E.G.O.C.I.D.E. – What Price For Freedom?

Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Debutto discografico per gli E.g.o.c.i.d.e., fautori di un hardcore metal molto vicino alle bellissime cose degli anni novanta come Integrity e tutta la scena del Benelux, ovvero metal con un cuore hardcore, mid tempo esplosivi e tanta cattiveria.

Questo ep di sei tracce ci mostra un gruppo con le idee chiare, tanta rabbia e la giusta attitudine musicale. Ascoltare questo suono è un rituffarsi in sonorità che pensavo dimenticate ma che mi hanno accompagnato per gran parte della mia vita, come quella di altri miei coetanei e non solo. Il suono è l’hardcore metal, figlio degenere dell’hardcore delle generazioni precedenti, di quel suono che parte dall’Inghilterra, passa per l’Italia, con alcuni fondamentali gruppi come i Raw Power per intenderci, e poi arriva per la sua mutazione finale e necessaria negli States, dove assume la sua forma definitiva. Gli E.g.o.c.i.d.e. sono tutto ciò e ancora di più, perché seppur con una produzione molto casalinga, riescono a rielaborare il tutto personalmente e con un tiro davvero micidiale, che li porta al di sopra di molti altri gruppi. Le tracce migliori, ma questa è un’opinione totalmente personale che porto avanti da anni, sono quelle cantate in italiano, perché sono qui che gli E.g.o.c.i.d.e. spiccano particolarmente. Anche le tracce in inglese sono di buonissimo livello, per un giudizio complessivo sicuramente ben al di sopra della media, ma quelle in italiano sono spettacolari.
Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Tracklist
1.No Cause For Concern
2.Declama
3.Gloria Riflessa
4.Prayer (Of A Cynic)
5.Three Crowns
6.Verba Manent

Line-up
Alex – Vocals/Lyrics
Gab – Guitar/Choruses
Matt – Bass/Choruses
Nico – Drums/Choruses

Antipathic – Autonomous Mechanical Extermination

La ridotta durata complessiva di Autonomous Mechanical Extermination (circa sei minuti) impedisce di trarre conclusioni definitive, anche se quanto ascoltato fornisce comunque indicazioni sufficienti per inserire gli Antipathic tra le band da tenere sotto osservazione.

Breve ep di presentazione per gli Antipathic, progetto italo americano che vede la presenza di Tat0, bassista cantante che abbiamo già avuto modo di apprezzare all’opera nei validi calabresi Zora, assieme al chitarrista e batterista d’oltreoceano Chris.

Il genere proposto è, secondo le attese, un brutal death piuttosto circoscritto nel perimetro del genere, ma ben eseguito e curato nei particolari, e i tre brevi brani proposti tengono fede alle premesse, nel bene e nel male: infatti il brutal, quando è suonato con tutti i crismi, almeno per me è sempre un bel sentire, ma allo stesso tempo capita raramente di rinvenire spunti capaci di rendere sufficientemente peculiari tali sonorità.
Ovviamente la ridotta durata complessiva di Autonomous Mechanical Extermination (circa sei minuti) impedisce di trarre conclusioni definitive, anche se quanto ascoltato fornisce comunque indicazioni sufficienti per inserire gli Antipathic tra le band da tenere sotto osservazione, in attesa di una prova quantitativamente più cospicua.

Tracklist:
1. Apparatus
2. Molecular Deviations
3. Autonomous Mechanical Extermination

Line-up:
Chris – chitarra e batteria
Tat0 – voce e basso

ANTIPATHIC – Facebook

Theta – Obernuvshis’

Pur essendo di natura totalmente strumentale, se si fa eccezione per le voci campionate che si susseguono nei diversi brani, l’album non possiede alcuna delle controindicazioni che sovente accompagnano tale scelta: qui la musica si prende la scena con decisione ed il rischio di vederla scivolare via senza lasciare alcuna traccia è scongiurato.

Prima prova su lunga distanza per Theta, progetto solista del musicista lombardo Mattia Pavanello, dopo l’uscita di un ep intitolato LXXV che aveva anticipato le coordinate sonore di una delle realtà più inquietanti in ambito musicale tricolore.

Pavanello è conosciuto per la sua militanza in band come Heavenfall e Furor Gallico, oltre che per una collaborazione illustre con i Folkstone, quindi sorprende in qualche modo ritrovarlo alle prese con un sound decisamente antitetico come il funeral doom dai tratti dronici e sperimentali offerto in Obernuvshis’.
Pur essendo di natura totalmente strumentale, se si fa eccezione per le voci campionate che si susseguono nei diversi brani, l’album non possiede alcuna delle controindicazioni che sovente accompagnano tale scelta: qui la musica si prende la scena con decisione ed il rischio di vederla scivolare via senza lasciare alcuna traccia è scongiurato: Mattia dimostra di conoscere alla perfezione il genere senza però seguirne le coordinate pedissequamente, consentendo alla sua ispirazione di incanalarsi di volta in volta in flussi differenti che vedono la componente funeral preponderante, ma arricchita ed integrata da ambient, drone, sludge e qualche venatura di post metal.
Del resto Theta nasce come progetto in grado di incanalare le diverse pulsioni compositive di Pavanello verso un sound oscuro, privo di lampi di positività ma non per questo scevro di un buon impatto melodico: in poco più di tre quarti d’ora, Obernuvshis’ riesce a scuotere menti intorpidite dall’ascolto di dischi prodotti con il pilota automatico, grazie a soluzioni per nulla scontate.
Come già accennato, però, il punto di forza di un album come questo è il suo essere ascoltabile, pur essendo di fatto costruito su un’impalcatura atta ad evidenziare il lato oscuro dell’esistenza: a tale proposito il nostro evita di rifugiarsi nella cripticità sovente fine a sé stessa del rumorismo, per provare invece a creare un coinvolgimento, anche emotivo, ma è chiaro che la fruibilità di cui si accennava poc’anzi è strettamente connessa al background musicale di chi si accosta all’operato di Theta, rivolto soprattutto ad estimatori del doom dalla comprovata dimestichezza con il genere.
Come avviene spesso in questi casi, la suddivisione in tracce lascia il tempo che trova, sicché l’album va ascoltato e sviscerato nel suo complesso, con picchi qualitativi rinvenibili un po’ in tutti gli episodi fino al bellissimo epilogo di Concrete And Foundation, dove Pavanello dimostra le sue doti di chitarrista anche con un dolente ed ispirato assolo che chiude nel migliore dei modi un’opera di grandissimo pregio.

