Nadsat – Crudo

Ogni cambio di tempo, ogni variazione qui non è prevedibile, e come nel free jazz si naviga felicemente a vista, avvolti da un rumore molto piacevole e soprattutto bene composto.

Ottimo disco per questo duo chitarra e batteria, che suona poderose narrazioni di ritmo e pulsazioni.

I Nadsat sono Michele Malaguti e Alberto Balboni, il primo alla chitarra e effetti, il secondo alla batteria e al gong, e hanno la ferma intenzione di fare musica pesante, giostrando intorno ad un’idea di groove pulsante. Il disco è totalmente strumentale ed è progressivo, nel senso che non segue la tradizionale forma canzone ma si sviluppa per vie diverse, mettendo al centro la carnalità della musica, usando quest’ultima per estrapolare energia dalla materia nera, riuscendo a farlo in maniera peculiare ed originale. Ascoltando Crudo si intuisce che i modelli sono gli Zu, soprattutto per quanto riguarda la costruzione del groove, con un intreccio che è stato praticato per primi dai romani, che ora sono su altri lidi, e che i Nadsat rielaborano sapientemente e personalmente. Il disco può anche essere interpretato come una sublimazione di una fase della musica pesante e pensante, quella che eleva il ritmo al di sopra di ogni cosa. Ogni cambio di tempo, ogni variazione qui non è prevedibile, e come nel free jazz si naviga felicemente a vista, avvolti da un rumore molto piacevole e soprattutto ben composto. Le note ti avvolgono come spire di un lussurioso demone della musica e non c’è salvezza e ci si deve abbandonare a questa musica, figlia bastarda di Sun Ra come dei Tool, perché qui conta l’idea e non tanto la forma, si suona e si ascolta per davvero. Un disco che conferma l’ottima salute e l’alta qualità dei gruppi pesanti italiani, e soprattutto dei duo, che è una firma adeguata per affrontare perigliosi temporali musicali come questo.

TRACKLIST
1.Mesozoic
2.ATP
3.Novus
4.Carcharodon
5.Umhlaba
6.Sivik
7.Droid
8.Dolomite

LINE-UP
Michele Malaguti
Alberto Balboni

NADSAT – Facebook

HoneyBombs – Wet Girls and Other Funny Tales

Siamo nel mondo dello sleaze hard rock, dunque via tutte le inibizioni, al diavolo i tabù e peccate alla grande con Wet Girls and Other Funny Tales, lassù qualcuno vi perdonerà!

Il ritorno delle sonorità sleaze hard rock, almeno per quanto riguarda la scena underground, si può senz’altro considerare ormai un dato di fatto, con il nostro stivale che, dalle Alpi fino al profondo Sud, regala nuove band ed ottimi album.

Il trend è quello di amalgamare la tradizione con sonorità più moderne e cool, ma fortunatamente c’è chi non ha dimenticato il glam rock suonato sul Sunset Boulevard negli anni ottanta e lo potenzia e modernizza con l’hard & roll della scena scandinava, di questi tempi leggermente in affanno dopo il periodo di vacche grasse all’inizio di questo millennio.
A Roma c’è chi questo sound lo suona davvero bene ed arriva al debutto per la Sliptrick con Wet Girls and Other Funny Tales, undici adrenaliniche tracce che riprendono la tradizione losangelina e la sparano nel 2017, rinforzandola con lo sfrontato rock’n’roll suonato dai gruppi scandinavi (Hardcore Superstar e Backyard Babies in testa).
Loro sono gli HoneyBombs, suonano insieme da cinque anni e con l’aiuto di Riccardo Studer e Alessio Cattaneo, che ai Time Collapse Studio di Roma hanno prodotto, masterizzato e registrato l’album, sono pronti a conquistare i cuori degli amanti dell’hard rock stradaiolo.
Niente di nuovo nelle notti di una Roma che si rifugia nei locali del Lungotevere, trasformato nelle vie luccicanti dell’America ottantiana dal rock del gruppo, mentre il freddo che scende dalla penisola scandinava viene trasformato in energia rock’n’roll dagli HoneyBombs, bravissimi a mantenere sempre ben bilanciata la componente tradizionale con dosi massicce di Bad Sneakers and a Piña Colada.
Energie a palate, tensione sempre tenuta alta da brani grintosi e nessun indugio fanno dell’album una fiala di nitroglicerina rock’n’roll, una miscela esplosiva che non concede passi falsi sotto le esplosioni causate dall’ opener Radical Shit, Fat Girl Are Goin’ Mad e We Are Gonna Kick Your Ass.
Siamo nel mondo dello sleaze hard rock, dunque via tutte le inibizioni, al diavolo i tabù e peccate alla grande con Wet Girls and Other Funny Tales, lassù qualcuno vi perdonerà!

TRACKLIST
1. Radical Shit
2. Brazzersdotcom
3. Fat Girls Are Goin’ Mad
4. G.R.A.B. (Ghetto Ratchet Ass Bitch)
5. Don’t Wanna Be Like Johnny
6. Till The Night Is Over
7. We Are Gonna Kick Your Ass
8. Oh My God!
9. Sweet Little Dummy
10. Six Pack On Your Back
11. Maniac (Bonus Track)

LINE-UP
Andrew “The Eagle” Skid – Lead Vocals
Alex Rotten – Guitars & Screamin’ Vocals
Helias Marson – Lead Guitars & Backing Vocals
SteelBlade – Bass Guitar & Backing Vocals
Fabulous Fab – Drums

HONEY BOMBS – Facebook

Struttura e Forma – One Of Us

One Of Us è un album elegante, raffinato e dall’ascolto piacevole, nel quale la tecnica dei musicisti è messa al servizio delle composizioni, lasciando che la musica scorra come acqua in un cristallino torrente di note,

Genova ed il progressive rock, un amore che dura da oltre quarant’anni e che può sicuramente essere considerata una tradizione per la Superba, città dalle mille contraddizioni e che, come una bellissima donna, ti ammalia per poi lasciarti solo con al tuo desiderio.

