolla in certi frangenti supera la semplice ispirazione; in Italia ultimamente sappiamo fare sicuramente di meglio e come ho scritto molte volte la nostra scena pullula di realtà con molto più talento e personalità. Insomma qui c’è da lavorare ancora un po’.

TRACKLIST
1.Comes Around
2.Dirty Mouth
3.Let’s Fuck
4.Lost saints
5.Shoot You Down

LINE-UP
Jay R – Vocals
David Arens – Guitars
Stacii Blake – Bass
Nick Dysart – Drums

SNAKE BITE WHISKY – Facebook

Evil Reality – Winners And Losers

Gli Evil Reality producono un disco molto bello ed interessante, originale e con una grande anima gotica, anche se non disdegnano e possiedono molta sapienza pop.

Ep d’esordio per questo gruppo milanese di metal sperimentale e felicemente spiazzante.

Ascoltando l’ep si finisce infatti in diversi generi, quali il gothic, l’industrial più melodico e il groove metal. La melodia è molto forte e strutturata, e la bella voce femminile di Sorrow rende moltissimo. Le canzoni sono tutte ben costruite e le parti aggressive e più dolci sono ben bilanciate. L’influenza dei Rammstein in alcuni momenti è molto forte, ma l’originalità del gruppo non è ma in discussione. Winners And Losers è anche un disco orecchiabile e radiofonico, coniugando bene la ricerca musicale con una giusta accessibilità per tutti o quasi. Stupisce la maturità del gruppo, questa conoscenza del percorso da intraprendere e anche la capacità di essere duri e dolci anche nella stessa canzone, senza essere schizofrenici. Il metal di Winners And Losers è sicuramente un metal altro, moderno ma anche molto gotico nel gusto. Il concept dell’ep sono le emozioni che viviamo in questa vita, suddivisi tra vincenti e perdenti. Gli Evil Reality producono un disco molto bello ed interessante, originale e con una grande anima gotica, anche se non disdegnano e possiedono molta sapienza pop. Insomma un bel sentire, ed è solo l’inizio.

TRACKLIST
1- Will to Power
2- Frail
3- Excluded
4- Bittersweet Lullaby
5- Losers’ Kingdom

LINE-UP
Sorrow – voice
Envy – guitar and 2nd voice
Shame – bass guitar
Shy – keyboards
Aloof – drums

https://www.facebook.com/Evil-Reality-235272533479256/

88 Mile Trip – Blame Canada

Gli 88 Mile Trip trasformano le montagne del Canada nel deserto della Sky Valley e ci consegnano un’altra bordata di hard rock stonato, questa volta intitolato Blame Canada, ep composto da cover di nomi conosciuti o meno del panorama rock.

Come per il precedente full length la band stoner 88 Mile Trip trasforma le montagne del Canada nel deserto della Sky Valley e ci consegna un’altra bordata di hard rock stonato, questa volta intitolato Blame Canada, ep composto da cover di nomi conosciuti o meno del panorama rock.

Per chi si era perso la recensione del primo lavoro ricordo che la band di Vancouver è al quarto parto, dopo il primo ep omonimo del 2013 (anno di fondazione del gruppo), un live e, appunto il primo album Through the Thickest Hazem, uscito due anni fa.
Un viaggio iniziato tra le nevi e le foreste del Canada e lungi dall’essere concluso, persi nel deserto, miglia e miglia verso sud dove gli 88 Mile Trip si ritrovano a ballare in un sabba, in compagnia di Kyuss, Orange Goblin, Fu Manchu ed una buona fetta dei nomi storici dell’hard rock settantiano.
Il quintetto ci scarica una montagna di watt stonati ed in venti minuti abbondanti ci consegna un macigno di hard rock drogato, un passo avanti rispetto ai precedenti lavori, grazie alle cover di vari artisti tra cui Crosby, Stills Nash and Young (Ohio).
Blame Canada è pesantissimo ma allo stesso tempo fruibile, gli accordi e le armonie bruciate dal sole del deserto dell’opener Not Fragile (Bachman Turner Overdrive) confermano l’ottima vena del gruppo così come Cowboys In Hong Kong dei Red Rider.
Cathedral, Black Sabbath e Kyuss sono al servizio del doom acido di cui gli 88 Mile Trip sono i sacerdoti tossici, i cerimonieri settantiani (in Tomcat Prowl) o i rockers nostalgici di un momento storico per la musica rock (60/70) che non tornerà mai più (Ohio).
A volte ritornano, e si tratta di band del cui cammino MetalEyes è fiero di continuare a farvi partecipi, in un mondo come quello del rock sempre e comunque in continuo movimento.