Tracklist:
1.Travel Far Into The Black Hole Depths
2.Ruins Of Inari
3.Butterfly’s Cycle
4.Harshness Of A
5.Concrete And Foundation

Line-up:
Mattia Pavanello – Guitars, Bass, Drum Programming, Synths and Sampling

THETA – Facebook

Fractal Generator – Apotheosynthesis

Questo disco è un’esperienza sonora estrema, nella quale la velocità e la potenza sono notevoli, ma la vera bravura dei canadesi è quella di riuscire a mantenere intatta la melodia nonostante tutto voli intorno a loro, perché le linee melodiche del disco sono in evidenza e davvero particolari.

I Fractal Generator fanno metal davvero estremo, sono super tecnici e non penso siano nemmeno umani.

Prendete i Meshuggah, fondeteli con i Behemoth più veloci, e poi mille deviazioni e fughe. Il suono dei canadesi è volutamente inumano, perché il titolo in greco del disco illustra bene ciò che sono, dato che Apotheosynthesis è il punto rappresentante l’evoluzione dell’umanità attraverso l’integrazione tecnologica, a partire dal quale la stessa non può più considerarsi umana. I Fractal Generator hanno abbondantemente superato questo punto di non ritorno. Questo disco è un’esperienza sonora estrema, nella quale la velocità e la potenza sono notevoli, ma la vera bravura dei canadesi è quella di riuscire a mantenere intatta la melodia nonostante tutto voli intorno a loro, perché le linee melodiche del disco sono in evidenza e davvero particolari. I Fractal Generator compongono le loro canzoni in maniera progressiva, non si torna indietro per fare un ritornello, anche se alcune fasi canore vengono riproposte in diversi momenti. Se ci si concentra un po’, si comprende subito che questo suono non è assolutamente solo caos, ma che, come la vera teoria del caos, ha un ordine insito in sé stesso. Un altro aspetto notevole del disco è che anche se è sonicamente estremo non stufa od obbliga a posare le cuffie, e questo grazie all’alta qualità del tutto. Apotheosynthesis è un album estremamente affascinante, che nasconde innumerevoli tesori e motivi per ascoltarlo e per guardare nei suoi frattali. E il nome del gruppo è molto esplicativo così come il titolo, poiché la loro musica fa nascere figure aliene nel nostro cervello. Grande ristampa del disco precedentemente uscito nel 2015, e recuperato dalla Everlasting Spew Records, alla quale dobbiamo un doveroso ringrazmento. A un centimetro dalla fredda Terra aspettando la dolorosa fine. Dimenticavo : sono in tre, e il disco è anche in download libero sul loro bandcamp.

Tracklist
1.Cycle
2.Face Of The Apocalypse
3.Abandon Earth
4.Into The Unknown
5.Paragon
6.Human
7.The Singularity
8.Synthetic Symbiosis
9.Reflections

Line-up
040118180514
102119200914
040114090512

FRACTAL GENERATOR – Facebook

Neverending Winter – Хиус

Le canzoni sono composte molto bene, ogni traccia fa storia a sé e si sentono chiaramente le stimmate dell’ottimo gruppo folk metal, ma definire tali i Neverending Winter è alquanto riduttivo, poiché sono molto di più.

L’inverno ultimamente va di moda grazie alla serie tv Trono di Spade e anche alla maledetta voglia del suo ritorno indotto da questo caldo.

Dalla Siberia, e più precisamente da Tomsk, arriva questo ottimo gruppo di folk metal e molto altro. Dopo l’esordio con titolo omonimo del 2013. il gruppo quasi ogni due anni sforna un nuovo disco, e sono tutti molto buoni e disponibili in download libero sul loro bandcamp, come il presente disco. I Neverending Winter fanno folk metal declinato in molte e diverse accezioni, ma soprattutto hanno una grandissima energia, attraverso la quale riescono a rendere benissimo alcune atmosfere. Il cantato in russo si addice benissimo a questa musica forte come gli alberi della Siberia, cattiva come gli animali che la popolano, e misteriosa come gli spiriti che la popolano. Tutto scorre molto bene, tra aperture melodiche di gran valore, anche con strumenti tradizionali, e sfuriate black, anche se il substrato delle loro composizioni è death metal. Le canzoni sono composte molto bene, ogni traccia fa storia a sé e si sentono chiaramente le stimmate dell’ottimo gruppo folk metal, ma definire tali i Neverending Winter è alquanto riduttivo, poiché sono molto di più.
Ascoltando Хиус si entra nell’enciclopedica conoscenza del metal che hanno questi siberiani, che trovano sempre la soluzione più adeguata al momento e al pathos dello stesso. Dischi come questo decretano la grande forza del movimento folk metal russo, che stra sfornando prodotti sorprendenti. Basti pensare che questo gruppo è senza contratto, si auto produce e si auto promuove, e raggiunge questi risultati. Certamente sono molto bravi, e spero si facciano conoscere il più possibile, perché questo disco è un legame con un qualcosa di ancestrale che tutti possediamo, ed è una qualità che stiamo perdendo. L’inverno senza fine è anche dentro di noi oltre che all’esterno, e bisogna essere molto forti per affrontarlo, e questa musica può dare molto in tal senso.

Tracklist
1.Intro
2.By snowridges (По застругам)
3.Neverending winter (Бесконечная зима)
4.Heeus (Хиус)
5.Sib Ir

NEVERENDING WINTER – Facebook

Mercic – 3

Quello di Mercic è un lavoro che non dispiace affatto, lasciando però nel contempo un senso di incompiutezza che neppure le buone sensazioni derivanti dai ripetuti ascolti riescono del tutto a scacciare.

Mercic è un progetto solista di provenienza portoghese ma con propaggini anche negli States: 3, come è facile da intuire, è il terzo album che arriva con cadenza annuale dall’esordio datato 2015.

