Lethe – The First Corpse On The Moon

Non esiste un solo buon motivo per rinunciare ad un’ora di musica di tale livello.

Close your eyes, open your mind, and let the music take you on a musical journey through different moods … è senz’altro il caso di seguire il consiglio della My Kingdom, attiva etichetta italiana che ha il merito d’aver acquisito i servigi, tra gli altri, di questi meravigliosi Lethe, progetto musicale che vede una sorta di alleanza tra musicisti norvegesi e svizzeri.

Infatti, attorno ai due protagonisti principali, lo scandinavo Tor-Helge Skei (Manes e Manii) e l’elvetica elvetica Anna Murphy (Eluveitie, Nucleus Torn), ruotano musicisti per lo più provenienti dalle loro rispettive band e troviamo, quindi, da una parte Eivind Fjøseide (chitarra), Tor Arne Helgesen e Rune Hoemsnes (batteria) e Asgeir Hatlen (voce), tutti gravitanti attorno al nucleo dei Manes, e dall’altra Fredy Schnyder (piano, Nucleus Torn) e Ivo Henzi (chitarra, ex Eluveitie).
Questo particolare connubio dà vita ad un lavoro di spessore non comune come The First Corpse On The Moon (il secondo nella discografia dei Lethe), difficile da inquadrare in un genere specifico anche perché il sound fluttua liberamente tra le intuizioni di Skei e la voce splendida della Murphy: tale presupposto consente di passare senza controindicazioni dagli accenni rap di Down Into The Sun (con l’ospite K-Rip) all’opprimente oscurità di My Doom, dalle melodie cristalline della title track all’incalzante crescendo di Snow, per arrivare ad altre due gemme di incommensurabile bellezza come Wind To Fire e With You.
L’intreccio tra le voci di Asgeir Hatlen e Anna Murphy rasenta la perfezione, con il caldo timbro del cantante norvegese che supporta la particolare voce della sirena svizzera, una sorta di Bjork meno estrema nei suoi vocalizzi ma ugualmente coinvolgente e, a tratti, commovente (in With You la sua interpretazione raggiunge un’intensità emotiva spasmodica).
Il senso di smarrimento che si fonde alla visionarietà, nell’artwork creato dall’ormai onnipresente Costin Chioreanu, ben rappresenta gli umori che l’album esprime, e che vanno forse anche oltre le attese degli ascoltatori più esigenti.
E’ proprio l’imprevedibilità che non impedisce, però, lo snodarsi di un filo conduttore melodico sempre definito, il tratto distintivo che eleva quest’opera al rango degli ascolti irrinunciabili per chi ricerca nella musica bellezza e talento fusi in maniera mirabile. Nessun esorcismo, neppure quello evocato dal titolo della traccia conclusiva, ci impedirà d’essere letteralmente posseduti dalla voce di Anna e dall’estro di Tor-Helge: davvero, non esiste un solo buon motivo per rinunciare ad un’ora di musica di tale livello.

Tracklist:
1. Night
2. Inexorbitant Future
3. Down Into The Sun
4. My Doom
5. Teaching Birds How To Fly
6. The First Corpse On The Moon
7. Snow
8. Wind To Fire
9. With You
10. Exorcism

Line up:
Line Up: Tor-Helge Skei: guitars, bass, sampling, programming, synths, lyrics
Anna Murphy: vocals, hurdy-gurdy, programming, synths, lyrics

Guest musicians:
Eivind Fjøseide: guitars;
Tor Arne Helgesen: drums;
Rune Hoemsnes: drums;
Asgeir Hatlen: vocals;
Tom Christian Engelsøy: additional vocals;
Richard Spooner: spoken voice;
K-Rip: rap;
Fredy Schnyder: piano;
Shir-Ran Yinon: violin ensemble;
Ivo Henzi: additional guitars;
Mark Cunningham: trumpets;
P Emerson Williams: sounds & vocal effects;
Rune Folgerø: vocal effects;
Andi Dobler: lyrics;
Torstein Parelius: additional lyrics

LETHE – Facebook

Fen – Winter

Opere che emozionano cosi profondamente sono perle rare che non possiamo perdere.

Ritornano gli albionici Fen con il loro quinto full a tre anni di distanza da “Carrion Skies”, un altro meraviglioso opus, intriso di quella oscura vena malinconica, figlia diretta della paludosa zona dell’est dell’Inghilterra da cui provengono, le Fenland.

Il trio inglese, attivo dal 2007, continua ad elaborare un suono che si bilancia sempre meglio tra intuizioni post-rock e influssi black metal creando un equilibrio che ha pochi eguali; la nuova opera Winter, dalla copertina, come al solito, evocativa e dalle tinte pastello si dipana per una abbondante ora in sei movimenti (Pathway, Penance, Fear, Interment, Death, Sight) che descrivono il senso di perdita e l’eterno dilemma vita – morte, conducendo noi ascoltatori a un profondo viaggio interiore ricco di contrasti e dubbi; l’opera nella sua alternanza di atmosfere tristi, meditative e momenti black condotti con grande maestria da una solida sezione ritmica, da un guitar sound convinto e variegato e da uno scream incisivo, ha bisogno di essere centellinata con molti attenti ascolti perché, ad un approccio superficiale non rivela la sua alta qualità.
Le atmosfere suggestive sono molteplici, passando dall’ opener di diciassette minuti, Pathway, dove anime sferzate da tormente di neve urlano la loro ribellione all’infinito, al viaggio introspettivo di Fear dove una circolare melodia si infrange su stalattiti black affilate e disperate; l’urlo feroce di Death non lascia scampo e ci trasporta velocemente verso una “blessed death”, mentre i delicati arpeggi tinteggiati di ambient di Sight si aprono in una ultima decisa cavalcata che conclude un lavoro superbo … I Surrender, I Descend, I Dissolve, I End.
Da ricordare a lungo .

TRACKLIST
1. I (Pathway)
2. II (Penance)
3. III (Fear)
4. IV (Interment)
5. V (Death)
6. VI (Sight)

LINE-UP
Grungyn Bass, Vocals
The Watcher Guitars, Vocals
Derwydd Drums, Percussion

FEN – Facebook

Bastian – Back To The Roots

Torna il chitarrista Sebastiano Conti con il suo progetto Bastian, arrivato al terzo bellissimo lavoro: un album di hard rock classico suonato e cantato a meraviglia, che conferma il musicista e compositore italiano come uno dei migliori interpreti del genere negli ultimi anni.

Si torna a parlare del chitarrista nostrano Sebastiano Conti e del suo progetto Bastian, questa volta sulle pagine di MetalEyes, anche se il sottoscritto segue le avventure musicali di Conti da quando di metal e hard rock si parlava sul sito madre (InYourEyes).

Among My Giants, debutto licenziato nel 2014, vedeva il musicista e compositore siciliano cimentarsi con la musica che ha sempre amato, aiutato da una manciata di musicisti storici della scena metal rock mondiale, nonché idoli di Conti.
Gente del calibro di Vinny Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso, facevano da contorno prelibato al succulento piatto confezionato dal chitarrista, assolutamente a suo agio tra i suoi giganti e perfetta macchina hard rock con la sua sei corde.
Lo scorso anno Rock On Daedalus confermava quello che poteva non essere così scontato ed i Bastian tornavano ad incendiare lettori cd con un altro pezzo di granito hard & heavy, sempre con le partecipazioni di Macaluso e Vescera dietro al microfono.
Un anno esatto separa questa volta i due lavori, con Back To The Roots che porta un paio di novità importanti in seno alla band capitanata da Conti.
Al microfono, questa volta, troviamo nientemeno che Apollo Papathanasio, ex Firewind e, insieme al fido Corrado Giardina al basso, le bacchette di sua maestà Vinny Appice.
Il nuovo lavoro, licenziato dalla Sliptrick Records, porta una nuova ventata di hard rock, classicamente fresco e dannatamente bluesy, andando a colpire e spaccare il cuore dei rockers con una serie di brani sanguigni in cui il vocalist greco dimostra il suo talento per le atmosfere classiche e da crocicchi sperduti e presieduti dal diavolo in persona; la chitarra imperversa tra riff pesanti di rock duro, solos che sputano sangue, facendo l’occhiolino ad una sezione ritmica ora funkizzata, ora hard blues come si faceva nel regno unito dominato dal serpente bianco, ora appesantita dal groove che fa capolino tra lo spartito di meraviglie sonore come Rock Age, canzone capolavoro dell’album, un hard blues tra Whitesnake e Led Zeppelin con un finale in cui la chitarra ci scava dentro e arrivata al cuore lo sollecita con sfumature blues da applausi.
Papathanasio dà spettacolo, perfetto nel giocare con il Coverdale d’annata ma con piglio da vocalist metal e già dall’opener Goodbye To My Room si capisce che la sterzata è stata naturale, sentita e che non poteva essere altrimenti, anche perché Writing My Rock And Roll, il funky blues di Moth Woman, il riff di Spirit With The Hatchet ed il ritmo irresistibile di Poor Town, aiutano l’album a raggiungere una qualità strumentale ed espressiva straordinariamente alta.
Altro da aggiungere non c’è, a parte l’invito a non ignorare questo bellissimo e terzo centro del musicista siciliano, nel genere uno dei migliori interpreti degli ultimi anni.

TRACKLIST
1.Goodbye to My Room
2.Midsummer Night’s Dream
3.Writing My Rock and Roll
4.The Kite
5.Jasmine & Sebastien
6.Moth Woman
7.Warrior Friend
8.Dreamer
9.Rock Age
10.Little Angel
11.Spirit With the Hatchet
12.Poor Town
13.The Demon Behind Me
14.Jasmine & Sebastien

LINE-UP
Apollo Papathanasio – Vocals
Sebastiano Conti – Guitars
Vinny Appice – Drums
Corrado Giardina – Bass

BASTIAN – Facebook

Pyogenesis – A Kingdom To Disappear

Metal estremo che si trasforma, fagocitato e poi riversato sotto altre forme da un’entità geniale che fa dell’ eclettismo la sua micidiale arma musicale.

Siamo passati dalla locomotiva del precedente e bellissimo A Century In The Curse Of Time al dirigibile di questo nuovo lavoro intitolato A Kingdom To Disappear, ma il risultato per i Pyogenesis non cambia, così che andiamo ad archiviare l’ennesimo geniale lavoro di un gruppo unico.