Gruppi storici più o meno famosi, cantautori e poeti divenuti leggenda, etichette importanti e divenute di riferimento nell’ambiente, vanno di pari passo con una svogliata attitudine a lasciare che le cose accadano, mentre il brusio del mugugno non accenna a smettere da tempo immemore.
Gli Struttura e Forma sono un progetto progressivo nato addirittura nei primi anni settanta, tempi di grande musica rock, quando la città era testimone di una scena rock forse irripetibile.
Tra i vicoli della città vecchia Franco Frassinetti e Giacomo Caliolo decidono di formare il gruppo che vede, oltre alle loro sei corde, Toni Pomara alla batteria e il cantante-chitarrista Alex Diambrini.
Tra molte vicissitudini fatte di reunion e split, gli anni passano ed arriviamo ad oggi, quando finalmente il primo album, One Of Us, vede la luce  con una formazione che comprende, oltre ai due membri storici, Claudio Sisto al microfono, Marco Porritiello alla batteria e Stefano Gatti al basso.
Beppe Crovella, membro originale degli Arti & Mestieri, è il gradito ospite che dà il suo contributo con il mellotron, mentre fa ben mostra di sé la bellissima cover di Lucky Man, brano tributo al grande Greg Lake e classico fuori dal tempo degli ELP.
Il resto del lavoro alterna brani originariamente concepiti negli anni settanta a nuove composizioni: il progressive rock del gruppo si sviluppa così tra brani ariosi ed altri più articolati, alcuni più legati al progressive nostrano, altri invece dal taglio internazionale.
One Of Us rimane comunque un album elegante, raffinato e dall’ascolto piacevole, nel quale la tecnica dei musicisti è messa al servizio delle composizioni, lasciando che la musica scorra come acqua in un cristallino torrente di note, spaziando per un ventennio di musica progressiva venata da un leggero tocco cantautorale tutto ligure.
In conclusione, un lavoro consigliato agli ascoltatori del genere e dai gusti (se mi si passa il termine molto di moda oggigiorno) “old school”.

TRACKLIST
1.Worms
2.Symphony
3.Lucky Man
4.Kepler
5.One Of Us
6.Kyoko’s Groove
7.Indios Dream
8.Fasting Soul
9.Amsterdam
10.Acoustic Waves
11.Il Digiuno Dell’anima

LINE-UP
Franco Frassinetti – Guitars
Giacomo Caliolo – Guitars
Marco Porritiello – Drums
Stefano Gatti – Bass
Klaudio Sisto – Vocals

STRUTTURA E FORMA – Facebook

Andrea Salini – Lampo Gamma

Terzo album per il chitarrista romano Andrea Salini, il cui Lampo Gamma risulta un lavoro curato e dal buon tiro rock.

Terzo album per il chitarrista romano Andrea Salini, rocker che regala un lavoro intenso, con la sei corde in evidenza ed una voce che lascia trasparire passione e attitudine: un musicista e compositore completo che non affida solo alla sua sei corde il compito di descrivere il proprio mondo musicale, ma attribuisce la dovuta importanza alla forma canzone.

Una voce alla Mark Knopfler ci accompagna lungo questo ottimo lavoro che sa tanto di rock settantiano, mentre la chitarra di Salini ci racconta di musica ribelle e di una passione per Jimi Hendrix che sfocia nella funky rock Hendrix Funk (The Comet), mentre l’opener Strange Days ci aveva già dato il benvenuto con il suo hard rock lineare e dal buon refrain.
Bad Moon Rising è la bellissima cover del classico dei Creedence Clearwater Revival, ma il piccolo capolavoro Salini lo compone con The Moon, una semi ballad rock, introspettiva e dal retrogusto pinkfloydiano, che ci prende per mano e ci porta al cospetto dei ritmi hard rock della conclusiva The Martian, strumentale che accompagna i titoli di coda di un lavoro ben fatto e molto curato.
Poche informazioni su chi ha abbia fornito il suo contributo alla riuscita del disco del chitarrista capitolino, non inficiano un giudizio più che positivo per un lavoro che merita sicuramente un ascolto.

TRACKLIST
1.Strange Days
2.Distant Planets
3.Hendrix Funk (The Comet)
4.Space anthem
5.Bad Moon Rising
6.The Moon
7.The martian

LINE-UP
Andrea Salini – Guitars Vocals

ANDREA SALINI – Facebook

Valgrind – Seal Of Phobos

Un ep che riprende la storia del death e la trasporta nel nuovo millennio, un modo per conoscere questa ennesima ottima realtà nostrana ed andarsi a cercare i due precedenti lavori sulla lunga distanza.

All’interno del death metal dalle sembianze più pure ed old school, i Valgrind li possiamo sicuramente definire una band storica, visto che l’anno di inizio delle ostilità segna il 1993; dopo una lunga serie di demo ed un silenzio di una decina d’anni tra il 2002 ed il 2012, il gruppo ha sfornato due full length, Morning Will Come No More e Speech of the Flame, uscito lo scorso anno.

La band emiliana torna a distanza di pochissimo tempo con questo nuovo ep di cinque brani, intitolato Seal Of Phobos, che ribadisce la totale radice old school del sound del gruppo dell’ex Raw Power Gianmarco Agosti e la sua devozione per i Morbid Angel e il death metal floridiano.
Un terremoto sonoro di soffocante bellezza estrema lo sono anche questi cinque brani, che riportano al death suonato nei primi anni novanta, un’infernale parentesi musicale dove lo storico gruppo floridiano viene tributato, non andando oltre all’era Altar Of Madness/Blessed Are The Sick.
In questi tempi di rivalutazione delle sonorità del passato, i Valgrind non mancheranno di stupire chi ancora non li conoscesse, e fin dall’opener The Endless Circle ci investono con la loro diabolica furia estrema senza compromessi.
Seal Of Phobos è un ep che riprende la storia del genere e la trasporta nel nuovo millennio, un modo per conoscere questa ennesima ottima realtà nostrana ed andarsi a cercare i due precedenti lavori sulla lunga distanza, almeno per chi si ritiene amante del genere.

TRACKLIST
01. The Endless Circle
02. New Born Deceit
03. Prelude To Downfall (Interlude)
04. Traitors Will Bleed
05. Ekphora’s Day

LINE-UP
Daniele Lupidi – Vocals, bass
Massimiliano Elia – Guitas, keys
Umberto Poncina – Guitars, keys
Gianmarco Agosti – Drums

VALGRIND – Facebook

Alessio Secondini Morelli’s – Hyper-Urania

Se con questo lavoro il chitarrista voleva ribadire l’immortalità della musica heavy metal e la sua ottima salute anche nel nuovo millennio, direi che la missione è andata decisamente a buon fine.

Nuovo progetto per il chitarrista Alessio Secondini Morelli (Anno Mundi, Freddy & The Kruegers) volto a reinterpretare a suo modo le sonorità classiche dell’heavy metal.

