Kreator – Gods Of Violence

Dopo trent’anni a sfondare padiglioni auricolari o a sperimentare nuove soluzioni per far crescere la propria musica, i Kreator danno alle stampe uno degli album più riusciti della loro lunga carriera.

Jens Bogren consiglia a Petrozza di mettere nelle mani dei nostri Fleshgod Apocalypse la intro del nuovo album, Apocalypticon.

Ne esce un pezzo cupo, marziale, apocalittico, che ben presenta Gods Of Violence, quattordicesimo album della più grande band thrash europea ed uno dei gruppi più importanti della scena metal mondiale.
Mille Petrozza è sempre sul ponte di comando e, come il vino, più invecchia più viene buono, mentre un altro tassello e stato giunto a quel monumento alla musica estrema di nome Kreator.
Il suo leader non si è mai seduto sugli allori di una popolarità che poteva tranquillamente tenere a bada con album tutti uguali, facendo il compitino sufficiente a far gioire gli amanti del thrash old school.
D’altronde, gli esperimenti del troppo sottovalutato Renewal e del gotico Endorama, avevano dimostrato all’epoca delle uscite (rispettivamente 1992 il primo e 1999 il secondo, in compagnia di quel genio dark di Tilo Wolff) di che pasta fosse fatto il musicista tedesco, poco incline ad assoggettarsi ai cliché del thrash metal.
Dopo cinque anni dal notevole Phantom Antichrist, i Kreator tornano con un album entusiasmante che li inserisce definitivamente nell’eletta schiera di quel pugni di band che hanno fatto la storia della musica estrema.
Dopo trent’anni a sfondare padiglioni auricolari o a sperimentare nuove soluzioni per far crescere la propria musica, la band tedesca dà alle stampe uno degli album più riusciti della loro lunga carriera, un’opera metal totale dove la band gioca non solo con il genere prediletto, ma anche con il power ed il death metal melodico, facendo impallidire tre quarti della Scandinavia odierna ed una buona fetta del loro paese d’origine, patria del power alla Blind Guardian/Grave Digger,
Registrato ai Fascination Street, Gods Of Violence deflagra in una tempesta di metal estremo, epico e melodico, e le armi usate dal gruppo sono bordate di power metal, sfuriate thrash e tanta melodia, come se i Kreator si fossero ritrovati in studio a bere due birre e jammare con Blind Guardian, Iron Maiden, In Flames (i primi, quelli metal) e Grave Digger: ne esce un album spettacolare, dove Petrozza canta con una aggressività spaventosa, in un’atmosfera di totale distruzione.
E qui sta il bello, perché Gods Of Violence, pur essendo un album estremo e di una forza spaventosa, riesce a mettere in evidenza l’aspetto melodico alla perfezione, come nella stupefacente Fallen Brother o nel singolo Satan Is Real, anche se il meglio questo lavoro lo dà nelle atmosfere da battaglia del il trittico World War Now, Totalitarian Terror e nella classicheggiante Hail To The Hordes, brano sanguigno che vi faranno sembrare gli ultimi trent’anni di epic metal sigle per cartoni animati.
Un album bellissimo e appagante, una vera e propria prova di forza per un gruppo che vive attualmente una seconda giovinezza e si piazza di diritto tra gli dei del metallo.

TRACKLIST
01. Apocalypticon
02. World War Now
03. Satan Is Real
04. Totalitarian Terror
05. Gods Of Violence
06. Army Of Storms
07. Hail To The Hordes
08. Lion With Eagle Wings
09. Fallen Brother
10. Side By Side
11. Death Becomes My Light

LINE-UP
Mille Petrozza – Vocals / Guitar
Sami Yli-Sirniö – Guitar
Christian Giesler – Bass
Ventor – Drums

KREATOR – Facebook

ABORYM

Interloquire con Fabban non è mai banale, così come non lo sono i dischi degli Aborym: l’ultimo Shifting.Negative è un’opera che, inevitabilmente, spariglia le carte in un ambiente musicale talvolta rannicchiato su sé stesso.
Al musicista pugliese va dato atto di non essere certo uno che misura le parole col bilancino del farmacista e, se spesso e volentieri non ci si trova d’accordo con le sue affermazioni (per esempio, la mia visione riguardo al black metal e a chi lo suona è decisamente diversa), non si può non apprezzarne la franchezza e la lucidità. Alle domande ha risposto anche il chitarrista Dan V, rendendo il tutto, se possibile, ancor più interessante …

MetalEyes Credo che ogni musicista abbia sempre la perfetta percezione di quello che è l’effettivo valore delle proprie opere, al di là di quelle che possano essere le sue dichiarazioni di facciata: quali sono le vostre reali aspettative riguardo all’accoglienza nei confronti di Shifting.Negative, confrontandole anche con i riscontri ricevuti in passato dagli Aborym ?

Fabban Le aspettative sono state appagate nel momento in cui ho ascoltato il master del disco che mi ha inviato Marc Urselli. Sull’utima nota di Big H ho buttato giù il mio bicchiere di whiskey, cosa che faccio sempre ogni qual volta che chiudo un disco. Devo essere sincero: mi aspettavo pessimi feedback, soprattutto da parte di radio, magazines, web-mag e fanzines, soprattutto perchè Agonia Records lavora in promozione sui classici canali di musica estrema. Mi aspettavo di vedere questo disco annichilito da recensioni di merda invece ho letto grandi cose su Shifting.negative. Ho letto grandi cose da parte dei nostri fans, ho letto grandi cose da parte di nuovi fans, ho constatato con enorme piacere quanto questo disco sia piaciuto alle donne e mi hanno fatto enormemente piacere i commenti di diversi musicisti con cui sono in contatto, produttori, sound-designers e sound-engineers di grossi studi di registrazione inglesi, americani, tedeschi… Ovviamente il disco è stato stroncato in alcuni casi, ma stiamo parlando di gente che si è improvvisata a critico musicale su webzine amatoriali, sai quelle piccole entità editoriali che osannano tutto ciò che è black metal con una cultura musicale pari a zero. Pertanto come se non esistessero. Va bene così.

Dan V Sapevamo di aver inciso un disco di rottura con il vecchio, Fab ed io ne abbiamo parlato spesso, ci confrontavamo su quelli che secondo noi sarebbero stati gli scenari possibili.
Da un lato ci aspettavamo di perdere alcuni fan affezionati più alle sonorità black, d’altro canto la speranza era di affacciarsi ad un pubblico più ampio ed eterogeneo, e per adesso i riscontri che stiamo avendo sembrano confermare in parte questo pronostico. Se avessi il dono della premonizione, come suggerisci tu nella domanda, probabilmente mi occuperei più di lottomatica che di musica.

ME Con questo lavoro il percorso evolutivo degli Aborym ha raggiunto a mio avviso il suo punto più alto: secondo voi ci sono margini ulteriori per andare oltre e, se sì come immagino, spingendovi in quale direzione?

D Sono d’accordo con te dal punto di vista della maturità che abbiamo raggiunto con Shifting.negative. E’ anche il mio album preferito di Aborym, e non necessariamente perché è il primo in cui sono coinvolto personalmente, eh eh In realtà per certi versi crediamo sia una specie di nuovo inizio, un punto di svolta. Fab ed io ci siamo trovati subito d’accordo sul voler provare qualcosa di nuovo per noi, entrambi ammiriamo gli artisti che riescono ad evolvere continuamente non riproponendo necessariamente un restyling di un determinato lavoro, che magari ha riscontrato i favori di pubblico e critica. E’ difficile pronosticare in che direzione ci muoveremo, sicuramente proseguiremo in questa nuova strada , ma posso dirti che già solo da quando ne discutevamo insieme durante le registrazioni di Shifting.negative (meno di un anno fa) ad oggi, le prospettive e quello che immaginavamo sarebbe stato il nuovo sound, sono cambiate costantemente. Come sempre, bisognerà aspettare di avere in mano il prossimo album.

F Smetterò di fare musica nel momento in cui mi renderò conto di non poter andare oltre. Non so in quale direzione andremo, di sicuro non torneremo indietro. Prevedo grandi cose per il futuro, in considerazione del fatto che ora c’è una line-up completa, ci sono 5 musicisti, 5 professionisti; abbiamo un producer, Andrea Corvo, che ci segue in fase di prove, in pre-produzione, recording e post-produzione; abbiamo uno staff di professionisti che ci seguono (Teo di Braingasm, Marc Urselli, Guido Elmi); abbiamo il nostro studio, Synthesis Studios, dove possiamo lavorare con le nostre macchine, una regia, la nostra strumentazione, senza limiti. Anche di notte. Queste sono le premesse.

ME So che si tratta di un quesito al quale non è sempre facile rispondere, ma sono curioso di sapere come prende vita la fase compositiva negli Aborym. Partite con un obiettivo ben definito e quello perseguite finché non viene ottenuto il risultato prefissato, oppure vi affidate maggiormente all’istinto e alle sensazioni del momento, in una sorta di costante work in progress?

F Dipende. Io lavoro molto con le demo in fase di pre-produzione. A volte le idee arrivano da un testo… e da un concetto quindi, che in alcuni casi decido di approfondire e di spostare su un tappeto musicale. In altri casi alcuni brani prendono forma durante vere e proprie sessioni di improvvisazione, jam session quindi… Le macchine, i softwares, i synth e il mondo dell’Eurorack mi permettono di poter fissare idee con una certa immediatezza, quindi allo stesso modo ho la possibilità di plagiare, combinare, smontare, rimontare, patchare, fare morphing, equalizzare fino ad ottenere delle demo. Queste demo sono il punto di partenza, gli input che consegno agli altri, ai fonici e ai produttori e su queste demo si inizia a lavorare insieme. Su Shifting.negative, rispetto ai dischi precedenti, ho lasciato molto spazio a soluzioni accidentali, a cose capitate casualmente, soprattutto sui modulari. Sbagliando, ricominciando da capo, sbagliando ancora… fino ad ottenere qualcosa che suonava. Io dico sempre: se una cosa suona bene, usala.

D Ho conosciuto Fab un paio di mesi prima di entrare in studio, lui aveva in mano i dieci pezzi che sarebbero diventati Shifting.negative, cui mancavano le chitarre. La mattina del primo giorno di riprese (chitarra) entro in macchina e Fab mi fa “ti do una buona notizia, le chitarre le fai tutte te; contento?” . Fino a quel momento non era ancora chiaro (a me) quale sarebbe stato l’assetto definitivo del gruppo; sapevo ci sarebbero state molte collaborazioni ma non avevo idea se sarei stato l’unico chitarrista a scrivere ed arrangiare le parti. Shifting.negative è praticamente composto per intero da Fabban in un periodo in cui la vecchia line-up iniziava a scricchiolare, probabilmente è stato uno dei motivi per cui ha deciso di occuparsi personalmente di tutto. Leggo spesso di lui appellativi del tipo “mastermind” : ora so perché.
Con la formazione attuale l’idea è quella di ritornare a fare “gruppo”, a scrivere ed arrangiare in sala nel più tradizionale dei modi. Fab resta comunque uno dei compositori più incontinenti che conosco, quindi so che ha sempre tra le mani del materiale appena sfornato, il che non lo nascondo, oltre che essere molto stimolante infonde anche una certa tranquillità.

ME Mi ha sorpreso piacevolmente scoprire che alla realizzazione di Shifting.Negative avrebbe preso parte Davide Tiso, un musicista che personalmente ritengo fra i più talentuosi in circolazione, anche se l’impressione è che non sempre sia riuscito ad esprimere del tutto il suo potenziale: quanto è stato importante il suo contributo, nonostante le sue parti siano state registrate al di là dell’oceano?

F Un po’ tutti in Aborym siamo suoi grandi fans. Personalmente lo considero un autentico genio e sono stato felicissimo di aver ospitato Davide su questo disco. Ha registrato poche cose, ma mirate, studiate, e di forte impatto. La cosa è nata in via del tutto casuale… Karyn, sua moglie, era ospite a casa mia per qualche giorno. Era in giro in Italia per lavorare ad un documentario e così ho avuto modo di parlare con Davide, che ogni tanto telefonava da San Francisco. Non lo sentivo da anni. E’ stato bello.

D Ho sempre stimato moltissimo Davide per le sue doti chitarristiche e compositive. La cosa che più mi piace di lui è la personalità e la voce unica che ha sviluppato sulla chitarra; quando riesci a riconoscere un musicista dalla prima nota che suona, si può dire che quel musicista ha raggiunto l’obiettivo forse più importante, a mio avviso. Mi sarebbe piaciuto averlo con noi in studio, le parti di chitarra che ha composto mi hanno fatto l’effetto del “ecco, questa è una soluzione a cui non avrei mai pensato“. Il tempo e la distanza sono stati per certi versi un po’ limitanti, soprattutto nell’economia di un disco così strutturato e complesso che richiedeva una costante presenza e un confronto continuo in fase di arrangiamento/recording. Magari in futuro avremo tempo e disponibilità per poter collaborare più a stretto contatto, anche solo in studio, sono certo che Davide avrebbe modo di impreziosire ulteriormente il sound di Aborym.

ME Nella lunga storia degli Aborym si sono succeduti molti musicisti, anche di grande nome, ma immagino che quelli attuali ti soddisfino in pieno, alla luce anche dei risultati ottenuti: pensi che siano finalmente le persone giuste per garantire una maggiore stabilità anche in proiezione futura?

F Io, da sempre, sono stato abituato ad essere autosufficiente. Ho sempre pensato che se voglio fare qualcosa devo contare sempre e comunque su me stesso e mi sono sempre fidato poco della gente, in generale. Quando in passato mi sono fidato di qualcuno sono sempre stato ricambiato con tanti calci su per il culo. Pertanto non consegno le chiavi di Aborym a nessuno. Ho sempre fatto in modo di essere autonomo, in tutto. Detto questo ora esiste un bel combo di musicisti, che sono anche ottimi amici, con cui posso lavorare e mi auguro che questa alchimia non si deteriori perché sento solo vibrazioni positive con questi ragazzi.

ME Le tematiche trattate negli ultimi lavori tratteggiano una realtà ostile ed opprimente per chi sia in grado di sviluppare i propri pensieri al di là dei beni effimeri e dei bisogni quotidiani: immagino che ciò sia frutto di una forma di reazione a tutto questo e, allora, vi chiedo se la trasposizione in musica di un tale sentire possa avere degli effetti catartici nei confronti di chi la compone e di chi ne fruisce.

F Non ho mai avuto la presunzione di voler profetizzare o deprogrammare qualcuno che legge le cose che scrivo. Io scrivo ciò che penso senza nessun fine specifico. Scrivo e basta. Sono le mie visioni, le mie paure, le mie sensazioni, le mie invettive e considerazioni. Considero un testo come considero la musica, metto le due cose sullo stesso livello, perché l’uno enfatizza l’altro e viceversa. Quando chi ascolta un disco è particolarmente ricettivo anche su quelli che sono i testi riesce a percepire la musica su un altro livello, con una certa completezza, e si crea empatia tra l’ascoltatore e il musicista.