Il sound dei Pyogenesis nel suo toccare molte delle svariate forme del metal e del rock rimane quanto di più originale ci si trovi al cospetto nell’anno di grazia 2017, dunque anche il nuovo album tocca livelli qualitativi imbarazzanti per almeno i tre quarti dei gruppi odierni.
E così Flo V.Schwarz e compagni ci fanno partecipi di un altro viaggio per la musica del nuovo millennio, come un libro che racconta dei cambiamenti sociali avvenuti nel diciannovesimo secolo tra atmosfere e sfumature cangianti di un sound che porta la firma del combo tedesco, e non potrebbe essere altrimenti.
Metal estremo che si trasforma, fagocitato e poi riversato sotto altre forme da un’entità geniale che fa dell’ eclettismo la sua micidiale arma musicale, dandola in pasto in questo nuovo millennio che purtroppo non segue la voglia di progresso del diciannovesimo secolo ma è, invece, brutalmente impantanato nella pochezza dell’uomo moderno.
I Pyogenesis consegnano un’altra perla musicale, coinvolgente nelle sue molteplici forme che vanno dall’intro orchestrale che porta alla death oriented Every Man For Himself… And God Against All, al groove metal dal ritornello melodico di I Have Seen My Soul, al capolavoro A Kingdom To Disappear ( It’s Too Late), perfetto connubio tra i Type O Negative ed i Beatles, mentre New Helvetia risulta un brano acustico dall’incedere dolcemente medievaleggiante.
Le sorprese come vedete non mancano, la new wave dai rimandi ottantiani viene toccata da That’s When Everybody Gets Hurt, mentre l’alternative rock di We (1848) ribadisce ancora una volta l’assoluta mancanza di barriere e confini musicali di questi geniali musicisti tedeschi.
Il finale è lasciato alla lunga suite epico orchestrale Everlasting Pain, che chiude questo bellissimo secondo capitolo della trilogia iniziata con il precedente lavoro e di cui A Kingdom To Disappear è il perfetto seguito.
Un’opera che nella sua interezza sta assumendo sempre di più i risvolti di un pietra miliare …  to be continued.

TRACKLIST

1.Sleep Is Good (Intro)
2.Every Man for Himself… and God Against All
3.I Have Seen My Soul
4.A Kingdom to Disappear (It’s Too Late)
5.New Helvetia
6.That’s When Everybody Gets Hurt
7.We (1848)
8.Blaze, My Northern Flame
9.Everlasting Pain

LINE-UP

Flo Schwarz – Guitars, Vocals, Keyboards
Malte Brauer – Bass
Jan Räthje – Drums
Gizz Butt – Guitars

VOTO
9

URL Facebook
http://www.facebook.com/pyogenesis

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
dandola in pasto in questo nuovo millennio che purtroppo non segue la voglia di progresso del diciannovesimo secolo ma è invece brutalmente impantanato dalla pochezza dell’uomo moderno.

Scuorn – Parthenope

Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

Personalmente ritengo Parthenope un disco epocale per molti motivi. Prima di tutto per la musica che, d’accordo non è nulla di nuovo, ma viene eseguita come nel marmo dell’inferno. Poi per ciò che esprime: è il primo disco in metal che, utilizzando il dialetto, tratta di Napoli e della partenopeità, un concetto davvero affascinante ed ampio.

Partiamo dall’inizio.
Scuorn nasce nel 2008 per opera di Giulian, che qui nel disco compone e suona tutto, con validi aiuti che vedremo di seguito. Questo è il suo debutto discografico, ed è qualcosa di strabiliante. Innanzitutto il nome: Scuorn letteralmente vuol dire vergogna, ma è un concetto diverso da quello italiano, anzi quando ascolterete questo disco dimenticatevi dell’italiano, è solo un intralcio, calatevi nella lingua napoletana, poiché ha maggiori livelli di pensiero dell’italiano.
Parthenope è un concept album sulle storie e soprattutto sulle leggende greco romane di Napoli e dintorni, ogni canzone una leggenda. Le origini sono interessantissime e ancora misteriose, perché Napoli non mostra mai il suo vero volto, nemmeno oggi. Di Napoli abbiamo un’immagine comune, dei pregiudizi, ma Napoli è altro. Ogni volta che ci vai vedi un lato diverso, perché era una città cara agli dei, e questo disco ce lo fa capire molto bene. Scuorn narra di epicità perduta con un suono incredibile, che parte dal black metal sinfonico per andare ben oltre. Come coordinate sonore prendete dei Fleshgod Apocalypse più black, con un incedere però diverso, ma ugualmente magnifico, e questa è una delle forze del disco. Con loro Scuorn ha in comune il produttore, quello Stefano Morabito che si è occupato anche degli Hour Of Penance, ed è uno dei più bravi in giro, infatti la produzione di Parthenope è pressoché perfetta. Per le parti orchestrali Giulian si è avvalso della preziosa collaborazione di Riccardo Studer dei Stormlord, e il suo grandissimo lavoro si può ascoltare nel secondo disco dell’edizione speciale, che contiene le bellissime versioni orchestrali di ciascun brano. Dentro a questo immaginifico suono ci stanno le narrazioni di Giulian, che ci riporta indietro nel tempo, alla parte greca e romana della storia di questa città, che più che una città è una civiltà vera e propria. Notevolissimi sono i pezzi suonati con gli strumenti tipici di Napoli, uno su tutti il mandolino, che è anche nel simbolo del gruppo. Questi strumenti sono usati molto bene, inserendoli con gran cura nella narrazione: infatti, Averno è un pezzo strumentale che diventerà uno spartiacque, come Kaiowas per i Sepultura. Parthenope è un capolavoro assoluto, un atto d’amore e di odio entrambi incondizionati per una città che è uno stato d’essere, con radici occulte ed antichissime che nessuno mai prima d’ora aveva narrato in questa maniera. Qui dentro troverete quel sentire che solo a Napoli è possibile, il tutto usando il metal come codice e linguaggio per raccontare. Il metal, ed in particolare il black metal, è uno dei mezzi migliori per narrare storie epiche e sopratutto per raccontare le diversità e le peculiarità delle varie terre. E’ incredibile l’evoluzione di un genere che è nato per isolare ed invece è uno strumento formidabile di conoscenza e scambio, straordinario veicolo di storie e popoli. Personalmente sono rimasto folgorato dalla potenza e dalla bellezza di un disco come questo, che aspettavo da una vita e che potrebbe diventare una pietra miliare del metal in Italia.

TRACKLIST
1.Cenner e Fummo
2.Fra Ciel’ e Terr’
3.Virgilio Mago
4.Tarantella Nera
5.Sanghe Amaro
6.Averno
7.Sibilla Cumana
8.Sepeithos
9.Parthenope
10.Megaride
11.Cenner’ e Fummo (ORCHESTRAL VERSION)
12.Fra Ciel’ e Terr’ (ORCHESTRAL VERSION)
13.Virgilio Mago (ORCHESTRAL VERSION)
14.Tarantella Nera (ORCHESTRAL VERSION)
15.Sanghe Amaro (ORCHESTRAL VERSION)
16.Averno (ORCHESTRAL VERSION)
17.Sibilla Cumana (ORCHESTRAL VERSION)
18.Sepeithos (ORCHESTRAL VERSION)
19.Parthenope (ORCHESTRAL VERSION)
20.Megaride (ORCHESTRAL VERSION)

LINE-UP
Giulian

SCUORN – Facebook

Red Harvest – HyBreed

The Soundtrack to the Apocalypse: ristampa fondamentale per una band geniale e avvincente, da maneggiare con cura …

Ogni anno il mondo musicale è sommerso da grandi quantità di materiale e diventa sempre più difficile, anche per chi si diletta come “cercatore d’oro”, seguire tutte le uscite, nuove o ristampe che siano; in questo caso rischia di passare inosservata la reissue di un autentico capolavoro della leggenda underground norvegese Red Harvest, band attiva fin dal lontano 1989 con il demo Occultica, con il suo suono claustrofobico figlio di commistioni industrial, death, doom e ambient.

La ristampa in questione, Hybreed, presentata in un elegante confezione accompagnata da una copertina virata rosso deserto e con un secondo cd contenente un concerto reunion del 2013, presenta il loro apice creativo, anche se i successivi quattro full esalteranno e completeranno il loro percorso artistico. L’opera, uscita nel 1996 per Voices of Wonder, si articola su undici brani che presentano un grande varietà di suoni miscelati sapientemente tra loro, a partire dal opener Mazturnation, breve, ma intenso urlo ribelle di entità aliene alla natura bizzarra, per poi proseguire con il lento cammino di un’anima ruggente in Lone Walk; l’incipit di questa opera è già magistrale ma è con il prosieguo dei brani che si rimane stupefatti di fronte alla magnificenza regalataci da cinque grandi artisti: Mutant, urgente messaggio da un futuro graffiante e oscuro, After All, quattro minuti in cui sembrano scontrarsi oscuri eserciti di anime bruciate che ci narrano di inferni micidiali, l’oasi elettroacustica lugubre e metropolitana di Ozrham, screziata da fredde percussioni anticipa lo zenith On sacred ground, dove una maestosa melodia si apre lentamente in un mondo pesante, plumbeo e greve: un brano veramente magnifico! La materia fluttuante e le cascate laviche che accompagnano The Harder they fall trovano fugace quiete nell’ottavo brano Underwater, dove il lento salmodiare è squarciato da strali improvvisi di oscura luce; gli ultimi tre brani, Monumental, In deep (sinistra ambient) e The Burning wheel, portano a completa sublimazione l’arte di una band che tanto ha dato e poco o niente ha ricevuto. Ripetuti ascolti porteranno assuefazione e gioveranno allo spirito in questi tempi privi di certezze; la promessa da parte della band di un comeback discografico nel 2017 ci lascia speranzosi di poter ascoltare altre meraviglie.

TRACKLIST
1.Maztürnation
2.The Lone Walk
3.Mutant
4.After All…
5.Ozrham
6.On Sacred Ground
7.The Harder They Fall
8.Underwater
9.Monumental

CD2
1.In Deep
2.The Burning Wheel
3.Live BlastFest 2016
4.Omnipotent
5.The Antidote
6.Hole in Me
7.Godtech
8.Cybernaut
9.Mouth Of Madness
10.Sick Transit Gloria Mundi
11.Absolut Dunkel-Heit

LINE-UP
Jimmy Bergsten – Vocals, Guitars, Keyboards
Cato Bekkevold – Drums
Thomas Brandt – Bass
Ketil Eggum – Guitars
Lars Sørensen – Samples, Keyboards

RED HARVEST – Facebook

Ravenscry – The Invisible

Il bello di The Invisible è l’energia dispensata dalla band, con le parti più atmosferiche che fanno da preludio a brani sapientemente metallici.

Che i nostrani Ravenscry non fossero la solita gothic metal band era stato ampiamente dimostrato dal bellissimo The Attraction Of Opposites, album uscito tre anni fa che metteva in luce il talento compositivo del gruppo milanese e la bravura della cantante Giulia Stefani.

