Rudhen – Di(o)scuro

Le chitarre ribassate raccontano di una psichedelia altra, un percorso di sabba che cominciò a Birmingham molto tempo fa ed arriva anche a Treviso, dove viene rielaborato in maniera inedita dai Rudhen, un gruppo che macina musica e tanto altro.

I trevigiani Rudhen arrivano al debutto sulla lunga distanza dopo due buoni ep, ed è davvero un gran disco.

Musicalmente siamo in territori stoner, con molte influenze, anche post metal in certi momenti. La cosa che spicca maggiormente è la creazione di questo groove continuo, un magma non velocissimo ma inesorabile che erode ogni cosa che incontra. Come detto già nella recensione di un loro ep su queste pagine, i Rudhen sono un gruppo che non si disperde nella nebbia di un genere abbastanza abusato, ma risaltano grazie alla loro potenza e alla varietà sonora. Inoltre come argomenti questo disco non si fa mancare nulla e spazia dalla presa della Bastiglia alla vicenda mai abbastanza narrata di Cartagine. Si spazia con la musica e con la mente, non si rimane mai fermi per più di qualche secondo, o perché spazzati via dai Rudhen, o perché loro stessi ti portano lontano. Più che essere sopra la media come qualità, è un lavoro fatto bene e con canoni personali. Certamente le loro coordinate sono conosciute, ma non è mai una musica scontata, e le chitarre ribassate raccontano di una psichedelia altra, un percorso di sabba che cominciò a Birmingham molto tempo fa ed arriva anche a Treviso, dove viene rielaborato in maniera inedita dai Rudhen, un gruppo che macina musica e tanto altro.

Tracklist
1.Castore
2.Magnetic Hole
3.Fragile Moon
4.14-07-1789 (Prise de la Bastille)
5.Carthago Delenda Est
6.My Girls are like Hallucinogenic Frogs
7.Polluce

Line-up
Alessandro Groppo: Voice
Fabio Torresan: Guitar
Davide Lucato: Bass
Luca De Gaspari: Drums

RUDHEN – Facebook

Monkey Onecanobey – Moco

Questo è il debutto di qualcosa che potrebbe essere di grande importanza per la musica italiana del sottobosco, ma che intanto è un piacere da ascoltare e da godere.

Il giovane duo spoletino dei Monkey Onecanobey è un qualcosa che non avete mia visto né sentito.

Sav e Phil sono amici fin dall’asilo, il primo suona la chitarra e canta, il secondo è un magistrale beatboxer, sì proprio quei moderni menestrelli che fanno il ritmo della batteria con la bocca: insieme fanno un blues così blues che parte dal cuore ed arriva fino al cervello. La formula sonora è pressoché inedita, e se ci pensa è un qualcosa di davvero atavico e semplice, ma farlo bene non è così facile. I due sono arrivati a suonare insieme dopo aver percorso sentieri differenti nella musica, e non si divertivano nemmeno tanto: poi Phil ha conosciuto l’opera del beatboxer inglese Dave Crowe, e da lì è partita questa fantastica avventura, Strange Days canterebbero i Doors. La voce di Sav è molto calda e ti entra dentro, inoltre con le sue vibrazioni riesce a fare diversi registri stilistici, anche se qui il blues, nel suo senso auemtico,  permea il tutto. Ascoltando questo caldo impasto sonoro si viaggia in diversi posti, dal deserto grazie a linee di chitarra e a suggestioni care a Kyuss e compagnia varia, a cose più particolari come i White Stripes più blues, o i primi Black Keys, anche se qui l’atmosfera generale è più psichedelica e potente, come un sogno che si trasforma in trip o viceversa. Si viene trasportati dalla forte carica di questo particolare incrocio musicale, e la nostra mente viaggia dolce. Il beatbox è fatto benissimo, ed è una delle cose che grondano più blues che possiate incontrare. Il risultato è un disco con parecchi elementi innovatori e soprattutto una cifra stilistica unica ed originale. Questo è il debutto di qualcosa che potrebbe essere di grande importanza per la musica italiana del sottobosco, ma che intanto è un piacere da ascoltare e da godere.

Tracklist
1. Evolution PlayStation
2. Philled Lungs
3. Grinning in your face
4. Route66
5. I know
6. Traintears
7. Lose your mind
8. Personal Jesus

Line-up
Filippo Lombardelli – Beatbox
Saverio Baiocco – Voce/Chitarra

MONKEY ONECANOBEY – Facebook

Hyperion – Dangerous Days

Dangerous Days è un album consigliato agli amanti del metal classico e rappresenta sicuramente un’ottima partenza per la band bolognese.

Un’altra nuova band si va ad aggiungere alla scena metal classica dello stivale, si tratta dei bolognesi Hyperion.