Il genere musicale che troviamo qui è un industrial in quota Nine Inch Nails, nel senso che assieme a parti più robuste e disturbanti troviamo anche diversi passaggi melodici di tipica ispirazione reznoriana; detto questo, il nostro non si accontenta di fare un’operazione di copia incolla ma prova a inserire diverse variazioni sul tema sia a livelli di rarefazione del suono, con l’inserimento di una componente elettronica molto dinamica, sia irrobustendo il tutto con qualche sfuriata metallica con tanto di growl (Turn The Page).
Il lavoro è sicuramente interessante, ma forse gli viene meno una certa continuità ritmica, il che comporta una frequente rottura della tensione sprigionata dalle pulsioni più estreme, con l’inserimento di partiture melodiche che prestano il fianco, anche a causa di una prestazione piuttosto piatta quando il nostro è alle prese con le clean vocals.
A Mercic non fanno difetto le idee, che vengono immesse senza particolari remore in un lavoro che mostra, in effetti, più di un episodio brillante (l’acustico-elettronica The Damned Shelter è una traccia strana quanto notevole), ma del quale è talvolta difficile seguire il filo logico, se pensiamo che a chiudere il disco, seguendo la traccia appena citata, troviamo una sfuriata industrial grind intitolata Fuck You.
3 è apprezzabile per la voglia di sperimentare, esplorando diversi meandri dell’industrial da parte del suo autore, ma nel contempo paga la mancanza di un vero brano trainante e la stessa breve durata delle dieci tracce finisce per conferire all’insieme un che di schizofrenico.
In definitiva, quello di Mercic è un lavoro che non dispiace affatto, lasciando però nel contempo un senso di incompiutezza che neppure le buone sensazioni derivanti dai ripetuti ascolti riescono del tutto a scacciare.

Tracklist:
11- THERE`S NOTHING LEFT FROM YOU
12- ARE YOU WHAT YOU THINK ?
13- BLIND OBEYING
14- BE NOTHING
15- YOU`RE GONE
16- SO CLOSE, SO NEAR
17- TURN THE PAGE
18- WHERE ARE YOU NOW?
19- THE DAMNED SHELTER
20- FUCK YOU!!!

MERCIC – Facebook

In Articulo Mortis – Testament

Un album che, senza far gridare al miracolo, piace proprio per le sue melodie, mentre la parte estrema rimane nello standard, come molte volte accade.

C’è una bella differenza tra black metal sinfonico e melodico: il primo è guidato da orchestrazioni classiche, il più delle volte cinematografiche e pompose, e la verve black viene messa in secondo piano dal monumentale suono orchestrato per stupire gli amanti del metal estremo con velleità sinfoniche.

Il back metal melodico, invece, mantiene inalterata la componente estrema raffinandola con melodie classiche, specialmente nel gran lavoro delle sei corde, qualche spunto progressivo ed un elegante uso dei tasti d’avorio dalle reminiscenze classic dark.
E’ quello che succedeva qualche anno fa in Testament, primo full lenght dei transalpini In Articulo Mortis, ristampato in questi mesi e che ci presenta un gruppo molto interessante.
Nato nel lontano 1992 e scioltosi ufficialmente nel 2013, il gruppo diede alle stampe due demo, prima di questo full length licenziato nel 2012 ed ora tornato sul mercato grazie alla Herbert West Productions.
Testament presenta un melodic black metal dalle influenze nordiche, poco appesantito di orchestrazioni ma  fluido nel suo essere classico e permeato da sfumature dark e incentrato su mid tempo in cui melodie pianistiche ed atmosfere malinconiche fanno da variante ad un andamento robusto, con uno scream abbastanza uniforme ad accompagnare la musica per tutta la sua durata.
Un album che, senza far gridare al miracolo, piace proprio per le sue melodie, mentre la parte estrema rimane nello standard, come molte volte accade.
Un male per molti ma non per tutti, date un ascolto a questo lavoro, nel suo insieme merita.

TRACKLIST
1.In articulo mortis
2.Le don obscur
3.Succubus
4.La rose et le marbre
5.My Underwater Queen
6.Embrace the Reapers Wrath
7.Lunar State
8.Diaboli in amorem

LINE-UP
J – Drums
C – Guitars
M – Guitars, Bass
S – Vocals

Aleph – Exhumed Alive

Il free download ottenibile sul sito della band vi obbliga ad ascoltare questo ottimo lavoro, grazie al quale scoprirete una realtà molto interessante della nostra scena estrema.

Gli Aleph sono una band bergamasca attiva già sul finire del secolo scorso, la loro discografia, oltre ai primi due demo ed uno split si compone di tre album: In Tenebra uscito nel 2005, Seven Steps Of Stone del 2009 e l’ultimo Thanatos licenziato lo scorso anno.

Exumed Alive (che trovate in download gratuito sul sito della band) è un ep composto dalla splendida riedizione del brano Chimera MMXVII , tratto dal secondo full length e sette brani dal vivo registrati l’8 Ottobre 2016 presso il Centrale Rock Pub ad Erba.
Il gruppo lombardo è fautore di un death metal pregno di atmosfere dark e horror e Chimera MMXVII ne è il perfetto sunto, tra parti estreme, oscure atmosfere acustiche ed un tocco suggestivo di dark horror progressivo tipico degli anni settanta.
Nelle parti death non mancano veloci sfuriate al limite del black metal, tenute a bada dall’entrata in gioco delle tastiere e delle atmosfere orrorifiche.
La voce del chitarrista Dave Battaglia ricorda il primo Nick Holmes ed il sound effettivamente può essere descritto come una riuscita jam tra Paradise Lost, Mercyful Fate e Morbid Angel.
In sede live il gruppo mantiene inalterata la sua vena orrorifica, anche se chiaramente il sound ne esce, uscendone alla grande con una performance sugli scudi.
La grandiosa e monumentale The Snakesong, opener dell’ultimo lavoro, così come Smoke And Steel / Multitudes e la conclusiva The Old Master confermano gli Aleph come gruppo di alto livello, sia in studio che dal vivo.
Il free download ottenibile sul sito della band vi obbliga ad ascoltare questo ottimo lavoro, grazie al quale scoprirete una realtà molto interessante della nostra scena estrema.

TRACKLIST
1Chimera MMXVII
2.Intro
3.Nightmare Crescendo
4.The Snakesong
5.The Fallen
6.Winterlude
7.Smoke and Steel (Incl. Multitudes)
8.The Old Master

LINE-UP
Giuseppe Ciurlia – Guitars
Manuel “Ades” Togni – Drums
Dave Battaglia – Guitars, Vocals
Giulio Gasperini – Keyboards
Antonio Ceresoli – Bass

ALEPH – Facebook

Buioingola – Il Nuovo Mare

I Buioingola spaziano su assi differenti e, partendo da una base crust, sviluppano un suono molto originale con inserti neo industrial, incursioni nel doom, soprattutto perl’incedere, e tanta oscurità.

Trattando Il Nuovo Mare, bisogna annotare ed incassare una notizia buona ed una cattiva. Dato che siamo tutti metallari vi lascio prima la notizia cattiva: molto probabilmente questo sarà l’ultimo disco dei Buioingola.