Con il nuovo album intitolato The Invisible il gruppo va oltre, creando un concept dal taglio moderno dove metal, dark e gothic rock si fondono per donare un’ora di magia musicale intrigante e matura.
Un concept, quindi, una storia che si articola su diciannove brani tra intermezzi, intro ed outro, atmosfere intimiste ed altre molto più energiche dove spicca il talento della Stefani, ancora una volta fiore all’occhiello dei Ravenscry, così come il songwriting, questa volta davvero superlativo.
Non è certamente il primo e non sarà neanche l’ultimo, ormai i concept album si sprecano tra le uscite che a ritmo frenetico invadono il mercato, ma nell’opera dei Ravenscry c’è qualcosa in più, che porta l’ascoltatore oltre la storia per assaporare le varie sfumature offerte dalla musica.
Coral è una giovane bibliotecaria che scopre sulla copertina di un libro un luogo della sua infanzia e così, nella necessità di ritrovare questo misterioso luogo, la ragazza inizia un viaggio anche interiore, un’avventura raccontata dal gruppo dispensando metal/rock dal taglio dark.
Il bello di The Invisible è l’energia profusa dalla band, con le parti più atmosferiche che fanno da preludio a brani sapientemente metallici, nei quali non mancano solos dal retrogusto classico che si frappongono ad una struttura modern metal, con la cantante che elargisce qualità canore ancora più stupefacenti che nel precedente lavoro.
Basterebbe The Deepest Lake come esempio della capacità compositiva dei Ravenscry che, tra ritmiche al limite del prog ed una struttura metallica, lasciano alla cantante lo spazio necessario per portare il brano ad un livello altissimo, emozionando non poco.
Fortunatamente ogni brano vive di luce propria, da quelli più lunghi ed articolati (Hypermnesia, The Mission) a quelli più diretti (Coral – As Seen By Others) e vanno a comporre un’opera riuscita in pieno, confermando non solo la bravura del gruppo milanese, ma lo stato di salute di una scena italiana che ormai fa la voce grossa in gran parte dei generi del metal.

TRACKLIST
1. The Entaglement
2. Whispered Intro
3. Hypermnesia
4. Coral (as seen by others)
The librarian talks about Coral
5. The Mission
6. Monsters Inside
The director of the institute talks about Coral
7. The Invisible Revolution
8. The teacher talks about Coral part 1
9. The Deepest Lake
10. The grandmother talks about Coral
11. More Than Anything
12. The teacher talks about Coral part 2
13. Nothing But A Shade
14. Nora talks about Martin
15. Oscillation
16. In Collision
17. The Magic Circle
Martin talks with Coral part 1
18. Flux Density
19. Overload
Martin talks with Coral part 2

LINE-UP
Giulia Stefani – vocals
Paul Raimondi – guitars
Mauro Paganelli – guitars
Andrea Fagiuoli–bass
Simon Carminati – drums

RAVENSCRY – Facebook

TETHRA

Like Crows For The Earth è stato decisamente uno dei migliori lavori usciti in assoluto in questi primi due mesi del nuovo anno: ne sono autori i Tethra, band del nord ovest italico guidata oggi da Clode, il solo musicista rimasto nella band rispetto alla formazione che diede alle stampe l’album d’esordio quattro anni fa.
Gli abbiamo posto così alcune domande per cercare di sapere qualcosa di più sulla genesi del nuovo disco e su altri argomenti riguardanti lo stato di salute del metal nel nostro paese.

MetalEyes: Like Crows For The Earth è il vostro secondo album, a quattro anni di distanza da Drown Into The Sea Of Life e con una line-up completamente rivoluzionata rispetto ad allora: oltre alle facce, cosa è cambiato nei Tethra in questo lasso di tempo?

Sicuramente è cambiato l’approccio a livello umano, anche se la vita può assestare duri colpi la band reagisce ora come una famiglia, infatti parliamo spesso delle nostra quotidianità e cerchiamo di aiutarci l’uno con l’altro. La musica ha subito lo stesso cambiamento perché in fase compositiva tutti danno il massimo, aggiungendo elementi personali che vanno ad arricchire il sound della band.

ME L’ascolto di Like Crowns For The Earth mi ha lasciato sensazioni diverse rispetto al suo predecessore, che era senz’altro un bellissimo lavoro, ma questo mi sembra ancora più maturo, completo e soprattutto vario. L’impressione è quella che abbiate voluto esplorare diverse sfaccettature del doom, dal gothic al classico fino a quello dalle venature death, sei d’accordo?

Certamente, abbiamo passato un periodo difficile perché ci hanno lasciato persone a noi molto care e questa cosa, oltre ad averci unito umanamente, ha portato il nostro sound ad essere più intimista e riflessivo senza dover essere a tutti i costi più accessibile. Infatti, non ci siamo fatti troppi problemi sul fatto che la nostra musica stava cambiando perché a livello umano stavamo facendo la stessa cosa e perché, personalmente, ritengo assolutamente normale che il nuovo lavoro differisca da quello vecchio in qualche modo. Io la vedo un po’ come un viaggio: c’è sicuramente qualcosa che non va se spostandoti continui a vedere sempre lo stesso panorama, no?

ME Ho notato che hai cercato di variare ulteriormente anche il tuo range vocale, inserendo anche delle parti in screaming. In general quali sono i cantanti che ti ispirano maggiormente?

Io nasco come screamer e solo successivamente arrivo a cantare anche in pulito e growl, nei Tethra questa caratteristica era stata messa un po’ da parte in favore di un approccio più cupo ma in questo nuovo lavoro ci sono state un paio di occasioni in cui questo particolare tipo di voce era la cosa giusta da fare, ai miei compagni la cosa è piaciuta molto quindi ho deciso di tornare alle mie origini con grande piacere. Più che farmi ispirare da una voce quello che mi colpisce di più di un’artista è il suo modo di stare sul palco, prediligo quei cantanti che vivono in modo intenso i loro brani e che hanno un approccio introspettivo e passionale con questo importante aspetto dell’essere musicista. Nel metal non posso non ricordare Aaron Stainthorpe dei My Dying Bride e Fernando Ribeiro dei Moonspell, mentre sono sempre rimasto affascinato dalla teatralità e dal linguaggio del corpo di Piero Pelù dei Litfiba, di Bjork, di Dave Gahan dei Depeche Mode e di Edith Piaf.

ME A livello lirico anche il nuovo album ha un suo filo conduttore, come accadeva con Drown Into The Sea Of Life dove il tratto comune era l’elemento acquatico?

Come ho già avuto modo di dire è stato un anno molto duro nel quale ci hanno lasciato persone a noi molto care, inevitabilmente buona parte delle liriche del nuovo album girano attorno a tematiche come il senso di perdita e abbandono ma, come ormai sa chi ci segue fin dall’inizio, siamo persone tutt’altro che depresse e infatti queste canzoni nascondono sempre un messaggio positivo, se si ha la voglia di cercare oltre la superficie. L’intro dell’album racchiude un po’ la filosofia che ci accompagna durante gli ultimi tempi: la resilienza … che, per dirla in modo semplicistico, è la capacità di una persona (ma anche di un materiale) di far fronte ad un trauma in maniera positiva adattandosi alla situazione senza “spezzarsi”. In questo nuovo lavoro c’è spazio anche per una tematica ecologica che mi è sempre stata a cuore ma che non ho avuto mai la possibilità di trattare: infatti, i “Corvi per la Terra” sono gli esseri umani che, proprio come fanno questi uccelli, depredano il suolo e le specie che ci vivono fino a quando non è rimasto nulla da sfruttare. La nostra speranza è che si possa arrivare a prendere coscienza del problema, tentando di invertire la rotta di marcia che ci sta portando inesorabilmente vicini ad una catastrofe di massa.

ME Dei ragazzi che fanno parte dei Tethra oggi non è che si sappia molto, ci puoi raccontare qualcosa di loro, come sono entrati a far parte della band e quale è stato il loro contributo a livello compositivo?

Dopo la fuoriuscita di buona parte dei membri della prima line up della band ho cercato di trovare dei musicisti che avessero, grossomodo, le stesse qualità che hanno reso il suono dei Tethra così caratteristico, dovevano avere oltre ad una buona tecnica anche la voglia di sperimentare in un genere a loro quasi sconosciuto. Infatti, anche se tutti i nuovi membri della band amano le sonorità Death/Doom dai primi anni novanta fino ad oggi, nessuno di loro si era mai cimentato con questo genere. È un po’ come se stessimo creando ed idealizzando il Doom perfetto per noi, mai troppo lento e monotono, con le chitarre tipiche di un certo Death Metal e la voce che spazia fino al Gothic. Tutti noi, arriviamo di base dal Death, anche se c’è chi ha suonato Brutal, Depressive Black e persino Epic: tutte queste differenze non fanno altro che rafforzare il sound della band apportando delle continue migliorie, pur rimanendo coerenti con il nostro passato. La composizione dei brani nasce sempre dal un riff di chitarra dove poi ogni elemento è libero di inserire le parti che ritiene più appropriate al momento, a volte un brano nasce in modo spontaneo e risulta già praticamente perfetto fin dall’inizio, mentre altre volte abbiamo bisogno di più tempo per poter avere il risultato che cerchiamo, ma il tutto procede sempre con lo stesso aplomb che potrebbero avere vecchi amici e compagni di bevute.

ME Chi ama il doom non può fare a meno di sentirsi una specie di alieno in una società come quella che ci circonda , così sbilanciata verso tutto ciò che è effimero e di immediata fruibilità, ovviamente in antitesi rispetto ad un genere musicale che fa della profondità il suo punto di forza. Secondo te siamo una specie inesorabilmente in via d’estinzione?

Certo, il Doom non è un genere per molti, visto le sue tematiche che ti obbligano a guardarti dentro ed alla sua musica che sembra creata apposta per questo scopo, con i suoi momenti di grande introspezione, ma secondo me siamo arrivati ad una fase di grande cambiamento non solo per questo particolare genere ma per tutto il Metal. Complice la grande espansione di internet, siamo ormai troppo abituati ad ascoltare ottima musica in modo così facile che abbiamo dimenticato che, una volta, quello che ci faceva amare questo genere era la sua aura di mistero, quando per avere un cd dovevi magari prendere il treno ed andare nella città più vicina e, nel momento in cui arrivava il momento di ascoltare l’album ti approcciavi alla cosa con un rituale quasi religioso, fatto di oscurità, cuffie e stereo e al massimo qualcosa di giusto da bere. Ora ci sono una marea di ottimi gruppi che rilasciano album competitivi, girando video tutto sommato professionali e suonando in giro con regolarità. Una volta a questi tre step ci arrivavi dopo anni di gavetta ed arrivarci voleva dire che la band aveva raggiunto il successo, da qualche anno a questa parte c’è confusione in questo campo e in questo modo si perdono nel marasma di gruppi nella media anche quelli veramente ottimi, e questo è un peccato. Aggiungici poi il problema dei live in Italia, e le poche persone che sembrano dare ancora il giusto peso a questo rituale di aggregazione, ed avrai il quadro completo di una situazione che sta peggiorando di anno in anno e che, se non cambierà nulla, porterà il metal ad una crisi mai vista o più probabilmente ad un’inaspettata trasformazione.