D Uno dei motivi per cui mi ostino a fare musica, è quella sorta di stato meditativo in cui mi ritrovo quando suono. Non so spiegare bene le dinamiche coinvolte, non ho la presunzione di affiancare personaggi illustri che hanno detto molto di più e molto prima di me. Suono perché l’ho sempre fatto, perché mi sembra di stare meglio e sentirmi una persona migliore, e perché ci sono cose che non riesco davvero a dire con le parole. La prima volta che mi è capitato di scrivere un pezzo che parlava di un evento personale che ha cambiato la mia vita tanti anni fa si, avevo la percezione che quel suono risultante fosse stata la mia catarsi, che mi avrebbe aiutato a guarire. Negli anni le percezioni cambiano, mi sento più cauto su certi argomenti. Ciò che spero veramente, è che in un qualche modo chi ascolta Shifting.negative possa non solo immergersi nell’aspetto formale, inteso come forma, e cioè il linguaggio che abbiamo usato, dal songwriting alla scelta dei suoni; mi piace pensare che qualcuno da qualche parte del mondo possa ascoltare questo disco nella propria intimità casalinga magari, e scorgere non solo la realtà opprimente di cui parli, che è credo più o meno sotto gli occhi di tutti per certi versi, ma che possa anche intravedere la luce in fondo al tunnel. Questo perché credo che il compito della musica, ma dell’arte in generale, sia quello di descrivere sì il mondo che ci circonda, ma anche e soprattutto quello di suggerire una via, una strada, una soluzione. Ecco “soluzione” forse è una parola troppo pesante perché in ogni caso qui nessuno di noi ha mai eseguito un intervento a cuore aperto o annullato il debito pubblico dei paesi poveri, o rivelato le tre prove dell’esistenza di dio.

ME Devo ammettere d’essere stato colpito da un brano come Precarius, dalla potenza smisurata pur se racchiusa in un involucro per lo più soffuso: è stato scelto per essere accompagnato da un video proprio perché lo ritenete in qualche modo emblematico dell’umore dell’album , benché non ne sia in effetti la traccia più rappresentativa a livello strettamente musicale?

F Bartek, ovvero la persona che si occupa della promozione di Aborym e di questo disco, ha fortemente premuto per rilasciare “Precarious” come apripista. Io non ero molto d’accordo ma mi sono fidato della sua esperienza. Mi ha chiesto se fosse possibile realizzare un teaser video.. così ho pensato di girare delle sequenze a Taranto. Durante il montaggio mi sono accorto che musica e immagini funzionavano perfettamente così ho deciso di trasformare il teaser in un vero e proprio videoclip. Ho filmato tutti i luoghi in cui ho vissuto, le strade che percorrevo per andare a scuola, i luoghi di quella città che frequentavo la sera. Mentre filmavo mi sentivo bene… pochi minuti dopo mi sentivo male… poi di nuovo bene… Era un dondolare continuo tra stati d’animo discordanti: rabbia, malinconia, delusione, solitudine, ira, depressione, felicità… Ho cercato di parafrasare in immagini tutto questo, sulla musica e sul testo di “Precarious”. Il disagio e quel terribile senso di vuoto che provano in tanti, ogni giorno. Quella sensazione terribile che si prova quando hai la consapevolezza che quello che avevi non è più tuo. Quello che era non è più come prima. Quando realizzi che una cosa è bella solo quando l’hai persa.

ME Le personalità forti di solito provocano divisioni profonde nell’audience musicale: gli Aborym sono una di quelle band che, a giudicare da certi commenti che si leggono in rete, non lasciano indifferenti, provocando sentimenti di amore ed odio apparentemente in uguale misura; al riguardo vi chiedo cosa ne pensate di questo fenomeno, comune anche ad altre band o musicisti, che parrebbe essere un problema soprattutto italiano.

F Il mio compito è fare musica e dedico il mio tempo a questo. Queste storielline tutte italiane non mi hanno mai interessato. Penso che la musica possa essere amata e basta; non trovo molto sensato l’odio verso la musica… Se un disco o una band non ti piacciono non l’ascolti e basta… Perché odiare un disco o una band? Trovo la cosa veramente infantile e poco intelligente.

D Credo sia normale. Che la gente si esprima, intendo. Personalmente non sono un fan delle chiacchiere da bar, men che meno di quelle da bar virtuale, online. Ovviamente non mi aspetto che Shifting.negative debba piacere a tutti, ciò non toglie che il fenomeno del blogger sia qualcosa che, mio malgrado, non posso condividere. Internet era partito come cosa buona e giusta, come una fonte pressoché illimitata di informazioni e possibilità; troppo spesso ho come la sensazione che ci limitiamo solo ad usarlo come protesi del nostro ego, ed ecco che fioccano comunità intere di tuttologi e profeti, che millantano onniscienza e capacità di analisi fuori dal comune. Ecco, credo che se dedicassimo più tempo a noi stessi, leggendo un libro, ascoltando un disco, andando al cinema o facendo una passeggiata mano nella mano col proprio partner (e non mano nella mano col fottuto i-fuck) potremmo concederci il lusso di goderci la vita quella vera, e semmai impreziosirla col grande miracolo di interattività e comunicazione che apple e soci ci hanno “regalato” da qualche anno a questa parte. Del resto quando ci capita di imbatterci in una persona scostante o nervosa la prima raccomandazione che gli facciamo è di usare più spesso la zona pelvica no? Non credo sia una storia solo italiana, anche se devo ammettere che in qualche modo riusciamo sempre a distinguerci dagli altri. E non parlo di buone maniere…

ME In tutta sincerità, l’accostamento degli Aborym ai Nine Inch Nails è un qualcosa che ritenete lusinghiero o, piuttosto, alla lunga limitante o fuorviante?

D Che i NIN siano stati e siano una fonte di ispirazione non è un mistero; credo che dal punto di vista compositivo la differenza tra emulazione e “acquisizione” (ascoltare imparare metabolizzare) sia la chiave. Anche in questo senso credo, come spero, che chi ascolterà il disco possa riuscire a cogliere questo percorso: stando ai primi riscontri di critica e pubblico, sembra che ci siamo riusciti.

F Ho scoperto con enorme piacere che da quando è uscito Shifting.negative tutti si sono scoperti grandi conoscitori dei Nine Inch Nails ahahah ahha.. Sarà una casualità… eh ehh… Scherzi a parte, rispondo in questo modo: meglio essere avvicinanti ad una band come Nine Inch Nails che ai Mayhem o ai Cannibal Corpse o a centinaia di band che da decenni sono copie di copie di copie di copie… Inoltre, credo che in molti abbiano ibernato la band di Reznor negli anni ’90, perché gli ultimi lavori dei NIN non hanno grossi punti in comune con Shifting.negative… Ad ogni modo per me è un enorme complimento.

ME Nonostante faccia parte del tuo background musicale, da diverso tempo hai tagliato i ponti con il black metal e da tutto ciò che rappresenta: questo perché lo ritieni un genere a suo modo anacronistico o piuttosto perché non condividi l’approccio attuale di chi continua a suonarlo ?

F E’ una moda, per lo più adolescenziale, destinata al dimenticatoio. La vera musica è altro, gli artisti che rimarranno impressi nella memoria nel futuro sono altri. Faccio fatica a visualizzare la band blackvomitkillchristfuckthisandfuckthat666 proiettata tra vent’anni… Tra vent’anni ricorderò altre band… continuerò a ricordare band come Pink Floyd, Massive Attack, Alice in Chains, gente come Brian Eno, Trent Reznor, Steven Wilson… Vedo un sacco di merda in giro, ci sono pochissimi nomi che potenzialmente potrebbero essere un valido ricambio a livello generazionale. Figuriamoci se parliamo di black metal e di quattro stronzi conciati da clown. La musica è altro. Non ho mai visto tanta ridicolaggine attitudinale e comportamentale come nel black metal e ultimamente mai così tanta scarsità di talento e di gusto musicale.

ME La storia degli Aborym ha preso il via quando eri appena maggiorenne e negli anni novanta hai anche scritto per alcuni dei più noti magazine di settore: si può affermare, quindi, che hai attraversato in varie vesti gli ultimi 25 anni di storia del metal nel nostro paese. Secondo te quale è lo stato di salute attuale del movimento, alla luce di quanto hai potuto toccare con mano in un lasso di tempo sicuramente significativo?

F Da quando esiste internet, o meglio da quando è stato concesso a tutti di poterne usufruire, tutto si è quintuplicato a discapito della qualità. Solo su facebook esistono milioni di band, molte delle quali non avrebbero neanche motivo di esistere, molte delle quali non avremo neanche la possibilità di conoscere… e magari tra queste ci sono i nuovi Kiss, i nuovi Motley Crue o i nuovi Ozric Tentacles. Tutto è divenuto troppo accessibile da un lato e assolutamente impenetrabile dall’altro. La qualità si è abbassata notevolmente e oggi chiunque è in grado di registrarsi un disco con il proprio Pc, disco che inizia a girare e che magari vende decine di migliaia di copie solo perché spinto su canali preferenziali. Sono scomparsi i cultori di musica e le grandi firme a livello giornalistico. Oggi chiunque è in grado di improvvisarsi giornalista o critico musicale, mettere su una webzine ed inanellare idiozie su idiozie, recensioni, critiche… decretando il successo o l’insuccesso di una band. Molti di questi non sono neanche in grado di scrivere in italiano correttamente. Internet ha iniziato a manufatturare e divulgare una quantità di imbecilli spaventosa. Inimmaginabile. Oggi, attraverso internet, giornali e major decidono cosa deve vendere e cosa no, cosa deve esplodere e cosa no, cosa deve diventare trend e cosa no. E la gente zitta li sotto, ad ingoiare con la bocca spalancata. Internet ha democraticamente spalancato tante bocche rimaste per anni in silenzio e ora c’è un chiasso assordante. Chiunque si sente libero di aprire la propria fottuta bocca standosene comodamente seduto davanti al Pc. Vedo poche cose interessanti e tanta merda li fuori.

ME Per finire non posso che chiedervi qualcosa sui programmi futuri degli Aborym , inclusa la possibile attività live per presentare dal vivo il magnifico Shifting.Negative.

F Abbiamo iniziato a provare insieme. Ci vorrà del tempo. Non so quanto, ma preferiamo fare le cose per bene. Di sicuro tra qualche mese ci sarà nuova musica di Aborym in giro. Questo è quanto al momento.

D E’ un periodo molto florido per Aborym, abbiamo moltissimo da fare; come ti anticipavo, la line-up è completa da pochi mesi, attualmente siamo impegnati su più fronti. Da un lato stiamo lavorando sul live, suonare e arrangiare il disco in formazione estesa è il primo obiettivo che ci eravamo proposti. Parallelamente siamo impegnati alla lavorazione di nuovo materiale, ci sono molte novità in cantiere, per ora non posso anticiparti nulla di ufficiale, ma molto probabilmente sentirete parlare di nuovo di pubblicazioni a nome Aborym nel corso di questo anno solare. E presto, dobbiamo ancora sistemare alcuni dettagli, saremo on the road, non vediamo l’ora di proporre Shifting.negative dal vivo e tastare con mano che effetto fa nella VITA REALE. A buon intenditor…

Paolo Baltaro – The Day After the Night Before

The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta, abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani.

Certo che la scena underground nazionale non smette di regalare sorprese e così, lasciando per un attimo la frangia metallica ed estrema, ci facciamo travolgere dalla musica totale del polistrumentista Paolo Baltaro, al secondo album da solista dopo i trascorsi con varie band, tra le quali Arcansiel, Mhmm, Roulette Cinese, S.A.D.O. e Sorella Maldestra.

Questo nuovo lavoro segue il debutto licenziato per Musea nel 2011 (Low Fare Flight to the Earth) ed entusiasma per la varietà della musica proposta che, se può senz’altro essere considerata come rock progressivo, è composta da una moltitudine di anime musicali perfettamente amalgamate nel suo insieme.
Ogni brano è stato composto come una colonna sonora di film inesistenti, in cui Baltaro canta e suona tutti gli strumenti aiutato da molti altri musicisti, eccetto le due versioni di Do It Again, colonna sonora reale dell’ultimo film di Ricky Mastro, in preparazione questi giorni e in uscita prevista per la prima metà del 2017, e le due cover Bike (Syd Barrett) e It’s Alright With Me (Cole Porter).
Registrato a Londra al Pkmp Soho Studios e ad Amsterdam allo Studio 150, masterizzato da Cristian Milani al Rooftop Studio di Milano, l’album è un’opera affascinante dove la parola d’ordine è stupire.
Progressivo nel più puro senso del termine, The Day After the Night Before – Original Soundtracks for Imaginary Movies si compone di una dozzina di brani l’uno diverso dall’altro, l’uno più intrigante dell’altro, dove il musicista nostrano vola oltre i confini ed i muri costruiti per imprigionare i generi, per raccogliere il meglio che la musica rock può offrire donandolo all’ascoltatore.
Dagli anni settanta ai giorni nostri, si compie un viaggio su una nuvola di note che solca il cielo mentre progressive, jazz, rock e fusion compongono quella che risulta di fatto un’opera rock.
Preparatevi all’ascolto dell’album come se doveste incontrare in una quarantina di minuti tutti gli artisti e musicisti che hanno segnato la storia della nostra musica preferita, dai Pink Floyd, ai Beatles, da Jimi Hendrix a Frank Zappa: in totale libertà artistica e con una facilità disarmante Paolo ce li presenta tutti prima che il loro contributo, tradotto in ispirazione, lasci un segno indelebile su questo splendido album.
The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani: l’opera è scaricabile dal sito del musicista (www.paolobaltaro.com), mentre è disponibile all’acquisto la versione in vinile più cd, quindi non ci sono scuse per perdersi un lavoro di questa portata.

TRACKLIST
1.Do It Again (Acoustic Version)
2.Postcard From Hell
3.Cole Porter At Frankz’s Birthday Party
4.Goodnight
5.Another Sunny Day
6.Bike
7.Nowhere Street Part II
8.Pills
9.Silent Song
10.It’s All Right With Me
11.Do It Again (Electric Version)
12.Revolution N.13-11 (Hidden Track)

LINE-UP
Paolo Baltaro – Vocals, all Instruments
Andrea Beccaro – Drums
Andrea Fontana – Drums
Alessandro De Crescenzo – Guitars
Paolo Sala – Guitars
Gabriele Ferro – Guitars
Gabriel Delta – Guitars
Simone Morandotti – Piano
Barbara Rubin – Chorus
Luca Donini – Sax, Flute
Sandro Marinoni – Sax, Flute
Alberto Mandarini – Tromba

PAOLO BALTARO – Facebook

50 ESSENTIALS LO-FI BLACK METAL ALBUMS

Un viaggio, per forza di cose appena introduttivo e con uno speciale occhio di riguardo verso l’attualità, che procede a ritroso nel tempo, una discesa verso le malevole origini.

Low-fidelity: come tutti sapranno, una produzione volontariamente o involontariamente a bassa fedeltà, registrazioni più o meno approssimative realizzate grazie a strumenti più o meno approssimativi.