Le fondamenta del gruppo sono state poste un paio di anni fa e ora è il momento per il gruppo di scendere in pista con il proprio debutto sulla lunga distanza, un buon album di sano heavy metal ottantiano, potenziato da soluzioni power thrash ma legato indissolubilmente all’heavy metal di ispirazione Judas Priest, tanto per fare il riferimento più storico e, a mio parere, calzante.
Ovviamente la band ci mette del suo: sono passati quasi quarant’anni dal decennio che ha decretato l’immortalità della nostra musica preferita e, come è giusto che sia, gli Hyperion scendono in campo con un album che guarda alla tradizione ma con i piedi ben saldi nel nuovo millennio, che tradotto vuol dire un ottimo lavoro in studio, con i brani che escono potenti e cristallini il giusto, ed un buon songwriting che non lascia scampo, proponendo otto brani medio lunghi, ma dall’ottimo tiro.
I musicisti che compongono la line up dimostrano di saperci fare, dalla sezione ritmica, alle due chitarre per passare all’ottima prova dietro al microfono del singer Michelangelo Carano, un vero animale metallico, personale e pressoché perfetto in tutta la sua prova.
Dicevamo dei brani, medio lunghi ma che mantengono un approccio diretto ed hanno la virtù di farsi ricordare dopo pochi passaggi grazie ad una scrittura fluida che permette di godere di riff potenti, con le chitarre che tagliano l’aria con fendenti micidiali e la voce che imprime un sentore epico a chorus nati per inorgoglire qualsiasi appassionato.
Gli Hyperion aprono con Ultimatum, il brano più classicamente power del lotto, tutto acciaio e cuoio, dove le due chitarre ci danno il benvenuto e ci accompagnano verso la title track,  nella quale potenza e melodia ci prendono a braccetto e il ritornello ci stende, rivelandosi melodico e perfettamente inserito tra cavalcate ritmiche ed assoli che premono sui bassifondi prima di lasciare la presa per farci respirare.
Da qui in poi l’album sterza verso un heavy metal più elaborato e roccioso anche se, come detto, il tiro rimane inalterato, così che veniamo travolti dalla carica metallica di brani come Incognitus, Ground And Pound, il mid tempo The Grave Of Time e la conclusiva Hyperion.
Per gli amanti della fantascienza d’autore, va aggiunto che il monicker della band fa riferimento alla magnifica saga scritta da Dan Simmons e, semmai ci fossero stati dubbi, l’inquietante figura dello Shrike  in copertina li dissipa all’istante.
Dangerous Days è un album caldamente consigliato agli amanti del metal classico e rappresenta sicuramente un’ottima partenza per la band bolognese: da non perdere se avete a cuore una scena nazionale splendida, ma ancora troppo spesso sottovaluta.

Tracklist
1.Ultimatum
2.Dangerous Days
3.Incognitus
4.Ground And Pound
5.Forbidden Pages
6.The Killing Hope
7.The Grave Of Time
8.Hyperion

Line-up
Michelangelo Carano – Vocals
Davide Cotti – Guitar
Luke Fortini – Guitar
Antonio Scalia – Bass Guitar
Marco Jason Beghelli – Drums

HYPERION – Facebook

Epitaph – Claws

Claws possiede in gran parte le caratteristiche in grado di soddisfare ampiamente fasce di ascoltatori come gli estimatori del doom classico o dell’heavy metal dalle trame occulte, alle quali un disco di questa fattura è naturalmente indirizzato.

Gli Epitaph sono una tra le prime band italiane ad essersi cimentate con il doom metal e questo giustifica sicuramente la buona notorietà ottenuta in questi ultimi anni.

Infatti, il loro primo demo, dei tre pubblicati, risale al 1988 mentre l’ultimo è datato 1994: vent’anni dopo Mauro Tollini (batteria) e Nicola Murari (basso) hanno ridato vita alla loro creatura pubblicando l’esordio su lunga distanza, costituito in buona parte da rivisitazioni del materiale più datato.
Dopo lo split album con gli Abysmal Grief, gli Epitaph approdano oggi a quello che, di fatto, è il loro primo full length di inediti, che resta comunque strettamente connesso a quanto fatto in passato: il doom proposto dalla band veneta è quanto mai devoto ai numi tutelari del genere (Candlemass in primis) e questo non è assolutamente un male, perché non sono i primi e neppure saranno gli ultimi a farlo, il problema è che personalmente, fatico a riscontrare quegli spunti capaci di spingermi oltre un sincero ma non entusiastico apprezzamento.
Il quartetto veronese, completato dal vocalist Emiliano Cioffi e dal chitarrista Lorenzo Loatelli, si rende autore anche stavolta di un’interpretazione del doom quanto mai ortodossa e competente, con tutti i tasselli al proprio posto, sotto forma di sapienti rimandi all’heavy tricolore dalle tinte orrorifiche, una produzione pulita ed un songwriting a tratti efficace pur nella sua linearità, sfruttando al meglio le doti del bravo chitarrista, di una base ritmica precisa e puntuale e aderendo con lodevole coerenza alle linee guida del genere nella sua versione più tradizionale.
Meno convincente è invece, per mio gusto personale, lo stile canoro di un Cioffi che, sebbene apprezzabile nel suo non voler scimmiottare i vari Marcolin o Lowe, alla lunga si rivela stucchevole, soprattutto in brani come Wicked Lady e Declaration Of Woe, meno brillanti e convincenti rispetto invece agli ottimi Gossamer Claws e Sizigia e, parzialmente, Waco The King.
Claws resta comunque un album di buon valore ma sostanzialmente incapace di coinvolgermi del tutto dal punto di vista emotivo, considerando anche che, alla luce di quanto riferito in precedenza, dopo una partenza ottimale l’intensità della scaletta tende a scemare nel corso delle sue lunghe cinque tracce; detto questo ritengo che il lavoro possieda in gran parte le caratteristiche in grado di soddisfare ampiamente fasce di ascoltatori come gli estimatori del doom classico o dell’heavy metal dalle trame occulte, alle quali un disco di questa fattura è naturalmente indirizzato.

Tracklist:
1. Gossamer Claws
2. Waco The King
3. Sizigia
4. Wicked Lady
5. Declaration Of Woe

Line up:
Emiliano Cioffi – Vocals
Lorenzo Loatelli – Guitars
Nicola Murari – Bass
Mauro Tollini – Drums

EPITAPH – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=QGtkv6tIBYE

Xenofaction – The Empyrean Vanquishment

I due brani offerti sono notevoli mazzate di death tecnico, ottimamente prodotto ed eseguito da un nucleo di musicisti  della scena metal tricolore di comprovata esperienza.

Primo assaggio per questo notevole progetto denominato Xenofaction, ideato da Flavio Cardozo (già bassista degli Hideous Divinity).