ME Se i Germania primi in classifica sono i Kreator e qui da noi nomi che neppure voglio citare, è solo “colpa di Sanremo” oppure c’è qualcosa da rivedere in profondità a livello di cultura musicale nel nostro paese?

Per come la vedo io ognuno di noi è libero di ascoltare quello che vuole, il metal più di altri stili musicali è un genere elitario perché chi lo ascolta ha attraversato (o almeno dovrebbe averlo fatto) una fase della sua vita di solito particolarmente triste, dove alla fine si ha una specie di epifania che porta ad una maggiore introspezione e ad una più profonda conoscenza di sé. Ovviamente non succede a tutti e c’è chi ascolta questo genere per passare il tempo o per darsi la carica e, ovviamente, va benissimo così. Questo genere musicale non sarà mai mainstream fino a quando sarà più semplice spegnere il cervello davanti alle brutture della vita, magari facendosi aiutare dalla canzonetta del momento al posto di fronteggiare realmente i problemi di tutti i giorni e i nostri fantasmi; sarebbe comodo dare la colpa a Sanremo o alla chiesa ma purtroppo non è così, è una questione che ognuno deve risolvere da sé e che, per qualcuno, porta sulla nostra stessa strada musicale.

ME A proposito di thrash tedesco, in questi giorni è esplosa la querelle sui Destruction, relativa al loro comportamento poco elegante più consono a capricciose rockstar del pop piuttosto che a truci e sporchi metallari come vorrebbero apparire. Al di là dell’episodio specifico, l’attenzione di promoter e locali italiani nei confronti di chi suona è davvero mediamente inferiore rispetto a quanto avviene all’estero, oppure si tratta di un pregiudizio nei confronti di una nazione che purtroppo, in campo metal, non è mai riuscita ad avere un ruolo rilevante come altre, anche per tutti i motivi di cui abbiamo parlato prima?

Credo che non sapremo mai la verità sul “caso Destruction” perché avremmo dovuto essere fisicamente sul posto quella sera per poter giudicare ma, per esperienza personale, posso dire che da una parte le band a volte hanno delle pretese che esulano in modo eccessivo dal lato prettamente musicale, mentre dall’altro alcuni locali, pur avendo tutto l’impianto che serve per far suonare una band di medio livello, sono inseriti in un contesto che storicamente non è nato per far musica e immagino che questo possa far storcere il naso a chi della musica fa il proprio mestiere e ha bisogno di certe condizioni per poter suonare uno show degno del proprio nome. In Italia ci sono promoter e locali assolutamente all’altezza di quelli esteri, ovviamente, ma come in tutte le cose si trova sempre qualcuno senza troppi scrupoli che cerca di tagliare su qualcosa per aumentare la propria fetta di guadagno, per fortuna sono la minoranza.

ME Un musicista che si dedica ad un genere di nicchia come il doom, quali aspettative ha, realisticamente, dopo la realizzazione di un disco di grande valore come Like Crows For The Earth?

Ti ringrazio per le belle parole, noi siamo tutte persone con i piedi per terra e sappiamo che il genere che proponiamo non arriverà mai al grande pubblico e che è un periodo davvero pessimo per la musica underground. Procediamo a piccoli passi, rilasceremo quante più interviste possibili e cercheremo di suonare dove ancora non siamo stati per portare la nostra musica a chi ancora non l’ha sentita; l’album è appena uscito e fino ad ora le reazione di critica e pubblico sono state unanimemente entusiastiche quindi, realisticamente parlando, cercheremo di bissare e se possibile superare il successo del precedente album.

ME La serata dedicata alla presentazione del nuovo album , in quel di Cassano d’Adda, è stata pressoché perfetta, a parte i problemi che hanno parzialmente inficiato la prestazione degli Abyssian, non per loro colpa. Questo è solo l’inizio di una serie di concerti per i Tethra?

In questo momento la nostra booking agency, la Red Mist, è all’opera per trovarci il maggior numero di date possibili sui palchi di tutta Europa più adatti a noi. Come dicevo prima, tutti i giorni nascono gruppi eccellenti che vogliono suonare live ed ogni giorno in Europa chiude qualche locale dedicato alla nostra musica. Il risultato è che è sempre più difficile, persino rispetto ad un paio di anni fa, trovare il posto adatto per suonare, se poi aggiungiamo che le persone preferiscono vedersi un video su Youtube piuttosto che uscire ed andare ad un concerto capirai quanto la situazione sia drammatica.

ME Per chiudere, ci saranno da attendere ancora diversi anni prima di ascoltare un nuovo album dei Tethra, oppure questo nuovo corso darà i suoi frutti anche a livelli di fertilità compositiva?

Mai dire mai, solo il tempo potrà rispondere a questa domanda, certo con questa line up ci sono tutti i presupposti tecnici ed umani per avere quella stabilità che abbiamo sempre cercato. Posso dire che per un po’ ci concentreremo nel trovare sempre nuovi modi affinché  la nostra musica possa raggiungere il maggior numero di fan del Doom, del Death e del Gothic Metal; poi, come abbiamo fatto per questo disco, raggiungeremo il nostro eremo montano per comporre il successore di Like Crows for the Earth. Aspettatevi di vederci spesso in giro durante il prossimo periodo e fino ad allora abbiate cura di voi stessi.

Overkill – The Grinding Wheel

Gli Overkill aggiungono il loro marchio a questo gradito ed inatteso ritorno del thrash metal al posto che gli compete nelle gerarchie dei generi metallici, con un lavoro completo, curato ed esaltante.

Mancavano gli Overkill per confermare il ritorno in pompa magna ed in piena salute del thrash metal sul mercato metallico mondiale, ormai un dato di fatto in questo anno solare che ha visto, oltre a molte piacevoli sorprese sbucate dalle varie scene in giro per il mondo, l’altissima qualità delle proposte dateci in pasto dai gruppi storici, dai Testament ai Sodom, dai Death Angel ai Kreator , passando per le opere almeno dignitose di Metallica e Megadeth.

Uno dei generi storici del metal in piena ripresa non può che far piacere a chi ha nel cuore le sorti della parte più classica della nostra musica preferita, che non può sicuramente prescindere dal gruppo statunitense capitanato dalla coppia Bobby “Blitz” Ellsworth / D.D.Verni.
Una line up stabile da almeno dieci anni, sommata alla forma strepitosa dei due vecchietti terribili, contribuisce alla riuscita di The Grinding Wheel, diciottesimo e bellissimo lavoro che conferma come detto non solo lo stato di grazia del gruppo, ma di tutto un movimento.
Con un’attitudine punk che in questo lavoro esplode in tutto il suo impatto, a tratti lasciando senza fiato, l’album è fresco, assolutamente privo di riempitivi, una valanga di note, uno tsunami thrash metal che si abbatte per finire l’opera di distruzione che gli altri colleghi avevano iniziato con i propri lavori, arrivando in questo inizio 2017 a raggiungere livelli che nel genere non si ricordavano da tempo.
In effetti la band newyorkese nella sua lunga carriera ha sempre mantenuto un buon livello, con picchi clamorosi e un paio di cadute fisiologiche per un gruppo arrivato alla soglia dei quarant’anni di attività, anche se negli ultimi tempi il livello delle uscite si era stabilizzato su ottimi livelli.
L’album vive di brani irresistibili, botte di adrenalina che prendono per il collo, o come morse schiacciano testicoli, con Ellsworth in grazia divina ed una coppia di chitarristi sugli scudi (Dave Linsk e Derek “The Skull”Tailer).
The Grinding Wheel è una raccolta di canzoni che prende le melodie dal classic metal, l’irruenza dal punk e la potenza dello speed/power e crea un thrash album da antologia, prodotto benissimo, mixato alla grande dal guru Andy Sneap e valorizzato da un songwriting molto vario, che non stanca mai l’ascoltatore passando tra le sfumature dei vari generi indicati con una facilità disarmante.
Our Finest Hour, le fiammate che odorano di punk’& roll di Goddamn Trouble e Let’s All Go To Hades, le ottime The Long Road, Come Heavy e Red White And Blue, ma potrei citarvele tutte mentre l’album arriva alla fine e la sensazione di essere al cospetto di un grande album aumenta col passare degli ascolti.
Gli Overkill aggiungono il loro marchio a questo gradito ed inatteso ritorno del thrash metal al posto che gli compete nelle gerarchie dei generi metallici con un lavoro completo, curato ed esaltante, in una parola … imperdibile.

TRACKLIST
1.Mean, Green, Killing Machine
2.Goddamn Trouble
3.Our Finest Hour
4.Shine On
5.The Long Road
6.Let’s All Go to Hades
7.Come Heavy
8.Red White and Blue
9.The Wheel
10.The Grinding Wheel

LINE-UP
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
Dave Linsk – Guitars
Derek”The Skull”tailer – Guitars
D.D.Verni – Bass
Ron Lipnicki – Drums

OVERKILL – Facebook

Mechina – As Embers Turn To Dust

La title track posta in chiusura è un outro atmosferica atta a descrive il nulla che segue alla distruzione totale, mentre il dito si avvicina al tasto play per ripetere questa straordinaria sequela di emozioni che ancora una volta i Mechina ci hanno saputo donare

Puntuale con l’inizio del nuovo anno, Joe Tiberi ci porta con sé sull’astronave Mechina, e ci consegna un altro capolavoro di metallo industriale, fantascientifico ed orchestrale.

Ormai non è più una sorpresa, siamo arrivati al settimo album con As Embers Turn To Dust che segue una trilogia di opere straordinarie (Xenon, Acheron e Progenitor) convogliando ancora una volta tutto il meglio del metallo estremo moderno in un unico sound, che dalle orchestrazioni prende la propria forza e dal death la cattiveria ed il senso di terrore profondo che l’ignoto causa nell’essere umano.
Splendidamente attraversato dall’orientaleggiante ed evocativa voce di Mel Rose, molto più protagonista che sul precedente Progenitor, la nuova opera fantascientifica dei Mechina si sviluppa immaginando la morte del pianeta in una terribile sequenza di catastrofi ed attacchi alieni, mentre il genere umano si estingue e tutto brucia in un paesaggio di morte e desolazione.
L’opener Godspeed Vanguards segue il sound di Progenitor, la voce pulita riempie di impulsi new wave la musica di Tiberi, ma l’entrata in scena della Rose a duettare con il growl di Holch torna a far scorrere brividi di gelido terrore con Creation Level Event e, soprattutto, con la magnifica Impact Proxy.
Le orchestrazioni tornano a dominare la scena come sul mastodontico Acheron, una fantastica e magniloquente colonna sonora di un disfacimento, una biblica punizione a cui il pianeta non può sottrarsi.
Da una supernova arrivano le note pianistiche di Aetherion Rain, che col tempo si trasforma nella sublime The Synesthesia Signal, alimentata dalla stupenda interpretazione della Rose e dai tasti d’avorio che, in sottofondo, continuano a mandare nello spazio note, ultimi esempi di un mondo annientato dalle nefaste conseguenze espresse dalla violentissima Unearthing The Daedal.
Joe Tiberi conferma di essere al sound del precedente album con la devastante The Tellurian Pathos, mentre le tastiere si riprendono la scena nella galassia martoriata con le armonie di Thus Always To Tyrants.
La title track posta in chiusura è un outro atmosferica atta a descrive il nulla che segue alla distruzione totale, mentre il dito si avvicina al tasto play per ripetere questa straordinaria sequela di emozioni che ancora una volta i Mechina ci hanno saputo donare, in un genere che di per se è freddo come lo spazio profondo.
Pensavo fossero umani, invece niente, anche il 2017 lo chiudiamo in anticipo, almeno per quanto riguarda il sound proposto dal gruppo americano … ennesimo capolavoro.