Hyper-Urania è un ep di sei brani dove il chitarrista nostrano, aiutato da numerosi ospiti tra cui Francesco Lattes (New Disorder), Freddy Rising (Acting Out, Martiria, Bible Black) e Federica Garenna (Sailing To Nowhere, She Devil) alla voce, Daniele Zangara alla batteria, Emiliano Laglia (Aibhill Striga, Invaders, Blackened, Youthanasia) al basso, rivisita il metal classico e lo consegna ai giovani ascoltatori del nuovo millennio.
Sonorità ottantiane dunque, prendendo ispirazione sia dalla corrente britannica dei primissimi anni del decennio d’oro per la musica hard & heavy, sia da quella statunitense, con i primi Savatage, ad irrobustire un sound che pesca tanto dai Saxon quanto dai Judas Priest, lasciando in disparte, almeno per una volta, gli Iron Maiden.
Ottima prova dei cantanti, a loro agio anche con brani sicuramente più classici di quelli proposti con le loro band, e grande apertura con il riff di Arkam, notevole brano dove, oltre ad un’ottima performance di Federica Garenna al microfono, si evince la bravura tecnica di Alessio Secondini Morelli e la sanguigna passione che trabocca dall’assolo graffiante a metà brano.
Da segnalare anche la bellissima cover dal taglio progressivo di Veteran Of The Psychic Wars dei Blue Blue Öyster Cult; se con questo lavoro il chitarrista voleva ribadire l’immortalità della musica heavy metal e la sua ottima salute anche nel nuovo millennio, direi che la missione è andata a buon fine.

TRACKLIST
1.Arkam
2.Lord Of The Flies
3.Fuga In Mi Minore “Del Canto Delle Valchirie”
4.Scarlet Queen
5.Veteran Of The Psychic Wars
6.Steven Shark

LINE-UP
Alessio Secondini Morelli – Guitars
Daniele Zangara – Drums
Emiliano Laglia – Bass
Freddy Rising – Vocals
Federica Garenna – Vocals
Francesco Lattes – Vocals

ALESSIO SECONDINI MORELLI – Facebook

Althea – Memories Have No Name

Il gruppo milanese risulta maestro nel creare passaggi ora suadenti, ora intimisti, toccando svariate sfumature melodiche e generi diversi che confluiscono in un’opera completa sotto tutti gli aspetti.

I buoni riscontri che Memories Have No Name ha ottenuto qualche mese fa da varie webzine, tra le quali la nostra, ha consentito agli Althea di destare l’interesse di diverse label, tra le quali la più lesta ad accaparrarsene le prestazioni è stata la Sliptrick Records, che ha licenziato la versione fisica dell’album proprio in questi giorni.
Ci sembra opportuno, quindi, rinfrescare la memoria degli ascoltatori riproponendo la nostra recensione risalente allo scorso dicembre.

E’ durissima la vita per chi decide (spronato da una passione infinita per il mondo delle sette note), di dedicare gran parte del suo tempo ad alimentare un webzine come la nostra.

Sempre a rincorrere le tonnellate di materiale che puntualmente (e fortunatamente) arrivano alla base, con poche persone che hanno voglia di mettersi in gioco e dare una mano (anche e soprattutto nell’ambiente) e sempre i soliti che tra famiglia, l’odiato lavoro, gli scazzi di una vita sempre più difficile e gli anni che cominciano ed essere tanti sul groppone, portano inevitabilmente a quei momenti no dove tutto quello che si fa appare inutile e la voglia di mollare fa capolino nella testa.
Poi d’incanto tutto torna ad avere un senso, le dita scorrono sulla tastiera più fluide che mai mentre le note di un bellissimo album che, probabilmente, non sarebbe entrato mai nella propria sfera musicale se non fosse giunta una richiesta di ascolto da parte del gruppo protagonista di cotanta maestria musicale.
E allora pronti e via per questo viaggio in musica sulle note progressive dei nostrani Althea, quintetto lombardo fondato dal chitarrista Dario Bortot e dal bassista Fabrizio Zilio, al primo full length ma con un ep alle spalle (Eleven) risalente ad un paio di anni fa .
Memories Have No Name è un bellissimo concept di un solo brano diviso in sedici capitoli, incentrati sui ricordi e sull’impatto che questi hanno su due diversi personaggi, raccontato con il supporto della musica totale per antonomasia, il progressive.
Il sound di questo lavoro, pur mantenendo un approccio metallico alla musica progressiva, è molto più rock di quello che ad un primo ascolto si può recepire, il gruppo milanese risulta maestro nel creare passaggi ora suadenti, ora intimisti, toccando svariate sfumature melodiche e generi diversi che confluiscono in un’opera completa sotto tutti gli aspetti.
Hard rock, AOR, metal prog ed un pizzico di rock moderno sono gli ingredienti principali di Memories Have No Name, album che sotto l’aspetto dell’emozionalità tocca vette sorprendenti.
La bravura dei musicisti coinvolti non si discute, ma sono appunto il calore e le emozioni che sprigionano dai vari capitoli a rendere l’opera un piccolo gioiello progressivo, con Paralyzed che, subito dopo l’intro, mostra la parte più metallica del sound, avvicinando il gruppo alla musica dei Dream Theater.
E allora direte voi?
Basta saper aspettare e la musica degli Althea saprà sorprendervi con un continuo ed entusiasmante cambio di atmosfere, dove i momenti topici sono quelli in cui l’anima intimista e sperimentale prende il comando dello spartito regalando momenti di ottima musica progressiva, con i vari intermezzi che non risultano riempitivi ma fondamentali momenti acustici ed atmosferici (A New Beginning, Drag Me Down e la title track) e tracce capolavoro come Halfway Of Me, Leave It For Tonight (brano progressivo dai rimandi beatlesiani), con la ballad Last Overwhelming Velvet Emotion (L.O.V.E.), dallo smisurato impatto emotivo.
Parlare di influenze è riduttivo, ma il paragone a mio parere più calzante (e con le dovute differenze) è con gli Active Heed di Umberto Pagnini, specialmente nel talento innato per le melodie e per le emozioni che suscita la musica prodotta: Memories Have No Name è un lavoro imperdibile per gli amanti delle sonorità progressive.

TRACKLIST
1.Regression From Regrets
2.Paralyzed
3.A New Beginning
4.Revenge
5.Drag Me Down
6.Halfway Of Me
7.Intermediated pt. 1
8.I Can’t Control My Mind
9.Intermediated pt. 2
10.Leave it for Tonight
11.Memories Have No Name
12.The Game
13.Last Overwhelming Velvet Emotion (L.O.V.E)
14.Take Me As I Am
15.Anything We’ll ever be
16.A Final Reflection

LINE-UP
Dario Bortot – Guitar
Fabrizio Zilio – Bass
Marco Zambardi – Key and Loops
Sergio Sampietro – Drums
Alessio Accardo – Vocal

ALTHEA – Facebook

Roommates – Fake

Il viaggio nella frontiera americana è appena iniziato per i Roommates, partite insieme a loro con Fake

Quelle che sono sempre state le sonorità americane per antonomasia, negli ultimi anni hanno sempre preso più campo sia nell’hard rock che nel metal, tanto che è sempre diventato più facile parlare di southern metal o southern hard rock, riguardo a molte uscite discografiche degli ultimi tempi.