I due brani offerti sono notevoli mazzate di death tecnico, ottimamente prodotto ed eseguito da un nucleo di musicisti  della scena metal tricolore di comprovata esperienza ; le ritmiche geometriche ed asciutte riportano anche a certo industrial e, sicuramente, questo primo passo targato Xenofaction colpisce proprio per impatto e precisione.
In occasione di un futuro lavoro su lunga distanza potrebbero essere auspicabili, però, più frequenti variazioni sul tema, allo scopo di spezzare quella tetragonia che nel genere rappresenta anche una virtù, calzando alla perfezione alle tematiche cyber punk del progetto, ma che rischia di rendere il tutto, alla lunga, eccessivamente monolitico.
E-Ra e The Empyrean Vanquishment sono brani che comunque fanno decisamente ben sperare: nel frattempo Cardozo si è messo alla ricerca di membri stabili che possano dare agli Xenofaction una configurazione da band vera e propria più che da progetto di matrice solista, un passo questo che di solito è destinato ad avere solo benefici effetti, sia per quanto riguarda l’interazione tra i vari musicisti all’interno del processo compositivo, sia per la concreta possibilità di offrire la propria musica anche dal vivo.

Tracklist:
1.E-Ra
2. The Empyrean Vanquishment

Line-up
Marco Mastrobuono – Rhythm Guitar
Flavio M. Cardozo – Basso
Stefano Borciani – Vocals
Maurizio Montagna – Batteria
Edoardo Casini – Lead Guitars

XENOFACTION Facebook

Cordis Cincti Serpente – Cenobitorium

In Cenobitorium l’ambient assume una forma minacciosa e disturbante, materializzando di fatto quella sensazione di disagio derivante dall’incombere di una qualche avversità.

Aprirsi a sonorità come quelle offerte da questo progetto denominato Cordis Cincti Serpente dovrebbe essere normale per chi predilige le forme musicali più oscure e meno convenzionali.

In Cenobitorium l’ambient assume una forma minacciosa e disturbante, materializzando di fatto quella sensazione di disagio derivante dall’incombere di una qualche avversità.
Chi sta dietro a questo progetto non si è risparmiato nel creare e reperire suoni che restano in sottofondo rispetto a quelli quotidiani, quasi a voler creare una sorta di parallelismo tra un mondo emerso brulicante di effimera vita ed uno sommerso nei cui anfratti si celano entità in procinto di risvegliarsi da un sonno durato eoni (in fondo il bello di simili ascolti è proprio quello di ricevere degli input diversi a seconda della sensibilità del singolo).
Volendo esemplificare, le coordinate di Cenobitorium rimandano ai lavori meno “rumorosi” della Cold Meat Industry, la cui pesante eredità è stata raccolta da diverse etichette, tra le quali l’italiana Industrial Ölocaust Recordings che sta offrendo uscite di un certo spessore.
La descrizione delle tre lunghe tracce sarebbe superflua quanto stucchevole, ma va citato doverosamente il rischio di erosione psichica derivante dall’ascolto prolungato della prima parte di Cenobitorium, con le sue malevole campanelle che si sovrappongono a sinistri scricchiolii e versi distorti provenienti da chissà quale forma di vita.
Se qualcuno fosse incuriosito da questa sommaria descrizione sappia che l’opera è reperibile in formato cassetta, in numero limitato, presso il sito della Industrial Ölocaust Recordings (http://cardinium.com/product/ior-tk-x/)

Tracklist:
Side A
Cenobitorium I
Cenobitorum II
Side B
Cenobitorium III

CORDIS CINCTI SERPENTE – Facebook

Superhorror – Hit Mania Death

Hit Mania Death sa tanto di States, di quei viali ricoperti in autunno dalle foglie che, nel giorno dei morti vengono spazzate dai piedi che strisciano verso le vostre case mentre il punk rock dei Ramones gira senza fermarsi sul vostro piatto ed il cd dei Murderdolls aspetta il suo turno sullo scaffale.

One, two, three, four… rock’n’roll, anzi rock/punk/metal/hard’n’roll, irriverente, totalmente pazzoide, schizzato come una belle figliola che la notte di Halloween si accorge che il tipo incontrato al party è più morto che vivo, anzi, è proprio un morto vivente, ciondolante ed affamato e cerca disperatamente di accanirsi sulla sua carne con mire bel lontane da quelle sessuali.

Con i Superhorror, con un Fuck in meno nel monicker ma ancora più voglia di divertirsi e far divertire, siamo in pieno regime glam/metal/punk rock e Hit Mania Death è il loro potentissimo calcio nel deretano al mondo, una serie di straordinarie e stravolte tracce che vi faranno tornare, soprattutto concettualmente, agli anni ottanta, quando gli zombie facevano ancora paura nelle loro grottesche camminate verso il cibo che aveva sempre due gambe per scappare dal banchetto e due braccia da lasciare tra le fauci della vostra nonnina trasformata in una famelica razziatrice di budella altrui.
Hit Mania Death sa tanto di States, di quei viali ricoperti in autunno dalle foglie che, nel giorno dei morti vengono spazzate dai piedi che strisciano verso le vostre case mentre il punk rock dei Ramones gira senza fermarsi sul vostro piatto ed il cd dei Murderdolls aspetta il suo turno sullo scaffale.
Sarebbe inutile nominare un brano piuttosto che un altro, quindi se volete risvegliare il non-morto che è in voi fatevi travolgere dalla carica che sprigionano i Superhorror, e in overdose da Hit Mania Death comincerete a non resistere, quando vostra sorella o fidanzata vi gireranno intorno ed il vostro appetito aumenterà di conseguenza con il letale virus che si svilupperà all ascolto delle varie ed irresistibile Ready, Steady…Die!, Nazi Nuns From Outer Space, Ed Wood Blues, Rock Is Dead (Like Us) e Nekro-Nekro Gim.