TRACKLIST
01. Godspeed, Vanguards
02. Creation Level Event
03. Impact Proxy
04. Aetherion Rain
05. The Synesthesia Signal
06. Unearthing the Daedalian Ancient
07. The Tellurian Pathos
08. Thus Always to Tyrants
09. Division Through Distance
10. As Embers Turn to Dust

LINE-UP
Mel Rose – Vocals
David Holch – Vocals
Joe Tiberi – Guitars, Programming

MECHINA – Facebook

Danko Jones – Wild Cat

Si arriva facilmente alla fine senza riscontrare il minimo calo di tensione in quanto Wild Cat è un album trascinante e pieno di hit: i Danko Jones sono tornati in forma e tutto gira a meraviglia, lunga vita al rock’n’roll.

Il rock’n’roll è come un gatto e lo sa bene chi ha avuto a che fare con i notturni felini: pigri e sornioni, quando sembrano abbandonati ad un sonno perenne ecco che una scintilla scatena la loro natura selvaggia, ed è il caos …

Wild Cat, ultimo lavoro dei canadesi Danko Jones in uscita per AFM Records in tutto il mondo, tranne nella terra natia del gruppo (in Canada il disco uscirà per eOne), accompagnato da una copertina vintage raffigurante un amico felino tutto grinta e cattiveria, ci consegna un gruppo che, come un gatto, si scrolla di dosso un pizzico di pigrizia creativa uscita nelle ultime prove e sforna la miglior prova da un po’ di tempo a questa parte.
It’s only rock ‘n’ roll ovviamente, ma con Wild Cat i Danko Jones ritrovano uno stato di grazia nel songwriting che permette all’ascoltatore di godere di tutte le caratteristiche della loro musica, ovvero grinta, impatto e urgenza rock’n’roll unita ad un flavour settantiano, che fa da sempre la differenza.
Poco meno di quaranta minuti, durata perfetta per una mitragliata di musica rock sanguigna e ricca di killer songs una più indiavolata dell’altra, fin dall’opener I Gotta Rock, passando per l’irresistibile ritmica di My Little RnR, unica concessione da parte del gruppo alla scena scandinava ed in particolare ai Backyard Babies degli esordi.
Poi è un’apoteosi di hard rock stradaiolo, con i Thin Lizzy padri spirituali della musica prodotta dal chitarrista e cantante canadese ed i suoi degni compari (John Calabrese al basso e Rich Knox alle pelli).
Going Out Tonight gode di un refrain che entra in testa al primo ascolto, l’album risulta come sempre concepito per essere suonato dal vivo, l’elemento migliore per il rock’n’roll e You Are My Woman vi farà saltare sotto il palco ai prossimi concerti del gruppo con Jones sempre più erede di Phil Lynott.
Arrivati alla quarta canzone possiamo sicuramente affermare di esserci divertiti, mentre si avvicina la metà dell’album e si continua a balzare come gatti selvaggi, sulle note di Let’s Start Dancing e la title track irresistibile inno da felini persi nelle strade umide di una metropoli notturna.
Si arriva facilmente alla fine senza riscontrare il minimo calo di tensione in quanto Wild Cat è un album trascinante e pieno di hit: i Danko Jones sono tornati in forma e tutto gira a meraviglia, lunga vita al rock’n’roll.

TRACKLIST
1. I Gotta Rock
2. My Little RnR
3. Going Out Tonight
4. You Are My Woman
5. Do This Every Night
6. Let’s Start Dancing
7. Wild Cat
8. She Likes It
9. Success In Bed
10. Diamond Lady
11. Revolution (But Then We Make Love)

LINE-UP
Danko Jones – Vocals, Guitars
John Calabrese – Bass
Rich Knox – Drums

DANKO JONES – Facebook

Doctor Cyclops – Local Dogs

Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni, possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro.

Dal pavese arriva quello che uscendo a fine marzo 2017 sarà molto probabilmente uno dei dischi dell’anno, se non IL disco dell’anno.

Sono rimasto seriamente stupefatto dalla prova di questo trio. Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni (e dovete assolutamente sentire come vengono resi), possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro. Magnifico perdersi in questo disco, in questo labirinto erboso di bellezza sonora, dove tutto è bello, rumoroso e naturale. Se dovessero chiedervi di elencare dei dischi anni settanta od ottanta di musica rumorosa potete fare un favore a voi e al vostro dirimpettaio consigliando direttamente questo disco, perché qui c’è tutto. Si rimane meravigliati dalla prima all’ultima nota, ci sono persino intarsi di epic metal e doom insieme, e il risultato non è assolutamente un accatastare musica alla rinfusa, ma c’è un disegno creatore superiore, molto superiore. E cosa che non mi stupisce questo prodigio è nato a Bosmenso, un paese sull’appennino pavese, perché è nella provincia che vive e lotta la volontà di potenza. Il loro percorso è stato lungo ed interessante, e questo disco è una delle migliori cose mai fatte nell’undeground italiano.
Scendete nel buco nella terra vicino all’albero…

TRACKLIST
Side A
I. Lonely Devil
II. D.I.A.
III. Stardust (feat. Bill Steer)
IV. Epicurus
V. Wall Of Misery

Side B
I. King Midas
II. Stanley The Owl
III. Druid Samhain (feat. Bill Steer)
IV. Witch’s Tale
V. Witchfinder General

LINE-UP
Christian Draghi – Guitar and Vocals
Francesco Filippini – Bass
Alessandro Dallera – Drums

DOCTOR CYCLOPS – Facebook

Last Union – Most Beautiful Day

Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura.

James LaBrie non è solo il vocalist di una band famosa, è la persona che ha regalato la sua voce a lavori importantissimi per lo sviluppo del metal dai rimandi progressivi, protagonista di uno degli album più importante degli ultimi venticinque anni di musica, Images And Words.

Capirete che trovarlo ospite su tre brani di un lavoro dai natali italiani non può che rendere orgogliosi non solo i protagonisti, ma pure chi della scena italiana scrive abitualmente fra tanti alti e fortunatamente pochissimi bassi.
Se poi si parla della scena prog, allora in Italia si continua a tenere alta la bandiera di una tradizione che ha radici negli anni settanta e che con il metal ha creato un’alleanza che non lascia briciole ai dirimpettai europei.
Most Beautiful Day è un lavoro straordinario, ricco di un’ appeal altissimo, melodie vincenti, e tanto hard & heavy progressivo, con la coppia Elisa Scarpeccio, singer sopra la media per interpretazione e talento, ed il chitarrista e songwriter Cristiano Tiberi che, non contenti dell’ospite al microfono, si sono accompagnati ad una sezione ritmica da infarto, con l’ex Helloween, Masterplan e Gamma Ray, Uli Kusch alle pelli e Mike LePond dei Symphony X al basso.
Già così, i Last Union potrebbero tranquillamente salutare tutti e sedersi a guardare quello che succede la sotto, ma fortunatamente la musica non è fatta solo di nomi e Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura: un nuovo e perfetto esempio di quanto il mondo delle sette note sia un mare in burrasca, colmo nei suoi abissi di scrigni che, una volta aperti, nascondono tesori inestimabili.
Tutto è perfetto in questo album, dalla produzione che valorizza sia le prestazioni dei singoli, su cui risplende (e non me ne vogliano i più famosi ospiti) l’enorme talento di Elisa Scarpeccio, sia il songwriting, per cinquanta minuti di grande musica che non accenna ad affievolirsi fino all’ultima nota.
President Evil, A Place In Heaven (di una bellezza assurda) e Taken sono i tre brani dove LaBrie ha prestato la sua voce, ma i gioielli non finiscono qui, con Hardest Way, Purple Angels, 18 Euphoria e Back In The Shadow a portare l’album a livelli sconosciuti anche dalle band più famose.
Nel genere, il primo vero capolavoro di questo 2017.

TRACKLIST
01. Most Beautiful Day
02. President Evil (feat. James LaBrie)
03. Hardest Way
04. Purple Angels
05. The Best of Magic
06. Taken (feat. James LaBrie) [Radio Edit]
07. 18 Euphoria
08. A Place in Heaven (feat. James LaBrie)
09. Ghostwriter
10. Limousine
11. Back in the Shadow
12. Taken (feat. James LaBrie)

LINE-UP
Elisa Scarpeccio – Vocals
Cristiano Tiberi – Guitars
Mike LePond – Bass
Uli Kusch – Drums
Feat. James LaBrie

LAST UNION – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3EBySmwRaIw

Tethra – Like Crows For The Earth

Like Crows For The Earth è, un album magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore

Sono passati quattro anni dall’ottimo full length Drown In The Sea Of Life ed oggi ritroviamo i Tethra alle prese con un nuovo album intitolato Like Crows For The Earth.