TRACKLIST
1. Not Fragile (Bachman Turner Overdrive cover)
2. Cowboys In Hong Kong (Red Rider cover)
3. Tomcat Prowl (Doug and The Slugs Cover) Feat. Simon Kendall
4. Ohio (Crosby, Stills Nash and Young Cover)
5. Wild Eyes (Stampeders cover)

LINE-UP
David Bell – Vocals
Pat Hill – Guitar
Darin Wall – Bass
Eddie Riumin – Drums

88 MILE TRIP – Facebook

Coffin Surfer – Rot A’ Rolla

Undici minuti bastano per convincerci d’essere al cospetto di una band originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

Rot A’ Rolla, ovvero quando undici minuti bastano per convincerci di essere al cospetto di una cult band, originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

I bolognesi Coffin Surfer, un quartetto di pazzi grindsters con la passione per il rock’n’roll, hanno un solo demo alle spalle, uscito tre anni fa e tornano sul mercato underground con questo ep di cinque brani che riescono nell’intento da sempre perseguito dalla band : far ballare e scapocciare zombie e pin up a colpi di rock’n’roll, death, grind e surf.
La voce campionata di Phil Anselmo ci introduce nel mondo di Rot A’ Rolla e Nutria esplode tra ritmiche surf e grind/death: i grugniti classici del grind si confondono tra pesantissimo groove e devastanti ripartenze estreme e, come un orologio, il gruppo risulta preciso e perfetto, con Headless Chicks Rodeo se possibile ancora più devastante e violenta.
Saint Fetus è death metal feroce e sguaiato, mentre i venti secondi di Escape From India ci introducono alla conclusiva Deathroll, dove Motorhead, Napalm Death ed Elvis Presley vengono evocati all’unisono per sconvolgere le normali dinamiche del metal rock mondiale.
Grande band quella formata da questi ragazzi bolognesi, che sanno soprattutto suonare e lo dimostrano pur mantenendo un approccio alla propria musica violento e scanzonato in uguale misura. Resta solo da ascoltare per credere.

TRACKLIST
1.Nutria
2.Headless Chicks Rodeo
3.Saint Fetus
4.Escape From India
5.Deathroll

LINE-UP
Pica – Vocals
Balbo – Drums
Vale – Guitars
Raffa – Bass

COFFIN SURFER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

NORÐ – Alpha

Alpha è da annoverare tra le nuove proposte di metal moderno, tramite il quale il gruppo cerca di rendere il sound più adulto possibile, a tratti riuscendoci grazie a passaggi introspettivi e drammatici, mentre non sempre convince nei momenti estremi, troppo vicini alle soluzioni di stampo core.

Debutto in formato ep per il quintetto danese dei NORÐ sotto l’ ala della Inverse Records.

La band ,nata nel 2013, arriva con Alpha all’esordio discografico portando all’attenzione degli appassionati il suo sound che vive di diverse sfumature prese dal variegato mondo del metal.
Metallo progressivo, come sostiene l’etichetta, o un buon mix di diverse atmosfere e generi?
A mio parere l’elemento progressivo si ferma a qualche cambio di ritmo, mentre dall’ascolto di questi quattro brani si evince un buon mix di generi che vanno dal metalcore a quello classico, un uso parsimonioso ma centrato di melodie malinconiche e l’ormai abusata soluzione della doppia voce, in scream e pulita.
Alpha è da annoverare, dunque, tra le nuove proposte di metal moderno, tramite il quale il gruppo cerca di rendere il sound più adulto possibile, a tratti riuscendoci grazie a passaggi introspettivi e drammatici (Restless), mentre non sempre convince nei momenti estremi, troppo vicini alle soluzioni di stampo core.
In generale i brani funzionano, Kill The Marshalls, per esempio, è un’opener dall’ottimo impatto tra metallo estremo e melodie tragicamente moderne, ma per un futuro lavoro sulla lunga distanza ai musicisti danesi serve qualche idea in più per non perdersi nei meandri del già sentito.