Tracklist
01. Ready, Steady… Die!
02. Nazi Nuns From Outer Space
03. Mr. Rrigor Mortis
04. Ed Wood Blues
05. No Love For The Deceased
06. Dead To Be Alive
07. Rock Is Dead (Like Us)
08. Nice To Meat You
09. Little Scream Queen
10. Mourir, C’Est Chic
11. Selfish Son Of A Witch
12. Nekro-Nekro Gym

Line-up
Edward J. Freak: Vocals
Didi Bukz: Guitar, Kazoo, Backing Vocals
Mr.4: Bass, Backing Vocals
Franky Voltage: Drums, Backing Vocal

SUPERHORROR – Facebook

Poisonheart – Till The Morning Light

Non è così facile assemblare una tracklist dove umori tanto diversi ammantano le atmosfere dei brani, ma i Poisonheart ci sono riusciti, permettendo alle loro anime di convivere e rendendo Till The The Morning Light un ottimo album.

Sneakeout Records e Burning Minds, label fondata dai ragazzi dell’Atomic Stuff, ci presentano questo ottimo debutto all’insegna di un hard rock roccioso, classico e pregno di melodie dark.

Gli autori sono i bresciani Poisonheart, attivi da tredici anni, con un primo ep di cover alle spalle seguito dal secondo lavoro, questa volta di inediti licenziato nel 2009 (Welcome To The Party).
Gli anni seguenti passano tra concerti ed una piccola sterzata nel sound, un’evoluzione che porta il gruppo verso lidi oscuri, lasciando in parte il rock’n’roll da party suonato nei primi anni.
Un po’ come i finlandesi The 69 Eyes, chiamati in causa tra le ispirazioni dei Poisonheart, la band è fautrice di questo buon connubio hard/dark rock, non ancora espresso in tutta la sua oscura decadenza come nella band del vampiro Jirky 69, ma ancora legato da un filo neanche troppo sottile con il rock duro.
Ne esce un album vario con buone idee a soprattutto belle canzoni, alcune ancora elettrizzate dal rock’n’roll degli esordi come l’opener (You Make Me) Rock Hard o Hellectric Loveshock, altre già pervase da umori dark, nebbie oscure che avvolgono brani come Flames & Fire o Shadows Fall, ed infine alcune che sanno di frontiera come la splendida Baby Strange.
Non è così facile assemblare una tracklist dove umori tanto diversi ammantano le atmosfere dei brani, ma i Poisonheart ci sono riusciti, permettendo alle loro anime di convivere facendo di Till The The Morning Light un album riuscito, con i brani che lasciano la loro firma in testa all’ascoltatore dopo pochi passaggi.
Prodotto dal gruppo insieme a Oscar Burato, che ha mixato e masterizzato l’album, Till The Morning Light vive di hard rock tradizionale, rock’n’roll e dark di matrice scandinava: The 69 Eyes, ma anche i Poisonblack di Ville Laihiala, appaiono tra le influenze del gruppo, ispirato al meglio per questo ottimo debutto.

Tracklist
01. (You Make Me) Rock Hard
02. Flames & Fire
03. Anymore
04. Lovehouse
05. Shadows Fall
06. Baby Strange
07. Under My Wings
08. Out For Blood
09. Hellectric Loveshock
10. Pretty In Black

Line-up
Fabio Perini – Lead Vocals, Guitar
Giuseppe Bertoli – Bass, Backing Vocals
Andrea Gusmeri -Lead Guitar, Backing Vocals
Francesco Verrone – Drums, Backing Vocals

POISONHEART – Facebook

Dr.Gonzo And The Cheesy Boys – The Witch

The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Due lunghe suite psichedeliche divise in due lati per un uno dei migliori gruppi italiani di musica visionaria.

I Dr.Gonzo and The Cheesy Boys sono un gruppo nato nel 2006 da amanti della musica anni settanta, che è il collante di questo gruppo. The Witch è in pratica un concept album sulla nascita, la vita e la morte di una strega, il tutto narrato con una musica che prende ispirazione dalla psichedelia inglese anni sessanta e settanta, e da un hard rock anch’esso di quell’epoca. Il disco è anche un esordio poiché il gruppo avrebbe inciso anche un altro disco nel 2009, The River, che non è mai stato pubblicato. La musica di The Witch è veramente stupefacente e ci riporta prepotentemente negli anni settanta, anche grazie all’uso di moog e hammond che procurano momenti di vero viaggio all’interno delle canzoni. Le canzoni sono strutturate per non essere tali ma lunghe jam nelle quali può succedere di tutto, e in esse possiamo trovare generi diversi, improvvisi cambi di atmosfera e di registro, da un’aria più atmosferica a qualcosa di più cupo, ma il tutto è molto intrigante e bello. Forte, come nella psichedelia inglese anni sessanta e settanta, è il richiamo verso l’occulto, verso quella parte di realtà che esiste ma che non vediamo, e personaggi come le streghe possono portarci oltre i nostri limiti. The Witch è un disco peculiare ed unico, fatto di momenti davvero belli, lo si ascolta come se fosse un sogno e riporta la psichedelia al suo naturale alveo, insieme all’hard rock, in una cornice curatissima, e conferma come Piacenza e dintorni siano la culla italiana di una certa musica visionaria e bellissima.

Tracklist
01. The Witch Pt. 1
02. The Witch Pt. 2

Line-up
Mattia Montenegri: drums
Emil Quattrini: Hammond, Moog, Rhodes, Mellotron
Carlo Barabaschi: guitar
Filippo Cavalli: bass

DR.GONZO AND THE CHEESY BOYS – Facebook

Jx Arket – Meet Me Abroad

Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno.

Disco oltremodo entusiasmante per questa giovane band torinese. Prendete il miglior emocore anni novanta, un po’ di post hardcore e tanta urgenza pienamente hardcore e avrete un qualcosa che si avvicina a questo disco.