Come spesso accade a troppe band, il vocalist Clode, unico membro originale rimasto, nel frattempo ha dovuto rivoluzionare la line-up approdando ad una formazione a cinque che, rispetto al passato, si avvale dell’apporto di due chitarristi.
Troviamo così, ad affiancare il musicista novarese, Luca Mellana e Gabriele Monti alle sei corde, Salvatore Duca al basso e Lorenzo Giudici alla batteria, a comporre un organico che, a giudicare dall’esito finale, si rivela del tutto all’altezza della situazione, con l’auspicio che ciò possa garantire a lungo termine una certa stabilità.
Come per il suo predecessore la produzione è stata affidata alle mani esperte di Mat Stancioiu, mentre anche il mastering, eseguito da parte dell’eminenza grigia del doom Greg Chandler (Esoteric), e l’artwork, curato da Marco Castagnetto, sono indicatori netti della volontà di non trascurare il benché minimo particolare, in modo da consegnare al pubblico un prodotto impeccabile sotto tutti gli aspetti.
L’obiettivo viene ampiamente raggiunto in virtù di un scrittura varia, che porta i Tethra a spaziare tra le diverse anime del doom, partendo dal gothic, passando a quello di matrice più classica per giungere, infine, a quello dai toni dolenti ed animato da pulsioni death: il tutto viene sviluppato con la massima consapevolezza e maturità, riuscendo nella non facile impresa di mantenere un’impronta ed un’identità precisa, nonostante la tracklist sia composta da una serie di brani dotati ciascuno della propria peculiarità.
L’album si apre con la breve intro acustica Resilience che prepara il terreno a Transcending Thanatos, episodio già sufficientemente indicativo di una maggiore propensione gotica: in particolare lo splendido e trascinante refrain ha riesumato nella mia memoria di vecchio appassionato i misconosciuti olandesi Whispering Gallery, autori di tre oscuri gioelli di death doom melodico all’inizio del secolo.
Prelude to Sadness, altro strumentale, introduce Springtime Melancholy, canzone che, pur restando nei canoni del doom tradizionale, mostra una volta di più una maggiore propensione melodica che trova sfogo nell’ottimo assolo conclusivo di Luca Mellana.
E’ il sitar ad aprire Deserted, traccia che, nonostante l’incipit di tutt’altro tenore, si rivela il brano più trascinante ed immediato del lotto, in virtù di un riffing micidiale, un chorus di grande presa ed un break centrale contrassegnato da un altro azzeccato assolo: insomma, qui si trovano tutti gli ingredienti necessari per imprimere la traccia nella memoria, mantenendo intatta la profondità del genere proposto.
L’interludio Subterranean mette in mostra le doti vocali di Clode, che se già prima era lecito considerare un vocalist di indubbio valore, con questo lavoro innalza ulteriormente il proprio livello, spiccando per versatilità e spaziando da tonalità estreme (growl con qualche sconfinamento nello screaming) a profonde ed evocative clean vocals che non possono che rimandare a quelle di Fernando Ribeiro, uno dei modelli di riferimento per chiunque si cimenti in questo genere musicale.
Subito dopo si palesa il momento in cui l’album trova la sua ideale sublimazione con un brano magnifico come The Groundfeeder, che si può considerare idealmente il manifesto musicale dei nuovi Tethra, unendo alla perfezione le diverse anime del sound ed andando a lambire, in certi passaggi strumentali, l’emozionalità dei migliori The Foreshadowing.
Entropy è l’ultimo dei frammenti acustici, preparatorio al trittico finale aperto dalle belle melodie chitarristiche di Synchronicity Of Life And Decay, traccia che si sviluppa poi in maniera piuttosto ritmata e chiusa ancora una volta da un assolo brillante che riporta, infine, al punto di partenza, mentre Earthless spinge ancor più sul versante gothic grazie a linee melodiche irresistibili che si alternano a passaggi più rarefatti, esaltati da una prestazione superlative di Clode dietro al microfono: ancora un brano magnifico per intensità e attrattività.
A chiudere il lavoro ci pensa la title track, ultima delle gemme offerte da un album di qualità a tratti sorprendente, il cui suggello non può che essere il brano più malinconico ed oscuro del lotto, esempio magistrale di come il doom possa offrire quel turbinio di sensazioni che ad altri generi non sempre è concesso fare.
Like Crows For The Earth è, semplicemente, un disco magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore, grazie all’approdo ad una forma capace di veicolare in maniera più diretta ed efficace quei toni dolenti e malinconici che sono la componente imprescindibile del genere.

Tracklist:
1.Resilience (intro)
2.Transcending Thanatos
3.Prelude To Sadness
4.Springtime Melancholy
5.Deserted
6.Subterranean
7.The Groundfeeder
8.Entropy
9.Synchronicity Of Life And Decay
10.Earthless
11.Like Crows For The Earth

Line up:
Clode Tethra – Vocals
Luca Mellana – Guitars
Gabriele Monti – Guitars
Salvatore Duca – Bass
Lorenzo Giudici – Drums

TETHRA – Facebook

Sepultura – Machine Messiah

Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato.

Nuovo disco per i Sepultura, ed è decisamente un’ottima prova. Potremmo stare a discutere ore addirittura soltanto sulla legittimità dell’usare il marchio di fabbrica Sepultura da parte di Andreas Kisser e Paulo Jr., ma qui non siamo in un aula di tribunale.

Qui diamo suggerimenti e condividiamo i nostri ascolti, e questo è un grande ascolto. Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato. Fin dalla prima canzone si capisce che questo è forse il disco più incisivo dei nuovi Sepultura, con Derrick Green in forma strepitosa, con una voce molto aggressiva e potente, che graffia ferocemente sul tappeto sonoro. Andreas Kisser è un grande compositore metal e non solo, lo si capisce molto bene con Machine Messiah e, se vi capita, andate a cercarvi le sue colonne sonore e capirete ancora meglio.
L’ intelaiatura delle canzoni è notevole, basterebbe ascoltare Iceberg Dances che da una fuga di organo diviene un esercizio flamenguero per poi andare verso un prog metal spaziale. La produzione è grandiosa, i suoni sono precisissimi e molto potenti, e non manca una bilanciatura più che adeguata, con l’uso delle tastiere che rende ancora più magniloquente il tutto.
Ci sono tantissime cose dentro questo disco, e vale la pena esplorarle tutte. Per divertirsi qui viene richiesta solo un po’ di apertura mentale e l’apertura di una linea di credito verso la nuova incarnazione dei Sepultura, e ne verrete soddisfatti grandemente. Machine Messsiah è un disco potentissimo e notevole che saprà soddisfare molti gusti metallici, soprattutto di chi ha fame e voglia di musica diversa e progressiva nella sua direzione.
Si deve ascoltare la musica e non parlare di un nome, e i Sepultura ci sono, eccome se ci sono.
Intanto, da più di trent’anni la storia continua.

TRACKLIST
01. Machine Messiah
02. I Am The Enemy
03. Phantom Self
04. Alethea
05. Iceberg Dances
06. Sworn Oath
07. Resistant Parasites
08. Silent Violence
09. Vandals Nest
10. Cyber God

LINE-UP
Andreas Kisser – Guitars
Derrick Green – Vocals
Eloy Casagrande – Drums
Paulo Jr. – Bass

SEPULTURA – Facebook

TETHRA – PLATEAU SIGMA – TENEBRAE – ABYSSIAN – The One, 11/2/17

Cronaca del release party del nuovo album dei Tethra, Like Crows For The Earth.

La presentazione dell’ultimo album dei Tethra, Like Crows For The Earth, in quel di Cassano d’Adda, è stata contraddistinta da una forte presenza ligure, essendo stati chiamati a partecipare alla serata anche i genovesi Tenebrae e gli imperiesi Plateau Sigma, oltre ai lombardi Abyssian: mi sia concesso, quindi, un piccolo moto d’orgoglio campanilistico, visto che anche MetalEyes ha la sua base nell’aspra lingua di terra compressa tra l’Appennino ed il mare.

L’occasione si prospettava irrinunciabile per gli appassionati di sonorità oscure e gravitanti nei dintorni del doom, considerando che tutte le band presenti erano in qualche comodo collegabili al genere, sia pure ciascuna caratterizzata da un diverso approccio.
La location scelta dai Tethra è stata il The One Metal Live, locale che si trova nell’ampio seminterrato di un centro commerciale della cittadina lombarda, il che consente di poter suonare fino a tarda ora senza rischiare di disturbare la pubblica quiete, stante la notevole distanza dalle abitazioni (basta non abusarne, però … iniziare una serata con quattro band alle 22 porta inevitabilmente l’ultima ad esibirsi in orari improbabili, con tutte le controindicazioni del caso); lo spazio davanti al palco è sufficientemente ampio per ospitare un buon numero di persone, e il fatto che il bar si trovi in un’area separata consente di godere dei concerti rigorosamente al buio e senza il nocivo disturbo degli schiamazzi tipici di chi preferisce bere e parlare anziché ascoltare la musica (problema che affligge i locali piccoli strutturati, invece, su un unico ambiente).

Abyssian – Foto di Chiara Bonanno

Ad aprire la serata sono stati i milanesi Abyssian, dediti ad un buon gothic dark/doom ispirato, tra gli altri, dai Paradise Lost, ed autori nel 2016 di Nibiruan Chronicles, un album capace di ottenere ottimi riscontri a livello di critica. Purtroppo l’esibizione della band lombarda, guidata da un musicista di grande esperienza come Rob Messina, ex membro di una delle band storiche del death tricolore come i Sinoath, è stata complicata in primis dall’assenza di un batterista, condizione con la quale i nostri stanno convivendo da qualche tempo, ed anche da alcuni problemi tecnici complicati ulteriormente dalla necessità di ricorrere a percussioni campionate.
La band ha comunque onorato al meglio l’impegno facendo intravedere le proprie notevoli potenzialità e mi auguro, pertanto, di avere al più presto l’opportunità di rivedere all’opera gli Abyssian in una situazione “di normalita”.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

Il secondo gruppo previsto nelle serata erano i Tenebrae, i quali, per fortuna, non sono stati afflitti dagli stessi problemi di chi li ha preceduti sul palco.
Inutile sottolineare come la conoscenza del repertorio e la frequentazione abituale delle esibizioni del gruppo genovese mi abbia consentito di godere appieno dell’esibizione, potendola più agevolmente parametrare rispetto al passato: ebbene, posso affermare tranquillamente che quella dell’altra sera è stata la migliore performance dei Tenebrae alla quale abbia mai assistito.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

Complice l’accresciuta coesione tra i componenti (in questo caso i due mesi dalla presentazione del nuovo disco non sono trascorsi invano) e anche una maggiore cattiveria dovuta, forse, al fatto di non suonare “in casa” (cosa che magari mette a proprio agio, ma inconsciamente fa smarrire qual pizzico di adrenalina in grado di fornire una marcia in più), il set è filato via in maniera travolgente, estraendo il meglio dallo splendido My Next Dawn.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

La title track, The Fallen Ones e As The Waves sono tracce magnifiche che non si finirebbe mai di ascoltare e, in quest’occasione Marco Arizzi, Pablo Ferrarese e compagni le hanno rese in maniera impeccabile e coinvolgente. Una gran bella iniezione di consapevolezza ed autostima per una band che ha dovuto soffrire, in passato, di tutte le problematiche connesse all’instabilità della line-up.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

Ancora Liguria, spostandoci però verso l’estremo ponente, con la salita sul palco dei Plateau Sigma, altra band che ho potuto vedere già più volte dal vivo grazie alla vicinanza geografica. Il quartetto imperiese ha dovuto un po’ comprimere il proprio set per il già citato slittamento in avanti dell’orario, ma ciò non ha pregiudicato un’esibizione che, questa volta, ha privilegiato il volto aggressivo ed orientato al funeral/death doom, piuttosto che i momenti più rarefatti e le pulsioni post metal che fanno ugualmente parte del background della band, come ampiamente riscontrabile dall’ascolto del magnifico Rituals.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

Il fulcro dell’esibizione è stato, comunque, un brano dall’alto tasso evocativo come Cvltrvm, contornato da altre tracce cariche di tensione, riversate sul pubblico da un gruppo caratterizzato da una proposta resa peculiare dall’alternanza vocale e chitarristica di Francesco Genduso e Manuel Vicari; le sonorità offerte dai Plateau Sigma non sono fruibili con immediatezza da chi non ne conosca già il repertorio, ma riescono a convincere ugualmente al primo impatto per l’intensità e la voglia di osare esibite sul palco.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

E finalmente arrivò il momento della presentazione del nuovo album da parte dei Tethra. Clode, vocalist e membro della band fin dagli esordi, nei quattro anni trascorsi dall’uscita di Drown Into The Sea Of Life, ha dovuto far fronte ad uno stravolgimento della line-up che lo ha visto quale unico superstite della formazione accreditata su quel disco.