La notiza buona ed in parte consolatoria consiste nel fatto che è davvero un gran disco, un viaggio oscuro per fugare la falsa luce che ci avvolge. Il trio toscano, dopo un demo di tre tracce nel 2012 ed un lp per Sentient Ruin Laboratories nel 2013, Dopo L’Apnea, portano a compimento con questo lavoro un percorso poetico e musicale davvero notevole. I Buioingola spaziano su assi differenti e, partendo da una base crust, sviluppano un suono molto originale con inserti neo industrial, incursioni nel doom, soprattutto per l’incedere, e tanta oscurità. Il gruppo assorbe la lezione semantica di certi ensemble come Neurosis, Killing Joke, ma anche Cure (molto probabilmente capiremo appieno solo dopo anni l’estrema importanza di Robert Smith e compagni per la musica oscura), e una certa new wave. Permane come motore primo una ruvidezza e cattiveria crust hardcore punk, ma si va molto lontani, ed il risultato è stupefacente, perché lega assieme suoni ed orizzonti diversi uniti sotto la bandiera dell’oscurità. Dolore, angoscia e nessuna speranza di salvarsi, proprio come in un nuovo mare di tenebra che ci avvolge e ci porta alla consapevolezza che siamo soprattutto dolore. I testi in italiano rendono moltissimo, e non sono certo un freno, perché il gruppo è molto apprezzato all’estero. Un bellissimo viaggio tra crust, doom punk e oscurità anni ottanta e novanta, per un disco che va ascoltato e apprezzato con molteplici passaggi, non perché sia particolarmente difficile, ma proprio per il suo grande valore.

TRACKLIST
1. Polvere
2. Latenza
3. Irriconoscibile
4. Attesa
5. Eclisse
6. Silenzio
7. Il giorno dopo

LINE-UP
Diego Chuhan – chitarra, voce
Thomas Gianardi – batteria, campionamenti
Omar Bovenzi – basso, voce

BUIOINGOLA – Facebook

Heading West – What We’re Made Of …

Gli Heading West riescono a creare un giusto connubio fra la melodia, la velocità e le dinamiche del metal moderno.

Gli Heading West sono un giovane gruppo diviso in ordine sparso in Emilia Romagna, che riesce a fare un’ottima miscela di metalcore, hardcore melodico e metal moderno. Il tutto è molto orecchiabile e melodico, prodotto bene e piace.

Ai tempi della mia gioventù mi ci sarei perso in un disco così, e la cosa bella è che ora c’è un disco così. O meglio, un ep così, perché questo esordio è sulla corta distanza, ma è molto incisivo e colpisce dritto al bersaglio. I ragazzi viaggiano bene, hanno ben chiaro dove andare e lo dimostrano con un disco che è una chiara dichiarazione di intenti. Gli Heading West hanno voglia di esportare un suono che è certamente molto legato alle sonorità a stelle e strisce, ma lo fanno in una maniera molto personale e con melodie difficilmente rintracciabili oltreoceano, o meglio riescono a creare un giusto connubio fra la melodia, la velocità e le dinamiche del metal moderno. Questo ep mostra che, credendo nella propria musica, si possa fare un bel disco, piacevole e anche commerciale ma al punto giusto. Soprattutto questi ragazzi non fanno proprie tutte le mie elucubrazioni. Gli Heading West vanno veloci e belli compatti, passano sopra le nostre casse lasciando un odore molto piacevole di gioventù e belle speranze, ed è bello anche il momento in sé, senza tanti se e tanti ma.

TRACKLIST
1.Payback
2.Deep Waters (feat. Nicola Roccati of The End At The Beginning)
3.Struck
4.Purple Teeth
5.S.O.Y.F.A.S.H.

LINE-UP
Davide Guberti – vocals
Alessandro Frank Cotti – guitar / back vocals
Riccardo Savani – guitar
Francesco Gariboldi – bass / back vocals
Francesco Neri – drums

HEADING WEST – Facebook

Don’t Try This At Home – #01

Questo disco è una delle tante vie giovanili e moderne al metal, e dato che la mente deve essere aperta ascoltatelo, perché ne vale la pena e perché è una bella mazzata, e ogni tanto prendere due schiaffi sonori fa bene.

Da Udine il debutto in free download per questo giovane gruppo di metalcore e hardcore.

Il loro suono non è inedito, ma i ragazzi friulani rielaborano molto bene una materia molto sfruttata ultimamente, come quella del metalcore. I Don’t Try This At Home sono molto potenti e diretti, riuscendo ad inserirsi molto bene su di una onda estremamente frequentata. Il suono di questo ep di esordio, in download libero dal loro bandcamp, è un metalcore veloce, ben prodotto e con finalmente i bassi al posto giusto, poiché troppe volte si ascoltano gruppi del genere con i treble troppo alti, senza profondità. I Don’t Try This At Home invece hanno un gran tiro, sanno sempre cosa fare e lo fanno bene, e per certi versi potrebbero essere considerati eredi di una certa scena hardcore anni novanta, forse inconsapevole progenitrice del metalcore. Certamente il metalcore fa storcere il naso a molti, e per certi versi a ragione, ma questi dovrebbero ascoltare #01 per ricredersi, almeno per quanto riguarda questi friulani. Disco veloce, pesante, con molti ottimi risvolti, suonato con tecnica ma soprattutto mettendo a frutto la molteplicità di ascolti fatti. All’interno della stessa canzone possiamo ascoltare molti cambi di registro, con variazioni sul tema e molto altro. Questo disco è una delle tante vie giovanili e moderne al metal, e dato che la mente deve essere aperta ascoltatelo, perché ne vale la pena e perché è una bella mazzata, e ogni tanto prendere due schiaffi sonori fa bene.

TRACKLIST
1.Mushroom
2.Paranoid Alienation
3.The Beast Within
4.Jeff Buckley
5.Vicious Circle

LINE-UP
Giuliano Bergantin – Vocals
Giovanni Stella – Guitar
Federico Sbaiz – Guitar
Alessandro Cartelli – Bass
Thomas Macorig – Drum

DON’T TRY THIS AT HOME – Facebook

Krepitus – Eyes of the Soulless

Eyes of the Soulless è classico il disco che ti dà la giusta carica al risveglio e spazza via le tensioni e le frustrazioni al termine di una giornata di lavoro: una terapia di rara efficacia e priva di effetti collaterali.

Subito un full length di assoluto valore per i canadesi Krepitus, i quali danno seguito al demo fatto uscire nel 2014.