Una moda o qualcosa di più?
Vero è che il post grunge e lo stoner ben si adattano ad essere amalgamati con le note, molte volte malinconiche,  del southern rock puro, mentre nel metal già i Pantera avevano a loro modo giocato con il genere, poi approfondito con i vari progetti che hanno visto coinvolto Phil Anselmo.
Una premessa per presentare questo gruppo ligure, prima trio acustico, poi con l’entrata di Alessio Spallarossa degli storici deathsters genovesi Sadist, trasformatosi in una southern rock band elettrica, ma dal talento innato per le armonie semiacustiche e le atmosfere poetiche di un viaggio sulle highway americane.
L’esordio dei Roommates riesce a toccare vette emotive altissime e, per chi ama il genere e le opere dei maestri americani, risulta un piccolo gioiellino di rock americano perso tra la tradizione sudista ed accenni alle band che del genere hanno preso l’attitudine e quel tocco blues nascosto dall’elettricità del grunge o dello stoner (Kyuss/Pearl Jam), oppure ben evidenziato dalle scorribande di quella che è stata l’ultima grande rock blues band, i Black Crowes.
Così tra bellissime atmosfere di quel rock a stelle e strisce sinonimo di una libertà cercata, trovata e vissuta su strade bruciate dal sole, l’odore di pneumatici consumati in chilometri di deserto, ed una chitarra che lancia le sue note al cielo stellato, Fake trova la sua dimensione brani che non contengono appunto elettricità, ma anche delicata poesia western, come ben evidenziato dalle prime note della splendida Light.
Blow Away torna con il suo umore post grunge (mi ha ricordato non poco il southern hard rock dei napoletani Hangarvain), mentre le delicate armonie di Fakin’ Good Manners portano al rock blues dell’irresistibile Black Man Guardian, con le moto che ruggiscono di primo mattino e l’adrenalina del viaggio che sta per iniziare è alle stelle.
Le ultime tre tracce tornano a riempire la stanza di armonie delicate, con una Empty Love che è una rock ballad da antologia e On Water Wings e I Smile che sembrano dare il benvenuto alla notte e al meritato riposo.
Il viaggio nella frontiera americana è appena iniziato per i Roommates, partite insieme a loro con Fake, vi faranno sognare.

TRACKLIST
1.Light
2.Blow Away
3.Fakin’ Good Manners
4.Black Man Guardian
5.Empty Love
6.On Water Wings
7.I Smile

LINE-UP
Davide Brezzo – Guitar & Voice;
Danilo Bergamo – Guitar & Voice;
Marco Quattrocorde – Bass & Voice;
Alessio Spallarossa – Drum

ROOMMATES – Facebook

Cerebral Extinction – Necro Parasite Anomaly

I brani si succedono come una lunga suite estrema, formata da nove bestiali capitoli in cui l’influenza dei maestri statunitensi è un dettaglio, causa la personalità e l’impatto del duo italiano che non teme confronti.

Sono un duo italiano, e suonano un brutal death di devastanti proporzioni, un enorme terremoto musicale arrivato al secondo e distruttivo episodio, dal titolo Necro Parasite Anomaly.

I Cerebral Extinction sono formati nella line up ufficiale da Shon (chitarra, ex Blessed Dead) e Malshum (voce, Human Waste): nel 2014 hanno dato vita a quello che era il primo tellurico lavoro, dal titolo Inhuman Theory of Chaos, ed ora tornano in tutta la loro devastante violenza in musica con questo nuovo album, un bombardamento sonoro che farà non poche vittime tra gli amanti del brutal death metal di ispirazione statunitense, con la sua mezz’ora di esplosioni estreme che, fin dall’intro Induced Transition, si abbatte come una tempesta sulla costa e a forza di trombe d’aria metalliche sferza, distrugge, tortura ed alla fine elimina ogni forma di vita in un vasto e devastato raggio.
Questo è brutal del più feroce, con blast beat che irrompono come tornado, un growl animalesco che accompagna un tale armageddon senza soluzione di continuità, in un vortice di violenza sadica.
I brani si succedono come una lunga suite estrema, formata da nove bestiali capitoli dove l’influenza dei maestri statunitensi è un dettaglio, causa la personalità e l’impatto del duo nostrano, che non teme confronti e ribadisce l’ottima salute della scena odierna dello stivale.
Inutile ribadire che Necro Parasite Anomaly è caldamente consigliato agli amanti del genere.

TRACKLIST
1.Induced Transition
2.Logic and Conspiracy
3.Nemesis the City of Madness (Part I)
4.Collision Identity
5.Nemesis the City of Madness (Part II)
6.Obscure Portal
7.Necro Parasite Anomaly
8.Face to Face
9.The End of All Worlds

LINE-UP
Shon – Guitars
Malshum – Vocals

CEREBRAL EXTINCTION – Facebook

Presence – Masters And Following

Masters And Following rappresenta il ritorno soddisfacente di una band ritrovata, per la quale si spera che questo sia solo l’inizio di una nuova e prolifica fase della sua storia.

Il fatto stesso che una band definibile in qualche modo di culto, come lo sono i Presence, si rifaccia viva dopo un lungo silenzio costituisce di per sé un evento, per cui resta solo da valutare quanto il trascorrere del tempo abbia influito o meno sull’operato del gruppo napoletano.