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

Un elemento, questo, che non può certo essere estraneo ai cambiamenti abbastanza sostanziali a livello di sonorità riscontrati nel nuovo e bellissimo Like Crows For The Earth (album che ho avuto occasioni di ascoltare più volte nei giorni precedenti e del quale parlerò più diffusamente nei prossimi giorni): il doom death granitico che era la base portante del sound si è stemperato in un gothic doom, sempre robusto ma senz’altro più fruibile, specie per la presenza di alcuni brani contenenti soluzioni capaci di trascinare il pubblico, uno su tutti Deserted, definibile quale una potenziale hit, se questo non fosse un termine che non dovrebbe mai stare nella stessa frase che contiene la parola doom …

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

Clode, a mio avviso, è ulteriormente migliorato anche a livello vocale (benché fosse assolutamente all’altezza della situazione anche in precedenza, sia chiaro): specialmente le clean vocals sono oggi ancor più profonde ed evocative, e questo si rivela fondamentale in un lavoro nel quale tale soluzione ricorre più frequentemente che in passato.
I musicisti dei quali il vocalist novarese si è circondato sono apparsi perfettamente a loro agio, sobri e precisi, con nota di merito per Luca Mellana, capace di trasmettere le giuste vibrazioni con i suoi misurati ma efficaci assoli.
Anche se potrà sembrare un aspetto marginale, è stato interessante constatare un cambiamento anche a livello di immagine, con i Tethra passati ad una più elegante camicia color nero grafite al posto del saio sfoggiato in precedenti occasioni; la scaletta non ha seguito fedelmente quella del nuovo disco ma è stata rimescolata, inserendo anche a metà del set due brani tratti dal precedente lavoro.

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

In questo modo la magnifica The Groundfeeder, altro esempio eloquente  dell’evoluzione del sound dei Tethra, è stata proposta nella parte iniziale, pur essendo la traccia che, di fatto, apre la seconda metà di Like Crows For The Earth, mentre comunque il finale è stato rispettato in pieno con la chiusura affidata all’altrettanto splendida title track.
Tra gli incitamenti di un pubblico non numerosissimo (in linea con le tendenze degli eventi doom in Italia) ma sicuramente partecipe, Clode e compagni hanno riproposto come bis la “catchy” Deserted, brano destinato a diventare un loro cavallo di battaglia in sede live, mettendo la parola fine ad una serata di musica che, personalmente, mi ha consentito di rivedere in un colpo solo, sia tra i musicisti che tra il pubblico, un consistente numero di belle persone con le quali è sempre un piacere condividere il tempo e le proprie passioni.

P.S. Un sentito ringraziamento a Chiara per il prezioso contributo fotografico.

THE CHASING MONSTER

L’ultimo album dei viterbesi The Chasing Monster ha rappresentato, personalmente, una sorta di folgorazione, soprattutto per la loro capacità di produrre un post rock coinvolgente ed emozionante in ogni suo singolo passaggio.
Abbiamo chiesto alla band di rivelarci qualche dettaglio in più sul magnifico Tales.

ME Come si è evoluta la vostra musica dagli esordi fino ad arrivare a questa altissima espressione rappresentata da Tales?

Grazie innanzitutto per l’”altissima”:)!
La musica si è evoluta naturalmente grazie a tutti noi, passo dopo passo cercando una forma comune a tutti i componenti cercando di mantenere sempre in rilievo le parole la dove ci sono.

ME Da dove è scaturita la scelta di non utilizzare un/una cantante, optando per parti recitate?

Non è stata una vera e propria scelta di non avvalerci di un cantante, ma bensì un voler raccontare storie invece che scrivere testi e cantarli… fin dal primo Ep dove la formazione non era quella attuale comunque i parlati e il voler raccontare storie era sempre il concetto alla base della nostra musica.

ME Come mai avete pubblicato una doppia versione di Tales? Sarà perché ho ascoltato prima quella “deluxe” (con Today, Our Last Day On Earth), ma mi sembra che senza questi ottimi spoken word rischia di venire meno un ideale collante tra le varie tracce strumentali.

Lo abbiamo fatto semplicemente per dare due versioni dell album, una classica fatta di canzoni singole ed un altra invece un po’ più narrativa in modo da creare un unica storia e legare i testi e le canzoni, sempre perché ci piace molto creare storie. All’inizio eravamo indecisi su quale versione pubblicare, poi con la nostra etichetta Antigony Records abbiamo deciso di farle uscire entrambi per dare l’opportunità all’ascoltatore di scegliere poi la preferita.

ME La storia che raccontate è completamente di vostra stesura e, se sì, a quale autore vi siete ispirati?

-Si la storia è esclusivamente di nostra invenzione. Non ci siamo ispirati a nessun autore, diciamo che le influenze sono tantissime: da film a libri ad anime a qualsiasi cosa. Nello specifico dei brani hanno riferimenti a storie o trattati filosofici come ad esempio The Porcupine Dilemma oppure Albatross, che sono ispirate rispettivamente a Schopenhauer e Coleridge.

ME A chi sono state affidate le voci recitanti ? Mi pare che abbiano fatto un ottimo lavoro.

Le voci sono di due nostri amici molto bravi, quella maschile è di Toby Dogana e quella femminile di Francesca Quatrini. Cogliamo l’occasione per ringraziarli ancora una volta:)

ME Rispetto alle varie realtà che operano nel vostro settore musicale, mi sembra che voi abbiate la capacità di sintesi che a molti manca. In Tales non c’è una sola nota sprecata o che non sia funzionale alla resa finale. Quanto tempo e quali sforzi sono stati necessari per raggiungere un simile risultato?

Non so… ci sono tantissime band che non sprecano note:)!
Per noi tutto quello che è uscito fuori in Tales è qualcosa di spontaneo, su cui abbiamo lavorato, ma in fondo tutto è venuto grazie al lavoro svolto insieme.

ME Giro a voi la considerazione che faccio ad un certo punto dell’articolo, ovvero se abbiate la percezione reale del valore del vostro disco e se non siate disposti ad accontentarvi solo di riscontri positivi che, spesso, restano solo sulla carta senza diventare qualcosa di tangibile.

– Sinceramente non sappiamo quale sarà il responso del pubblico, fino ad’ora tra amici, addetti ai lavori e tramite la nostra etichetta Antigony Records abbiamo notato che i pareri sono molto positivi e non possiamo che esserne contenti.

ME Come è nata la vostra collaborazione con Theodore Freidolph degli Acres ?

La collaborazione è avvenuta in primis perché siamo dei fan degli Acres ovviamente… poi grazie anche al canale Dreambound che ci ha dato l’opportunità di entrare a far parte di un grande canale Youtube di cui fanno parte anche loro. Inoltre gli siamo piaciuti ed è subito nata un rapporto di stima e amicizia reciproca, non potevamo non includerlo nel progetto.:)

ME Nella recensione uso proprio la band inglese come ideale termine di paragone a livello di popolarità: è vero che il loro sound è parzialmente più convenzionale e dotato della più tradizionale forma canzone, ma sembrerebbe che per loro trovare spazi importanti nella scena musicale albionica sia un qualcosa di naturale. Secondo voi perché in Italia, per raggiungere un tale obiettivo, le cose sono dannatamente più difficili?

Forse perché in Italia questi generi sono un po’ più marginali rispetto ad altri paesi… forse perché di gruppi Post-Rock non ce ne sono molti… ma comunque siamo qui e continuiamo a fare quello che ci piace fare, il resto non conta.

ME Mi citate alcune delle vostre band di riferimento, anche per fornire qualche buon consiglio a chi ci legge?

Le band di riferimento sono tantissime, per citare le più importanti sicuramente Mono, Explosions In The Sky, If These Trees Could Talk, Echoes, God is An Astronaut… ma la lista sarebbe infinita:)!

ME A questo punto non mi resta chiedervi quali programmi abbiate per quest’anno, in particolare per quanto riguarda l’attività live.

Abbiamo già delle date pronte ma aspettiamo i dovuti tempi per annunciarle, di sicuro già è nota la nostra partecipazione al Dunk Festival in Belgio a fine Maggio. Tutte le altre verranno pubblicate nei giusti tempi sia sulla nostra pagina Facebook sia sul nostro sito internet.
Ne approfitto per ringraziarvi di nuovo per questa opportunità

Demonic Resurrection – Dashavatar

I Demonic Resurrection non sono solo una delle migliori band provenienti dal continente asiatico, ma possono tranquillamente posizionarsi vicino alle più blasonate realtà occidentali.

In campo estremo, il nuovo lavoro della storica band indiana Demonic Resurrection rischia di diventare uno dei migliori album di questo 2017 appena iniziato.

Il gruppo di Mumbai ha creato un’opera estrema completa ed ambiziosa, un concept sui dieci avatar di Vishnu, dio della conservazione secondo la mitologia Indù, raccontati in ognuna delle dieci tracce che compongono Dashavatar.
Che i Demonic Resurrection non fossero un gruppo come tanti lo si era già capito dopo il precedente lavoro, The Demon King, album che aveva letteralmente folgorato il sottoscritto, grazie al loro death metal sinfonico che sfociava nel mare in tempesta del black metal capitanato dai norvegesi Dimmu Borgir.
Un gruppo capace di cambiare pelle da un album all’altro, rimanendo nei confini della musica estrema già dai primi lavori (il primo lavoro Demonstealer è targato 2000, mentre il successore A Darkness Descends uscì cinque anni dopo).
Ancora The Return To Darkness del 2010 ed appunto The Demon King confermarono il valore di questa splendida e devastante realtà asiatica che, con questo nuovo album, va oltre le più rosee aspettative, non solo per l’ambizioso concept ma per un songwriting che aggiunge al death/black sinfonico spettacolari ed intuitive parti progressive, in un tempestoso sound valorizzato dal voci pulite, interventi di muse dalla voce ipnotica , l’uso di strumenti e sfumature tradizionali e, come gli uragani che nella stagione delle piogge si abbattono sul loro paese, sfuriate di metal estremo spettacolare.
Accompagnato da una bellissima copertina raffigurante la divinità e le sue dieci diversificazioni, Dashavatar esplode in tutta la sua magniloquenza già dall’opener Matsya-The Fish, per poi non scendere più sotto l’eccellenza con una serie di piccole opere dove atmosfere prog, sfumature folk e magnifiche orchestrazioni si fondono in un sound unico (Kurma-The Tortoise), con la sensazione da parte di chi ascolta di essere al cospetto non solo di una bellissima opera estrema ma soprattutto di pura arte pregna di magia.
Vamana-The Dwarf, Rama-The Prince, l’ipnotizzante Buddha-The Teacher sono i brani che hanno maggiormente colpito l’anima del sottoscritto, ma sono sicuro che al prossimo ascolto saranno altri quelli che illumineranno la stanza, mentre Vishnu ed i suoi avatar sono magnificati dalla musica di questo straordinario gruppo asiatico.
Lo avevamo scritto in precedenza e lo ribadiamo, i Demonic Resurrection non sono solo una delle migliori band provenienti dal continente asiatico, ma possono tranquillamente posizionarsi vicino alle più blasonate realtà occidentali.