TRACKLIST
1. Kill the Marshalls
2. Rosehip Garden
3. Restless
4. Omega

LINE-UP
Bjarne Brogaard Matthiesen – Vocals
Niels Thybæk-Hansen – Guitar
Thomas Bøgh Jensen – Guitar
Peter Littau – Bass
Magnus Elisson – Drums

NORÐ – Facebook

Four Star Revival – The Underdog EP

I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.

Tornano con un nuovo ep di cinque brani i Four Star Revival, gruppo statunitense composto da vecchie volpi dell’hard rock ed heavy metal del nuovo continente.

Ed Girard (ex Common Social Phenomenon) al basso, Benny Bodine (ex Warminister) alla sei corde, il batterista Paul Strausburg ed il singer Jack Emrick, ex Live After Death e con un presente negli storici Armored Saint, formano questa sorta di super gruppo, che fece parlare di sé un paio di anni fa con il debutto sulla lunga distanza intitolato Knights of the Revival.
In attesa di un nuovo full length la band licenzia The Underdog ep che funge da parentesi tra il primo lavoro ed il prossimo.
Il sound del quartetto americano si compone di un’ottima amalgama di sonorità della tradizione metallica statunitense che vanno dall’hard rock all’heavy power, sorrette da potentissime bordate ritmiche, suoni chitarristici forgiati nell’U.S. metal ed una prestazione sontuosa del cantante, classico esempio della scuola d’ oltreoceano, dall’ugola maschia d’impostazione hard rock e molto interpretativa.
I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.
The Underdog spara subito due cannonate come la title track e Liar, heavy power song con groove a manetta e solos tonanti, mentre il vocalist dimostra subito che, dietro al microfono degli Armored Saint non ci si finisce per caso.
Rumors Of War è un mid tempo leggermente più scontato , mentre con Broken si vola sulle ali di una semi ballad in crescendo e The Garden Of Good And Evil chiude alla grande questo ep con fuochi d’ artificio di scuola primi Savatage e i già citati Armored Saint.
Un ottimo mini che conferma la bontà del gruppo dell’Ohio e ci consegna un’altra band da seguire nel suo cammino metallico, sperando che i tempi di attesa per il prossimo album non siano troppo dilatati.

TRACKLIST
1.The Underdog
2.Liar
3.Rumors Of War
4.Broken
5.The Garden Of Good And Evil

LINE-UP
Jack Emrick – vocals
Benny Bodine – guitar
Ed Girard – bass
Paul Strausburg – drums

http://www.facebook.com/FourStarRevival

Impure Ziggurat – Serenades of Astral Malevolence

Sono pochi due brani per imprimere un definitivo marchio di qualità al black/death metal della band transalpina, ma bastano per rinvenire un’attitudine sincera e la voglia di provare a raccontare qualcosa che vada oltre satanismo o paganesimo.

Breve Ep per i francesi Impure Ziggurat, dopo il demo rilasciato all’inizio del 2015 quale primo atto ufficiale della loro storia.

Sono pochi due brani per imprimere un definitivo marchio di qualità al black/death metal della band transalpina, ma bastano per rinvenire un’attitudine sincera e la voglia di provare a raccontare qualcosa che vada oltre satanismo o paganesimo, utilizzando quale mezzo un genere suonato comunque in maniera piuttosto ortodossa.
Le tematiche riguardanti le civiltà antiche (intuibili dal monicker) e l’astrosofia ben si addicono ad un sound oscuro e avvolgente, magari non sempre impeccabile a livello esecutivo, ma dotato dei numeri sufficienti per attirare l’attenzione: i rallentamenti doom che aprono entrambi i due brani principali, Convocation Of M64 Abominations e Summoning Oort’s Semen (l’opener Teleos Eniautos è una breve intro di stampo sinfonico), le buone melodie chitarristiche in tremolo ed un growl catacombale di matrice death, vanno a formare una quadro massiccio ma abbastanza versatile, in relazione al tipo di sound offerto.
Una prova che bada più alla sostanza che alla forma, positiva perché, in fondo, a noi piace anche così …

Tracklist:
1.Teleos Eniautos
2.Convocation Of M64 Abominations (Abhorrent Portal OF Flesh, Collapsed)
3.Summoning Oort’s Semen (Crawling Into The Serpent’s Nest)

Line-up:
LDVC – Bass
RM – Drums
CDRK – Guitars
TR – Vocals, Guitars

IMPURE ZIGGURAT – Facebook

Deathfucker – Fuck The Trinity

Fuck The Trinity è un esempio di musica underground nella più pura concezione del termine, è metallo disturbante e malvagio, dove mere disquisizioni tecniche lasciano spazio ad impatto ed attitudine, presentandoci una nuova realtà estrema che trae linfa dai padri storici del metal estremo ottantiano.