I Jx Arket esordiscono con molti botti, pubblicando un disco che fa cantare, puntare il dito in alto e buttarsi dal tavolo della cucina per fare stage diving con i vicini di sotto. Intensità, partecipazione, tanta rabbia e tanto amore, non è facile equilibrare questi elementi, ma i torinesi ci riescono molto bene e vanno anche oltre. Tutte le canzoni sono notevoli, il cuore della loro musica è oltreoceano, ma ci sono momenti pienamente europei, e in realtà si viene sempre stupito dalle loro soluzioni sonore. La melodia è l’asse portante della musica dei Jx Arket, e viene declinata in modi disparati con l’energia che rimane sempre molto alta. Pur essendo stato fondato solo nel 2016 il gruppo ha un disegno musicale ben preciso, ed infatti è attualmente impegnato in un tour europeo che sicuramente gli procurerà del seguito: Meet Me Abroad è un disco da assaporare a lungo, ci sono momenti di vero entusiasmo e di grande coinvolgimento, e non capitava da tanto di sentir coniugare in questa maniera l’emocore e l’hardcore, per delle emozioni che lasciano il segno. Un disco che folgora e che farà gridare moltissimo sotto al palco. Questo album è un piccolo capolavoro, ed è stato possibile anche grazie all’opera di persone come Marco Mathieu, bassista dei Negazione e tanto altro, ancora in coma dopo un grave incidente motociclistico, ma lo spirito continua anche in dischi come questo, ed è un’eredità che nessun incidente potrà mai cancellare.
L’underground è bello grazie a cose come questo disco.

Tracklist
1. I’ll be the one
2. Just another sad song
3. Aokigahara
4. Rooms
5. Day off
6. Fragments
7. Jonathan Livingstone
8. Happines is not for us
9. Last words from the broken

Line-up
Andrea Mazzocca and Bruno Consani – guitars. Davide Giaccaria – voices
Marco Mei – drums
Paolo Brondolo – bass

JX ARKET – Facebook

Bunker 66 – Chained Down In Dirt

Con un approccio che privilegia il thrash metal più ruspante, satanico e punk e, in anni nei quali regna il bello ed il patinato anche nel metal estremo, per gli amanti della vecchia scuola Chained Down In Dirt è un album da non perdere.

Ci vanno giù duro i Bunker 66, trio di origine siciliana che torna con un nuovo album tramite la High Roller Records, etichetta specializzata nei suoni metallici old school.

E di vecchia scuola si tratta , a ben ascoltare il nuovo lavoro del gruppo messinese, che ci colpisce con ferocia con otto diretti al volto potenti come il loro thrash metal pregno di black ‘n’roll, senza fronzoli, scarno e violento.
Attivo dal 2009 il trio ha già una discreta discografia alle spalle, con tre full length ed una serie di lavori minori tra split e addirittura due compilation, segno di convinzione ed entusiasmo,
Il loro sound è quanto di più old school troverete in giro per la penisola: la produzione segue infatti l’atmosfera ottantiana ed assolutamente underground del progetto, e Chained Down In Dirt risulta così una mazzata niente male per chi è ancorato al sound di gruppi come Venom e Sodom.
La copertina (bellissima) segue di pari passo l’aura vintage dello stile proposto dai Bunker 66 e, all’accensione della miccia, l’opener Satan’s Countess parte a razzo con un ipotetico one/two/three di matrice rock ‘n’ roll che dà il tempo alle sfuriate dal flavour motorheadiano di molti dei brani che compongono l’album.
Con un approccio che privilegia il thrash metal più ruspante, satanico e punk e, in anni nei quali regna il bello ed il patinato anche nel metal estremo, per gli amanti della vecchia scuola Chained Down In Dirt è un album da non perdere.

Tracklist
1. Satan’s Countess
2. Black Steel Fever
3. Chained Down In Dirt
4. Taken Under The Spell
5. Her Claws Of Death
6. Wastelands Of Grey
7. Power Of The Black Torch
8. Evil Wings

Line-up
D. Thorne – Bass & Vocals
J.J. Priestkiller – Guitars & Backing vocals
Dee Dee Altar – Drums &Backing vocals

BUNKER 66 – Facebook

Jellygoat – Eat The Leech

Secondo lavoro in studio per i Jellygoat da Milano, un gruppo che riesce a fondere molto bene l’hard rock, lo stoner e forti influenze grunge.

Secondo lavoro in studio per i Jellygoat da Milano, un gruppo che riesce a fondere molto bene l’hard rock, lo stoner e forti influenze grunge.

Il loro suono è molto scorrevole e piacevole, si può apprezzare la cura dei partico0ari e la solidità delle strutture compositive. La forza del gruppo sta nel fare un rock duro e graffiante con gusto, passione e  coivolgimento; negli ultimi tempi l’hard rock è uno dei generi che riesce a stare meglio a galla, ma molte uscite sono davvero dimenticabili, mentre i Jellygoat ci regalano un ep di ottime canzoni. La voce è nello stile Vedder, ma non è pura imitazione, perché da ciò escono cose buone ed originali. Eat The Leech è la dimostrazione che uno spirito hard rock tendente al grunge vive anche nelle generazioni che non hanno vissuto direttamente il periodo delle camicie a quadri di Seattle, ma ne hanno assorbito il gusto. Questo disco avrebbe fatto un’ottima figura nel palinsesto della defunta Rock Fm, che tanta nostalgia ci ha lasciato: Eat The Leech è una buona continuazione del discorso intrapreso con il precedente ep e fa prevedere un gran futuro per questo gruppo.

Tracklist
1. Perfect
2. Hate you
3. My song
4. Morning light
5. The devil’s slice
6. Brand new start
7. Out thrown (outro)

Line-up
Alessio Corrado (voce, chitarra)
Davide Borroni (chitarra, cori)
Ramona Orsenigo (basso)
Gianluca Carioti (batteria, cori)

JELLYGOAT – Facebook

Blood Inc. – Blood Inc.