Indubbiamente, se si intendesse utilizzare quale termine di paragone un lavoro come Black Opera, che portò in maniera dirompente i Presence all’attenzione del pubblico nel 1996, sarebbe un partire con il piede sbagliato: vent’anni sono un lasso temporale che non può lasciare alcunché di immutato, tanto più se i musicisti, al di là delle centellinate uscite discografiche con questo monicker, sono stai attivi in altre vesti e alle prese con sfumature musicali differenti.
Ed è proprio un’accentuata varietà stilistica l’aspetto che colpisce maggiormente al primo impatto con Masters And Following: i Presence spaziano dal progressive più classico a quello metallizzato, passando attraverso pulsioni pop e hard rock, e a tutto questo non è certo estranea la decisione di annoverare tra i 13 brani del cd contenente i brani inediti anche ben tre cover, pure queste di natura variegata se pensiamo al rock settantiano di The House On The Hill degli Audience, alla NWOBH di Freewheel Burning dei Judas Priest ed al pop danzereccio di This Town Ain’t Big Enough For The Both Of Us degli Sparks (versione riuscitissima questa, che peraltro mi ha indotto a rivalutare quale fosse la caratura dei fratelli Mael, snobbati all’epoca da molti di noi imberbi fans del progressive).
In Masters And Following si attraversano così in maniera naturale tutte queste anime musicali immortalate da una serie di brani a mio avviso complessivamente riusciti, grazie ai quali, volendo giocare con il titolo dell’album, l’appellativo di “masters” nei confronti dei Presence calza a pennello …
Sicuramente il lavoro (del quale ho omesso inizialmente di dire che consta di un doppio cd, il secondo dei quali ripercorre la carriera del gruppo tramite una serie di canzoni registrate dal vivo) trova il suoi meglio nella parte iniziale, visto che la title track, Deliver e Now sono tre tracce differenti quanto efficaci, e soprattutto esaustive dell’incorrotta capacità della premiata ditta Baccini, Iglio, Casamassima di creare atmosfere coninvolgenti, nelle quali la robustezza del metal si sposa con naturalezza ad un tocco tastieristico settantiano e ad una voce come quella di Sophya che, come sempre, non si risparmia.
Diciamo anche, per converso, che dopo il trittico delle cover inframmezzato dal notevole strumentale Space Ship Ghost, la tensione scema leggermente senza che il livello complessivi si abbassi a lambire livelli di guardia, ritrovando anzi un’altra notevole impennata con un brano bellissimo come Collision Course.
Detto della parte dedicata al nuovo materiale, non resta che fare un breve accenno al cd dal vivo, purtroppo inficiato da una registrazione che spesso non rende giustizia alla bellezza della musica ed al talento dei musicisti, per cui la sua presenza nella confezione riveste più un valore documentale che non artistico, benché utile forse a spingere chi non conoscesse già i Presence a recuperare le opere originali dalle quali sono tratti i brani, cominciando ovviamente dall’imprescindibile Black Opera.
Masters And Following rappresenta il ritorno soddisfacente di una band ritrovata, per la quale si spera che questo sia solo l’inizio di una nuova e prolifica fase della sua storia.

Tracklist:
CD1:
1. Masters And Following
2. Deliver
3. Now
4. Interlude
5. The House On The Hill
6. Freewheel Burning
7. Space Ship Ghost
8. This Town Ain’t Big Enough For The Both Of Us
9. Prelude
10. Symmetry
11. Collision Course
12. On The Eastern Side
13. The Revealing

Bonus CD:
1. Scarlet
2. The Sleeper Awakes
3. Lightning
4. The Dark
5. Eyemaster
6. Just Before The Rain
7. The Bleeding
8. Un Di’ Quando Le Veneri
9. Orchestral:
– Overture
– Hellish
– J’Accuse
– Makumba
– Supersticious
– The King Could Die Issueless

Line up:
Sophya Baccini – vocals
Enrico Iglio – keyboards, percussion
Sergio Casamassima – guitars
Guests:
Sergio Quagliarella – drums
Mino Berlano – bass

PRESENCE – Facebook

Naga – Inanimate

I Naga si stabilizzano tra gli esponenti di punta di un genere che. nel nostro paese. sta producendo frutti sempre più prelibati.

Inanimate è un ep dei Naga risalente alla scorsa estate, quando è stato pubblicato solo in vinile in edizione limitata in 100 copie per Lay Bare Recordings; da poco è stata immessa sul mercato da parte della Everlasting Spew Records la versione in cd, contenente anche un brano esclusivo per tale edizione.

Pur avendo affrontato ai tempi di IYE l’ottimo Hēn, unico full length finora rilasciato dalla band napoletana, non abbiamo intercettato Inanimate all’atto della sua prima uscita per cui cerchiamo di rimediare ora, tenendo conto del fatto che i suoi contenuti sono già stati ampiamente sviscerati da più parti lo scorso anno.
Quello che si può aggiungere a quanto già si sa è che i Naga, pur con una produzione ancora di dimensioni ridotte, hanno già acquisito una caratura importante che ha consentito loro, per esempio, di aprire ai Candlemass nella recente data bresciana.
L’ascolto di Inanimate conferma che tale status si rivela tutt’altro che usurpato: l’interpretazione del doom da parte del trio partenopeo non è ovviamente tradizionale come quella dei “padri” svedesi, ma si avvale di una pesante componente sludge senza tralasciare qualche puntata di matrice black/hardcore.
Thrives, traccia d’apertura del lavoro, si rivela sufficientemente emblematica dello stile musicale dei Naga, con il suo sound denso, colmo una tensione che pare sempre sul punto di esplodere nel suo fragore ma resta, invece, pericolosamente compressa all’interno del suo caliginoso involucro.
Hyele segue uno schema non dissimile ma è intrisa di una più canonica componente doom, con riff pesanti come incudini nella sua parte discendente, mentre le accelerazioni blak hardcore di Loner sono propedeutiche all’allucinata cover dei Fang, The Money Will Roll Right In.
Il brano inedito, Worm, riporta invece alle radici dello sludge e conferma la bontà del percorso stilistico intrapreso dai Naga, stabilizzandoli tra gli esponenti di punta di un genere che. nel nostro paese. sta producendo frutti sempre più prelibati.

Tracklist:
1. Thrives
2. Hyele
3. Loner
4. The Money Will Roll Right In (Fang cover)
5. Worm

Line-up:
Lorenzo: Vocals and Guitar
Emanuele: Bass
Dario: Drums

NAGA – Facebook

Avelion – Illusion of Transparency

Un lavoro da avere e consumare, orgoglioso esempio del valore altissimo della scena italiana, da un po’ di anni sulla corsia di sorpasso rispetto alle realtà d’oltreconfine.

Ancora una volta la Revalve conferma il proprio gran fiuto per i talenti metallici nostrani e ci consegna un gioiellino prog power metal targato Avelion.
Il gruppo nasce a Parma una decina d’anni fa, in questo lasso di tempo licenzia due ep e due singoli ed arriva oggi al debutto sulla lunga distanza; prodotto mixato e masterizzato da Simone Mularoni e registrato con l’aiuto di Simone Bertocchi ai Domination Studio, Illusion of Transparency è un altro ottimo esempio di power prog metal moderno, nel quale la tecnica dei musicisti è messa al servizio di un lotto di brani dall’appeal straordinario, senza dimenticare una componente elettronica, usata dal gruppo per valorizzare un sound che porta il marchio di fabbrica made in Italy in bella mostra sullo spartito.
Si naviga tra le onde elettriche e le note dei gruppi che hanno fatto grande il genere, dagli ultimi DGM, ai Labyrinth e gli Astra, con una cura maniacale per la forma canzone ed un notevole impatto, anche se la parte del leone in questo lavoro la fanno le melodie, avvincenti e perfettamente incastonate nel raffinato metallo suonato dagli Avelion.
Come ormai d’abitudine, anche la band parmense lascia le intricate parti ultra tecniche fine a sé stesse dei gruppi del passato e ci porta a sognare, tra spunti che si avvicinano ad un AOR venato di elettro/rock e potenziato da una magniloquenza d’insieme che travolge in una valanga di note melodiche.
Un cantante hard rock dall’interpretazione personale e moderna, un’ottima intesa tra tastiere e programming e le sei corde, si abbinano ad una sezione ritmica presente ma non invadente, tecnicamente perfetta senza essere troppo cervellotica, così da riservare tutta l’importanza del caso ai vari brani che compongono un album bellissimo.
Il singolo Fading Out, l’hard rock progressivo e modernissimo di Echoes And Fragrance, le melodie della ultra tecnica e varia nei tempi Falling Down, la new wave travestita da prog metal di Open Your Eyes sono i picchi di un lavoro da avere e consumare, orgoglioso esempio del valore altissimo della scena italiana, da un po’ di anni sulla corsia di sorpasso rispetto alle realtà d’oltreconfine.

