Sixty Miles Ahead – Insanity

Il nuovo lavoro risulta energico e melodico, metallico e rockeggiante, dal feeling che scuote i nostri corpi, in un’ alternanza roboante di sfumature e generi diversi

I milanesi Sixty Miles Ahead confermano con questo secondo lavoro sulla lunga distanza, quanto di buono avevano fatto con i precedenti lavori (Million Of Burning Flames e L’ep Blank Slate) con questo riuscito pezzo di hard rock targato 2016 dal titolo Insanity, una ricetta da masterchef musicali che vede tra gli ingredienti, perfettamente dosati, modern metal, hard rock classico, spunti alternative e melodie dall’ottimo appeal per un gustoso piatto, presentato con talento e classe.

Insanity dimostra ancora una volta l’alta qualità ormai raggiunta dalla scena nazionale, tanto che non fosse per la bio, prendere una cantonata e presentarvi il gruppo come la nuova sensazione proveniente dagli States sarebbe un attimo.
Capitanati dalla sei corde di Fulvio Carlini e dalla voce calda e passionale di Sandro Casali, sostenuto da una sezione ritmica che non manca di farci saltare impazziti sul trampolino costruito sul sacrosanto groove (Luca Caserini alle pelli e Francesco Li Donni al basso), il sound del nuovo lavoro risulta energico e melodico, metallico e rockeggiante, dal feeling che scuote i nostri corpi, in un’ alternanza roboante di sfumature e generi diversi, tutti nati aldilà dell’oceano in quell’America che, se di rock si parla, è molto più vicina di quanto si possa pensare (almeno qualitativamente parlando).
Così, tra i brani che compongono l’album si trovano echi di rock americano, metal moderno, un pizzico di post grunge e hard rock: l’opener Lost In My Mind, Every Time I Try, la title track, Let Go e la rabbiosa Absence Of Light, saranno per voi un sunto, non solo della musica del gruppo e delle sue ispirazioni, ma di quello che il rock ha regalato negli ultimi quarant’anni, suonato con un approccio moderno e con lo sguardo su un futuro che, con band come i Sixty Miles Ahead, non può che essere roseo.

TRACKLIST
1. Lost In My Mind
2. Every Time I Try
3. Sign for Tomorrow
4. Insanity
5. Dirt and Lust
6. Let Go
7. Dead Space
8. Neverending Fight
9. All My Fears
10. No One Else
11. Absence of Light
12. Used to Believe

LINE-UP
Sandro Casali – Vocals
Fulvio Carlini – Guitars
Luca Caserini – Drums
Francesco Li Donni – Basso

SIXTY MILES AHEAD – Facebook

Black Oath – Litanies In The Dark

Litanies In The Dark offre una ventina di minuti dall’indubbia qualità che servono a tenere viva l’attenzione nei confronti degli ottimi Black Oath

Nuovo Ep per i Black Oath, una delle migliori band italiane dedite al doom nelle sue sembianze più classiche.

Litanies In The Dark esce esattamente un anno dopo l’ottimo To Below and Beyond, lavoro che aveva consolidato lo status del gruppo milanese quale interprete credibile della musica del destino nella sua essenza più pura. In quest’occasione i nostri ci regalano tre brani inediti oltre ad una magnifica cover (Reincarnation Of The Highway Cavalier) che in realtà è molto di più, trattandosi del medley di due brani contenuti in The Time Lord, ep dei Pagan Altar  del 2004.
Detto dell’ottima riuscita di questa versione, va rimarcato sopratutto il brano d’apertura, …From Here, vero marchio di fabbrica dei Black Oath, sempre guidati dalla voce stentorea di A.Th, cerimoniere che ha il compito di introdurci in un mondo parallelo in cui l’occulto ed il sacrilego vanno a braccetto, provocando brividi ed inquietudine senza dover nemmeno ricorrere a particolari artifici.
Davvero una magnifica canzone, questa, alla quale fanno da corollario gli altri due inediti strumentali, la più composita Funeral Alchemy e una A Song To Die With che sfuma misteriosamente sul più bello dopo due minuti, proprio quando stava prendendo corpo un coinvolgente crescendo.
In sintesi, Litanies In The Dark offre una ventina di minuti dall’indubbia qualità che servono a tenere viva l’attenzione nei confronti degli ottimi Black Oath, in attesa di una prossima prova su lunga distanza.