Blood Inc. è un album diretto, intenso e dall’appeal micidiale, con nove brani di alternative metal ricchi di soluzioni elettroniche, campionamenti e groove.

Un sound che prende spunto dagli eroi dell’alternative metal del nuovo millennio e lo tortura con dosi letali di industrial e groove di stampo americano, una serie di brani che nei testi prendono spunto dai più efferati serial killer del secolo, veri o di fantasia, ed avrete servito il vostro drink musicale rosso sangue.

Horror metal moderno, questo risulta in sintesi la proposta dei Blood Inc., band lombarda al debutto con questa mezzora che prende titolo dal monicker e vi maltratterà prima di lasciarvi in balia dell’assassino di turno, pronto a divertirsi con le vostre paure, prima di affondare la fredda lama nella carne.
Il quartetto si aggira tra i navigli dal 2015 e il suo debutto, pur peccando leggermente in originalità, centra il cuore dei fans del genere: Blood Inc. è un album diretto, intenso e dall’appeal micidiale, con nove brani alternative ricchi di soluzioni elettroniche, campionamenti e groove, in sintesi di quel metal moderno caro a Rob Zombie.
Infatti, ispiratore del sound dei Blood Inc. è il compositore e regista americano, quindi aspettatevi una mezzora di deliri horror industrial metal dai rimandi ad Astro Creep 2000 (White Zombie) e ad Hellbilly Deluxe (suo primo lavoro solista).
La copertina molto bella, una produzione perfetta per il genere ed una manciata di brani dall’alto tasso industriale e dall’appeal elevato e pericolosissimo come il singolo Wake Up Dead, Bleed Pray Die o Rhyme Of The Dead, fanno di Blood Inc. un lavoro riuscito, consigliato ai fans dell’horror metal moderno che cominceranno ad affilare i propri coltelli.

Tracklist
1. Lucky Number 13
2. The House
3. Wake Up Dead (Virus Contamination)
4. In The Darkest Night
5. Bleed Pray Die
6. Blood Inc.
7. When Blood Drips
8. Rhyme Of The Dead
9. Spit On Your Grave

Line-up
Black Jin – Lead Vocals
Animah – Rhythm and Lead Guitar
Rick Gringo Ninekiller – Bass Guitar
Jack – Drums

BLOOD INC. – Facebook

Párodos – Catharsis

La speranza è che questo, per i Párodos, sia solo il primo passo del brillante cammino intrapreso da una nuova band formata da musicisti che, forse proprio in quest’ambito, paiono aver trovato la loro ideale dimensione.

Anche se il monicker Párodos è una novità nella scena metal italiana, si tratta in realtà del prodotto dell’unione di musicisti già attivi in diverse band dell’area salernitana.

Catharsis dimostra in ogni passaggio d’essere frutto di un lavoro di squadra nel quale nulla è stato lasciato al caso, partendo dal pregevole songwriting per arrivare alla realizzazione curata da Marco Mastrobuono ai Kick Recordings Studio di Roma, in quella che si può considerare la fucina sonora per eccellenza del metal italiano centro-meridionale.
L’etichetta di avantgarde/post black attribuita ai Párodos può starci anche se, come spesso accade, vuol dire tutto e niente, visto che qui troviamo certamente qualche accelerazione di matrice black, ma anche una ricerca melodica che spinge spesso il sound su versanti heavy progressive, mantenendo quale tratto comune un’oscurità di fondo che ben si addice ai contenuti lirici dell’album.
Catharsis, infattiscaturisce dall’elaborazione di un lutto entrando a far parte di quella categoria di dischi che, oltre ad essere riusciti da un punto di vista prettamente artistico, racchiudono quella scintilla di creatività derivante dalla volontà di omaggiare qualcuno che non c’è più ottenendo, appunto, il desiderato effetto “catartico”.
L’album è brillante in ogni sua parte, a partir dall’interpretazione vocale versatile di Marco Alfieri, per arrivare all’elegante ed  incisivo lavoro tastieristico di Giovanni Costabile, passando per la puntualità ritmica della coppia Gianpiero “Orion” Sica (basso) ed Alessandro Martellone (batteria), e per il sobrio ed efficace lavoro chitarristico di Francesco Del Vecchio: è notevole l’equilibrio che i Párodos riescono a mantenere tra la tensione drammatica e l’impatto melodico, che sovente squarcia con decisione il velo di oscurità che attanaglia un album di grande intensità emotiva.
Space Omega, la title track e Metamorphosis sono i brani che spiccano in un contesto di spessore talvolta sorprendente, e gli ospiti illustri nelle persone dello stesso Marco Mastrobuono (Hour Of penance), Massimiliano Pagliuso (Novembre) e Francesco Ferrini (Fleshgod Apocalyspe) arricchiscono del loro personale marchio di qualità un’opera che si dimostra già dopo pochi ascolti ben superiore alla media.
La speranza è che questo, per i Párodos, sia solo il primo passo del brillante cammino intrapreso da una nuova band formata da musicisti che, forse proprio in quest’ambito, paiono aver trovato la loro ideale dimensione.

Tracklist:
1. Prologue
2. Space Omega
3. Catharsis
4. Heart of Darkness
5. Stasima
6. Black Cross
7. Evocazione
8. Metamorphosis
9. Exodus

Line-up:
Marco “M.” Alfieri – Vocals
Giovanni “Hybris” Costabile – Synth & Keyboards
Francesco “Oudeis” Del Vecchio – Guitars
Gianpiero “Orion” Sica – Bass
Alessandro “Okeanos” Martellone – Drums & Percussions

Special Guests :
Marco Mastrobuono – fretless bass in “Space Omega”, “Black Cross”, “Evocazione”
Massimiliano Pagliuso – guitar solo in “Black Cross”
Francesco Ferrini – “Stasima”, fully arranged and composed

PARODOS – Facebook

Ruxt – Running out Of Time

Una perfetta simbiosi tra i maestri (Rainbow, Dio, Whitesnake) e i loro eredi (Lande, Astral Doors), questo è se Running Out Of Time, secondo imperdibile album dei Ruxt.