TRACKLIST
1.Fading Out
2.Echoes And Fragrance
3.Burst Inside
4.Derailed Trails Of Life
5.Falling Down
6.Innocence Dies
7.Waste My Time
8.Open Your Eyes
9.Ain’t No Dawn
10.Never Wanted
11.Echoes and Fragments (The Algorithm Remix) – bonus track

LINE-UP
William Verderi – Vocals
Oreste Giacomini – Keyboards and Programming
Leonardo Freggi – Guitars
Danilo Arisi – Bass
Alessandro Ponzi – Drums

AVELION – Facebook

Heading West – What We’re Made Of …

Gli Heading West riescono a creare un giusto connubio fra la melodia, la velocità e le dinamiche del metal moderno.

Gli Heading West sono un giovane gruppo diviso in ordine sparso in Emilia Romagna, che riesce a fare un’ottima miscela di metalcore, hardcore melodico e metal moderno. Il tutto è molto orecchiabile e melodico, prodotto bene e piace.

Ai tempi della mia gioventù mi ci sarei perso in un disco così, e la cosa bella è che ora c’è un disco così. O meglio, un ep così, perché questo esordio è sulla corta distanza, ma è molto incisivo e colpisce dritto al bersaglio. I ragazzi viaggiano bene, hanno ben chiaro dove andare e lo dimostrano con un disco che è una chiara dichiarazione di intenti. Gli Heading West hanno voglia di esportare un suono che è certamente molto legato alle sonorità a stelle e strisce, ma lo fanno in una maniera molto personale e con melodie difficilmente rintracciabili oltreoceano, o meglio riescono a creare un giusto connubio fra la melodia, la velocità e le dinamiche del metal moderno. Questo ep mostra che, credendo nella propria musica, si possa fare un bel disco, piacevole e anche commerciale ma al punto giusto. Soprattutto questi ragazzi non fanno proprie tutte le mie elucubrazioni. Gli Heading West vanno veloci e belli compatti, passano sopra le nostre casse lasciando un odore molto piacevole di gioventù e belle speranze, ed è bello anche il momento in sé, senza tanti se e tanti ma.

TRACKLIST
1.Payback
2.Deep Waters (feat. Nicola Roccati of The End At The Beginning)
3.Struck
4.Purple Teeth
5.S.O.Y.F.A.S.H.

LINE-UP
Davide Guberti – vocals
Alessandro Frank Cotti – guitar / back vocals
Riccardo Savani – guitar
Francesco Gariboldi – bass / back vocals
Francesco Neri – drums

HEADING WEST – Facebook

Dead & Breakfast – Rebirth

Una versione più hard rock oriented dei classici Misfits con qualche spunto più moderno alla Murderdolls, per gli amanti del genere una vera ed insana goduria.

I Dead & Breakfast sono un trio di Lodi e suonano hard rock/ horror punk, sono arrivati al quarto album e quest’anno festeggiano il decimo anniversario della nascita (o della morte, fate voi).

Il loro sound si sviluppa lungo un hard rock dall’urgenza punk, di fatto ispirato dalle band horror punk americane, dunque maltrattato da uno spirito rock’n’roll che non manca certo al gruppo nostrano.
Pachu (basso e voce), Gigio (chitarra e voce) e Piffy (batteria) formano questo gruppo di cacciatori di zombie e anime della notte, in un continuo e potente Helloween party che accompagna le atmosfere di questo ultimo lavoro intitolato Rebirth.
Non si arriva alla mezz’ora, ma il tutto viene sintetizzato con una grinta ed una carica notevoli, e già dall’iniziale The Devil Inside la tensione comincia a salire, mentre brani più orientati all’hard rock come Nightmare si danno il cambio con sferzate punk rock, come Dead & Breakfast.
Timmy è il brano più ispirato di Rebirth, un mid tempo solcato dal groove, atmosfericamente dark rock e con un solo che spezza in due tombe e lapidi con forza metallica.
Il finale è lasciato alla coppia di brani ispirati al rock più moderno, il groove diventa protagonista nelle ritmiche di Inch By Inch e della title track, concludendo l’album con una passeggiata nell’hard rock più sanguigno.
Una botta di adrenalina niente male questo Dead & Breakfast, con il gruppo che risulta una versione più hard rock oriented dei classici Misfits con qualche spunto più moderno alla Murderdolls: per gli amanti del genere una vera ed insana goduria.

TRACKLIST
1. The Devil Inside
2. Nightmare
3. Tarantula
4. Timmy
5. Dead & Breakfast
6. Inch By Inch
7. Rebirth

LINE-UP
Pachu – Vocals / Bass
Gigio – Guitar / Vocals
Piffy – Drums

DEAD AND BREAKFAST – Facebook

Skeletoon – Ticking Clock

Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.

Che lo vogliate chiamare happy metal o nerd metal (termine forgiato dalla band) il sound dei nostrani Skeletoon è un notevole esempio di power metal teutonico, tra Helloween, Freedom Call ed Edguy, niente di più e niente di meno.

Il bello è che la band il suo mestiere lo sa fare alla grande ed anche questo Ticking Clock, secondo lavoro dopo il pur ottimo The Curse Of The Avenger, risulta un piacevole tuffo nelle melodie metalliche di estrazione power e dallo straordinario appeal.
Il gruppo del bravissimo singer Tomi Fooler (talento della scuola Sammet) continua per la sua strada e se il primo lavoro era una raccolta di brani power solari e divertenti, in Ticking Clock il tiro viene leggermente ritoccato per spostarsi verso un sound che, pur mantenendo le caratteristiche dell’album precedente, sprizza maturità e consapevolezza.
Tradotto, si scherza ma fino ad un certo punto, gli Skeletoon hanno indurito i suoni, fanno sempre divertire, ma sanno regalare sprazzi di musica più ragionata ed a tratti epica, proprio come il gruppo di Chris Bay (Chasing Time da questo lato è una bomba power devastante).
Curato nei minimi dettagli, l’album è molto vario nelle atmosfere che attraversano le diverse tracce, come se la solarità del power metal melodico fosse attraversata da nuvole oscure ed in alcuni casi, come nella splendida The Awakening, da venti progressivi.
Ottime le performance dei musicisti della band, con un accento sulle prove soliste dei due chitarristi (Andy “K” Cappellari e Davide Piletto) e di una coppia ritmica che non dà tregua quando la musica del gruppo parte come una formula allo spegnimento del semaforo rosso (Charlie Dho al basso ed Henry Sidoti alle pelli), tanto per ribadire che per suonare il genere è indispensabile il talento anche sotto l’aspetto tecnico.
Non mancano, come nel primo lavoro, ospiti che nobilitano e valorizzano alcuni dei brani presenti come Jonne Jarvela (Korpiklaani), Piet Sielck (Iron Savior) e Jens Ludwig (Edguy), mentre Guido Benedetti dei Trick Or Treat, oltre a suonare la sei corde, ha aiutato il gruppo nella fase compositiva.
Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.