Tracklist:
1. …From Here
2. Funeral Alchemy
3. Reincarnation Of The Highway Cavalier
4. A Song To Die With

Line-up:
A.Th – Vocals, Guitars
Chris Z. – Drums
B. R. – Guitars

BLACK OATH – Facebook

Everlasting Blaze – Everlasting Blaze

Un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio orecchio anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

L’underground metal/rock nostrano si arricchisce ogni giorno di nuove ed eccellenti proposte, nate in giro per le città della penisola in ogni genere, formando un universo musicale che non patisce più la sudditanza verso le scene oltreconfine.

Gli Everlasting Blaze, per esempio, sono una giovane band genovese fuori con il primo lavoro, molto ben curato e dai suoni moderni, alternativo nel saper bilanciare rock, metal ed atmosfere dark, grazie soprattutto alla splendida voce della singer Marwa.
E l’ottimo uso di ritmiche e chitarre dai toni aggressivi, ammorbiditi dalla dolce ed espressiva voce di Marwa, è l’arma letale con cui il gruppo genovese ammalia ed ipnotizza l’ascoltatore in questi suggestivi ed intensi minuti di musica, valorizzata da ottimi arrangiamenti e da una produzione sul pezzo, così da consegnare un lavoro professionale e coinvolgente.
La virtù principale che affiora a più riprese dall’ascolto delle tracce è una sfumatura poetica che affiora anche nei brani più grintosi, ed esplode nella bellissima Freedom, l’anima più delicata degli Everlasting Blaze si scontra con quella metallica, mentre If Only, Life of Crime e Zombie Town mostrano gli artigli, acciaio rovente e moderno che si sfida singolar tenzone con l’introspettività dark ed appunto poetica del sound creato dal combo genovese.
Ad un primo ascolto troverete molte similitudini con gli Evanescence e i gruppi alternative dalle tinte dark/gothic di qualche anno fa, ma rimanendo nell’underground ho trovato la musica del gruppo sulla linea degli spagnoli Rainover, anche se la band genovese mantiene un approccio alternativo molto più marcato.
In conclusione, Everlasting Blaze risulta un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio sguardo anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

TRACKLIST
1.Misery
2.If Only
3.Freedom
4.Life of Crime
5.Alone
6.Scream
7.No Mercy
8.Zombie Town
9.Memories
10.Obey
11.Searching
12.The Wasted Soul

LINE-UP
Marwa – vocal,guitar
Sadem – guitar
Youssef – bass
Fabio – drums

EVERLASTING BLAZE – Facebook

Teodasia – Metamorphosis

Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti

Puntuale come promesso e di cui vi avevamo parlato nella recensione di Reloaded, arriva sul finire di questo sountuoso anno per il metal nazionale, il nuovo lavoro di inediti targato Teodasia.

La band, dopo averci presentato la nuova line up sul lavoro precedente, che vedeva i nostri riprendere vecchi brani e darli in pasto alla splendida voce di Giacomo Voli, torna con Metamorphosis, album ambizioso, vario e perfettamente in bilico tra il metal sinfonico e l’ hard rock, sia classico che moderno, con una vena progressiva sottolineata da molti cambi di ritmo ed un quid elettronico che rende il lavoro completo sotto ogni punto di vista.
Metamorphosis conquista, e non poteva essere altrimenti, d’altronde l’arrivo di Voli e del chitarrista Alberto Melinato ha portato nuova linfa ed entusiasmo, percettibili già su Reloaded, ma qui evidenziati da un lavoro di inediti che è pura arte metallica.
Quella musica dura, così bistrattata nel mondo delle sette note, trova nel talentuoso gruppo veneto quella nobiltà molte volte negata anche da chi invece dovrebbe supportarla, nonché splendidi interpreti di emozionanti e sognanti viaggi che l’ugola del cantante rende reali, basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti, uno diverso dall’altro, uno più bello dell’altro.
Partendo da tutto ciò, Metamorphosis conferma che l’attesa per l’ascolto di nuovi brani non è stata delusa,  e i Teodasia riescono nell’intento (non facile) di far emergere tutte le loro ispirazioni ed influenze, passando da un genere all’altro come un ape sui fiori: l’album si trasforma in un caleidoscopio di sonorità che vanno dall’hard rock di Release Yourself al power prog della potente Rise, per spostarsi su mirabolanti sinfonie nella bellissima #34 , far sognare di castelli medievali persi nel tempo con Crossroads To Nowhere, od emozionarci con dolci ballate come Two Worlds Apart, in cui Voli duetta con Chiara Tricarico dei Temperance.
Un album bellissimo per il quale la parola d’ordine è emozione, per una band che entra di diritto nelle eccellenze musicali dello stivale metallico, sempre più protagonista nella scena europea con una serie di talenti sopra le righe. Imperdibile.