Daniel Johnston, Beat Happening, e molti altri: il lo-fi nel suo senso moderno, filologicamente e storicamente, nasce in contesto indie sul finire degli anni ottanta, e il Black Metal si riscopre subito interessatissimo alla faccenda. Se a partire dagli anni ’90, se a partire da un certo punto in poi la bassa fedeltà divenne lo standard dell’élite oscura, se un (relativamente) buon numero di album ormai “classici” vennero registrati in totale scarsezza di mezzi ed equipaggiamenti, oggi il lo-fi – nella sua accezione più estrema e rigorosa – serve una non troppo vasta cerchia di produzioni, e quello che potremmo definire come “lo spirito originario” del metallo nero si riscopre un prodotto sovente di nicchia. Nonostante il BM sia probabilmente il genere che più di ogni altro ha mantenuto una certa attitudine verso i suoni sporchi, oggi certi estremismi sono per la maggior parte annegati in una relativa limpidezza sonora, un’accurata fase di produzione in cui fanno capolino qua e là contaminazioni tra generi, più o meno appropriate. Per quanto esso abbia, fin dalle origini, ricercato con particolare costanza e devozione i purismi al di là di ogni compromesso discografico, nel tempo ha dovuto prendere atto di essere anche tremendamente duttile. Volente o nolente, ha saputo rinvigorire contesti diversi e lontani tra loro (si pensi alla recentissima ondata blackgaze, alla quale fanno capo Alcest, Ghost Bath, Astronoid, Deafheaven & Co.).

Comunque, al di là delle molte e diverse suggestioni che dal Black Metal hanno attinto a piene mani, al di là delle fasi di produzioni recenti – sempre più accurate -, non si fa troppa fatica ad affermare che esso sia nato come il prodotto compiuto di una certa attitudine mentale: di uno spirito del “fai-da-te” in musica, in cui la penuria di apparecchiature e il disinteresse verso la perfezione formale divengono – in astratto – fondamentali alla riuscita di un disco. Diciamo quindi che, più che una classifica filologicamente ordinata sulla “bellezza” o sull’importanza sociologica, questa è una lista introduttiva di produzioni in cui la componente low-fidelity ha determinato in maniera importante la stessa particolare riuscita dell’album. Da alcuni progetti seminali e storici come Ulver, Beherit, Darkthrone fino a nomi ormai ignorati dai più – eppure in certi ambienti leggendari – come Satanize e Todesstoß. Da oggetti misteriosi che si approssimano al BM low-fidelity con una forte vena di sperimentazione, come Murmuüre e Black Magick SS, fino ai rumori allucinanti e purissimi di Créda Beaducwealm. Da Atvar, mastermind di Circle of Ouroborus e Rahu, fino alla scuola portoghese. Dagli inizi fino ai giorni nostri: ecco secondo noi 50 album essenziali registrati in bassissima fedeltà. Un viaggio – per forza di cose appena introduttivo e con uno speciale occhio di riguardo verso l’attualità, come consuetudine qui su Metal Eyes – che procede a ritroso nel tempo, una discesa verso le malevole origini.

Candelabrum – Necrotelepathy (2016)
Wóddréa Mylenstede – Créda Beaducwealm (2016)
Black Cilice – Mysteries (2015)
Axis of Light – L’appel Du Vide (2015)
Black Magick SS – The Black Abyss (2015)
Bekëth Nexëhmü – De Svarta Riterna (2014)
Volahn – Aq’Ab’Al (2014)
Akitsa / Ash Pool – Ripped From Death, Forced To Live, And Die Again (2013)
Clandestine Blaze – Harmony of Struggle (2013)
Black Cilice – Summoning the Night (2013)

Circle Of Ouroborus – Mullan Tuoksu (2012)
Rhinocervs – RH-12 (2012)
Irae – Seven Hatred Manifestos (2012)
Rahu – The Quest for the Vajra of Shadows (2012)
Xothist – Xothist (2011)
Bilskirnir / Barad Dûr – Lost Forever / Selbstmord (2011)
Murmuüre – Murmuüre (2010)
Wormsblood – Mastery of Creation (2009)
Satanize – Demonic Conquest in Jerusalem (2009)
Circle of Ouroborus – Night Radiance (2009)

Cripta Oculta – Sangue do Novo Amanhecer (2009)
One Master – The Quiet Eye of Eternity (2009)
Horrid Cross – Demo II (2009)
Bone Awl – Meaningless Leaning Mess (2007)
Arkhva Sva – Gloria Satanae (2007)
Benighted Leams – Obombrid Welkins (2006)
Furdidurke – Furdidurke (2006)
Mgła – Presence (2006)
Ash Pool – Genital Tombs (2006)
Satanic Warmaster – Black Metal Kommando / Gas Chamber (2005)

Threnos – By Blood and by Earth (2004)
Moloch – Чернее Чем Тьма (2004)
Todesstoß – Spiegel der Urängste (2004)
S.V.E.S.T. – Urfaust (2003)
Xasthur – Nocturnal Poisoning (2002)
Akitsa – Goétie (2001)
Grausamkeit – Christenschmähung (2000)
Mütiilation – Remains of A Ruined, Dead, Cursed Soul (1999)
Paysage d’Hiver – Paysage d’Hiver (1999)
Ulver – Nattens Madrigal (1997)

Ildjarn – Forest Poetry (1996)
Burzum – Filosofem (1996)
Moonblood – Blut und Krieg (1996)
Vlad Tepes / Belkètre – March to the Black Holocaust (1995)
Graveland – Carpathian Wolves (1994)
Fimbulwinter – Servants of Sorcery (1994)
Darkthrone – Transilvanian Hunger (1994)
Beherit – Drawing Down The Moon (1993)
Darkthrone – A Blaze in the Northern Sky (1992)
Blasphemy – Fallen Angel Of Doom (1990)

Thrownness – The Passage And The Presence

I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

Totale massacro hardcore per questo giovane gruppo milanese: Thrownness è un concetto filosofico introdotto dal filosofo tedesco Heidegger, che viene dai più additato come pessimista e catastrofico, ma che invece aveva ragionato molto profondamente sulle gesta umane e ne aveva ricavato una giusta consapevolezza.

Riassumendo in breve il concetto di Thrownness, lo si può descrivere come un disagio derivante dal fatto di essere stati buttati nel mondo senza averlo potuto scegliere, e che abbiamo un disagio atavico nato per la differenza tra la vita che viviamo e quella che vorremmo vivere, quindi frustrazioni, deliri, etc. Insomma Thrownness è disagio, e il gruppo milanese col supporto del disagio fa un disco di hardcore metal clamoroso, velocissimo, molto potente e suonato con un piglio da consumati veterani, a conferma del fatto che non conta tanto la sapienza nell’hardcore ma l’importante è avere la futta, la rabbia e se la razionalizzi musicalmente ne viene fuori un disco come The Passage And The Distance. Il disco, in download libero sul bandcamp della Drown Within Records (date un’occhiata anche alle loro altre produzioni che sono tutte ottime), è un continuo fluire di lava metallicamente hardcore, con molti riferimenti a gruppi e situazioni anni novanta e anche al meglio dei duemila. No, non è metalcore, che non è un genere totalmente disprezzabile, ma qui è hardcore metal, che è un’altra roba, anche se i generi come sempre sono etichette pressoché inutili. In alcuni momenti si arriva addirittura a congiungere l’hardcore con cose come i Dillinger Escape Plan, o avvicinarsi alle dinamiche del crossover. Ciò che davvero conta è che questi ragazzi hanno fatto un grandissimo disco, trascinante e coinvolgente dal primo all’ultimo secondo, con una potenza davvero unica e un grande produzione a supportarli. I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

TRACKLIST
1.Verfall
2.Unclean Lips
3.The Fertile Abyss
4.Olympus of Appearance
5.Error Sewer
6.Servant and Supplicant
7.Thalassic Regression
8.Fragment of a Crucifixion, 1950

THROWNNESS – Facebook

Emptiness – Not for Music

La band afferma “We try to transport the listener into a world that wants to exclude him. Nothing to enjoy”.la conferma di un band che ha trovato il proprio suono.

Il respiro pulsante del fuoco in un una natura madre e matrigna, una profonda immersione in un oscuro e liquido mondo incubico senza via di uscita.

Queste sono le sensazioni che possono permeare l’ascolto dei belgi Emptiness con il loro quinto full, a tre anni da “Nothing but the Whole” che me li fece conoscere e stra-apprezzare: è necessario, com’è scritto sul cd, essere realmente “open minded” per poter metabolizzare questa affascinante opera concepita da quattro musicisti che, partendo da basi black e death metal, evolvono verso un sound realmente unico approdando a un atmosferico mix di darkwave (può ricordare in parte i Bauhaus), sinistra ambient con un flavour psichedelico (Digging the sky) e qualche strano aroma pop nella melodia (Ever). Due di loro, Olivier Lomer-WIlbers alla chitarra e Jerome Bezier al basso e alla voce, derivano dalla band di puro black metal Enthroned, una leggenda per i veri cultori del genere; la voce di Bezier con il suo profondo timbro, più che cantare in senso stretto, ammalia narrando storie oscure e malate e contribuisce a rendere i brani ancora più claustrofobici e “otherwordly”. Per chi voglia addentrarsi in questa “selva oscura” è oltremodo necessario rammentare che non troveranno cavalcate black o ritmi serrati death ma un suono indefinito figlio di tempi cupi, plumbei, claustrofobici e senza speranza. Diversamente estremo per un opera affascinante e misteriosa.

TRACKLIST
1. Meat Heart
2. It Might Be
3. Circle Girl
4. Your Skin Won’t Hide You
5. Digging the Sky
6. Ever
7. Let It Fall

LINE-UP
Phorgath – Bass, Vocals
Jonas Sanders – Drums
Olve J.LW – Guitars, Vocals
Peter Verwimp – Guitars

EMPTINESS – Facebook

Cynic – Uroboric Forms – The Complete Demo Recordings

Una compilation che aiuta, specialmente chi non conosce l’intera discografia del gruppo, a capire l’evoluzione di questa straordinaria band, che in seguito ha dato forse meno di quello che avrebbe potuto.

Paul Masvidal, Sean Reinert, Sean Malone e Jason Gobel sono entrati nella storia del metal per aver creato uno degli album che più hanno influenzato il corso della musica contemporanea, almeno se parliamo di metal estremo.

Era il 1993 quando il quartetto statunitense licenziò Focus, dopo aver dato alle stampe una serie di demo, ed il mondo metallico si inchinò al genio creativo e strumentale di questi viaggiatori dello spartito, non gli unici ai tempi a contaminare il death con altri generi (Atheist, Pestilence) ma mai il risultato fu così perfettamente bilanciato ed amalgamato, fondendo in un unico ed allora originalissimo sound death metal, fusion e progressive.
Focus si può considerare senza dubbio un album che ancora oggi crea figli legittimi, molto belli alcuni, nella norma altri, anche perché l’effetto sorpresa è svanito e le note progressive condite da sfumature fusion e jazz non sono più una novità.
Questa compilation vuole tributare il periodo antecedente l’uscita del primo album del gruppo, prima parte di una discografia che, come poi avremmo visto, regalerà solo due full length più qualche lavoro minore: qui sono racchiusi i demo incisi tra il 1988 ed il 1993, quando la band della Florida non aveva ancora sviluppato in toto il suo personalissimo sound, ed il death suonato ai tempi negli States era il signore e padrone del songwriting dei Cynic.
L’unico brano finito sul famoso esordio è quello che dà il titolo a questa raccolta, Uroboric Forms,  non a caso il più diretto e death della track list di Focus, mentre le altre tracce ci presentavano una band death metal devastante, dal sound veloce ed aggressivo, ma lontana dalle sontuose trame progressive che vedranno la luce più avanti, anche se più ci si avvicinava alla fatidica data d’uscita dell’album più la musica dei Cynic cominciava a cambiare sfumature (The Eagle Nature).
Una compilation che aiuta, specialmente chi non ne conosce l’intera discografia, a capire l’evoluzione di questa straordinaria band, che in seguito ha dato forse meno di quello che avrebbe potuto.
Uroboric Forms – The Complete Demo Recordings ha il valore di un documento storico che gli appassionati della musica estrema e dei Cynic non possono ignorare.

TRACKLIST
1.Uroboric Forms
2.The Eagle Nature
3.Pleading For Preservation
4.Lifeless Irony
5.Thinking Being
6.Cruel Gentility
7.Denaturalizing Leaders
8.Extremes
9.A Life Astray
10.Agitating Affliction
11.Once Misguided
12.Weak Reasoning
13.Dwellers Of The Threshold

LINE-UP
Jack Kelly – Vocals (lead)
Paul Masvidal – Guitars (lead)
Mark van Erp – Bass
Sean Reinert – Drums

Paul Masvidal – Guitars (lead), Vocals
Jason Gobel – Guitars (lead)
Mark van Erp – Bass –
Sean Reinert – Drums

Paul Masvidal – Guitars (lead), Vocals
Jason Gobel – Guitars (lead)
Tony Choy – Bass
Sean Reinert – Drums

CYNIC – Facebook

Ashenspire – Speak Not Of The Laudanum Quandary

Gli Ashenspire testimoniano nel migliore dei modi come il metal possa essere usato in maniera splendida e struggente per bilanciare narrazioni assai false.

L’Inghilterra ha sempre provato a tacere le proprie nefandezze e brutture, e dell’epoca vittoriana abbiamo un’immagine il più possibile romantica, mentre in realtà è stata un’epoca di progresso ma anche di un terribile tenore di vita per molti.

Prendiamo ad esempio Londra, che era una città divisa in due: nel West End la minoranza ricca, mentre nell’East End la massa di poveri e proletari, ammassati uno sull’altro, spesso costretti a pagare per vivere in luride case, vittime poi di inquinamento o di violenza. E qui tacciamo la vicenda di Jack Lo Squartatore, che ha anche avuto una valenza sociale non abbastanza indagata nella storiografia, perché ha fatto luce sulle condizioni di vita di una larga fetta di popolazione. Ora attraverso il metal gli scozzesi Ashenspire producono un sublime concept album sull’epoca vittoriana e più in particolare sul troppo taciuto imperialismo inglese. La maggior parte della popolazione mondiale quando si parla di imperialismo pensa agli Stati Uniti D’America, mentre i più grandi imperialisti della storia sono stati gli inglesi. Il loro impero si allungava sul mondo intero, e oltre ad esportare usi e costumi hanno anche regalato molta oppressione a tanti popoli. Gli Ashenspire con toni molto gotici e drammatici mettono l’accento anche sulla distruzione del popolo britannico attuata dai loto stessi governanti, perché attraverso l’imperialismo si provava anche a risolvere il problema dei poveri, sia mandandoli dall’altra parte del mondo sia facendoli morire in patria. Il gruppo di Glasgow concepisce un’opera fuori dal comune e bellissima, e sembra di essere a teatro mentre si ascolta Speak Not Of The Laudanum Quandary, un disco che va ben oltre la solita fruizione di musica popolare. I perfetti intarsi di piano e violino, la completa compenetrazione fra gli altri strumenti rende questo disco un autentico gioiello, con canzoni che diventano suite e ci trasportano nelle situazioni descritte. Il progetto è stato concepito da Alastair Dunn, batterista del gruppo, che militando nel gruppo black metal Enneract si era giustamente stufato del nazionalismo di bassa lega vigente nel black metal e si era dato l’obiettivo, completamente raggiunto con questo disco, di usare la musica per dare al pubblico una visione più oggettiva della storia, senza colorarla con falsi colori. Questo disco, che usa diversi toni del metal, dal prog al gothic, dal post all’heavy, tenendo fermo come modelli i misconosciuti Devil Doll, ha un tono drammatico notevolissimo, con passaggi immensamente belli, e anche momenti di musica ottocentesca rivista in chiave moderna. Speak Not Of The Laudanum Quandary è un disco che va in profondità in situazione ed argomenti poco piacevoli ma molto più reali della falsa visione che si vuole dare di un impero malvagio ed oscuro, impilato su sangue e ossa, ma anche composto da paura e miseria,e questo disco ce lo sbatte in faccia in una maniera elegantissima e bellissima. Gli Ashenspire testimoniano nel migliore dei modi come il metal possa essere usato in maniera splendida e struggente per bilanciare narrazioni assai false.