Pei i Deathfucker il tempo si è fermato ai primi anni del decennio ottantiano, quando nella fiorente scena heavy metal muovevano i primi passi realtà molto più estreme e pericolose.

Devoto al signore oscuro e fortemente anticristiano, questo progetto vede coinvolti Insulter (chitarra, basso, voce e testi) e J.K. (batteria), nel passato membri di gruppi come Raw Power, Valgrind ed Inferi.
Questo demo di tre brani ci presenta una realtà malvagia, famelica e ingorda di male, che si nutre del più marcio thrash metal underground e lo potenzia di devastante attitudine death.
Il lavoro denota un approccio di inumana violenza, senza compromessi, satanico ed assolutamente old school, roba per maniaci del metal estremo underground: i tre brani (Dechristianized, Fuck The Trinity, Intoxication Of The Soul), sono altrettante spallate metalliche di diabolica violenza, frustate che dal braccio di Insulter arrivano alla schiena, conficcando i chiodi tra le scapole come nel supplizio del Cristo.
Fuck The Trinity è un esempio di musica underground nella più pura concezione del termine, è metallo disturbante e malvagio, dove mere disquisizioni tecniche lasciano spazio ad impatto ed attitudine, presentandoci una nuova realtà estrema che trae linfa dai padri storici del metal estremo ottantiano.

TRACKLIST
1.Dechristianized
2.Fuck The Trinity
3.Intoxication Of The Soul

LINE-UP
J.K – Drums
Insulter – Guitars, Bass, Vocals

DEATHFUCKER – Facebook

Cowards – Still

Un ep fuori dal comune, potentissimo e bellissimo, di un gruppo tra i migliori nel panorama pesante mondiale.

I Cowards sono, in breve sintesi, un fenomenale gruppo di noise hardcore, con elementi sludge, ma soprattutto puntano alla vostra giugulare.

Raramente ascolterete un ep dell’intensità di Still, perché questi ragazzi francesi nelle loro canzoni mettono un quantità di rumore e pesantezza davvero notevoli, e si è notevolmente attratti da questo suono. Disperazione, urgenza e forse noia, quale sia la molla ben venga se la musica che ne esce fuori è questa. Dopo il secondo disco del 2015, Rise Of The Infamy, che è un’altra eccelsa opera, eccoli tornare a beve giro di posta su Throatruiner Records, garanzia di musica pesante e pensante. Still è un’ ep, tra l’altro in free download, che non vi lascerà un attimo di tregua, vi seguirà ovunque gridare con le cuffie, insieme ai Cowards, perché questo è veleno che ci si inietta per tentare di sopravvivere. Prendete i Converge, buttateli nella mischia noise anni novanta newyorchese, e capirete vagamene cosa siano i Cowards. Dato che questi ragazzi non sono un gruppo normale, i primi due pezzi sono loro inediti, mentre You Belong To Me è una canzone dei Police (che testimonia pure quanto fossero avanti Sting e soci) fatta alla Cowards, e scorre il sangue. One Night in Any City è la libera rielaborazione di One Night In New York degli Horrorist. Un ep fuori dal comune, potentissimo e bellissimo, di un gruppo tra i migliori nel panorama pesante mondiale.

TRACKLIST
1.Still (Paris Most Nothing)
2.Empty Eyes Smiles
3.Like Us (feat. Matthias Jungbluth)
4.You Belong To Me (*** ****** cover)
5.One Night In Any City (The Horrorist cover)

LINE-UP
Membri
J. H. – Chant
C. L. – Batterie
G. T. – Basse
T. A. – Guitare
A. L. – Guitare

COWARDS – Facebook

The Ruins Of Beverast – Takitum Tootem!

Un’operazione sicuramente valida, per la quale andrà poi verificato l‘eventuale impatto sulla futura produzione dei The Ruins Of Beverast: di certo questo ep appare tutt’altro che un riempitivo, in quanto dimostra appieno il valore e le potenzialità di un musicista di livello superiore alla media.