La band proveniente dall’olimpica Calgary riesce nel non facile intento di dare alla luce un lavoro a tratti entusiasmante, pur andando ad attingere dall’inesauribile pozzo rappresentato dal metal estremo di matrice novantiana: un’ideale sintesi del sound contenuto in Eyes of the Soulless potrebbe citare i Carcass, con un minore carico morboso ed una maggiore propensione al thrash e al death melodico, oppure i migliori Iced Earth lanciati verso sonorità più estreme: da questo notevole ed ipotetico incontro di stili scaturisce un album capace di smuovere anche le membra più inerti, in virtù di reiterate cavalcate che partono da The Decree of Theodoseus ed arrivano fino all’ultima nota di My Desdemona senza perdersi in fronzoli, ricami o attimi meditabondi. La voce di Teran Wyer è un ringhio di rara efficacia che neppure per un attimo lascia spazio a tonalità pulire mentre il resto della band rovescia la sua incalzante gragnuola di colpi ricca di groove ed impreziosita con regolarità da magnifici assoli di matrice heavy.
Difficile estrapolare i brani migliori da questa tempesta perfetta: obbligato a scegliere mi prendo Exile e Eyes of the Soulless, dove i Krepitus riversano ancor più un gusto melodico a tratti sorprendente per qualità.
Non fatico ad immaginare quale possa essere la resa sonora dal vivo del quartetto canadese con un sound ed un approccio di questo tipo, peccato solo che le probabilità di vederli dalle nostre parti non siano molte (ma non si sa mai).
Eyes of the Soulless è classico il disco che ti dà la giusta carica al risveglio e spazza via le tensioni e le frustrazioni al termine di una giornata di lavoro: una terapia di rara efficacia e priva di effetti collaterali, se non gli inevitabili rischi per le vertebre cervicali, causa headbanging ininterrotto.

Tracklist:
1.The Decree of Theodoseus
2.Apex Predator
3.Exile
4.Sharpen the Blade
5.Eyes of the Soulless
6.Desolate Isolation
7.Erroneous
8.My Desdemona

Line up:
Curtis Beardy – Bass
Teran Wyer – Guitars/Vocals
Harley “Rage” D’orazio – Drums
Matt Van Wezel – Guitars

KREPITUS – Facebook

Antier – De La Quimera, El Dolor

L’impressione è che negli Antier la componente strumentale sia messa in subordine allo spoken word, impedendo che sia la musica a costituire il vero fulcro dell’album.

E’ difficile parlare con la necessaria equidistanza di un album che, alla fine, si basa su spoken word declamati in una lingua che non si padroneggia a sufficienza.

L’idea di inserire parti parlate su una base musicale fatta di liquido post rock non è nuova: solo qualche settimana fa abbiamo recensito su MetalEyes l’ottimo album dei The Chasing Monster e questo offre la possibilità di partire proprio da lì per commentare questo lavoro dei catalani Antier.
Se sono simili le coordinate di base, con un sound dall’incedere tra il sognante ed il malinconico a fungere da colonna sonora a testi recitati, sono altrettanto differenti i contenuti e gli esiti: dove la band italiana colpiva nel segno in virtù di una scrittura musicale sempre volta alla ricerca di armonie di cristallina bellezza, gli iberici tendono più a creare un substrato atmosferico privo di decise linee guida melodiche; e se, nel primo caso, due ospiti dalla buona impostazione interpretavano in inglese le parti dei protagonisti di un racconto che per lo più inframmezzava i brani, in De La Quimera, El Dolor la voce enfatica ma di limitata espressività del drummer Santiago Arderiu si erge spesso a protagonista del lavoro, rivelandosi alla lunga piuttosto stucchevole. In sintesi, sembra proprio che negli Antier la componente strumentale si riveli soprattutto un accompagnamento allo spoken word, impedendo che sia la musica a costituire il vero fulcro.
Questo limita non poco la fruizione dell’album, proprio perché vengono meno due elementi chiave quale l’immediata comprensione dei testi, preclusa ai non ispanici, ed una componente musicale in grado di reggersi da sola, se non nei brani che restano maggiormente immuni dall’invadenza verbale, a dimostrazione delle non disprezzabili doti compositive del duo di Barcellona.
Non dubito che chi abbia dimestichezza con la lingua possa gradire maggiormente un lavoro valido dal punto di vista musicale ma che, per tutte le caratteristiche sopra descritte, difficilmente farà un altro giro nel lettore dopo il primo ascolto.

Tracklist:
1.Nada Está Escrito
2.Al Arder Bajo El Cielo
3.Más Allá De La Miseria
4.De La Quimera, El Dolor
5.Sin Dejar De Respirar
6.En Un Último Suspiro
7.Del Hambre, La Desidia
8.Al Final Todo Fue

Line-up:
Santiago Arderiu: Drums and vocals
Victor Gil: Guitars

Guillem Laborda: Keys on 1, 4 & 5
Gemma Llorens: Cellos on 2 & 4
Marta Catasús: Vocals on 4

ANTIER – Facebook

Radien – Maa

I Radien centrano l’obiettivo al primo colpo, ma ovviamente è doveroso attenderne la riprova alle prese con un minutaggio più consistente.

Maa è la prima uscita ufficiale dei Radien, sludge band finnica.

L’ep consta di due tracce lunghe una dozzina di minuti che si dipanano, appunto, lungo sonorità sludge doom che si tengono alla larga da stonerizzazioni assortite, spingendosi maggiormente verso lidi post hardcore, accentuati dall’uso di un tono vocale caratteristico di quest’ultimo genere.
Varjot parte in maniera abbastanza canonica, per poi distendersi in un avvolgente e minaccioso crescendo, mentre Viimeinen è molto più rocciosa, indulgendo più a lungo sui riff ribassati e distorti che il quartetto di Helsinki maneggia con buona padronanza, lasciando intendere grandi potenzialità ed altrettanto margini di manovra per il futuro.
Del resto, quando ci si lancia in un settore come questo, per fare la differenza bisogna, in primis, conferire al proprio sound un’intensità che vada a compensarne con gli interessi la ridotta varietà e la quasi totale asenza di sbocchi melodici: i Radien centrano tale obiettivo al primo colpo, ma ovviamente è doveroso attenderne la riprova alle prese con un minutaggio più consistente.

Tracklist:
1. Varjot
2. Viimeinen

Line up:
Jyri – Vocals, synth
Tommi – Bass, vocals
Felipe – Guitar, vocals
Mikko – Guitar, vocals
Tuomo – Drums

RADIEN – Facebook

Paolo Baltaro – The Day After the Night Before

The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta, abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani.