TRACKLIST
1.Restless Giants
2.The Wretched Mills
3.Mariners at Perdition’s Lighthouse
4.Grievous Bodily Harmonies
5.A Beggar’s Belief
6.Fever Sheds
7.Speak Not Of The Laudanum Quandary

LINE-UP
Alasdair Dunn – Drums, Sprechgesang
Fraser Gordon – Guitars
James Johnson – Violin, Percussion
Petri Simonen – Bass

ASHENSPIRE . Facebook

Errant Shadow – Errant Shadow

Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.

Altro bellissimo concept album tra progressive metal e gothic rock, questa volta creato dal musicista torinese Seren Rosso, aiutato da una manciata di ottimi musicisti come Nalle Påhlsson (Therion), Kevin Zwierzchaczewski (Lord Byron), Mattia Garimanno (Il Castello di Atlante), Emanuele Bodo (Madiem), Davide Cristofoli (Highlord) e Isa García Navas (ex-Therion).

Uno spiegamento di forze niente male per un’opera rock emozionante, licenziata dalla Ænima Recordings ed intitolata Errant Shadow.
La storia è un viaggio epico attraverso il tempo e lo spazio: in un mondo decadente post-moderno, due cavalieri erranti, un uomo e una donna, ripercorrono le tracce di episodi cruciali, fino alle origini dell’uomo e lungo questo avventuroso viaggio si innamorano l’uno dell’altra.
La band prende il nome dal titolo dell’opera e gli Errant Shadow, sotto la guida di Seren Rosso e del produttore, nonché patron della label, Mattia Garimanno, danno vita a questo straordinario viaggio all’insegna del prog metal elegante e raffinato, così come d’autore si sviluppano le trame dark gotiche.
Forse con troppa fretta l’opera è stata presentata dai protagonisti come una sorta di alleanza prog/gothic tra Dream Theater, Opeth e Nightwish perché, a ben sentire, qui si va oltre e l’album a mio parere trova la sua ideale collocazione tra il progressive elegante di Ayreon e quello finemente gotico dei primi Nightingale del genio svedese Dan Swano; insomma, un’accoppiata che sicuramente non svilisce i paragoni fatti nelle presentazioni anzi, valorizza l’album come opera di culto ed aggiunge arte su arte con spunti dark rock riconducibili agli ultimi Tiamat.
Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.
Un plauso ai due vocalist in grado, con le loro voci, di creare sfumature malinconiche e dark rock su un tappeto di musica totale che raccoglie in un unico sound progressive, metal e rock, sotto la bandiera delle emozioni: un turbinio di note ed atmosfere incredibilmente intense e che hanno la loro massima espressione nelle due tracce che concludono l’album, To The Cygnets Committee e Just In Heaven, ma ricordo che Errant Shadow va assolutamente ascoltato in tutta la sua durata, per godere al meglio della musica di cui è composto.
Un lavoro bellissimo, che non mancherà di sorprendere ed affascinare gli amanti dei suoni progressivi e delle melodie di stampo dark rock.

TRACKLIST
01. The Captain
02. The Dark Room
03. In a Cave
04. From the Abyss of My Heart
05. Such a Lot
06. Hiroshima
07. Crows in the Air
08. Broken Dreams
09. To the Cygnets Committee
10. Just in Heaven
11. To the Cygnets Committee (Bonus Track)

LINE-UP
Seren Rosso – Guitars
Kevin Zwierzchaczewsk – Vocals
Isa Garcia Navas – Vocals
Nalle Pahlsonn – Bass
Mattia Garimanno – Drums
Emanuele Bodo – Guitars
davide Cristofoli – Keyboards

ERRANT SHADOW – Facebook

Starbynary – Divina Commedia: Inferno

Gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano.

Caronte è tornato dagli inferi per traghettarci tra lo spartito di questa magnifica opera, sontuoso esempio di musica metal fuori categoria, ed assolutamente non catalogabile nelle troppo semplici coordinate del power progressive, anche se le atmosfere sono simili a quelle create dai Symphony X.

Tornano i Starbynary del vocalist Joe Caggianelli (ex Derdian) e del chitarrista Leo Giraldi, con questo secondo lavoro, prima parte di una trilogia sulla Divina Commedia che non poteva non iniziare con l’Inferno.
La band nostrana aveva già ammaliato gli appassionati del genere con lo stupendo debutto uscito sul finire del 2014 (Dark Passenger), album di una qualità artistica elevatissima dove, oltre ai musicisti italiani, si poteva godere delle prestazioni del bassista dei Symphony X, Mike Lepond.
Un turbinio di fughe power tra ritmiche ed atmosfere progressive, con un vocalist in stato di grazia ed una manciata di musicisti sopra la media, questo era il primo full length del gruppo italiano, ma se si pensava ad un risultato impossibile da ripetersi non si erano fatti i conti con gli Starbynary e la loro voglia di stupire regalando per la seconda volta un emozionante viaggio culturale e musicale.
Discesa all’inferno e risalita, allegoria di vita dove dramma e teatralità enfatizzano lo scorrere dell’esistenza umana, declamandone difetti e peccati, sottolineandone la precarietà ma anche evidenziandone la divina grandezza e
la nobile maestosità: è il viaggio di Dante attraverso il quale poter scrutare all’interno dell’animo umano fino a perdersi in un vortice di emozioni!
Lasciata la Bakerteam per la romana Revalve, altra label nostrana che praticamente non sbaglia un colpo, gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano, così come lo sono le emozioni che l’ascolto di queste perle metalliche suggeriscono.
Di non umano ci sono i cinque musicisti e la loro bravura strumentale al servizio di un songwriting stellare, ed è così che, trasportati dalle varie The Dark Forest, dalla ballad In Limbo che la band trasforma con un crescendo entusiasmante in un mid tempo oscuro, da Medusa And The Angel che non lascia tregua nella sua atmosfera cangiante; Paolo e Francesca, poi, dispensa brividi con un Caggianelli superlativo ed il piano di Stars ci conduce ad undici minuti finali di delirio progressive power metal dalle tinte darkeggianti ed infernalmente gotiche.
Ci si rincorre così tra fughe di aggressivo power metal oscuro, atmosfere di sofferta tregua orchestrale violentate da ripartenze velocissime e mid tempo potentissimi in cui il vocalist incanta con vocalizzi teatrali, mentre Caronte ci lascia sulla riva del fiume e ci si mette in cammino verso l’appuntamento con la seconda parte di questa trilogia creata dagli straordinari Starbynary.
Il 2017 è partito benissimo e conferma il trend degli ultimi anni, che sono stati forieri di grande musica per il metal tricolore: non perdetevi questo album per nessun motivo.

TRACKLIST
1.The Dark Forest (Canto I)
2.Gate of Hell (Canto III)
3.In Limbo (Canto IV) 04 –
4.Paolo e Francesca (Canto V)
5.Medusa and the Angel (Canto
6.Seventh Circle (Canto XII-XIII-XIV)
7.Malebolge (Canto XVIII)
8.Soothsayers (Canto xx)
9.Ulysse’s Journey (Canto XXVI)
10.The Tower of Hunger (Canto XXXII-XXXIII)
11.Stars (Canto XXXIV: I Lucifero, II Cosmo, III Finally Ascendant)

LINE-UP
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo- Keyboards and Piano
Sebastiano Zanotto – Bass
Andrea Janko – Drums

STARBYNARY – Facebook

Sirgaus – Il Treno Fantasma

Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo dei Sirgaus, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.

La ricchezza culturale e la soddisfazione di un “non” lavoro come le fatiche dietro ad una webzine musicale, sono ripagate nel conoscere e vivere il percorso di fulgidi talenti dello spartito, che probabilmente non si sarebbero mai raggiunti ed approfonditi come semplici fruitori delle sette note, anche perché dubito (pur augurandolo ai protagonisti) che questi eroi della sacra arte possano trovare quel successo che, in un mondo guidato dalla bellezza e non dal denaro, avrebbero già ampiamente raggiunto.

Ma non credo che a Mattia Gosetti e Sonja Da Col, tornati come Sirgaus con questa nuova ed affascinate opera, interessi granché, molto più probabile che al duo proveniente dalla provincia di Belluno, come musicisti di altri tempi e affascinanti artisti di un teatro che compare dal nulla e scompare alla fine di ogni spettacolo, basti creare e lasciare la loro arte a chi la sa apprezzare.
Dopo il bellissimo Sofia’s Forgotten Violin, concept album licenziato nel 2013 e finito nella mia personale play list di fine anno, Mattia Gosetti, compositore e musicista sopraffino, aveva messo a riposo i Sirgaus per uscire a suo nome con il capolavoro Il Bianco Sospiro della Montagna, un’opera portata sul palco di un teatro con la cantante e moglie in veste di attrice.
Era il 2015 e questo splendido esempio di musica contemporanea tra rock, metal e operetta finì ancora una volta tra gli album più belli dell’anno, almeno per il sottoscritto, ancora una volta qui a raccontarvi (non a recensire) delle gesta di questi talenti persi tra le montagne dolomitiche.
Il Treno Fantasma è un’altra opera rock sontuosa, più oscura e dark musicalmente parlando rispetto ai lavori precedenti, meno epica rispetto a Il Bianco Sospiro Della Montagna, anche per la storia che, pur lasciando al centro delle vicende la terra d’origine del duo, lascia le tematiche sulla guerra per affrontare i cambiamenti frutto dello sviluppo e dei tempi in cui viviamo.
Molti ospiti accompagnano l’ennesimo viaggio musicale dei Sirgaus, dai cantanti Matteo Scagnet, Denis Losso, Michaela Dorenkamp e il figlio della coppia Diego Gosetti, alle pelli di Salvatore Bonaccorso, la chitarra di Daniele Bressa, ed il violino del sempre presente Fabio “Lethien” Polo dei folk metallers nostrani Elvenking.
Quasi ottanta minuti sul treno fantasma in una folle corse tra le trame orchestrali create da Gosetti, drammatiche e perfette nel raccontare le vicende dei protagonisti, nell’affrontare cambiamenti e scelte per continuare una vita lontana da casa o stretta tra i vicoli dei piccoli paesi di una montagna che sta stretta alle nuove generazione, fermi davanti ad un cavalcavia, linea di confine tra la solitudine e la tradizione della montagna e la caotica vita nella grande città.
A Train To The Mountains segna il ritorno della protagonista verso il paese dopo cinque anni, le melodie orchestrali mantengono linee malinconiche, mentre si fanno più dirette e metallicamente sinfoniche nella bellissima Fischia Nella Notte.
Pur con le sue differenze, Il Treno Fantasma mette in evidenza l’eleganza orchestrale della scrittura di Gosetti, già ampiamente dimostrata sui lavori precedenti, valorizzata dalla particolare e teatrale voce della Da Col, mentre l’opera viaggia spedita sui binari dell’eccellenza con perle come La Versione Di Girollino, La Regina Del Sottosuolo e L’Impero Cadente.
Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo di questo compositore nostrano, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.

TRACKLIST
1.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi
2.Incontro Sul cavalcavia
3. A Train To The Mountains
4.Fischia Nella Notte
5.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (seconda parte)
6.Un secco ramo
7.Riparerò Questi binari
8.Il Bosco Nero
9.La Versione Di Girollino
10.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (terza parte)
11.La Regina Del sottosuolo
12.Il Folle Piano
13.La Rivalsa Di Girollino
14.Carbone Per La Mia Fornace
15.L’Impero Cadente
16.La Strada Verso Il Crescere

LINE-UP
Mattia Gosetti – Basso, Chitarra, Orchestrazione, Produzione
Sonja Da Col – Voce
Denis Losso, Matteo Scagnet, Michaela Dorenkamp, Andrea Sonaglia, Diego Gosetti – cantanti ospiti
Fabio Lethien Polo – Violino Elettrico
Daniele Bressa – Chitarra Solista
Salvatore Bonaccorso – Batteria

SIRGAUS – Facebook

Aborym – Shifting.Negative

Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica.

Accostare oggi gli Aborym ai Nine Inch Nails, per quanto possa essere accettabile, rischia d’essere riduttivo nei confronti della band di Fabban, anche se immagino che per lui l’essere avvicinato ad uno dei personaggi più influenti della musica contemporanea, come è Trent Reznor, non credo sia affatto sminuente.

Del resto gli Aborym non sono giunti alla forma espressa in questo nuovo Shifting.Negative da un giorno all’altro, bensì attraverso un percorso lungo oltre un ventennio ed in costante progressione, raggiungendo infine un risultato che va anche ben oltre quelli ottenuti in tempi recenti da chi, a torto o ragione, viene considerato il loro più naturale punto di riferimento (assieme ai NIN non è peccato aggiungervi anche i Ministry).
Mi azzardo ad affermare ciò, visto che né Reznor né Jourgensen si sono mai spinti così avanti, in un non luogo dove la forma canzone riesce misteriosamente a sopravvivere, nonostante la sua essenza sia costantemente messa a repentaglio da una sorta di “schizofrenia illuminata”, esasperata da un’instabilità che ben rappresenta gli umori cupi e poco rassicuranti dei quali l’album è pervaso ed esaltata, infine, da una produzione capace di rendere essenziale qualsiasi battito o rumore in sottofondo; la scelta di affidare il lavoro alle mani esperte di professionisti del calibro di Guido Elmi e Marc Urselli lucida al meglio l’ineccepibile prestazione d’assieme di tutti musicisti, tra i quali non si può fare a meno di citare il contributo chitarristico di Davide Tiso , senza per questo dimenticare i fondamentali Dan V, RG Narchost e Stefano Angiulli.
In buona sostanza, più ascolto Shifting.Negative e più mi rendo conto d’essere al cospetto di un’opera in grado di lasciare il segno, collocandosi temporalmente molto più avanti di gran parte della musica oggi in circolazione; non è neppure facile descrivere in maniera esauriente un lavoro di questa natura, con il rischio concreto di scrivere delle solenni fesserie o, peggio ancora, delle banalità, cercherò quindi di esprimere alcune delle impressioni derivanti da molteplici ascolti.
Partirei, quindi, da Precarious, singolo/video che ha anticipato l’uscita del disco e che ne ha rappresentato il mio primo approccio: tanto per far capire quanto la nostra mente sia condizionata da schemi precostituiti, ho trascorso circa sei minuti ad attendere quell’esplosione fragorosa che invece non sarebbe mai arrivata, percependo solo dopo diversi passaggi che quei momenti apparentemente interlocutori altro non erano che il naturale sviluppo di un brano intimo, intenso e disturbante allo stesso tempo, e tutto questo senza fare nemmeno ricorso a particolari artifici.
Già questo era il segno premonitore di un album che avrebbe in qualche modo scombinato i piani di chi si sarebbe aspettato, magari, un altro passo in direzione di quella relativa fruibilità che aveva mostrato a tratti il precedente Dirty: Shifting.Negative non stravolge il marchio di fabbrica degli Aborym, bensì lo consolida rendendolo ancor più peculiare ed imprevedibile, facendo apparire anche il passaggio più ostico quale inevitabile approdo di una creatività artistica segnata dall’inquietudine.
Concludo citando altri momenti chiave quali Unpleasantness, traccia che apre magistralmente l’album risultando probabilmente anche quella più orecchiabile (prendendo con tutte le cautele del caso questo aggettivo applicato alla musica degli Aborym) in virtù di un chorus piuttosto arioso, pure se inserito in un contesto aspro e disturbato da incursioni elettroniche, e l’accoppiata centrale formata da Slipping throught the cracks e You can’t handle the truth, in cui le già citate band icona del genere vengono omaggiate e non saccheggiate.
Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica: un disco fondamentale per chiunque abbia voglia di osare qualcosa in più, spingendosi oltre schemi prestabiliti ed ascolti rassicuranti.