Neppure il tempo di archiviare le bellissime trame power di Metalmorphosis, opera licenziata dagli Athlantis di Steve Vawamas, che la Diamonds Prod. sforna il secondo lavoro dei Ruxt, band hard & heavy che, oltre al bassista in forza pure a Mastercastle, Bellathrix ed Odyssea, vede all’opera Stefano Galleano ed Andrea Raffaele (Snake, Rock.It), il batterista Alessio Spallarossa (Sadist) ed il talentuoso vocalist Matt Bernardi (Purplesnake).

Ed è ancora una volta, tra gli stretti vicoli di una Genova mai così metallica, che si consuma il secondo rito targato Ruxt, un altro riuscito esempio di nobile metallo, pregno di atmosfere hard’n’heavy che, di questi temp,i molti preferiscono chiamare old school ma che è invece semplicemente classico.,
Certo, probabilmente il sound del gruppo è il più ottantiano tra quelli in dote alle band che gravitano intorno alla scena sviluppatasi nei dintorni del capoluogo ligure, ma per gli amanti dell’ hard & heavy targato Rainbow, Dio, Whitesnake, Lande, ed Astral Doors, anche Running Out Of Time. come il primo Behind The Masquerade (uscito lo scorso anno) risulterà una vera cavalcata tra le sonorità che hanno reso famose questi grandi interpreti della nostra musica preferita.
Un songwriting di alto livello, accompagnato da una prova esemplare del buon Matt “Jorn” Berardi, fanno sussultare dalla poltrona più di un fans del metal/rock classico, tra arcobaleni, serpenti bianchi, folletti dal cognome religiosamente importante, talentuosi omoni nordici dal microfono facile e porte astrali, che si aprono su un mondo dove le sei corde squarciano il cielo, con solos che sono tuoni e fulmini nel tramonto, oscure e drammatiche trame dal flavour epico che a suo tempo fecero storia e chorus che sprizzano orgoglio metallico.
Un album più diretto rispetto al debutto, un mastodontico pezzo di granito hard & heavy che risveglia gli appetiti dei fans legati alla tradizione con una serie di brani pesanti, colmi di epica tragicità e che regala nel suo insieme tanta buona musica, anche se la title track, posta in apertura e perfetto ed esplosivo brano alla Lande che ci invita all’ascolto dell’album, il nuovo singolo e video Everytime Everywhere, con Pier Gonella (Necrodeath, Mastercastle, Vanexa, Odissea, Athlantis) in veste di ospite, l’accoppiata Leap In The Dark/Let Me Out, e lo spettacolare mid tempo Queen Of The World sono i pezzi pregiati che troverete in questo ennesimo scrigno da aprire senza indugi per coglierne i tesori.
Una perfetta simbiosi tra i maestri (Rainbow, Dio, Whitesnake) e i loro eredi (Lande, Astral Doors), questo è Running Out Of Time, secondo imperdibile album dei Ruxt.

Tracklist
1.Running out of Time
2.Legacy
3.In the Name of Freedom
4.Everytime Everywhere
5.Scars
6.Leap in the Dark
7.Let me Out
8.My Star
9.Queen of the World
10.Heaven or Hell

Line-up
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessio Spallarossa- Drums

RUXT – Facebook

Omega – Eve

Un altro livello di lettura è chiudere gli occhi e sentire cosa fa veramente questa musica, cosa provoca nelle nostre sinapsi: in codesta maniera si potrà scoprire un mondo, una raccolta di emozioni e stati d’animo come in un’ipnosi, perché questo disco è concepito per farci viaggiare alla ricerca del nostro io, della nostra volontà su questo pianeta, ma anche e soprattutto oltre questo pianeta e questi limiti che ci imponiamo.

Eve degli Omega è un disco che va ben oltre le emozioni che da un supporto fonografico, fa vedere orizzonti lontani.

Il disco è composto da vari livelli, quello più immediato può essere descrivibile come un tenebroso disco di black metal misto a doom ed un pizzico di death, con stacchi dark ambient. Un altro livello di lettura è chiudere gli occhi e sentire cosa fa veramente questa musica, cosa provoca nelle nostre sinapsi: in codesta maniera si potrà scoprire un mondo, una raccolta di emozioni e stati d’animo come in un’ipnosi, perché questo disco è concepito per farci viaggiare alla ricerca del nostro io, della nostra volontà su questo pianeta, ma anche e soprattutto oltre questo pianeta e questi limiti che ci imponiamo. Le tracce sono quattro, il disco va sentito come un continuum sonoro, una lunga suite di musica estrema. Eve è ispirato dal manoscritto Voynich, forse il libro più misterioso mai scritto, o forse soltanto un tentativo di oltrepassare la realtà andando oltre i sensi, in un flusso che lega tutto ciò che è stato, tutto ciò che è e tutto ciò che sarà. Lo stile musicale è pienamente narrativo, veniamo trasportati in una storia dall’architettura profonda con l’uomo al centro, ed intorno un universo che vortica. Il black metal qui è un punto di partenza, perché il suono di questo disco ne ha molti elementi, ma è un’opera nuova ed originale. Nel nuovo splendido libro Black Metal Compendium Volume II – Europa e Regno Unito – di Vavalà e Ottolenghi per i tipi della Tsunami Edizioni, gli autori spiegano molto bene cosa sia il black metal per noi mediterranei, ed in particolare per noi italiani, ovvero un codice da far evolvere, un punto di partenza per profonde esplorazioni, e Eve ne è la spiegazione perfetta: un manoscritto Voynich che ognuno deve decifrare, perché parla di noi stessi, della nostra storia, e della cosmogonia che abbiamo dentro. Un’esperienza, molto più di un disco.