The Ruins Of Beverast è un progetto solista di Alexander Von Meilenwald, il quale agita i sonni degli appassionati di metal estremo da quasi una quindicina d’anni.

Il black doom del musicista tedesco è sempre stato caratterizzato dalla sua non omologazione ai canoni dei generi di riferimento, collocandosi costantemente un passo avanti rispetto alle posizioni consolidate.
Non fa eccezione questo Ep intitolato Takitum Tootem!, con il quale il nostro si concede un’esplorazione più approfondita di territori ancor più sperimentali, lasciando che la propria musica si faccia avvolgere da un flusso rituale e psichedelico.
Il primo dei due brani raffigura, come il titolo stesso fa intuire, una sorta di rito sciamanico che si protrae nella fase iniziale per poi sfociare in una traccia che presenta sfumatura industrial, in virtù di un mood ossessivo (che potrebbe ricordare alla lontana certe cose dei migliori Ministry), ideale prosecuzione dell’invocazione/preghiera ascoltata in precedenza: questi otto minuti abbondanti costituiscono un’espressione musicale di grande spessore e profondità, tanto che quando il flusso sonoro improvvisamente si arresta provoca una sorta di scompenso alla mente oramai assuefatta a quell’insidioso martellamento.
Il vuoto viene ben presto riempito dalla magistrale cover di una pietra miliare della psichedelia, la pinkfloydiana Set The Controls For The Heart Of The Sun, che viene resa in maniera in maniera del tutto personale pur mantenendone l’impronta di base, ma conferendole ovviamente una struttura maggiormente aspra e, se, possibile, ancor più ossessiva; l’idea di farla sfumare nella stessa invocazione rituale che costituiva l’incipit del primo brano conferisce al tutto un‘andamento circolare, creando così una sorta di loop se si imposta il lettore in modalità “repeat all”.
Un’operazione sicuramente valida, per la quale andrà poi verificato l‘eventuale impatto sulla futura produzione dei The Ruins Of Beverast: di certo questo ep appare tutt’altro che un riempitivo, in quanto dimostra appieno il valore e le potenzialità di un musicista di livello superiore alla media.

Tracklist:
1. Takitum Tootem (Wardance)
2. Set The Controls For The Heart Of The Sun

Line-up:
Alexander Von Meilenwald

THE RUINS OF BEVERAST – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=vbvvbokHtaw

Atropas – From Ashes EP

Tornano con tutta la loro devastante aggressione melodic metalcore gli Atropas con questo nuovo ep, sempre licenziato dalla WormHoleDeath.

Tornano con tutta la loro devastante aggressione melodic metalcore gli Atropas con questo nuovo ep, sempre licenziato dalla WormHoleDeath.

La band di Zurigo arriva così al traguardo del terzo lavoro, dopo l’esordio del 2011 (Azrael) e il massacro sonoro dal titolo Episodes Of Solitude, licenziato lo scorso anno e puntualmente recensito sulle pagine virtuali di Iyezine.
Come già accennato parlando del precedente album, il quartetto svizzero accantona la chimera dell’originalità per un approccio violento tra metal estremo moderno, dai rimandi core e death/thrash e valorizzato da un talento per le melodie sopra la media.
Anche questi sei brani infatti, sono sei martellanti pezzi di granito estremo violentissimo, impreziosito dal buon lavoro fatto nell’alternare screams e voci pulite (non così scontato di questi tempi), con il supporto di melodie chitarristiche che si rifanno al melodic death e ad una tempesta di ritmiche thrash.
Meno marziale nelle ritmiche rispetto al precedente lavoro, From Ashes asseconda il lato death/thrash del gruppo elvetico, con una serie di tracce devastanti ma con le melodie sempre in evidenza.
Ancora una volta prodotto in modo egregio, questa raccolta di brani che ha nell’opener Rapture, nella monumentale Orchids e nelle malinconiche melodie della splendida Ashes, tre dei suoi punti di forza, lascia alla conclusiva My Oath il compito di riassumere in otto fantastici minuti di death metal melodico moderno il sound insito nella proposta del gruppo.
Un Ep che vale più di tanti full length che saturano il mercato del metal moderno.