TRACKLIST
1. Intro
2. Stronger Than You
3. Release Yourself
4. Rise
5. Just Old Memories
6. Idols
7. #34
8. Two Worlds Apart
9. Diva Get Out
10. Gift Or Curse?
11. Redemption
12. Crossroads To Nowhere
13. Metamorphosis

LINE-UP
Francesco Gozzo – drums, piano
Giacomo Voli – lead vocals
Alberto ‘Al’ Melinato – guitar
Nicola ‘Fox’ Falsone – bass

TEODASIA – Facebook

Tytus – Rises

Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

Boom!: il botto che sentirete al primo accordo di questo bellissimo debutto, è l’esplosione metallica della Terra al letale avvicinamento del Sole, una deflagrazione tremenda a colpi di heavy hard rock dei Tytus e del loro Rises.

Ma prima di perdervi tra le macerie, risultato dell’ armageddon sonoro creato dal gruppo, presentiamo per bene questo quartetto friulano, risultato dell’alleanza di un manipolo di musicisti provenienti da varie band già attive nella scena underground come Gonzales, La Piovra, Eu’s Arse e Upset Noise, e che, dopo la recente firma con la Sliptrick Records ci bombardano con una pioggia di meteore hard rock e di spumeggiante heavy metal, per una cinquantina di minuti dall’alto tasso adrenalinico.
Chitarre che vomitano acciaio fuso, ritmiche potenti che, pur guardando alla tradizione, mantengono un approccio fresco, una produzione che valorizza il sound senza risultare troppo patinata e un singer di razza, fanno di Rises un album imperdibile per gli hard rockers dalle mire metalliche.
Le influenze del gruppo sono da ricercare nella storia dell’hard & heavy, anche se l’album ha una sua anima, prepotente, diretta, dannatamente coinvolgente, per cui spogliatevi di inutili riverenze all’originalità e fatevi capovolgere da questi dieci martelli sparati da Asgard, caduti sul sole e colpevoli di spingere la nostra fonte naturale di luce verso il nostro pianeta.
Enorme la forza di queste tracce, un continuo susseguirsi di inni che nel metal classico sono stati plasmati e che nell’hard rock hanno trovato il perfetto alleato.
La tempesta di suoni che travolge ogni cosa, trova la sua forza nel suo insieme ed è difficile ascoltare un brano che non sia eccellente per potenza, con solos di stampo maideniano e grandi linee melodiche.
La tensione non scende, almeno fino alla conclusiva Blues on the Verge of Apocalypse, strumentale che vede i quattro rockers camminare nella desolazione lasciata dal disastroso impatto con un tappeto di suoni tastieristici di scuola Uriah Heep (quelli leggendari di Very ‘Eavy Very ‘Umble e Salisbury).
Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza, un lavoro consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

TRACKLIST
1.Ode to the Migthy Sun
2.New Frontier
3.Haunted
4.325 A.D.
5.White Lines 04:48
6.Omnia Sunt Communia
7.Inland View
8.Desperate Hopes
9.New Dawn’s Eve
10.Blues on the Verge of Apocalypse

LINE-UP
Bardy – Drums
Mark Simon Hell – Guitars
Markey Moon – Vocals, Bass
Ilija Riffmeister – Vocals, Guitars

TYTUS – Facebook

Witchunter – Back On The Hunt

Sembra facile riuscire a scrivere una serie di brani diretti e trascinanti, trovare un singer efficace e suonare heavy metal tripallico meravigliosamente vecchia scuola, ma dirompente e distruttivo come un treno all’entrata in stazione con i freni rotti, ma non è così.