Certo che la scena underground nazionale non smette di regalare sorprese e così, lasciando per un attimo la frangia metallica ed estrema, ci facciamo travolgere dalla musica totale del polistrumentista Paolo Baltaro, al secondo album da solista dopo i trascorsi con varie band, tra le quali Arcansiel, Mhmm, Roulette Cinese, S.A.D.O. e Sorella Maldestra.

Questo nuovo lavoro segue il debutto licenziato per Musea nel 2011 (Low Fare Flight to the Earth) ed entusiasma per la varietà della musica proposta che, se può senz’altro essere considerata come rock progressivo, è composta da una moltitudine di anime musicali perfettamente amalgamate nel suo insieme.
Ogni brano è stato composto come una colonna sonora di film inesistenti, in cui Baltaro canta e suona tutti gli strumenti aiutato da molti altri musicisti, eccetto le due versioni di Do It Again, colonna sonora reale dell’ultimo film di Ricky Mastro, in preparazione questi giorni e in uscita prevista per la prima metà del 2017, e le due cover Bike (Syd Barrett) e It’s Alright With Me (Cole Porter).
Registrato a Londra al Pkmp Soho Studios e ad Amsterdam allo Studio 150, masterizzato da Cristian Milani al Rooftop Studio di Milano, l’album è un’opera affascinante dove la parola d’ordine è stupire.
Progressivo nel più puro senso del termine, The Day After the Night Before – Original Soundtracks for Imaginary Movies si compone di una dozzina di brani l’uno diverso dall’altro, l’uno più intrigante dell’altro, dove il musicista nostrano vola oltre i confini ed i muri costruiti per imprigionare i generi, per raccogliere il meglio che la musica rock può offrire donandolo all’ascoltatore.
Dagli anni settanta ai giorni nostri, si compie un viaggio su una nuvola di note che solca il cielo mentre progressive, jazz, rock e fusion compongono quella che risulta di fatto un’opera rock.
Preparatevi all’ascolto dell’album come se doveste incontrare in una quarantina di minuti tutti gli artisti e musicisti che hanno segnato la storia della nostra musica preferita, dai Pink Floyd, ai Beatles, da Jimi Hendrix a Frank Zappa: in totale libertà artistica e con una facilità disarmante Paolo ce li presenta tutti prima che il loro contributo, tradotto in ispirazione, lasci un segno indelebile su questo splendido album.
The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani: l’opera è scaricabile dal sito del musicista (www.paolobaltaro.com), mentre è disponibile all’acquisto la versione in vinile più cd, quindi non ci sono scuse per perdersi un lavoro di questa portata.

TRACKLIST
1.Do It Again (Acoustic Version)
2.Postcard From Hell
3.Cole Porter At Frankz’s Birthday Party
4.Goodnight
5.Another Sunny Day
6.Bike
7.Nowhere Street Part II
8.Pills
9.Silent Song
10.It’s All Right With Me
11.Do It Again (Electric Version)
12.Revolution N.13-11 (Hidden Track)

LINE-UP
Paolo Baltaro – Vocals, all Instruments
Andrea Beccaro – Drums
Andrea Fontana – Drums
Alessandro De Crescenzo – Guitars
Paolo Sala – Guitars
Gabriele Ferro – Guitars
Gabriel Delta – Guitars
Simone Morandotti – Piano
Barbara Rubin – Chorus
Luca Donini – Sax, Flute
Sandro Marinoni – Sax, Flute
Alberto Mandarini – Tromba

PAOLO BALTARO – Facebook

Thrownness – The Passage And The Presence

I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

Totale massacro hardcore per questo giovane gruppo milanese: Thrownness è un concetto filosofico introdotto dal filosofo tedesco Heidegger, che viene dai più additato come pessimista e catastrofico, ma che invece aveva ragionato molto profondamente sulle gesta umane e ne aveva ricavato una giusta consapevolezza.

Riassumendo in breve il concetto di Thrownness, lo si può descrivere come un disagio derivante dal fatto di essere stati buttati nel mondo senza averlo potuto scegliere, e che abbiamo un disagio atavico nato per la differenza tra la vita che viviamo e quella che vorremmo vivere, quindi frustrazioni, deliri, etc. Insomma Thrownness è disagio, e il gruppo milanese col supporto del disagio fa un disco di hardcore metal clamoroso, velocissimo, molto potente e suonato con un piglio da consumati veterani, a conferma del fatto che non conta tanto la sapienza nell’hardcore ma l’importante è avere la futta, la rabbia e se la razionalizzi musicalmente ne viene fuori un disco come The Passage And The Distance. Il disco, in download libero sul bandcamp della Drown Within Records (date un’occhiata anche alle loro altre produzioni che sono tutte ottime), è un continuo fluire di lava metallicamente hardcore, con molti riferimenti a gruppi e situazioni anni novanta e anche al meglio dei duemila. No, non è metalcore, che non è un genere totalmente disprezzabile, ma qui è hardcore metal, che è un’altra roba, anche se i generi come sempre sono etichette pressoché inutili. In alcuni momenti si arriva addirittura a congiungere l’hardcore con cose come i Dillinger Escape Plan, o avvicinarsi alle dinamiche del crossover. Ciò che davvero conta è che questi ragazzi hanno fatto un grandissimo disco, trascinante e coinvolgente dal primo all’ultimo secondo, con una potenza davvero unica e un grande produzione a supportarli. I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

TRACKLIST
1.Verfall
2.Unclean Lips
3.The Fertile Abyss
4.Olympus of Appearance
5.Error Sewer
6.Servant and Supplicant
7.Thalassic Regression
8.Fragment of a Crucifixion, 1950

THROWNNESS – Facebook

Evil Reality – Winners And Losers

Gli Evil Reality producono un disco molto bello ed interessante, originale e con una grande anima gotica, anche se non disdegnano e possiedono molta sapienza pop.

Ep d’esordio per questo gruppo milanese di metal sperimentale e felicemente spiazzante.