Tracklist:
1. Unpleasantness
2. Precarious
3. Decadence in a nutshell
4. 10050 cielo drive
5. Slipping throught the cracks
6. You can’t handle the truth
7. For a better past
8. Tragedies for sales
9. Going new places
10. Big h

Line-up:
Fabban: programming, modulars, synth and vocals
Dan V: guitars and bass
Davide Tiso: guitars
Stefano Angiulli: synths and keyboard
RG Narchost: additional guitars

ABORYM – Facebook

ANCESTRAL

Intervista con Jo Lombardo, vocalist dei siciliani Ancestral, band autrice dell’ottimo Master Of Fate.

MetalEyes: Un silenzio lungo dieci anni alla fine ha portato gli Ancestral alla firma per Iron Shields e al nuovo lavoro, Master Of Fate: si tratta per voi di un vero e proprio nuovo inizio ?

Jo Lombardo: Beh, penso proprio che sia un nuovo inizio anche perché, con il mio ingresso nella band, stiamo per rimetterci in carreggiata. “Un nuovo inizio”, un motore che si sta riscaldando! penso che tutto questo sia servito a maturare molto, soprattutto sotto l’ aspetto musicale al punto da riuscire a richiamare l’ attenzione dell’ Iron Schields Records!!

ME Master Of Fate è un esempio notevole di power metal classico, potente, veloce e melodico: è stato scritto nell’arco di tutto questo tempo o i brani sono nati soprattutto nell’ultimo periodo?

JL Master of Fate a mio parere è una porta che si apre e che direziona la band ad una maggiore consapevolezza per il raggiungimento di un feeling musicale perfetto. I brani sono nati nell’arco di tutto questo tempo, ma ce ne sono altri nati qualche anno fa, mentre alcuni risalgono proprio all’ultimo periodo. Io ho trovato tutto pronto per inserire le tracce vocali avendo avuto comunque modo di dare la mia impronta, dando qualche idea su di un lavoro già definito.

ME La componente speed è ben presente tra i solchi delle varie canzoni: si tratta di un ritorno voluto alle sonorità old school degli anni ottanta?

JL Posso dire sicuramente che gli Ancestral prediligono la componente speed, siamo sintonizzati sulla stessa frequenza inevitabilmente “old school” quindi miscelando speed, power, prog e anche trash, dai vita a quello che poi personalizzi facendolo diventare tuo. Sicuramente il lavoro rispecchia quelli che sono poi i nostri gusti musicali e credo che, anche se maturato dopo tanto tempo, Master of Fate sia stato un lavoro non schematizzato a tavolino ma con melodie e riff di chitarre che son venuti fuori in modo molto naturale e con grande voglia di fare.

ME Senza nulla togliere al resto della band, è indubbio che la riuscita di un album come Master Of Fate stia molto nella tua performance vocale, Jo, tu dai prova di essere un cantante sopra la media: come sei arrivato a far parte degli Ancestral?

JL E’ stato, come dire, un fulmine a ciel sereno! Nel ’96 ho cominciato ad avvicinarmi al metal avendo varie cover band, tra cui una in particolare degli Iron Maiden, poi Dream Theater e Helloween; insomma ho cominciato a “svezzarmi”.
Dopo tanti anni, tra concerti nei pub e piazze, nel 2002 ho cominciato le mie prime registrazioni professionali con i miei amici Metatrone e Orion Riders.
Nel 2013 gli Ancestral fecero un concerto a Catania con Fabio Lione ed io non potevo mancare: vedere Fabio dal vivo è sempre un piacere, è una potenza!!
Dopo il concerto mi ricordo questo particolare: mentre aspettavo in fila per incontrare Fabio per una foto, mi fecero entrare direttamente nei camerini; allora non ci conoscevamo ancora, se non musicalmente, e da li è nata una simpatia e un’amicizia.
Qualche tempo dopo mi contattarono chiedendomi se volessi fare parte degli Ancestral! Già c’era una certa sintonia a prescindere, poi ascoltando qualche traccia del cd ho detto “cazzo questa é roba seria”, e da lì è cominciata la nostra avventura assieme!!!

ME I brani mantengono una furia metallica impressionante, lasciando ad altri gli ormai abusati ghirigori orchestrali e puntando sull’impatto e la forza dirompente del power metal classico: è questa la forma di metal che prediligete o ce ne sono altre che vi affascinano in maniera particolare?

JL E’ proprio questo il punto, Ancestral uguale impatto e forza dirompente!!! Assenza di parti orchestrali e tastiere, classico suono di chitarre, basso batteria, voce, per avere comunque un impatto molto live!!
Quindi, sicuramente, penso che al di là dei nostri gusti personali, tra i quali non manca anche il power sinfonico o il classic metal, credo che lo stile Ancestral rimanga sempre questo, ovvero brani molto speed abbinati a una voce dall’impronta power, cosa che io adoro personalmente!

ME Dieci anni dopo, come avete trovato lo stato di salute della scena metal nazionale?

JL Il metal made in Italy è fantastico, nulla da invidiare al resto del mondo. Le band sono tutte di alto livello e i cantanti tutti mostruosamente preparati come Fabio Lione, Roberto Tiranti, Michele Luppi, Morby, Alessandro Conti, ma la lista è davvero lunga!!
Comunque posso dire che ci sono stati periodi di alti e bassi nella scena power italiana, ma credo che oggi sia in ripresa, perché stare al passo coi tempi non è per niente facile: si cerca di sperimentare e ricercare nuovi suoni, a volte estremizzando e sbagliando magari direzione, ed è facile a volte deludere le aspettative di chi ti ascolta o che si aspetta qualcosa di diverso. Magari può succedere il contrario, cioè di cadere nell’errore di essere troppo ripetitivi. Io penso che si debba cercare la formula giusta, è facile a parole ma non impossibile.

ME A proposito di scena, non possiamo fare a meno di constatare quante siano le band di grande livello, un po’ in tutti generi, che stanno emergendo in questo periodo in Sicilia: c’è una certa coesione, se non altro nell’ambito dei singoli filoni stilistici, oppure le varie realtà sono tutte a sé stanti?

JL Penso che la Sicila sia un vulcano pronto ad esplodere di gruppi di vario genere. Ce ne sono davvero una miriade e magari molto bravi. Al di là di quelli già affermati, io penso che ogni band sia portatrice di stili e generi differenti, ciascuna con la propria storia, con i propri bagagli pieni di esperienze personali

ME Per finire, quali sono i piani futuri degli Ancestral, specialmente sul versante live?

JL I piani futuri sono quelli di riuscire a realizzare un nuovo album al più presto e fare tanti live, magari suonare in festival metal importanti, calcare i palchi dei big. Sarebbe davvero bello, quello che posso dire e di ascoltare Master of Fate e di seguirci perchè di sorprese future e collaborazioni ce ne saranno!!
vi auguro un 2017 ancestrale!!

The Chasing Monster – Tales

Tales è un’opera d’arte, intesa nel senso più completo del termine: fatela vostra, ne godrete, vi commuoverete ed amerete il lavoro di questi ragazzi.

I viterbesi The Chasing Monster sono una band di formazione recente e, nonostante questo, hanno già modificato in maniera sensibile l’approccio rispetto agli esordi.

Dalle tendenze post hardcore racchiuse nell’ep autointitolato del 2014 giungono, infatti, con questo primo full length, ad esplorare territori post rock dalla struttura prevalentemente strumentale, ma arricchita dal ricorso a spoken word.
Nel caso di Tales, i ragazzi laziali si spingono anche oltre, offrendo, oltre alla versione standard, anche quella extended che porta come sottotitolo Today, Our Last Day On Earth, nella quale i vari brani vengono legati l’uno all’altro da una storia che racconta, appunto, le ultime fasi dell’esistenza terrena dei due protagonisti.
Un’operazione, questa, che si addice alla perfezione allo stile dei The Chasing Monster, autori di oltre quaranta minuti di musica intrisa di poesia e sempre pervasa, al contempo, da una malinconia di fondo che sfocia frequentemente in passaggi di grande impatto emotivo; personalmente ritengo un brano come The Porcupine Dilemma un vero e proprio capolavoro, che ha il solo difetto, paradossalmente, di offuscare con la sua struggente e drammatica bellezza altri brani di livello superiore alla media come Itai, La Costante e Today, Our Last Day On Earth, senza per questo dimenticare tutti gli altri.
Non so se la band abbia del tutto la percezione della portata di un lavoro del genere, anche perché, operando in un paese dalla ricettività del tutto relativa per tutto ciò che non sia di immediata fruizione, c’è il rischio di sottostimare il proprio potenziale, accontentandosi di quel minimo sindacale di consensi che dalle nostre parti appare già un risultato rilevante per chi opera al di fuori del mainstream.
Apro questo fronte ricollegandomi alla presenza di Theodore Freidolph, chitarrista degli Acres, quale ospite nel brano La Costante: il gruppo britannico, attivo da più tempo e fautore una forma di post rock senz’altro più abbordabile, in patria gode di un consenso meritato ma che, se lo si paragona a quello dei The Chasing Monster, appare sproporzionato rispetto al valore delle due band, segno che il problema è evidentemente tutto italiano.
Per questo invoco la massima attenzione ed il supporto, da parte di tutti gli addetti ai lavori, nei confronti del gruppo laziale: la nostra è una webzine piccola, attiva solo da qualche mese in maniera autonoma e di conseguenza in grado di raggiungere un numero ancora limitato di persone, ma mi auguro che le mie parole siano di stimolo a qualcuno di ben altro “peso”, affinché spinga un pubblico più ampio a godere di questo splendido lavoro.
Tales, nonostante la sua propensione chiaramente strumentale, sfugge alle controindicazioni che la soluzione alla lunga può comportare, grazie all’inserimento delle spoken word che, pur non sostituendo del tutto le parti cantate, conferiscono ai brani una sembianza diversa, attirando maggiormente l’attenzione dell’ascoltatore; poi, e è evidente che tutto risulterebbe vano se non ci fosse dietro una band come i The Chasing Monster, in grado di offrire con grande continuità momenti ora liquidi, ora più robusti, ma sempre intrisi di linee melodiche splendide, elemento fondamentale nell’economia di un album che non patisce neppure per un attimo di passaggi a vuoto o di riempitivi.
Tales è un’opera d’arte, intesa nel senso più completo del termine: fatela vostra, ne godrete, vi commuoverete ed amerete il lavoro di questi ragazzi.

Tracklist
1. Act I *
2. Itai
3. Act II *
4. The Porcupine Dilemma
5. Act III *
6. The Girl Who Travelled The World
7. Act IV *
8. Albatross
9. La Costante (feat. Theodore Freidolph from Acres)
10. Act V *
11. Creature
12. Today, Our Last Day On Earth

Line-up:
Leonardo Capotondi – Chitarra
Edoardo De Santis – Batteria
Riccardo Muzzi – Basso
Alessio Bartocci – Chitarra
Daniele Pezzato – Chitarra

THE CHASING MONSTER – Facebook

Firewind – Immortals

Un album travolgente, una prova di forza per una delle migliori band europee nel genere, perfetta macchina da guerra tra power metal teutonico ed heavy prog.

Più che recensirlo (termine alquanto antipatico e che sinceramente non rappresenta il mio spirito di semplice narratore della musica che vado ad ascoltare) l’ennesimo album di una band importante come i Firewind di Gus G. va appunto descritto, o meglio raccontato, tanto lo sappiamo tutti che al suo interno troveremo nobile metallo epico, tra power e prog, drammatico, intenso, suonato e prodotto in modo impeccabile.

Apollo Papathanasio è uscito dal gruppo, il suo microfono è stato messo nelle mani del bravissimo Henning Basse che il suo mestiere lo sa fare alla grande, specialmente quando l’atmosfera si fa infuocata e, senza mezzi termini, si fa power heavy metal con gli attributi all’ennesima potenza, d’altronde si parla del tipo che fece fuoco e fiamme sugli album dei Brainstorm e Metalium.
I Firewind per questo lavoro hanno scelto di affrontare l’avventura monotematica del concept album per la prima volta in carriera, ed ovviamente la scelta non poteva che cadere sulla storia del loro paese, culla culturale del Mediterraneo e ricca, nella sua millenaria storia, di battaglie epiche e leggendarie come in questo caso quelle delle Termopili e di Salamina, durante la seconda invasione persiana del 480 a.C.
Immortals è poi stato messo nelle mani di Dennis Ward, che ha produtto, mixato e masterizzato l’abum (prima volta che il gruppo collabora con un produttore esterno), aiutando pure Gus G. nella sua stesura.
Insomma, Immortals per il gruppo assomiglia tanto ad un nuovo inizio, anche se le avvisaglie di un spostamento del sound verso un più diretto power metal dai rimandi tedeschi si era già intravisto nel precedente lavoro (Few Against Many), qui accentuato dall’epicità del concept, dal notevole lavoro di una sezione ritmica devastante e da un Gus G. che, se i fans me lo permettono, descriverei più diretto nelle sue scorribande chitarristiche da guitar hero (e se attualmente è l’uomo di fiducia di Ozzy, un motivo ci sarà).
Poi su tutti e tutto emerge l’enorme talento del singer tedesco che, senza fare inutili paragoni con il suo storico (per la band ed i suoi fan) predecessore conquista, annienta, stravolge e mette l’ombrellino su questo cocktail da consumare con parsimonia, altrimenti si rischia di uscirne ubriacati dalla pienezza della musica dei Firewind.
Un album travolgente, una prova di forza per una delle migliori band europee nel genere, perfetta macchina da guerra tra power metal teutonico ed heavy prog, tragico ed oscuro come gli attimi più estremi della musica di Michael Romeo ed i suoi Symphony X.
Fin dall’opener Hands Of Time verrete travolti dalla potenza delle battaglie: sangue, orgoglio, epicità, coraggio che la sei corde di Gus G. riesce a rendere reali, mentre Basse sfiora la perfezione, con una prova rabbiosa e colma di fierezza su spettacolari episodi veloci come il vento caldo che spazza i territori dell’antica Grecia, teatro di queste leggendarie imprese.
Ode To Leonidas, la successiva Back To The Throne, il mid tempo di Live And Die Bye The Sword sono il cuore pulsante, tenuto in mano e alzato al cielo dal guerriero Basse, di questo notevole lavoro, anche se troverete di che godere per tutta la sua intera durata.
Inutile dire che Immortals è uno dei primi top album di questo inizio 2017, obbligatorio per chiunque ami il genere e in senso lato per chi ama la musica metal in una delle sue più nobili forme.