Sonorità old school come se piovesse dall’underground italico, ormai assolutamente sul pezzo per quanto riguarda i suoni metallici in ogni genere e, come in questo caso, ad uso e consumo dei true defenders.

I Witchunter sono un gruppo abruzzese attivo da quasi una decina d’anni e con un primo album alle spalle di ormai sei anni fa, quel Crystal Demons che fece girare il nome del gruppo tra gli addetti ai lavori e gli amanti dell’heavy metal, quello vero, classico, in your face e suonato semplicemente con chitarre, basso e batteria.
Sembra facile riuscire a scrivere una serie di brani diretti e trascinati, trovare un singer efficace e suonare heavy metal tripallico, meravigliosamente vecchia scuola, ma dirompente e distruttivo come un treno all’entrata in stazione con i freni rotti, ma non è così.
Beh, cari i miei defenders amanti del palla lunga e pedalare, nemici di orchestrazioni e orpelli quando si parla di metal, il gruppo italiano (sì italiano … problemi?) vi farà spaccare la testa contro il muro di casa a suon di heavy rock a metà strada tra la new wave of british heavy metal e i Motorhead di san Lemmy, con una serie di brani travolgenti, come l’irresistibile Hounds Of Rock, brano che, per averlo sui loro patinati lavori, gruppi da un milione di dollari avrebbero regalato anche il fegato.
Back On The Hunt è bello che spiegato, anzi ci penserà la band con la sua musica a convincervi che qui si scherza, ma fino ad un certo punto, d’altronde i riff che, uno dietro l’altro, compongono e valorizzano Lady In White, Midnight Sin e Lucifer’s Blade sono scolpiti sulle tavole della legge dell’heavy metal.
Poi, quando la versione maideniana di Achilles Last Stand del dirigibile più famoso della storia del rock, lascia che l’album si avvii alla fine con Are You Ready dei Thin Lizzy piazzata prima dei titoli di coda, non ci rimane che toglierci il cappello e fare gli onori a Steve Di Leo (un cantante metal…punto) e soci.

TRACKLIST
1.Back on the Hunt
2.Lady in White
3.Vultures Stalking
4.Hounds of Rock
5.Nightmare
6.Midnight Sin
7.Loosing Control
8.Lucifer’s Blade
9.Achilles Last Stand (Led Zeppelin cover)
10.Are You Ready (Thin Lizzy cover)

LINE-UP
Silvio “Chuck” Verdecchia – Bass, Vocals, Guitars
Federico “Ace” Iustini – Guitars (lead), Vocals
Steve Di Leo – Vocals
Bastià “BloodOilDrinker” – Bass, Vocals
Luca Cetroni – Drums

WITCHUNTER – Facebook

Easy Trigger – Ways Of Perseverance

Album da avere e consumare, brani da urlare in quei momenti in cui ci vuole una scarica di adrenalina per ritornare in carreggiata.

Diciamolo: nel nostro paese una buona fetta delle produzioni hard rock di un certo livello passano dalla famiglia Atomic Stuff / Street Symphonies.

E’ un fatto che, nelle sonorità care al vecchio hard rock con tutte le sue varianti, i ragazzi che lavorano alle label di riferimento hanno una marcia in più e, a confermare il tutto, arriva il secondo lavoro dei rockers Easy Trigger capitanati dal chitarrista Caste, un bella botta di vita street hard rock con tutti i crismi per divertire gli amanti di queste sonorità.
Dopo quattro anni dal debutto Bullshit e con una line up rinnovata, il gruppo torna con Ways Of Perseverance, aggiunge al talentuoso chitarrista un cantante che definire spettacolare è poco (Nico) e, con una sezione ritmica che brucia bassi e spacca pelli (Vale e Pane), conquistano un posto d’onore nei migliori album del genere in questo anno che si appresta a finire.
Grezzi, metallici nel miglior senso del termine, grintosi e con impatto e attitudine da vendere, gli Easy Trigger suonano l’hard rock come se non ci fosse un domani, perfettamente a metà strada tra le nuove generazioni dello street metal/rock scandinavo e la tradizione losangelina,  facendolo bene.
A tratti l’album esplode in fuochi d’artificio elettrici che sinceramente fatico a ricordare nell’ultimo periodo, meno belli dei bravissimi Hell In The Club (tanto per fare un paragone illustre) ma più smaccatamente cattivi, potenti e diretti.
Solo Blind (la ballad di ordinanza) lascia un attimo di respiro (ma siamo arrivati alla traccia numero sette) il resto, dall’opener My Darkness è un devastante bombardamento rock’n’roll, dinamitardo, irriverente e sfacciato, con un diavoletto punk sulla spalla dei musicisti che li istiga ad essere il più cattivi possibile, con l’anima del vocalist già prenotata e un sorriso beffardo sul volto.
Nico è dannato, non potrebbe essere altrimenti, la sua prestazione urla rabbiosa il ritorno al posto che meritano queste sonorità, che se suonate come nelle varie God Is Dead, Turn To Stone, Tell Me A Story e Sold Out, non ce n’è per nessuno.
Album da avere e consumare, brani da urlare in quei momenti in cui ci vuole una scarica di adrenalina per ritornare in carreggiata.