Ascoltando l’ep si finisce infatti in diversi generi, quali il gothic, l’industrial più melodico e il groove metal. La melodia è molto forte e strutturata, e la bella voce femminile di Sorrow rende moltissimo. Le canzoni sono tutte ben costruite e le parti aggressive e più dolci sono ben bilanciate. L’influenza dei Rammstein in alcuni momenti è molto forte, ma l’originalità del gruppo non è ma in discussione. Winners And Losers è anche un disco orecchiabile e radiofonico, coniugando bene la ricerca musicale con una giusta accessibilità per tutti o quasi. Stupisce la maturità del gruppo, questa conoscenza del percorso da intraprendere e anche la capacità di essere duri e dolci anche nella stessa canzone, senza essere schizofrenici. Il metal di Winners And Losers è sicuramente un metal altro, moderno ma anche molto gotico nel gusto. Il concept dell’ep sono le emozioni che viviamo in questa vita, suddivisi tra vincenti e perdenti. Gli Evil Reality producono un disco molto bello ed interessante, originale e con una grande anima gotica, anche se non disdegnano e possiedono molta sapienza pop. Insomma un bel sentire, ed è solo l’inizio.

TRACKLIST
1- Will to Power
2- Frail
3- Excluded
4- Bittersweet Lullaby
5- Losers’ Kingdom

LINE-UP
Sorrow – voice
Envy – guitar and 2nd voice
Shame – bass guitar
Shy – keyboards
Aloof – drums

https://www.facebook.com/Evil-Reality-235272533479256/

VV.AA. – Transcending Obscurity Label Sampler 2016

Cliccando il link che troverete in calce all’articolo, avrete la ghiotta opportunità di fare un bel giro metallico del globo, gentilmente offerto da Kunal Choksi e dalla sua Transcending Obscurity.

La Transcending Obscurity è un’etichetta alla quale noi di MetalEyes siamo particolarmente affezionati: intanto perché, quando abbiamo iniziato ad occuparci di metal qualche anno fa, ancora all’interno di In Your Eyes, la label indiana è stata una delle prime a darci credito senza farsi troppe domande su chi fossimo o quanti contatti facessimo, e poi, soprattutto, perché colui che ne regge fila, Kunal Choksi, è uno di quei personaggi che dovrebbero essere clonati per tutto quello che ha fatto e sta facendo per la diffusione del verbo metallico in Asia.

Dopo questo doveroso panerigico nei confronti del dinamico discografico di Mumbai, non resta che invitare ogni appassionato di metal che si rispetti a fare propria questa esaustiva compilation contenente un brano di ciascuna delle band appartenenti alla scuderia delle Transcending Obscurity, tanto più che il tutto è scaricabile gratuitamente dal bandcamp.
Lì troviamo cinquantacinque tracce che offrono contributi provenienti da nomi già noti ed altri ancora da scoprire, abbracciando tutti i generi estremi, a partire soprattutto dal death metal, spesso rappresentato nella sua versione old schol, passando per il black ed il doom, con qualche sconfinamento nel thrash, nello stoner/sludge e nel più tradizionale heavy metal.
Molti di questi brani fanno parte di album che abbiamo avuto il piacere di recensire, quasi tutti accompagnati da valutazioni lusinghiere, segno di un roster dal livello medio molto elevato, benché composto per lo più da realtà dalla notorietà confinata all’underground.
Quasi superfluo segnalare uno o l’altro brano, si può solo aggiungere che per chi ama il death c’è da sbizzarrirsi, tra i Paganizer dell’onnipresente Rogga Johnasson, i Sepulchral Curse e gli storici Warlord UK, per i death/doomsters le icone Officium Triste e Mythological Cold Towers e i più recenti Chalice of Suffering e Illimitable Dolor, mentre per chi predilige sonorità più distorte e stonate ci sono gli Altar Of Betelgeuze, gli Algoma e i The Whorehouse Massacre e per i blacksters realtà stimolanti come i Norse, i Seedna ed i Somnium Nox, tutto questo senza voler fare alcun torto a chi non è stato citato.
Infine, questa compilation offre la possibilità anche ai più scettici di farsi un’idea di quale sia il livello raggiunto dalle band asiatiche, autrici spesso di opere di livello pari, se non superiori, a quelle dei corrispettivi europei od americani: cito tra queste i “vedic metallers” Rudra, i Grossty, i Dormant Inferno ed i Darkrypt (da notare che la sezione asiatica è facilmente individuabile essendo stata racchiusa negli ultimi quindici brani).
Quindi, cliccando il link che troverete in calce all’articolo, avrete la ghiotta opportunità di fare un bel giro metallico del globo, gentilmente offerto da Kunal Choksi e dalla sua Transcending Obscurity.