Tracklist
1.Arboreis
2.Sidera
3.Mater
4.Laudanum

Line-up
Alexios Ciancio – Vocals
Mike Crinella – Guitars, Synths, Samples
Fabio Arcangeli – Bass
Marco Ceccarelli – Drums

DUSKTONE – Facebook

Regardless Of Me – The Covenant

The Covenant è un album da non perdere, drammaticamente ruvido, oscuro e colmo di musica che rompe gli argini e sgorga libera dai vincoli di genere.

La Sleaszy Rider è una delle label che ultimamente hanno contribuito in maniera importante allo sviluppo del metal underground nella vecchia Europa, con uno sguardo sempre attento alla scena italiana, fucina di ottime realtà dal metal classico a quello estremo.

I lombardi Regardless Of Me, freschi di firma con l’etichetta greca, sono un quartetto attivo da una decina d’anni, con due full length alle spalle (The World Within del 2009 e Pleasures And Fear uscito sei anni fa) e hanno calcato i palchi assieme a nomi importanti del panorama metal mondiale come Meshuggah, Fear Factory, Children Of Bodom e molti altri, prima di arrivare all’importante contratto ed all’uscita di The Covenant.
La band nostrana ha un suo particolare approccio al dark/gothic metal, infatti il sound di The Covenant è in generale moderno e cool, ma non risparmia puntate estreme, un uso sagace della componente alternative, sconfinando in atmosfere trip hop, ed una buona dose di elettronica, che a tratti si nobilita di tappeti liquidi e sfumature dai richiami ai Lacuna Coil.
La bravura strumentale, che aiuta la band nelle parti più vicine al death metal progressivo, è la ciliegina sulla torta di un album originale e ben strutturato, vario nel suo mantenere la componente dark/gothic cercando di non soffermarsi troppo su soluzioni abusate e cercando sempre un proprio tocco personale.
Anche l’uso della doppia voce è perfetto, con la voce femminile di Arys Noir che si scambia o si accompagna con il growl di Mr.Dark, che non disdegna passaggi rap style, in un’atmosfera drammatica ed oscura che pervade le tracce di The Covenant.
Il singolo Losing You, Nothing Can Last Forever, la splendida ed estrema Amore Nero, l’alternative dark/rock violentato da dosi massicce di metal di This Broken World, con il gran lavoro chitarristico sotto forma di assoli di ispirazione heavy/prog, fanno di The Covenant un album da non perdere, drammaticamente ruvido, oscuro e colmo di musica che rompe gli argini e sgorga libera dai vincoli di genere
La data di uscita suggerita dall’etichetta è il 31 ottobre, un ottimo modo per accompagnare musicalmente la notte di Halloween …

Tracklist
1.The Covenant
2.We Are
3.Losing You
4.Nothing Can Last Forever
5.Neurotic Trains
6.A Different Way
7.Amore Nero
8.This Night
9.This Broken World
10.Weightless
11.Blue Apocalypse

Line-up
Arys Noir – Vocals
Mr Dark (Emiliano Sicilia) – Rap, Growls and Screams, Vocals,11 Strings Guitar, Programming
The Grand Duke (Niccolò Parrini) – Fretless Bass Guitar, 7 Strings Bass guitar, effects, piano and keyboards
Simon “Bullet” Whites – Drums, Percussions, Effects

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File Not Found – Firewall

Firewall è un album bello e vario, composto da una serie di brani maturi ed in gran parte emozionanti, virtù non così scontata nel genere.

Thrash ed alternative rock, potenti iniezioni di hard rock moderno su una struttura che rimane fortemente legata al metal tradizionale.

Potremmo anche archiviare Firewall, secondo lavoro dei romani File Not Found, con queste righe, ma la band ed la sua nuova opera meritano sicuramente di essere conosciute più a fondo; l’album è uscito da qualche mese e il gruppo ha già cambiato diverse volte il chitarrista e mentre dietro alla sei corde oggi troviamo Andrei Tanasa, sul disco il gran lavoro eseguito alla chitarra è di Christian Di Bartolomeo.
Firewall è un disco moderno, il metal di cui è composto si accompagna con i suoni rock del nuovo millennio e ne esce valorizzato, e l’alternanza tra thrash, alternative e rock contribuisce a rendere l’ascolto vario ed interessantissimo, seguendo le evoluzioni stilistiche del quartetto che non si accontenta di strofa-ritornello-strofa; con la personalità da band navigata i File Not Found sanno come trovare quel tocco originale per cui i brani sarebbero tutti da menzionare, dalla bomba thrash Legacy a Foreign Edge, alternative rock che avvicina il gruppo romano agli Alter Bridge.
Firewall continua a sciorinare ottimi brani, il groove lascia tracce di Black Label Society in qualche passaggio (Leave The Hit Behind) e i quaranta minuti abbondanti del disco passano veloci tra rock duro, solos metallici e brani dal forte appeal.
I sorprendenti File Not Found (monicker dedicato al mondo del web) picchiano sugli strumenti da par loro; The Song Of Concrete Leaves Tree si rivela una bordata di moderno thrash metal da capocciate contro il muro, Crisis è una drammatica ballad in crescendo, atmosfericamente perfetta e sempre in bilico tra modernità e tradizione, mentre la conclusiva Born ritorna su territori più consoni all’alternative rock.
Firewall è un album bello e vario, composto da una serie di brani maturi ed in gran parte emozionanti, virtù non così scontata nel genere.

Tracklist
1- Switch On
2- Legacy
3- My Agony
4- Words Bite
5- Foreign Edge
6- Leave The Shit Behind
7- The Song Of Concrete Leaves Tree
8- Crisis
9- Insomnia
10- Born

Line-up
Leonardo Meko – vocals/rhythm guitar
Andrei Tanasa – lead guitar
Claudio Buricchi – bass
Marco Cinti – drums/vocals

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