TRACKLIST
1.Matsya – The Fish
2.Kurma – The Tortoise
3.Varaha – The Boar
4.Vamana – The Dwarf
5.Narasimha – The Man-Lion
6.Parashurama – The Axe Wielder
7.Rama – The Prince
8.Krishna – The Cowherd
9.Buddha – The Teacher
10.Kalki – The Destroyer of Filth

LINE-UP
Demonstealer – Vocals, Guitars & Keys
Nishith Hegde – Lead Guitars
Ashwin Shriyan – Bass
Virendra Kaith – Drums

DEMONIC RESURRECTION – Facebook

Ekpyrosis – Asphyxiating Devotion

Gli Ekpyrosis sono un gruppo incredibile, hanno un suono ed una sicurezza che li fa sembrare posseduti, ma fortunatamente no, sono solo dei ragazzi con voglia e gran cultura metal che hanno sfornato un capolavoro.

Ad un certo punto arrivano dei ragazzini e pubblicano uno dei migliori dischi di death metal degli ultimi cinque anni più o meno.

Questo debutto vi lascerà senza fiato, perché se chiudete gli occhi, magari non per sempre, vi troverete a cavalcare nel death americano anni novanta, ma anche meglio. Asphyxiating Devotion è un continuum di death metal marcio e cattivo, suonato con potenza e freschezza che non deriva solo dalla giovane età ma soprattutto dalla precisione della visione musicale degli Ekpyrosis. Provenienti dalla Brianza, questi ragazzi annullano con un disco solo molti nomi ben più celebri ed idolatrati: ascoltandolo si viene folgorati dal loro suono, ed è una scintilla come quando ascoltavate certi dischi death che ti scavavano dentro, perché il death migliore genera un sentire difficilmente descrivibile a chi non ami il genere. Gli Ekpyrosis sono un gruppo incredibile, hanno un suono ed una sicurezza che li fa sembrare posseduti, ma fortunatamente no, sono dei ragazzi con voglia e gran cultura metal che hanno sfornato un capolavoro. La particolarità del disco è quella di avere un groove notevole, e tutte le tracce filano perfettamente. Avrei voluto vedere le facce alla Memento Mori quando hanno ascoltato il demo degli Ekpyrosis, perché si sono ritrovati tra le mani un gruppo eccezionale. E’ una gioia immensa ascoltare dei giovani fare un death così bello e potente, perché ovviamente hanno un grandissimo futuro davanti. Personalmente il disco l’ho conosciuto attraverso dei blog metal in rete, dove aveva creato un certo fermento con commenti entusiastici. Me ne sono interessato, poiché nell’underground in rete, quando alcune persone davvero competenti ne parlano, difficilmente sbagliano ed infatti… Ossa che saltano, gente che vola all’inferno.

TRACKLIST
1.Profound Death
2.Obsessive Christendom
3.God Grotesque
4.Immolate the Denied
5.Incarnation of Morbidity
6.Morticians of God
7.Depths of Tribulation
8.Blasphemous Doom
9.Unearthly Blindness

LINE-UP
Marco Teodoro – Vocals, Guitar
Nicolò Brambilla – Vocals, Guitar
Ilaria Casiraghi – Drums
Marco Cazzaniga – Bass

EKPYROSIS – Facebook

Madness Of Sorrow – NWO – The Beginning

Resoconto dell’ascolto in anteprima del nuovo lavoro dei Madness Of Sorrow, NWO – The Beginning, seguito da uno scambio di battute con il mastermind Muriel Saracino ed il nuovo cantante Prophet.

Ad un mese circa dall’uscita , prevista per i primi giorni di marzo abbiamo avuto l’onore di ascoltare in anteprima il nuovo lavoro dei Madness Of Sorrow, band estrema capitanata dal mastermind Muriel Saracino.

Oltre a raccontarvi del disco troverete una breve intervista fatta dal sottoscritto a Muriel ed al nuovo cantante Prophet, una delle novità di questo ottimo NWO – The Beginning.
E iniziamo proprio dal neo entrato, amico di vecchia data di Saracino ed ottimo cantante, bravissimo nel saper variare la sua voce tra toni dark, parti aggressive tra scream e growl, ed una voce pulita usata con parsimonia, ma perfetta nel contesto atmosferico dei brani; per la prima volta nella storia del gruppo il concept non è frutto di Saracino che, questa volta, si è dedicato alla musica ed ha lasciato al cantante carta bianca per la scrittura di testi che tratteggiano un quadro oscuro del sistema in cui abbiamo vissuto e viviamo tutt’ora.
Molto bella la copertina creata dall’artista Graziano Roccatani e davvero brillante il songwriting, che rende l’album più vario dei pur bellissimi precedenti capitoli, in un viaggio temporale tra il metal più oscuro e dark, dall’heavy thrash al black, fino a quelle che è lo stile peculiare del gruppo nostrano, l’horror/dark con sfumature nu metal tanto care a Muriel.
E, probabilmente, il fatto di doversi occupare esclusivamente della musica ha giovato non poco a Saracino che, questa volta, ha dato libero sfogo a tutte le sue influenze, creando un’opera varia, ispirata e più estrema delle precedenti.
Atmosfere oscure che aleggiano su sfuriate thrash/black, le tastiere in stile Death SS che aumentano l’inquietudine tipica delle opere horror metal (You’re Not Alone), vengono spazzate un attimo dopo da brani di scuola Manson, una delle massime ispirazioni del gruppo (Necrophilia), che Prophet interpreta però con un piglio estremo da vocalist death.
Il dark rock è presente ma in modo più subdolo, nascosto dalla vena metallica di NWO, anche se talvolta i Sisters Of Mercy si incontrano con i Rammstein per regalare sfumature industriali dalle tinte nere come la pece (Slut e Zombified).
Keep Your Head Down è un brano malato e sofferto, dalle melodie introspettive create dai tasti d’avorio ad accompagnare l’interpretazione magnifica di Prophet, posseduto subito dopo da un demone black nella violentissima DNA che porta l’ascoltatore verso il finale, composto dalla diretta SOS e dall’outro che chiude l’album con un’atmosfera apocalittica ed oscura.
NWO – The Beginning è l’ennesimo ottimo album che conferma i Madness Of Sorrow come una delle migliori realtà nostrane per quanto riguarda il genere suonato, e questo punto non ci rimane che lasciare la parola ai protagonisti.

MetalEyes Allora ragazzi, un nuovo lavoro che porta con se importanti novità!

MURIEL – Si, la più importante è senza dubbio l’entrata nel gruppo di Prophet, aka Diego Carnazzola, che reputo un ragazzo pieno di talento. Da quando presi la decisione di lasciare il ruolo di cantante dei Madness of Sorrow, non ho avuto dubbi nel pensare che fosse la persona giusta per questo ruolo. Abbiamo una voce simile, ma lui sa aggiungere sfumature per me non fattibili. Questo mi ha lasciato libero nel concentrarmi solo ed
esclusivamente sul songwriting, senza paranoie su liriche e melodie vocali. Dopo i primi live, dove si è cimentato alla grande sui brani che cantavo io in precedenza, tutte le paure sono svanite, e qui ha fatto un gran bel lavoro.

ME Concept e testi sono stati scritti da Prophet, potete parlarcene più dettagliatamente?

PROPHET – Ho tratto ispirazione dagli avvenimenti che accadono ogni giorno in tutto il mondo da secoli.
In questo concept ho trattato temi che variano dalla religione al sesso, dalla politica alle corporation, dalla scienza all’evoluzione della società, sino al materialismo ed alla spiritualità.
Mi sono divertito nel mandare un messaggio criptico ed allo stesso tempo diretto, con qualche nota malinconica e poetica.

ME NWO – The Beginning risulta più vario rispetto ai precedenti lavori, mantenendo una sua anima horror/dark, ma passando con disinvoltura dal metal estremo moderno a quello più classico, con ritmiche di stampo thrash metal che sferzano alcuni brani: come siete approdati a queste sonorità?

M – Ovviamente, scrivendo e suonando il tutto, ho tratto giovamento dal fatto di non dover dedicare energia anche all’aspetto visuale ed alle liriche.
Concentrandomi al 100% sulla musica ho potuto tirare fuori veramente tutte quelle che sono le mie influenze, dall’adolescenza (Europe, Iron Maiden e Guns’n’Roses) sino all’attualità (Korn, Cradle of Filth e Rammstein).
A livello di batteria, invece, mi piace fondere anche nello stesso brano passaggi differenti tratti dal black metal, dall’industrial e dal rock classico.

ME Parlatemi della copertina, che ho trovato molto metal anni ottanta: il riferimento è palese, ma possiede un significato più profondo?

M – Innanzitutto ringraziamo Graziano Roccatani per lo splendido lavoro svolto, ce ne siamo innamorati subito. Sul metal anni ’80 non saprei, a me è sempre piaciuto avere copertine più fumettistiche anziché fredde e digitali, e questo senz’altro è un punto in comune.

P – La copertina ha in effetti un messaggio più profondo, nasconde una domanda che porta ad una scelta: cosa siamo disposti a sacrificare? Cosa siamo disposti ad accettare?
Vogliamo continuare ad essere manipolati, usati, torturati, privati della reale felicità?
Vogliamo continuare ad essere il capro espiatorio che giustifica il genocidio della razza umana, solo per arricchirsi di denaro?

TRACKLIST
1.N.W.O
2.Salomon
3.Inside The Church
4.You’re Not Alone
5.Necrophilia
6.Slut
7.Rip
8.Zombified
9.Keep Ypur Head Down
10.DNa
11.SOS
12.Outro

LINE-UP
Prophet – Vocals
Murihell – Guitars
Hades – Bass
Kronork – Drums

MADNESS OF SORROW – Facebook