TRACKLIST
1.Dreamland
2.Drowning Sleep
3.Night Ain’t Over
4.Watch over Me
5.Chasing Time
6.Ticking Clock
7.Mooncry
8.Falling into Darkness
9.Awakening

LINE-UP
Tomi Fooler – Vocals
Andy “K” Cappellari – Rhytm/Lead Guitar
Davide Piletto – Rhytm/Lead Guitar
Charlie Dho – Bass Guitar
Henry Sidoti – Drums

Featuring: GUIDO BENEDETTI from TRICK OR TREAT: Composer and guitars
JONNE JÄRVELÄ from KORPIKLAANI as “The Nightmare”
PIET SIELCK from IRON SAVIOR as “THE FATHER”
JENS LUDWIG from EDGUY as “THE TIME” T
OMIKA FULIDA from LUNAMANTIS as “THE LAST STAR SHINING”

SKELETOON – Facebook

Cry Excess – Vision

Il disco è molto ben bilanciato fra pesantezza e melodia, fra accelerazioni e parti mid tempo, ed il tutto è molto intenso e coinvolgente, cosa non è facile da trovare oggi.

Il metalcore potrà essere un genere con gruppi con poche idee, o forse in fase calante, ma ascoltando il nuovo disco dei Cry Excess non lo si direbbe proprio.

Questo gruppo di Torino confezione un disco molto potente, ben prodotto e con le cose giuste al posto giusto. Vision possiede un groove possente e marcato, poiché i Cry Excess sanno usare molti mezzi per arrivare allo scopo. Cattiveria, melodia e anche il sapiente uso di inserti elettronici al momento giusto, senza sbracare come altri gruppi. Tutto è molto naturale e si svolge senza forzature, perché il gruppo mette a proprio agio l’ascoltatore che qui troverà ciò che vuole. Questo è il terzo disco dei Cry Excess, che sono un gruppo italiano che gira molto, avendo suonato con Korn, Papa Roach, Walls Of Jericho e molti altri. Ciò lo si comprende bene ascoltandoli, Vision dà la perfetta idea di cosa siano, uno dei gruppi italiani più internazionali soprattutto nella maniera di fare le cose, senza provincialismi, in un genere molto affollato. Il disco è molto ben bilanciato fra pesantezza e melodia, fra accelerazioni e parti mid tempo, ed il tutto è molto intenso e coinvolgente, cosa non è facile da trovare oggi. Ennesimo gran disco della Bleeding Nose che si conferma etichetta di riferimento per un certo tipo di metal moderno. Non pensate al metalcore, pensate ai Cry Excess che è meglio.

TRACKLIST
Vocals : Jaxon V.
Guitar : Mark Agostini
Guitar : Andrew V.
Drum/vocals : Brian N.
Bass : Angie S.

LINE-UP
Jaxon V. : Vocals
Mark Agostini : Guitar
Andrew V. : Guitar
Brian N. : Drums, Vocals
Angie S. : Bass

CRY EXCESS – Facebook

Full Leather Jackets – Forgiveness Sould Out

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.

Una bomba questo Forgiveness Sold Out, debutto dei veneti Full Leather Jackets, che colpiscono il bersaglio con un concentrato di hard & heavy tripallico irrobustito da veloci ripartenze thrash metal, il tutto eseguito con ottima perizia tecnica e un impatto roccioso venato da atmosfere che a tratti si fanno gloriosamente epiche.

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.
Ed in effetti Forgiveness Sold Out è composto da nove schiaffi metallici, tra mid tempo potentissimi come la spettacolare Steel Pirates, brani che bombardano con una serie infinita di riff scolpiti nelle tavole della legge del metal e valorizzate da un cantante, Giovanni Svaluto, con la personalità di un veterano, potente, teatrale ed epico, in poche parole un guerriero metallico.
Lo accompagnano in questa avventura targata Full Leather Jackets, Ivan Tabacchi (chitarra), Giovanni Stefani (basso) e Matteo Panciera (batteria), formando un quartetto di devastatori di padiglioni auricolari a colpi di hard rock, heavy metal e thrash.
Il bello del sound forgiato dal quartetto sta nel mantenere i piedi ben saldi nel metal classico con i riferimenti che vanno dai Judas Priest agli Iron Maiden, dai Metallica (specialmente nella ballad No Way Out), senza rinunciare ad un tocco moderno, tradotto in groove da parte di una sezione ritmica solida come l’acciaio, che dà all’album quel pizzico di originalità che ne fa un gioiellino.
Russian Roulette, Murder In The First e White Robes concludono l’album con una ventina di minuti esaltanti che hanno nel thrash alla Testament della seconda l’apice distruttivo di Forgiveness Sould Out.
Se volete della musica che vi carichi prima di andare a procurar battaglia, quest’album dei Full Leather Jackets è sicuramente una potentissima botta d’adrenalina, provare per credere.

TRACKLIST
1.Purple Mud
2.Son of Morning Star
3.The Outcast
4.Steel Pirates
5.Mr Revenge
6.No Way Out
7.Russian Roulette
8.Murder in the First
9.White Robes

LINE-UP
Giovanni Svaluto – Guitar, Vocal
Ivan Tabacchi – Guitars
Giovanni Stefani – Bass
Matteo Panciera – Drums

FULL LEATHER JACKETS – Facebook

Davide Laugelli – Soundtrack of a Nightmare

L’esperimento di Davide Laugelli è senz’altro convincente, nonostante il bassista scenda su un terreno normalmente non battuto, a dimostrazione di una preparazione inattaccabile ed anche di una certa ispirazione, sfuggendo agli stucchevoli tecnicismi che spesso ammorbano gli album strumentali.

Davide Laugelli è un musicista dal curriculum  piuttosto ricco in ambito metal, facendo parte attualmente dei Disease Illusion e degli Heller Schein ed avendo ricoperto nel recente passato il ruolo di bassista on stage al servizio degli storici Electrocution, senza contare la passata militanza in altre band e svariate collaborazioni.