TRACKLIST
1. My Darkness
2. Land Of Light
3. The Watchmaker
4. God Is Dead
5. Turn To Stone
6. One Way Out
7. Blind (piano by Andrea Moserle)
8. Tell Me A Story
9. Sold Out
10. The Sand

LINE-UP
Nico – vocals
Caste – guitar
Vale – bass
Pane – drums

EASY TRIGGER – Facebook

Rod Sacred – Submission

Il gruppo mantiene intatta la sua vocazione alle sonorità metalliche classiche e continua a dispensare ottima musica

Nel ritorno di fiamma per le sonorità old school, si inserisce prepotentemente la label tedesca Pure Steel, da anni ormai in missione per riportare in auge i classici suoni metallici.

Composta da varie sotto etichette, assecondando la musica suonata dai gruppi, la Pure Steel pesca da tutti i paesi del mondo nuove proposte e vecchie glorie dell’underground metallico e, come in questo caso con la sublabel Pure Underground, una vecchia conoscenza nata nel nostro paese negli anni ottanta.
I Rod Sacred infatti sono una band nata in Sardegna nei primi anni del decennio d’oro per la nostra musica preferita, con un primo album omonimo che ebbe un discreto successo all’epoca dell’uscita (1989), seguito da cambi di formazione e stop forzati, un secondo lavoro registrato nel 1997 (Sucker of Souls) e il silenzio fino ad oggi primna della firma con la piovra tedesca.
La rinascita per il gruppo del bassista Franco Onnis si chiama Submission e vede la nuova formazione in ottima forma alle prese con sette nuovi brani, in aggiunta alla ristampa dello storico primo album, un salto temporale nell’heavy metal classico, tra new wave of british heavy metal e hard & heavy.
Rivivrete così un altro pezzo di storia del metal tricolore, chiaramente ispirato ai maestri internazionali, ma assolutamente illuminato da luce propria, di notevole impatto, in molti tratti e suonato con ottima padronanza dei mezzi.
I vecchi brani, posti nella seconda parte del cd, vedono confermate le buone impressioni che suscitarono all’epoca dell’uscita, pregni di heavy metal robusto, tra tracce veloci e dirette e anthem metallici dal flavour emotivo altissimo che facevano del gruppo un sunto della proposta di gruppi come Rainbow, Black Sabbath del periodo Tony Martin, Iron Maiden e Scorpions … e scusate se è poco.
Tra tutte spiccano le splendide The Mistery Of Quid e la ballatona Dreaming, brani emotivamente sopra la media, con in gran spolvero il vocalist Antonio “Tony” Deriu , cantante che ricorda a più riprese Klaus Meine degli scorpioni tedeschi.
I nuovi brani non tradiscono le attese, il gruppo mantiene intatta la sua vocazione alle sonorità metalliche classiche e continua a dispensare ottima musica, alternando tracce dirette come Hiper Drive, mid tempo sabbathiani (la title track) e sontuose song di scuola Rainbow/Scorpions (Stop Fear), così da regalare un ottimo lavoro ai fans dei suoni classici, assolutamente obbligati a far proprio questo cd per fare la conoscenza con una band storica del panorama italiano.
Per chi ha qualche capello grigio in più sulla lunga ma rada chioma, l’acquisto merita per l’ottimo lavoro del gruppo sulla nuove composizioni, insomma fatelo vostro senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Submission
2. Hiper Drive
3. Stop Fear
4. Let Yourself Go
5. Rod Sacred
6. Strange Life
7. Radio
8. Don’t Fear the Rain
9. Live Your Life Again
10. Lonely Between Mass of Puppets
11. The Mistery of Quid
12. Crazy For You
13. Circle of Lust
14. The Enter
15. Dreaming
16. Will of Living Total