TRACKLIST
01. Hands Of Time
02. We Defy
03. Ode To Leonidas
04. Back On The Throne
05. Live And Die By The Sword
06. Wars Of Ages
07. Lady Of 1000 Sorrows
08. Immortals
09. Warriors And Saints
10. Rise From The Ashes

LINE-UP
Gus G. – Guitars
Petros Christo – Bass
Bob Katsionis – Keyboards
Johan Nunez – Drums
Henning Basse – Vocals

FIREWIND – Facebook

Pain Of Salvation – In the Passing Light of Day

Daniel Gildenlöw riversa in questo disco tutte le esperienze vissute in questi ultimi anni, mettendosi a nudo di fronte agli ascoltatori e realizzando, con il fondamentale contributo dei suoi compagni d’avventura, il disco forse più maturo e completo dei Pain Of Salvation.

Negli anni a cavallo del nuovo millennio i Pain Of Salvation si palesarono sulla scena musicale come una sorta di inattesa supernova, proponendosi come band capace di rileggere, finalmente in maniera personale, fresca ed esaltante, la materia progressive, ammantandola di una robusta intelaiatura metallica e rifuggendo sempre il pericolo del tecnicismo fine a sé stesso.

Personalmente, dal 1997, anno di uscita dell’album d’esordio Entropia, fino al 2002, quando venne pubblicato Remedy Lane, ho considerato la band di Daniel Gildenlöw la manifestazione più eccitante e luminosa di talento musicale che quegli anni ci avessero regalato, riuscendo nella non facile impresa di lasciar riposare sugli scaffali, per molto più tempo del solito, i dischi dei grandi del passato, prossimo o remoto a seconda della sponda di approdo di ciascuno al prog metal (etichetta di comodo che è sempre stata stretta ai Pain Of Salvation).
Poi, quando tutti attendevano l’annunciata parte seconda del capolavoro The Perfect Element, arrivò invece Be, opera ambiziosa che provocò reazioni contrastanti e che, al di là di chi avesse torto o ragione, segnò l’inizio di una fase musicale sempre di alto livello ma, a mio avviso, meno brillante ed innovativa: seguirono infatti il controverso Scarsick e i due Road Salt, dischi questi ultimi senz’altro riusciti e capaci di portare nuovi estimatori alla band, ma decisamente differenti e in qualche modo dall’impatto meno dirompente rispetto ai primi quattro lavori.
Dopo di che il proscenio venne preso dall‘imprevedibilità della vita, ovvero la malattia gravissima che colpì Daniel nel 2014, seguita, fortunatamente, dalla sua lenta ma definitiva ripresa: un fatto del genere lascerebbe il segno in chiunque, figuriamoci in un artista di rara sensibilità come il musicista svedese. Tutto questo ha contribuito a far maturare, successivamente, un lavoro come In the Passing Light of Day che, fin dal titolo, è del tutto intriso di tematiche inerenti l’esile confine che separa la vita dalla morte e il concentrato di sensazioni e stati d’animo derivanti: tutti aspetti, questi, che assumono un altro spessore quando a parlarne è qualcuno rimasto sospeso a lungo su quella sottile fune, rischiando seriamente di piombare nel baratro.
Ne consegue che questo atteso album è il più duro e, al contempo, il più cupo tra quelli mai usciti a nome Pain Of Salvation, ritornando stilisticamente ai fasti di The Perfect Element, laddove la robustezza delle partiture metal andavano a sposarsi con naturalezza ad aperture melodiche capaci di commuovere ed imprimersi per sempre nella mente dell’ascoltatore; è anche vero, d’altronde, che a livello di tematiche lo si potrebbe considerare piuttosto l’ideale seguito di Remedy Lane, disco che non a caso viene citato in diversi momenti, soprattutto nei brani conclusivi.
Tutto questo ci conduce, tanto per sgombrare il campo da equivoci ed andare dritti al punto, al primo capolavoro di questo 2017, nonché all’album che, chi aveva amato i Pain Of Salvation nella prima fase della loro carriera, pensava di aver perso definitivamente la possibilità di ascoltare.
Detto questo, è necessaria una doverosa avvertenza: In the Passing Light of Day necessita d’essere ascoltato con la dovuta dedizione più e più volte, e solo dopo almeno 4 o 5 passaggi diverrà oggetto di un loop dal quale difficilmente ci si riuscirà a sottrarre.
L’impatto iniziale non lascia dubbi: l’incipit strumentale di On a Tuesday è metal ai limiti del djent, prima di aprirsi al più familiare riffing di matrice Pain Of Salvation, mentre le prime parole sussurrate da Gildenlöw, idealmente nel suo letto d’ospedale, fanno rabbrividire (sono nato in questo edificio / fu il primo martedì che io avessi mai visto / e se vivo fino a domani / quello sarà il mio martedì numero 2119) rivelando quella che sarà la portata emotiva dell’intero lavoro: la robustezza delle linee sonore si alterna a melodie vocali nelle quali, per la prima volta nella storia della band svedese, il leader si alterna ad un altro componente della band, il chitarrista islandese Ragnar Zolberg, dotato di una timbrica più sottile che ben si integra con quella di Daniel.
Tongues of God, che arriva subito dopo è una traccia notevole e dai toni robusti quanto oscuri, che non possiede però lo stesso carico emotivo di tutti gli altri brani: il primo di questi è Meaningless, per il quale è stato girato anche un video, secondo alcuni di dubbio gusto ma che, in realtà, se si ascoltano con attenzione le parole e lo si inquadra correttamente nel contesto lirico dell’album, appare crudo quanto funzionale alla causa; musicalmente non si rinvengono i crismi canonici del singolo apripista, essendo tutt’altro che una canzone orecchiabile, se si eccettua un chorus reso trascinante dal ricorso alle due voci all’unisono.
Silent Gold riporta l’album a toni più riflessivi e poetici, trattandosi di una e vera e propria ballad che prepara il terreno al quarto d’ora più robusto dell’album, rappresentato dalla magnifica Full Throttle Tribe e da Reasons, secondo brano scelto per essere accompagnato da un video: nella prima canzone si possono già cogliere accenni, pur se non troppo espliciti, a Remedy Lane, e riascoltare certe note è una sorta di ritorno a casa per gli estimatori di vecchia data dei Pain Of Salvation, sempre tenendo conto che il tutto non fa venire meno il pathos e la drammaticità dell’album e che l’ultimo minuto e mezzo riversa una dote di violenza degna dei connazionali Meshuggah (non del tutto un caso, se si pensa che l’ottimo bassista Gustaf Hielm ne ha fatto parte dal ’95 al ’98). Reasons riparte come si era chiusa la traccia precedente, rivelandosi alla fine l’episodio più definibile a ragion veduta come prog metal dell’intero album, nel suo alternare sfuriate di matrice djent e stop and go a melodie cristalline e deliziose parti corali.
Qui termina la prima metà dell’album e ne inizia un altra nella quale vengono quasi del tutto abbandonate le pulsioni metalliche, per regalare una mezz’ora abbondante di emozioni a profusione, difficili da descrivere se non dicendo che Angels of Broken Things possiede una tensione sempre sul punto di esplodere fino al prolungato sfogo chitarristico di un eccellente Zogberg, che The Taming of a Beast gode di un crescendo inarrestabile e che If This Is the End è, semplicemente, il brano più drammatico e intenso che i Pain Of Salvation abbiamo mai inciso, beneficiando dell’interpretazione sentita di chi ha vissuto davvero sulla propria pelle tutto quanto viene raccontato, inclusa l’invocazione rabbiosa di Dio, un momento capace di accomunare in certe circostanze atei e credenti, pur se con approcci diametralmente opposti.
Resta da parlare brevemente dell’ultima e lunghissima canzone, la title track, non a caso summa e manifesto sonoro e lirico dell’album, con suoi richiami (ora sì più scoperti) a Remedy Lane: un quarto d’ora in cui i Pain Of Salvation si concedono un lungo quanto gradito congedo, lasciandoci in eredità un nuovo e grande album che li riporta meritatamente nel ristretto novero delle band contemporanee per le quali ogni aggettivo appare superfluo ed ogni paragone fuori luogo.
Daniel Gildenlöw riversa in questo disco tutte le esperienze vissute in questi ultimi anni, mettendosi a nudo di fronte agli ascoltatori e realizzando, così, con il fondamentale contributo dei suoi compagni d’avventura, il disco forse più maturo e completo della storia della sua creatura; anche chi non dovesse trovarsi d’accordo con le mie valutazioni sulle diverse fasi del percorso dei Pain Of Salvation, non potrà fare a meno di approvare questa nuova svolta che non rappresenta, comunque, una completa inversione di marcia, bensì la definitiva forma di coesione tra le diverse espressioni musicali da loro esibite in questi vent’anni.
Mi piace l’idea di chiudere questa recensione riprendendo una dichiarazione di Daniel riportata nelle note di accompagnamento al promo dell’album, utile a capire quanto lo spessore dell’uomo non sia certo inferiore rispetto a quello del musicista : “ … quando sono uscito (dall’ospedale) ho dovuto imparare di nuovo come fare le scale. NON ho imparato, invece, che è necessario trascorrere più tempo con la mia famiglia, NON ho imparato che dovrei sprecare meno tempo della mia vita preoccupandomi o stressandomi, NON ho imparato che la vita è preziosa e che lo è ogni suo singolo secondo. No, io non ho imparato tutte queste cose, semplicemente perché già le conservavo nel mio cuore. Noi tutti lo facciamo. Le nostre priorità non cambiano di fronte alla morte, vengono solo rafforzate …
Grazie Daniel, anche solo per queste parole …

Tracklist:
1. On a Tuesday
2. Tongue of God
3. Meaningless
4. Silent Gold
5. Full Throttle Tribe
6. Reasons
7. Angels of Broken Things
8. The Taming of a Beast
9. If This Is the End
10. The Passing Light of Day

Line-up:
Daniel Gildenlöw – vocals, guitars, lute, additional keyboards, additional bass, additional drums and percussion, accordion, zither
Ragnar Zolberg – guitars, vocals, additional keyboards, samplers, accordion, zither
Daniel D2 Karlsson – grand piano, upright, keyboards, backing vocals
Gustaf Hielm – bass, backing vocals
Léo Margarit – drums, percussion, backing vocals

PAIN OF SALVATION – Facebook

The Black Crown – Fragments

Fragments è un album bellissimo, perfetto nei dettagli e composto da dieci piccole gemme musicali.

Che album questo Fragments, opera prima dei The Black Crown, trio capitanato da Paolo Navarretta voce, chitarra e produttore accompagnato in questa ombrosa, drammatica e seducente avventura da Fulvio Di Nocera al basso e Scott Haskitt alle pelli.

Partiamo da questo insindacabile concetto: ogni decennio, in un modo o nell’altro, ha lasciato qualcosa di importante nella storia della musica contemporanea e questi primi anni del nuovo millennio a mio parere, non solo verranno ricordati come il ritorno delle sonorità vintage, ma anche per l’altissima qualità delle proposte del mondo underground.
Se negli anni ottanta ed in parte nel decennio successivo l’underground venne visto quasi come un commovente sottobosco di musicisti poi rivalutati in seguito, oggi proprio da lì arrivano le maggiori soddisfazioni a livello qualitativo e questo Fragments ne è il più fulgido esempio: un metal alternativo che si nutre di dark elettronico, grunge, nu metal e hard rock moderno d’autore, in un stupendo esempio di poesia industriale, un arcobaleno di tonalità che dal grigio portano al nero, come le facciate di palazzi in una città post atomica.
Fragments è la colonna sonora di un film ambientato tra mille anni, dove gli uomini vampiri sono costretti a muoversi di notte per sfuggire ai robot, cloni senz’anima, annientatori di emozioni, tiranni e padroni di ogni forma d’arte in un mondo dove dal nero del cielo una pioggia acida bagna strade ormai non più percorribili.
L’elettronica accompagna l’andamento di brani dal forte sentore alternative metal, il dark moderno ammanta di atmosfere tragicamente oscure brani che mantengono un appeal elevato, la sezione ritmica picchia come e più di una metal band moderna, ed una poetica intimista e drammatica prende direttamente allo stomaco l’ascoltatore, in un delirio di influenze che vedono  God Machine, Nine Inch Nails e i Sundown del capolavoro Design 19, mentre veniamo catapultati nel mondo ombroso e acido di Forge, Ghosts, Rising e delle altre straripanti tracce.
Fragments è un album bellissimo, perfetto nei dettagli e composto da dieci piccole gemme musicali: non resta che farlo proprio.

TRACKLIST
1. Gate
2. Forge
3. Wheel
4. Ghosts
5. Clay
6. Icona
7. Feed
8. Flames
9. Rising
10. Pieces

LINE-UP
Paolo Navarretta – Voce, Chitarra
Fulvio Di Nocera – Basso, Contrabbasso
Scott Haskitt – Batteria

THE BLACK CROWN – Facebook

NOVERIA

Intervista con Francesco Mattei, chitarrista dei Noveria, autori di uno migliori album del 2016.

ME Sono passati due anni dal vostro bellissimo debutto, siete soddisfatti dei riscontri avuti da Risen?

Francesco Mattei: Ciao ragazzi di MetalEyes, grazie innanzitutto per averci ospitato qui sulle vostre pagine e per le belle parole dette sul nostro conto. Ora veniamo a noi!
Assolutamente si, per essere una band venuta fuori a ciel sereno e senza preavvisare nessuno, con il nostro debut Risen abbiamo avuto subito un boost positivo, sia per quanto riguarda la critica sui vari portali e riviste di settore, sia per quanto riguarda l’appeal della band, inquadrata subito come un gruppo di ragazzi che sanno quel che fanno e non come una band che ha bisogno di “rodaggio”. In pratica, siamo partiti in quinta come al volante di una Ferrari! In ogni caso direi che siamo pienamente soddisfatti, Risen resta per noi un ottimo album e trovo sempre piacere nel riascoltarlo.

ME Non era facile ripetersi, eppure siete riusciti a creare un’opera che supera l’enorme lavoro svolto con il debutto: quale è il segreto?

FM In realtà la lavorazione di Forsaken è stata diversa nell’approccio. Sicuramente avere Risen alle spalle ti fa riflettere sul fatto che non puoi prendere determinate cose alla leggera e soprattutto, che hai creato in qualche maniera delle aspettative nei confronti della fan base. Da un lato sai che puoi sperimentare, ma dall’altro sai anche che non puoi allontanarti troppo dal sound che ti ha caratterizzato, quindi il segreto vero e proprio credo si trovi nel duro lavoro e nella buona dose di sana autocritica nel processo di composizione. Bisogna valutare bene quali sono gli elementi che funzionano e quelli che non vanno, ed in Forsaken abbiamo avuto a che fare con diverse situazioni musicali che non avevamo affrontato in passato.

ME Quali sono le maggiori differenze a livello di sound tra il primo album e Forsaken?