Soundtrack of a Nightmare esula formalmente da tutto questo, trattandosi di un primo esperimento di musica interamente strumentale eseguita utilizzando due bassi (uno tradizionale ed uno fretless, suonati ovviamente da Laugelli),  synth (a cura di Fausto De Bellis) e batteria (Michele Panepinto): l’intenzione del musicista bergamasco (ma da tempo di stanza a Bologna) è quello insito nel titolo dell’ep, ovvero la creazione di una sorta di colonna sonora per gli incubi che, sovente, rendono piuttosto agitate le notti di ognuno.
Anche se il lavoro mostra aspetti per lo più imprevedibili, non sorprende la prima traccia visto che la Johannes Brahms Op.49 n. 4 altro non è che la ninna nanna per antonomasia, rivista con un certo gusto e senza stravolgerne l’essenza; il breve intermezzo onirico La Nave di Pietra introduce una più movimentata A Night At Stonehenge, nella quale si apprezza il lavoro dei musicisti che si snoda su coordinate progressive anche se non nell’accezione più comune del genere.
Hell With You è un altro brano piuttosto breve, nel quale il basso di Laugelli si fa minaccioso ed ossessivo, mentre Climbing The Wrong Mountain, con il suo andamento potrebbe rievocare quelle affannose rincorse a cui la nostra mente ci costringe mentre il corpo solo apparentemente riposa: anche qui va segnalato un lavoro strumentale di prim’ordine, prima che il trillo di una sveglia ci sottragga all’incubo per riportarci alla realtà, non necessariamente più rassicurante di quella elaborata dalla psiche durante il sonno.
L’esperimento di Davide Laugelli è senz’altro convincente, nonostante il bassista scenda su un terreno normalmente non battuto, a dimostrazione di una preparazione inattaccabile ed anche di una certa ispirazione, sfuggendo agli stucchevoli tecnicismi che spesso ammorbano gli album strumentali, e riuscendo infine a tenere fede alla dichiarazione d’intenti contenuta nel titolo dell’ep, grazie ad un sound cangiante che alterna passaggi più nervosi ad altri più rarefatti e vicini all’ambient.
La breve durata ne aiuta senz’altro l’assimilazione, ma l’ascolto di Soundtrack of a Nightmare offre la ragionevole certezza che Davide sia in grado, in futuro, di replicare quanto fatto in quest’occasione anche su un eventuale lavoro su lunga distanza.

Tracklist:
1. Johannes Brahms Op. 49 n. 4 (insane version)
2. La nave di pietra
3. A night at Stonehenge
4. Hell with you
5. Climbing the wrong mountain

Line up:
Davide Laugelli: bass
Michele Panepinto: drums
Fausto de Bellis: synth

DAVIDE LAUGELLI – Facebook

The Mugshots – Something Weird

Un album che si rivela una continua sorpresa anche dopo ripetuti ascolti, un’esperienza musicale che ha tutti i crismi del lavoro di livello superiore, da avere e custodire gelosamente.

Come la creatura che il dottor Frankenstein assemblò con parti rubate a vari cadaveri, anche la musica dei The Mugshots del cantante Mickey Evil si può sicuramente considerare un mostro musicale, composto da svariati spunti stilistici solo in teoria lontani fra loro, ma perfettamente bilanciati e fatti convivere su questa che ha tutti i crismi dell’opera rock, il cui titolo è Something Weird.

Ed all’ascolto dell’album la mia mente ha immagina personaggi bizzarri, come in un luna park di creature da freak show, mentre il sound si trasforma, modellato dai vari generi che si scambiano o prendono il sopravvento ad ogni brano, formando (questa è la mia impressione) una colonna sonora per un horror show decadente.
I The Mugshots sono in giro da un po’ di anni, provengono da Brescia ed hanno creato qualcosa di unico, valorizzato da una lista di ospiti eccellenti come Matt Malley (Counting Crows,) Tony Dolan (Venom Inc., Atomkraft), Mike Browning (Nocturnus AD), Steve Sylvester (Death SS), Freddy Delirio (Death SS, H.A.R.E.M.), Martin Grice (Delirium), Manuel Merigo (In.Si.Dia), Ain Soph Aour (Necromass), Andrea Calzoni (Psycho Praxis) ed Enrico Ruggeri.
Prodotta da Freddie Delirio, la musica racchiusa in questo entusiasmante lavoro è qualcosa di unico, bizzarro (come ci ricorda il titolo), perfettamente incastonato in un contesto che, come detto, può essere definito opera rock.
Theatrical Rock Music è l’etichetta coniata per rappresentare al meglio un sound che ci delizia di glam rock, per volare in tutta fretta nello spazio in una jam tra Marc Bolan e gli Hawkwind, ed atterrare poi in un cimitero e tra le tombe trasformarsi in gothic, dark rock e steampunk; ovviamente non manca neppure una componente metal, quella classica e teatrale di Death SS e Alice Cooper, intrise di atmosfere horror da film di serie b, brividi in bianco e nero, da molti ormai dimenticati.
Gli ospiti sono quel tocco in più per rendere il tutto spettacolare nella sua attitudine underground, con addirittura Enrico Ruggeri che dà il suo apporto alla traccia gothic metal Sentymento.
Non c’è un solo brano che non sia pervaso da un approccio originale, teatrale e io aggiungerei da musical, specialmente nei brani dove la parte dark gotica lascia spazio al glam/space/punk /rock di The Circus e Rain, mentre la creatura musicale rappezzata da lunghe e profonde cicatrici che tengono insieme i pezzi si rivitalizza con scosse di elettrico rock/metal, piazzando una serie di brani capolavoro come I Am Eye, Scream Again e Pain, con le sue le melodie dark rock.
Un album che si rivela una continua sorpresa anche dopo ripetuti ascolti, un’esperienza musicale che ha tutti i crismi del lavoro di livello superiore, da avere e custodire gelosamente.

TRACKLIST
1.Introitus
2.The Circus
3.Rain
4.I Am an Eye (feat. Freddy Delirio)
5.An Embalmer’s Lullaby, Pt. 2 (feat. Andrea Calzoni)
6.Ophis
7.Sentymento (feat. Enrico Ruggeri)
8.Scream Again (feat. Steve Sylvester, Freddy Delirio, Ain Soph Aour)
9.Grey Obsession (feat. Matt Malley, Martin Grice, Mike Browning)
10.Dusk Patrol (feat. Tony Dolan)
11.Pain (feat. Manuel Merigo)
12.Ubique

LINE-UP
Mickey Evil – Vocals, Keyboards
Priest – Guitar
Gyorg II – Drums
EyeVan – Bass
Erik Stayn – keyboards

THE MUGSHOTS – Facebook