TRACKLIST
1. Rapture
2. Burn it to the Ground
3. Orchids
4. Ashes
5. Redeem the Lost
6. My Oath

LINE-UP
Kevin Steiger – Bass
Sandro Chiaramonte – Drums
Dave Colombo – Guitar
Mahmoud Kattan – Vocals & Guitar

ATROPAS – Facebook

Raj – Raj

La prova dei Raj è di ottimo spessore e, trattandosi di un primo assaggio, lascia aperte interessanti prospettive di sviluppo future.

Ep d’esordio per i Raj, band lombardo/veneta dedita ad uno sludge/stoner doom davvero intrigante.

La prima cosa che balza all’occhio è la durata dei brani, imprevedibilmente brevi per gli standard del genere, mentre appare molto più in linea con le abitudini il sound, piacevolmente retrò nel suo unire pulsioni sabbathiane, a partire dalla voce (spesso filtrata) di Francecsco Menghi, con le atmosfere diluite dello sludge e la psichedelia dello stoner.

Chitarra e base ritmica contribuiscono ad erigere un muro sonoro che non stravolge i canoni stilistici conosciuti, puntando su un impatto ossessivo che il riffing dai toni ribassati rende efficace e gradevole a chi è avvezzo al genere; interessante anche il break ambient costituito dalla quarta traccia Black Mumbai, indicatore di una propensione sperimentale che forse meriterebbe d’essere maggiormente distribuita all’interno del disco.
Come detto, il suo essere rivolto al passato, a volte in maniera ostentata, non si rivela affatto una nota di demerito per il gruppo: chi suona questo genere è una sorta di medium, capace di rendere del tutto vive ed attuali sfumature sonore che a molti possono apparire datate; i Raj lo fanno con competenza e convinzione, andando a fondere talvolta il sound più psichedelico dei Doomraiser con certo doom sciamanico in voga negli anni scorsi (Omegagame ne è forse l’esempio migliore ) oppure richiamando in maniera più esplicita, ma comunque non calligrafica, il marchio di fabbrica sabbathiano (Kaluza).
Dovendo cercare il pelo nell’uovo, al netto delle citata traccia ambient, questo ep autointitolato mostra a tratti un’eccessiva uniformità compositiva e, inoltre, non sempre convince la scelta di deformare il timbro vocale; resta il fatto che la prova dei Raj è senz’altro di ottimo spessore e, trattandosi di un primo assaggio, lascia aperte interessanti prospettive di sviluppo future.

Tracklist:
1. Omegagame
2. Eurasia
3. Magic Wand
4. Black Mumbai
5. Kaluza
6. Iron Matrix

Line-up:
Marco Ziggiotti – guitars
Daniel Piccoli – drums
Francesco Menghi – vocals
Davide Ratti – bass

RAJ – Facebook

Heather Wasteland – Under The Red Wolfish Moon

Under The Red Wolfish Moon è un’opera che, in certi momenti, si fa notare più per l’originalità ed il coraggio delle scelte che non per la resa effettiva, ma ciò non significa che l’operato degli Heather Wasteland debba essere ignorato o ancor peggio sottovalutato.

Gli ucraini Heather Wasteland erano una delle band incluse nella compilation Mister Folk, della quale abbiamo parlato qualche settimana fa, ed oggi abbiamo l’opportunità di esaminare il loro operato in maniera più ampia, tramite l’ep d’esordio intitolato Under The Red Wolfish Moon.

Va detto subito che il quartetto originario della Crimea è anomalo in tutti i sensi, incluso quello del teorico genere d’appartenenza: basti pensare che la line up consta di un batterista e tre bassisti, rispettivamente alle prese con lo strumento nella versione a 4, 5 e 6 corde; a quest’ultimo è affidato il compito di arricchire il sound creando le parti di tastiera ed archi tramite un pick up collegato ad un guitar-synth della Roland.
Balza subito all’orecchio che la rinuncia a voce e chitarra potrà costituire un problema per la fruizione immediata del lavoro, anche se va detto che i nostri se la cavano davvero bene, sopperendo a queste volontarie lacune con un sound sufficientemente dinamico ed originale.
Più che folk metal, a tratti, gli Heather Wasteland si spingono verso una forma di musica medievaleggiante e barocca che il triplo basso rende assolutamente peculiare (un titolo come Venice – Barocco Veneziano è abbastanza eloquente, in tal senso).
E’ anche vero, d’altra parte, che la durata ridotta agevola la fruizione , che altrimenti alla lunga potrebbe risultare più difficoltosa, ma in ogni caso Under The Red Wolfish Moon si rivela una prova interessante, anche per i numerosi riferimenti storici contenuti nel libretto che, nel rievocare la storia della parte meridionale della Crimea, finiscono peraltro per richiamare alla memoria una parte importante della storia marinara del nostro paese, che vede la mia Genova ritornare ad essere La Superba e non l’attuale vertice smussato di quello che fu il cosiddetto triangolo industriale.
Under The Red Wolfish Moon è un’opera che, in certi momenti, si fa notare più per l’originalità ed il coraggio delle scelte che non per la resa effettiva e dubito che possa soppiantare nelle preferenze degli appassionati gli album di folk metal, per così dire, più tradizionali; ciò non significa che l’operato degli Heather Wasteland debba essere ignorato o ancor peggio sottovalutato, perché questo quattro simpatici ed audaci “cimmeri”, hanno tutte le potenzialità per sorprenderci ulteriormente in futuro, dopo questo già interessante assaggio del loro “heretical folk”.