FM In Forsaken c’è stato un inserimento più massiccio di pianoforti e di brani più lenti e cadenzati per poter esprimere al meglio il concept, caratterizzato dai diversi stadi psicologici. Ci vogliono tempo e pazienza. In generale lo consideriamo un album molto più dinamico rispetto a Risen … più largo, ricco di atmosfere e con una forte componente emotiva incentrata sulle voci di Frank, che secondo me ha raggiunto un ottimo livello sia tecnico che interpretativo in ogni brano dell’album. Un’altra differenza sostanziale è che Risen non aveva ballad, mentre qui ne abbiamo due, When Everything Falls ed Acceptance. Forsaken è sicuramente un album che necessita di più ascolti per essere apprezzato appieno.

ME Forsaken non è solo un grande album prog-metal, perché il tema trattato porta inevitabilmente ad alzare l’asticella emozionale: potete descrivere il concept che ha ispirato la musica di Forsaken?

FM Ti ringrazio per le belle parole. Il concept, purtroppo, prende vita da una triste storia che ha toccato la nostra famiglia un paio di anni fa, quando abbiamo avuto un pesante lutto per la perdita di una giovane ragazza a causa di un cancro molto aggressivo. Ho visto i miei familiari cadere nella disperazione e depressione per la perdita della propria figlia che, con tutte le sue forze, ha lottato nella battaglia contro il cancro.
Ho sempre ammirato la sua tempra e la sua forza di reagire positivamente alla malattia. Era suo tipico venirsene fuori con frasi del tipo “Dai usciamo, che vuoi che sia, tutto si supera”, come se in realtà non ci fossero problemi. Una grande forza ed una voglia di vivere unica. Forsaken nasce proprio da questa brutta avventura. Dopo aver proposto il concept ai ragazzi della band, abbiamo tutti scelto di tributare la sua vita e non solo … abbiamo deciso di allargare il tributo anche a tutte le persone stroncate da questa infida malattia. Il modello della psichiatra Elizabeth Kubler Ross è arrivato di lì a poco, dopo aver fatto delle ricerche sul campo e mi ha dato l’ispirazione per comporre la musica attraverso i vari stadi.

ME Suonate un genere musicale in cui la tecnica individuale è importantissima, ma riuscite a mantenere un equilibrio perfetto con la componente emotiva, una virtù non così scontata, specialmente nel vostro genere, siete d’accordo?

FM Sono pienamente d’accordo. Oggi come oggi con Youtube e la rete si hanno a disposizione tutte le informazioni necessarie a diventare un musicista tecnicamente impressionante e con l’ausilio di un pc si possono fare i dischi in camera … Non che sia un male, assolutamente, ma spesso e volentieri si tende a trascurare il lato melodico della musica, soprattutto con la chitarra. E’ indubbio che suonare veloce “faffiga” come dice il buon Mick Jagger di Fabio Celenza, ma non bisogna dimenticarsi che la tecnica è solo un mezzo per raggiungere le note giuste. Sono quelle che fanno la differenza: sviluppare un tema efficace è impegnativo e richiede del tempo. Oggi purtroppo tutti corrono e hanno fretta, ma non voglio assolutamente sminuire nessuno, anzi, in giro ci sono dei grandi talenti e sono orgoglioso di conoscerne una buona parte e di poter scambiare idee con loro.

ME I Symphony X sono il gruppo a cui venite più frequntemente accostati: quali altre band vi hanno ispirato per creare il sound presente nei vostri due full length?

FM L’accostamento ai grandi Symphony X è indubbio che venga fuori, in quanto tutti noi siamo dei grandi fan della band americana e, personalmente, Michael Romeo è uno dei miei miti da quando ho iniziato a suonare la chitarra. Non è quindi una novità! Personalmente mi ispiro anche a band come i Children of Bodom, Arch Enemy e Rammstein per quanto riguarda il flow dei brani e le parti più aggressive, mentre mi piacciono molto gli Evergrey, Dgm e, ultimamente, i Katatonia per le cose più melodiche. Soprattutto per quanto riguarda i Katatonia mi piace il loro modo di essere dark e melancolici, che è proprio il mood che cercavamo per un album poliedrico come Forsaken.

ME A mio parere la scena underground nazionale negli ultimi tempi è cresciuta moltissimo, non solo per quanto riguarda il metal progressivo, ed anche quest’anno le opere di valore non sono certo mancate: voi che idea vi siete fatti della scena italiana degli ultimi tempi?

FM Sono d’accordo con te, la scena italiana sta crescendo e diventa sempre più competitiva se non addirittura superiore qualitativamente alle produzioni europee e americane.
Ci avviciniamo sempre di più alla punta dell’Olimpo e questo non può che farmi piacere e ben sperare. Di qualità e talento ne abbiamo da vendere ed è solo questione di tempo prima che tutti se ne accorgano. Ci sono band come Dgm, De La Muerte e Helslave, giusto per citarne alcune, che stanno alzando l’asticella qualitativa di bel po’ di punti in quanto a freschezza e proposta musicale nei loro generi diversi. Ognuno di noi contribuisce alla crescita della scena.
L’unico problema vero, secondo me molto grave, è che qui in Italia non giochiamo mai di squadra: le band non si aiutano e spesso e volentieri i proprietari dei locali non investono nella proposta di musica originale e preferiscono puntare sulle cover band.
Fuori dalla nostra penisola c’è un interesse maggiore ed un’organizzazione più efficace per gli eventi di questo tipo.
Peccato.

ME Vi lascio spazio per eventuali date e news e vi saluto a nome di tutto lo staff di MetalEyes!

FM Vi ringrazio vivamente per lo spazio concesso! Per quanto riguarda noi Noveria, tra gennaio e febbraio saremo in giro in Belgio e Olanda e stiamo aspettando delle conferme per un’altra manciata di date qui in casa. Abbiamo ricevuto proposte per suonare in Grecia e stiamo attualmente valutando la situazione. Nel frattempo, a febbraio rilasceremo, tramite Scarlet, un lyric video per un brano di Forsaken e probabilmente gireremo un altro video! Rimanete sintonizzati, ce ne saranno delle belle! Ringrazio tutta la nostra fan base per il supporto costante! You Rock!

IL 2016 di METALEYES

E venne il momento delle famigerate classifiche di fine anno …

E venne il momento delle famigerate classifiche di fine anno …

C’è chi le adora, chi le schifa e chi le ritiene un male necessario: diciamo senza pudore che la Triade alla guida di MetalEyes rappresenta democraticamente ognuna di queste posizioni per cui, visto che come sempre la verità sta nel mezzo, divulgheremo quanto scaturito in quest’annata, senza la pretesa che il tutto venga visto come una verità rivelata bensì, semplicemente, un aiuto ad orientarsi nelle scelte nei confronti di chi ritenesse d’essersi perso qualche uscita importante.
Non nascondiamo neppure che tutti gli album che verranno citati sono stati recensiti da MetalEyes, e ciò non è dovuto solo ad un truffaldino stratagemma per ottenere qualche clic in più sui singoli articoli ma, soprattutto, al fatto che non abbiamo davvero il tempo di ascoltare altro che poi non venga tramutato in contenuti per la nostra webzine.
Abbiamo pensato di creare cinque categorie, per ognuna delle quali indicheremo i migliori cinque dischi, oltre ad altri quindici che verranno classificati sesti a pari merito: una generale, una dedicata ai dischi italiani, ed altre tre riferite a macro generi denominati, rispettivamente, metal estremo (black/death/trhash), materia oscura (doom, gothic, post metal, dark, ma anche ambient e neo folk) e hard’n’heavy (e qui ogni specifica è superflua).
Tra gli otto mesi trascorsi ancora all’interno di In Your Eyes ed i quattro successivi al distacco ed alla relativa nascita di MetalEyes, abbiamo recensito ben oltre 1000 album, gran parte dei quali di buon fattura e che non hanno trovato spazio in questa selezione per questioni marginali; ma questo è un esercizio che è quasi un gioco e, come tale, ha delle regole alle quali si deve sottostare se si vuole partecipare.
Cliccando su ogni disco che troverete nelle classifica verrete indirizzati alla recensione dove, se proprio non vorrete leggere i nostri sproloqui, avrete comunque la possibilità di ascoltare un estratto dei lavori in questione.
Quindi, buona lettura o buon ascolto, e auguri per un 2017 altrettanto foriero di ottimi dischi e soprattutto meno luttuoso, anche in campo musicale.

GENERALE

1.EPICA – THE HOLOGRAPHIC PRINCIPLE
2.CLOUDS – DEPARTE
3.WITHERSCAPE – THE NORTHERN SANCTUARY
4.THE DEAD DAISIES – MAKE SOME NOISE
5.ATARAXIA – DEEP BLUE FIRMAMENT

6.ex aequo
ABYSSIC – A WINTER’S TALE
DARKEND – THE CANTICLE OF SHADOWS
ESPEROZA – AUM CORRUPTED
EYE OF SOLITUDE – CENOTAPH
FLESHGOD APOCALYPSE – KING
HANGARVAIN – FREAKS
KLIMT 1918 – SENTIMENTALE JUGEND
MECHINA – PROGENITOR
MYRATH – LEGACY
NOVERIA – FORSAKEN
PSYCHOPRISM – CREATION
THE FORESHADOWING – SEVEN HEADS TEN HORNS
THROES OF DAWN – OUR VOICES SHALL REMAIN
TREES OF ETERNITY – HOUR OF THE NIGHTINGALE
VAREGO – EPOCH

ITALIANI

1.ATARAXIA – DEEP BLUE FIRMAMENT
2.THE FORESHADOWING – SEVEN HEADS TEN HORNS
3.KLIMT 1918 – SENTIMENTALE JUGEND
4.HANGARVAIN – FREAKS
5.FLESHGOD APOCALYPSE – KING

6.ex aequo
(ECHO) – HEAD FIRST INTO SHADOW
ANGELA MARTYR – THE NOVEMBER HARVEST
DARK LUNACY – THE RAIN AFTER THE SNOW
DARKEND – THE CANTICLE OF SHADOWS
ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – CAPE YAWN
HELL IN THE CLUB – SHADOW OF THE MONSTER
MORGENGRUSS – MORGENGRUSS
NOVERIA – FORSAKEN
PATH OF SORROW – FEARYTALES
PLATEAU SIGMA – RITUALS
SOUL SELLER – MATTER OF FAITH
SOUTHERN DRINKSTRUCTION – VULTURES OF THE BLACK RIVER
TENEBRAE – MY NEXT DAWN
VAREGO – EPOCH
WITCHES OF DOOM – DEADLIGHTS

METAL ESTREMO

1.MECHINA – PROGENITOR
2.FLESHGOD APOCALYPSE – KING
3.DARKEND – THE CANTICLE OF SHADOWS
4.ESPEROZA – AUM CORRUPTED
5.WINTERHORDE – Maestro

6.ex aequo
ADX – NON SERVIAM
CENTINEX – DOOMSDAY RITUALS
CIRCLE OF INDIFFERENCE – WELCOME TO WAR
DARK LUNACY – THE RAIN AFTER THE SNOW
DARK OATH – WHEN FIRE ENGULFS THE EARTH
DESTRUCTION – UNDER ATTACK
DRAUGSÓL – VOLAÐA LAND
FYRNASK – FÓRN
HARM – OCTOBER FIRE
NERODIA – VANITY UNFAIR
PATH OF SORROW – FEARYTALES
RAGNAROK – PSYCHOPATHOLOGY
RUDRA – ENEMY OF DUALITY
SEKTEMTUM – PANACEA
SENTIENT HORROR – UNGODLY FORMS

MATERIA OSCURA

1.CLOUDS – DEPARTE
2.ATARAXIA – DEEP BLUE FIRMAMENT
3.EYE OF SOLITUDE – CENOTAPH
4.THROES OF DAWN – OUR VOICES SHALL REMAIN
5.TREES OF ETERNITY – HOUR OF THE NIGHTINGALE

6.ex aequo
ABYSSIC – A WINTER’S TALE
ANGELA MARTYR – THE NOVEMBER HARVEST
ARKHÈ – Λ
DREARINESS – FRAGMENTS
HARAKIRI FOR THE SKY – III TRAUMA
KLIMT 1918 – SENTIMENTALE JUGEND
MONOLITHE – ZETA RETICULI
MORGENGRUSS – MORGENGRUSS
MOURNING SUN – ÚLTIMO EXHALARIO
OBSCURE SPHINX – EPITAPHS
SEPVLCRVM – VOX IN RAMA
SURYA – APOCALYPSE A.D.
TENEBRAE – MY NEXT DAWN
THE FORESHADOWING – SEVEN HEADS TEN HORNS
WÖLJAGER – VAN’T LIEWEN UN STIÄWEN

HARD’N’HEAVY

1.EPICA – THE HOLOGRAPHIC PRINCIPLE
2.WITHERSCAPE – THE NORTHERN SANCTUARY
3.THE DEAD DAISIES – MAKE SOME NOISE
4.PSYCHOPRISM – CREATION
5.MYRATH – LEGACY

6.ex aequo
ART X – THE REDEMPTION OF CAIN
BUFFALO SUMMER – SECOND SUN
ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – CAPE YAWN
HANGARVAIN – FREAKS
HELL IN THE CLUB – SHADOW OF THE MONSTER
HOLLOW LEG – CROWN
KOMATSU – RECIPE FOR MURDER ONE
NOVERIA – FORSAKEN
SIXX A.M. – PRAYERS FOR THE DAMNED VOL. 1
SOUL SELLER – MATTER OF FAITH
SOUTHERN DRINKSTRUCTION – VULTURES OF THE BLACK RIVER
THE ERKONAUTS – I DID SOMETHING BAD
TOMBSTONED – II
TUSMØRKE – FORT BAK LYSET
VAREGO – EPOCH

TENEBRAE

Abbiamo sottoposto colui che dei Tenebrae è fondatore ed anima musicale, Marco “May” Arizzi, ad una serie di quesiti che, mi auguro, dovrebbero consentire di saperne di più su una band per molti ancora da scoprire.

I Tenebrae li ho scoperti per davvero al momento dell’uscita del loro secondo album, lo splendido Il Fuoco Segreto, venendo folgorato dalla loro originalità derivante da un sound di non semplice collocazione, reso ancor più affascinante dal ricorso a liriche poetiche, profonde e, all’epoca, rigorosamente in italiano.
Da allora ho sempre seguito la band ed ho avuto la possibilità di conoscere anche in maniera più approfondita alcuni suoi membri (nello specifico Marco Arizzi e Paolo Ferrarese), favorito dal fatto di vivere nella stessa città (Genova).
L’uscita recente di un altro pesante tassello nella carriera dei Tenebrae, come My Next Dawn, album che potrebbe/dovrebbe consacrare definitivamente la band ligure, mi offre lo spunto di fare un’intervista cercando di andare oltre alla schematica sequenza di domande e risposte all’apparenza preconfezionate.
Ho sottoposto, così, colui che dei Tenebrae è fondatore ed anima musicale, Marco “May” Arizzi, ad una serie di quesiti che, mi auguro, dovrebbero consentire di saperne di più su una band per molti ancora da scoprire.