Tracklist:
1. Officium Triste (Netherlands) – Your Heaven, My Underworld (Death/Doom Metal)
2. Mythological Cold Towers (Brazil) – Vetustus (Death/Doom Metal)
3. Paganizer (Sweden) – Adjacent to Purgatory (Old School Death Metal)
4. Ursinne (International) – Talons (Old School Death Metal)
5. Echelon (International) – Lex Talionis (Classic Death Metal)
6. Henry Kane (Sweden) – Skuld Och Begar (Death Metal/Crust)
7. Stench Price (International) – Living Fumes ft. Dan Lilker (Experimental Grindcore)
8. Sepulchral Curse (Finland) – Envisioned In Scars (Blackened Death Metal)
9. Fetid Zombie (US) – Devour the Virtuous (Old School Death Metal)
10. Infinitum Obscure (Mexico) – Towards the Eternal Dark (Dark Death Metal)
11. Altar of Betelgeuze (Finland) – Among the Ruins (Stoner Death Metal)
12. Illimitable Dolor (Australia) – Comet Dies or Shines (Atmospheric Doom/Death)
13. The Furor (Australia) – Cavalries of the Occult (Black/Death Metal)
14. Warlord UK (United Kingdom) – Maximum Carnage (Old School Death Metal)
15. Norse (Australia) – Drowned By Hope (Dissonant Black Metal)
16. Soothsayer (Ireland) – Of Locust and Moths (Atmospheric Doom/Sludge)
17. Swampcult (Netherlands) – Chapter I: The Village (Lovecraftian Black/Doom Metal)
18. Seedna (Sweden) – Wander (Atmospheric Black Metal)
19. The Slow Death (Australia) – Adrift (Atmospheric Doom Metal)
20. Arkheth (Australia) – Your Swamp My Wretched Queen (Experimental Black Metal)
21. Mindkult (US) – Howling Witch (Doom/Stoner Metal)
22. Warcrab (UK) – Destroyer of Worlds (Death Metal/Sludge)
23. Isgherurd Morth (International) – Lucir Stormalah (Avant-garde Black Metal)
24. Lurk (Finland) – Ostrakismos (Atmospheric Doom/Sludge Metal)
25. Come Back From The Dead (Spain) – Better Morbid Than Slaves (Old School Death Metal)
26. Somnium Nox (Australia) – Apocrypha (Atmospheric Black Metal)
27. MRTVI (UK) – This Shell Is A Mess (Experimental Black Metal)
28. Veilburner (US) – Necroquantum Plague Asylum (Experimental Black/Death Metal)
29. Jupiterian (Brazil) – Permanent Grey (Doom/Sludge Metal)
30. Exordium Mors (New Zealand) – As Vultures Descend (Black/Thrash Metal)
31. Embalmed (US) – Brutal Delivery of Vengeance (Brutal Death Metal)
32. Gloom (Spain) – Erik Zann (Blackened Brutal Death Metal)
33. Marasmus (US) – Conjuring Enormity (Death Metal)
34. Algoma (Canada) – Reclaimed By The Forest (Sludge/Doom Metal)
35. Cemetery Winds (Finland) – Realm of the Open Tombs (Blackened Death Metal)
36. Marginal (Belgium) – Sign of the Times (Crust/Grind)
37. Chalice of Suffering (US) – Who Will Cry (Death/Doom Metal)
38. Briargh (Spain) – Sword of Woe (Pagan Black Metal)
39. Ashen Horde (US) – Desecration of the Sanctuary (Progressive Black Metal)
40. The Whorehouse Massacre (Canada) – Intergalactic Hell (Atmospheric Sludge)
41. Rudra (Singapore) – Ancient Fourth (Vedic Metal)
42. Dusk (Pakistan) – For Majestic Nights (Death/Doom Metal)
43. Ilemauzar (Singapore) – The Dissolute Assumption (Black/Death Metal)
44. Severe Dementia (Bangladesh) – The Tormentor (Old School Death Metal)
45. Warhound (Bangladesh) – Flesh Decay (Old School Death Metal)
46. Assault (Singapore) – Ghettos (Death/Thrash Metal)
47. Gutslit (India) – Scaphism (Brutal Death/Grind)
48. Plague Throat (India) – Inherited Failure (Death Metal)
49. Darkrypt (India) – Dark Crypt (Dark Death Metal)
50. Against Evil (India) – Stand Up and Fight! (Heavy Metal)
51. Grossty (India) – Gounder Grind (Grindcore/Crust)
52. Dormant Inferno (India) – Embers of You (Death/Doom Metal)
53. Carnage Inc. (India) – Defiled (Thrash Metal)
54. Lucidreams (India) – Ballox (Heavy Metal)
55. Nightgrave (India) – Augment (Experimental Black Metal/Shoegaze)

TRANSCENDING OBSCURITY – Facebook

Ursa – The Yerba Buena Session

Gli Ursa riescono a mantenere un’ottima tensione per tutto il disco, e queste sessioni assumono il carattere di jam composte molto bene.

Gli Ursa sono la dimostrazione che con talento e passione si può fare un ottimo doom stoner metal, pur provenendo da un ambito diverso dell’universo metal.

I tre provengono da Petaluma in California, stato fresco della legalizzazione dell’erba, e questo disco è appunto un lungo viaggio in cinque canzoni in download libero.
La nascita degli Ursa si deve ad un progetto parallelo di tre quarti dei Cormorant, un buon gruppo black metal. I tre si staccano momentaneamente dal gruppo madre per fare del doom stoner di alta qualità.
Il loro suono parte dalle coordinate classiche del genere, con un passo arioso ma che non tralascia momenti maggiormente veloci, anche con l’ottimo ausilio di un organo. Gli Ursa riescono a mantenere un’ottima tensione per tutto il disco, e queste sessioni assumono il carattere di jam composte molto bene. Una delle grandi protagoniste in questo disco è l’epicità delle canzoni, e anche i testi riflettono un amore per il fantasy e per il fantastico in genere. A volte spunta il loro amore per il black metal in alcune energiche tirate, che non sono di fatto black ma che lasciano trasparire ciò. Ci si deve addentrare in The Yerba Buena Sessions per carpirne il forte carattere e la gran classe, e per gustare a fondo questo ottimo ed epico doom stoner.
In definitiva un disco che vi stupirà e che conferma l’ottima via americana al doom epico.

TRACKLIST
1.Wizard’s Path
2.Frost Giantess
3.Thirteen Witches
4.Scourge of Uraeus
5.Dragon’s Beard

LINE-UP
Brennan – Drums & Synth
Matt – Bass & Vocals
Nick – Guitars & Synth

Cowards – Still

Un ep fuori dal comune, potentissimo e bellissimo, di un gruppo tra i migliori nel panorama pesante mondiale.

I Cowards sono, in breve sintesi, un fenomenale gruppo di noise hardcore, con elementi sludge, ma soprattutto puntano alla vostra giugulare.

Raramente ascolterete un ep dell’intensità di Still, perché questi ragazzi francesi nelle loro canzoni mettono un quantità di rumore e pesantezza davvero notevoli, e si è notevolmente attratti da questo suono. Disperazione, urgenza e forse noia, quale sia la molla ben venga se la musica che ne esce fuori è questa. Dopo il secondo disco del 2015, Rise Of The Infamy, che è un’altra eccelsa opera, eccoli tornare a beve giro di posta su Throatruiner Records, garanzia di musica pesante e pensante. Still è un’ ep, tra l’altro in free download, che non vi lascerà un attimo di tregua, vi seguirà ovunque gridare con le cuffie, insieme ai Cowards, perché questo è veleno che ci si inietta per tentare di sopravvivere. Prendete i Converge, buttateli nella mischia noise anni novanta newyorchese, e capirete vagamene cosa siano i Cowards. Dato che questi ragazzi non sono un gruppo normale, i primi due pezzi sono loro inediti, mentre You Belong To Me è una canzone dei Police (che testimonia pure quanto fossero avanti Sting e soci) fatta alla Cowards, e scorre il sangue. One Night in Any City è la libera rielaborazione di One Night In New York degli Horrorist. Un ep fuori dal comune, potentissimo e bellissimo, di un gruppo tra i migliori nel panorama pesante mondiale.

TRACKLIST
1.Still (Paris Most Nothing)
2.Empty Eyes Smiles
3.Like Us (feat. Matthias Jungbluth)
4.You Belong To Me (*** ****** cover)
5.One Night In Any City (The Horrorist cover)

LINE-UP
Membri
J. H. – Chant
C. L. – Batterie
G. T. – Basse
T. A. – Guitare
A. L. – Guitare

COWARDS – Facebook