Tracklist:
I – Tre Sverd
II – Under The Red Wolfish Moon
III – Venice (Barocco Veneziano)
IV – Beltane (Intro) / Wicker Man
V – Under The Red Wolfish Moon (Single Edit)

Line-up:
Anatoliy Polovnikov – drums
Sergey AR Pavlov – 4-string bass
Andrey “SLN” Anikushin – 5-string bass
Alexander Vetrogon – 6-string bass

HEATHER WASTELAND – Facebook

Haan – Sing Praises

Meno di venti minuti non sono mai esaustivi ma possono fornire ben più di una fugace impressione sul valore di una band: non resta, quindi, che attendere gli Haan ad una risposta di durata più consistente, ma sul fatto che facciano molto male credo non sussistano dubbi.

Arie Haan era il mio calciatore preferito nell’Olanda anni ’70 dei fenomeni guidati da Johan Cruijff, quella nazionale capace di giocare un calcio stupefacente e sfrontatamente moderno senza riuscire, purtroppo, a vincere quel mondiale che avrebbe meritato.

Haan era il classico centrocampista di lotta e di governo, in grado di spezzare le trame avversarie ma anche di ricucire il gioco con piedi educati che erano capaci, soprattutto, di scagliare autentici missili verso la porta avversaria.
Non so se la band americana che porta come monicker il suo cognome ne conosca l’esistenza, mi piace però l’idea di accomunare il quartetto di Broooklyn a quel calciatore per  la maniera naif di interpretare un genere come lo sludge punk/noise che, se fosse già esistito negli anni ’70, sono convinto che sarebbe potuto essere una perfetta colonna sonora per il “soccer” giocato dai capelloni che vestivano la maglia arancione.
Così gli Haan ondeggiano tra corse furibonde (The Cutting, Shake the Meat), guidati dalla voce abrasiva di Chuck Berrett, ad aperture sotto forma di rallentamenti preparatori alle bordate rappresentate da riff ribassati e pesanti come macigni (War Dance).
I primi tre brani vengono esauriti in circa nove minuti, più o meno la durata equivalente della conclusiva Pasture/Abuela, titolo sghembo come una traccia che non fornisce punti di riferimento certi, se non un’immersione totale in una psichedelia capace di dilatare i suoni così come certe sostanze fanno con le pupille: questo è un pezzo che rappresenta il biglietto da vista perfetto per gli Haan, mettendone in luce tutto il notevole potenziale.
Del resto i ragazzi si sono guadagnati spazio da qualche anno nella scena newyorchese, ottenendo l’apprezzamento di gentaglia della risma di Eyehategod, Whores., Cancer Bats, e Black Tusk, per citare solo i nomi più conosciuti, e direi che il tutto non può essere affatto casuale.
Meno di venti minuti non sono mai esaustivi ma possono fornire ben più di una fugace impressione sul valore di una band: non resta, quindi, che attendere gli Haan ad una risposta di durata più consistente, ma sul fatto che facciano molto male credo non sussistano dubbi.

Tracklist:
A1.The Cutting
A2.Shake the Meat
A3.War Dance
B1.Pasture / Abuela

Line-up:
Chuck Berrett – vocals
Jordan Melkin – guitar
Dave Maffei – bass
Christopher Enriquez – drums

HAAN – Facebook