ME Ciao Marco. Non posso negare che ritrovarvi a questi livelli dopo tutte le vicissitudini seguite all’uscita di Il Fuoco Segreto, sotto forma di stravolgimenti di line-up e assenza del supporto di una label, è stata davvero una piacevole sorpresa. Penso che ti sia venuta voglia di mandare tutto al diavolo più di una volta, eppure i Tenebrae sono ancora qui, con il loro miglior lavoro di sempre: dove hai trovato l’energia per andare avanti e conseguire questo risultato?

Ciao Stefano, grazie mille innanzitutto per l’opportunità che tu e la redazione di MetalEyes mi state dando.
Allora, è proprio come hai detto tu, ci sono stati momenti molto difficili, alcuni addirittura critici, ma alla fine, soprattutto negli ultimi mesi, si è trovato il modo di remare tutti nella stessa direzione ed insieme ai miei compagni di viaggio, componente sempre indispensabile per la realizzazione di ogni cosa, intendo ovviamente tra questi anche Antonella Bruzzone (autrice di tutti i testi) e Sara Aneto (che si è occupata della grafica facendo il solito lavorone), siamo riusciti ad arrivare alla fine del tunnel, rinforzati nello spirito e come band.

ME My Next Dawn ha avuto una gestazione lunga, oltre che problematica, come detto. Quand’è che hai cominciato ad avere la sensazione che finalmente tutti i tasselli fossero andati al loro posto?

La realizzazione del disco in sé è stata abbastanza lineare come tempistiche, e con un po’ di fatica e l’aiuto di Rossano Villa in studio, siamo riuscito a realizzare il tipo di disco che avevamo in mente: devo dire che, nonostante qualche difficoltà fisiologica, visto che per alcune persone si trattava della prima volta in studio, sono stati tutti molto disponibili e pronti a voler arrivare a fine percorso.
Massimiliano (Zerega, batteria) e Fulvio (Parisi, tastiere)sono stati molto bravi a prendere quello che avevano fatto i loro predecessori, personalizzarlo e completarlo con il loro punto di vista, poi ovviamente tante parti sono state completamente ripensate e rifatte da loro, ed hanno svolto entrambi un lavoro impeccabile.

ME La prima volta che ho ascoltato Careless, in versione demo, ho pensato subito che ne stesse per venire fuori un gran bel disco ma, nel contempo, ho temuto che avreste finito per snaturarvi, perdendo il vostro particolare tratto stilistico: i fatti per fortuna hanno dissipato questa sensazione, però in te non sono mai balenati dubbi dello stesso genere mentre l’album prendeva vita?

Ti ringrazio per la stima che hai sempre avuto nei nostri confronti.
Diciamo che la Stella Polare con cui ci approcciamo al disco è sempre la storia che vogliamo raccontare, non è mai un insieme di riff una nostra canzone ma un tentativo di comunicare le sensazioni che in quel momento proviamo a descrivere, non ci siamo mai posti un vero problema di genere, di poter piacere o meno o di appartenere a un filone piuttosto che ad un altro.
Gli unici dubbi che per settimane ci hanno tormentato fino alla decisione finale, e da lì in poi siamo andati dritti, era se proseguire con l’italiano o tentare con l’inglese, e il risultato lo avete tutti sotto gli occhi …

ME Rispetto ai precedenti album, My Next Dawn non presenta appunto solo la novità del ricorso integrale alla lingua inglese, ma anche un deciso cambio di rotta che vi ha visti approdare a sonorità più cupe, per certi versi vicine al doom, ma difficilmente classificabili in maniera netta. Prima definivi la musica dei Tenebrae come “art-rock”, ed oggi?

La lingua per me è sempre stato qualcosa di importante, perché mi permette di entrare in simbiosi e di “vivere” quello che si sta provando a suonare, anche per questo il lavoro inestimabile di Antonella su brani e storia ci vedeva un po’ tutti lavorare gomito a gomito: non c’è un solo passaggio in cui noi ci si chieda: ma qui cosa stiamo dicendo, e cosa vogliamo comunicare?
Ad essere sincero non saprei come classificare la nostra musica: a mio parere, se guardo indietro, tutti e tre i lavori non li vedo così diversi, forse raccontano cose diverse e lo fanno persone diverse, ma con lo stesso identico approccio, e ognuno con il proprio stile, cuore e mezzi.
Poi, se proprio mi chiedi in che scaffale mi cercherei, proverei a dirti gothic metal, doom metal … Oppure meglio ancora sotto la lettera T …

ME Ma quale è in effetti il tuo background musicale? Tanto per capirlo meglio, quali sono i chitarristi che più ti hanno ispirato e spinto prendere in mano lo strumento?

Non ho mai amato di per sé la chitarra come strumento musicale, è sempre stato il mio mezzo per poter dire qualcosa, e ovviamente ho sempre tentato di avere la capacità tecnica di essere in grado di poterlo fare, difatti non so suonare una cover che sia una perché non avrei voglia di mettermi a tirarla giù, sono pigro, nerd e testone.
Ho sempre ascoltato di tutto, dalla musica più commerciale al death metal e, se proprio devo trovare dei chitarristi che mi hanno emozionato sarebbero veramente troppi, ma metto su un mio personale podio emotivo David Gilmour, Yngwie Malmsteen, Andres Segovia ma, ripeto, in realtà sono solo alcuni di un elenco interminabile.
A livello di gruppi ho amato da morire i Pink Floyd, i Radiohead, qualche lavoro degli Smashing Pumkins e Gianmaria Testa, cantautore piemontese scomparso quest’anno; nel metal i Megadeth di Countdown To Extinction e Rust In Peace, i Sepultura e, più di tutti, i miei amatissimi Pain of Salvation fino a Remedy Lane, poi un po’ meno amatissimi ma grandi lo stesso (stessa mia valutazione sui P.O.S., peraltro … ndr)
Ascolto tantissima musica underground e molti gruppi underground mi hanno emozionato tanto quanto i “professionisti”.

ME Tutto sommato le novità a livello musicale coincidono anche con l’approdo ad un diverso immaginario lirico, che trova una sua corrispondenza in sonorità più cupe. Le vostre passate produzioni brillavano anche per testi poetici e profondi , un aspetto che non viene meno neppure stavolta, nonostante i temi trattati siano tutt’altro che intrisi di romanticismo. Sempre a proposito dell’idioma usato nel corso del disco, quanto è risultato complesso questo adattamento, sia per Antonella Bruzzone, nella stesura dei testi, sia per Paolo Ferrarese per quanto riguarda le linee vocali?

Questa è una domanda che mi sarebbe piaciuto poter girare ad Antonella e Paolo, ma posso dire con sicurezza che loro due sono, oltre che una bellissima coppia, una simbiosi molto rara dal punto di vista creativo, quindi trovata una strana alchimia per andare avanti con il resto del gruppo, interfacciarsi ed essere produttivi non diventa complicato.
Antonella ha fatto un lavoro inestimabile, penso, appoggiandosi anche a Ilaria Testa (precedente tastierista dei Tenebrae, ndr) e talvolta a Vanessa Christillin (ex House Of Ashes, label per la quale uscì Il Fuoco Segreto, ndr) , per fare in modo che i testi risultassero perfetti.
Per quanto riguarda invece la vocalità, le sessioni di studio sono state seguite in maniera spietata sempre da Antonella che, con un bastone da fare invidia a Lucille di Negan in The Walking Dead, serviva a motivare adeguatamente il nostro cantante …
Invece, scherzi a parte e ad onor del vero, hanno fatto entrambi un lavoro veramente buono e di livello, al meglio delle loro possibilità, cosa che abbiamo fatto tutti noi del resto.

ME Ho sempre avuto la sensazione che i Tenebrae, nonostante il loro valore oggettivo, pagassero in passato un equivoco di fondo: quello di far parte dell’ambiente metal pur suonando un genere che, per la sua peculiarità, finiva più per avvicinarsi al sentire dei fruitori del progressive, ancor meno propensi dei metallari, però, ad aprirsi alle proposte attuali, preferendo continuare a consumare i loro vecchi vinili degli anni ’70 o a vedere per la millesima volta la stessa cover band dei Genesis … My Next Dawn dovrebbe risolvere la questione, risultando a tutti gli effetti un lavoro più radicato nel metal, pur con tutte le distinzioni del caso. Ti ritrovi in questa chiave di lettura?

Secondo me, e lo dico senza falsa modestia, siamo dove abbiamo meritato di essere, alla fine, cioè un gruppo underground che si è tolto qualche bella soddisfazione: se fossimo stati qualcosa di meglio, come gentilmente sostieni, penso che in qualche modo avremmo raccolto o girato di più su questo “gnucco” minerale chiamato Terra.
A mio parere la “colpa” non è mai di chi ascolta, ma sta a chi suona dover coinvolgere in qualche modo, con quello che fa, l’ascoltatore e se non ci riesce, se il suo obiettivo è quello di arrivare al grande pubblico, beh deve cambiare qualcosa.
Poi capitano casi eccezionali e rari in cui talento e mercato si incontrano, ma non è stato mai il nostro 😉
Abbiamo sempre provato a divertirci nel suonare e raccontare storie, al meglio delle nostre possibilità, ad alcuni siamo piaciuti e hanno gridato al miracolo, altri se ne sono andati annoiati, è giusto che sia così..
Comunque My Next Dawn è un disco che non classificherei ancora del tutto metal, anche se ci sono degli evidenti spunti rispetto al passato, ma un disco dei Tenebrae in cui trovi un po’ di tutto, mescolato ad un anima decisamente più cupa rispetto agli altri due.

ME Volendo considerare comunque My Next Dawn uno spartiacque nella vostra storia, quale altri consuntivi puoi tracciare riguardo al percorso che avete seguito fino ad oggi?

In tanti anni , più di dieci di Tenebrae, posso dire d’esserci tolti delle belle soddisfazioni, per quanto commisurate alla realtà di un piccolo gruppo underground.
Abbiamo diviso il palco e siamo in ottimi rapporti con musicisti come Terence Holler, Rudy Ginanneschi, e tanti tanti altri … la musica mi ha permesso di stringere amicizie con persone dal talento enorme e conoscerne altrettante, ed ottenere quasi sempre, come band, un certo apprezzamento.
Ma la cosa migliore è che, guardandomi alle spalle e stringendo tra le mani i tre dischi fatti fino adesso, mi tornano alla mente tutti gli sforzi fatti con i compagni di viaggio dell’epoca, le litigate le speranze, e le emozioni dello stare sul palco assieme, e aver conosciuto persone che sono ancora oggi parte della mia vita e che non potrei sostituire in nessun modo.
Avere una band è ancora, oggi, una delle poche cose vere, che può far ritenere fortunata una persona.
Come gruppo, invece, non saprei dirti cosa ci aspetta, il futuro è sempre più complicato e dispendioso.
Sicuramente proveremo a trovare qualche data per poter portare in giro il nostro disco, tra mille difficoltà lavorative, di situazione e di opportunità.
Ogni sceltà sarà ben ponderata e la prenderemo insieme, come avviene quasi sempre …

ME Per quanto riguarda l’annoso problema del reperimento di una label, alla fine ha prevalso la soluzione più logica, ovvero quella di affidarsi a qualcuno che si conosce bene da molto tempo, come Daniele Pascali e la sua Black Tears …

Daniele è un caro amico ed una persona affidabile, e siamo subito entrati in sintonia su quello che si potrà fare insieme: speriamo che la nostra collaborazione possa durare nel corso degli anni, visto che segue con grande professionalità le band con cui collabora.
Si è sempre dimostrato una persona di cuore e con una passione infinita per la musica, ed essendo anch’io un accanito fan di band underground, è una delle poche persone che si incontrano in tutti i contesti, sia come spettatore che come titolare della Black Tears.

ME Cosa ne pensi, spassionatamente, della scena musicale rock e metal a Genova e in Italia ?

Genova è una piazza dove le persone sono molto dotate e difficili, e i gruppi validi e con tante cose da dire.
Il mugugno impera, infatti quando a Genova qualcosa va bene ci si lamenta perché poteva andare meglio e assicuro che i luoghi comuni sui genovesi e la loro ospitalità, beh,  sono tutti veri …
Purtroppo non si può parlare di scena vera e propria, perché manca una coesione tra i gruppi (a parte rarissimi casi) e mancano i locali in cui proporla: ad oggi è sopravvissuto solamente l’Angelo Azzurro, e il sindaco purtroppo, con una ordinanza senza senso, ha impedito di fatto al 261, altro locale di Genova che manteneva viva la linfa della musica rock e metal in città, di continuare l’attività.
Ho visto tanto tanto amore per la musica, invece, soprattutto da parte di chi non suona, partecipando con sorriso e affetto alle serate e divertendosi senza farsi troppi problemi.
Le esperienze che ho avuto con i gruppi da fuori Liguria sono state sicuramente molto buone e ricordo con grande piacere Lenore’s Fingers e Shores of Null, con i quali abbiamo condiviso tre splendide date.

ME A proposito, ritengo che un disco come My Next Dawn renda anche più semplice e meno forzata la vostra convivenza sul palco con altre band di natura più estrema: penso che oggi, tanto per restare a Genova, non sfigurereste se vi trovaste a suonare con i Desecrate piuttosto che con gli Abysmal Grief. A tale riguardo, avete già avuto qualche abboccamento per portare l’album dal vivo anche fuori dai confini cittadini e regionali?

Penso che tu abbia ragione: da questo punto di vista My Next Dawn ci rende più accostabili anche ai gruppi da te sopra citati, che peraltro sono carissimi amici e con i quali condivideremmo stra-volentieri qualche data o tour.
Saremo comunque onoratissimi ospiti dei Tethra, per la loro data di presentazione del nuovo album a Cassano D’Adda l’11 febbraio (una data da non perdere visto che ci sarà anche un’altra magnifica band ligure, i Plateau Sigma, ndr)  dopo di che chissà, per adesso viviamo alla giornata …

ME Concludendo questa chiacchierata ti faccio una domanda difficile: ritieni che questa line-up possa considerarsi finalmente stabile, consentendo così una pianificazione dell’attività dei Tenebrae a lungo termine ?

Hai ragione è una domanda difficile, ma alla quale non posso che rispondere … beh speriamo, me lo auguro di cuore!
Ormai elementi come Paolo e Fabrizio (Garofalo, basso) sono parte storica della band: entrambi hanno due dischi alle spalle fatti come Tenebrae e penso abbiano a cuore il progetto tanto quanto me, e anche Massimiliano e Fulvio, soprattutto ultimamente, penso che stiano facendo bene.
Credo che da subito proveremo in saletta a metterci subito al lavoro per cercare di scrollarci di dosso mesi e mesi di My Next Dawn che, per voi che ascoltate sarà anche una novità, per noi che abbiamo sviscerato ogni secondo del disco (e visto che mi conosci sai proprio che è così che è andata) molto meno, quindi ci metteremo subito con le pance ancora piene dalle festività recenti a tirar giù qualche idea.
Cambieremo di nuovo faccia, o rimarremo su questa falsariga?
Sinceramente non ne ho la minima idea.
Ma sicuramente racconteremo un’altra storia e in base a quella imbracceremo gli strumenti e cercheremo di emozionarci ed emozionarvi al meglio delle nostre possibilità.
Finché esisteranno questi presupposti, in qualche modo si riuscirà ad andare avanti, tutti insieme.
Grazie mille Stefano per questa bella chiacchierata.