LINE-UP
Tonio Deriu – vocals
Luca Mameli – guitars
Peppo Eriu – guitars
Franco Onnis – bass, backing vocals
Andrea Atzeni – drums

ROD SACRED – Facebook

Hertz Kankarok – Livores

Livores racchiude venticinque minuti di musica di enorme spessore qualitativo e, soprattutto, molto personale, segno che un approccio artistico meno convenzionale spesso può portare frutti prelibati

Il progetto musicale ideato da Hertz Kankarok si rivela anomalo fin da un monicker che, a primo acchito, lascia sensazioni strane, fino a giungere al modus operandi, che vede il nostro comporre brani senza essere di fatto un musicista nel senso vero del termine e, infatti, a parte la voce, tutto il lavoro strumentale è affidato a Dario Laletta.

Ma, come tutto ciò che ultimamente arriva dalla Sicilia in campo rock e metal, c’è da aspettarsi qualcosa di particolare ed anticonvenzionale: Hertz Kankarok con questi tre brani lo conferma, offrendo un compendio di musica a tratti entusiasmante e andando ad esplorare i diversi spettri sonori del metal e non solo.
Se Our Will Injection sembra un ideale incrocio i tra i King Crimson ed il djent (sotto genere del quale non è difficile reperire una ipotetica genesi ascoltando i tre dei dischi frippiani degli anni ottanta) ma con l’enorme pregio di mantenere sempre in primo piano l’aspetto melodico, tenendosi alla larga dallo sterile tecnicismo, We Are the Ghosts sposta la barra su sonorità più cupe ed evocative, esprimendo un robusto prog metal dalla ampie sfumature gothic. Fin qui nulla da eccepire sui due brani, impreziositi dall’indubbio talento esecutivo di Laletta, ben assecondato da un interpretazione vocale molti varia e personale da parte di Kankarok.
A mio avviso, però, il vero fulcro del lavoro è la conclusiva Occvlta Plaga Inferorvm, canzone che racchiude efficacemente non solo il pensiero dell’autore sui temi religiosi, veicolato in lingua italiana tramite un testo magnifico, ma riesce a sintetizzare mirabilmente diversi aspetti del sound, che si fa via via più oscuro e riflessivo, racchiudendo in un colpo solo il gothic doom di tipica scuola italiana (con bagliori degli indimenticabili Cultus Sanguine) e pulsioni cantautorali che non possono non rimandare all’illustre corregionale Franco Battiato (difficile non fare questo accostamento quando Kankarok intona “… in quest’epoca infame e d’acquiescenza …“).
In buona sostanza, Livores racchiude venticinque minuti di musica di enorme spessore qualitativo e, soprattutto, molto personale, segno che un approccio artistico meno convenzionale spesso può portare frutti prelibati, proprio per una minore propensione ad abusare di schemi consolidati.
L’ep è stato diffuso ormai un anno fa e, benché sia stato accolto in genere con un certo favore, ho la sensazione che non sempre gli sia stato dato quel risalto ancora maggiore che avrebbe meritato. Resta solo da godersi questo ottimo esempio di creatività musicale, in attesa che il misterioso Hertz Kankarok si rifaccia vivo, magari con un lavoro su lunga distanza.

Tracklist:
1. Our Will Injection
2. We Are the Ghosts
3. Occvlta Plaga Inferorvm

Line Up:
Dario Laletta – All instruments
Hertz Kankarok – Vocals, Lyrics

HERTZ KANKAROK – Facebook

Myriad Lights – Kingdom Of Sand

Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi

Attivi da una decina d’anni e con un primo lavoro licenziato quattro anni fa (Mark of Vengeance), tornano i lombardi Myriad Lights con il secondo album, Kingdom Of Sand, album che dimostra quanto la scena nazionale sia ormai patrimonio del metal europeo.

Anche a livello underground infatti il metal italiano dimostra di avere molte frecce al proprio arco, molte ancora da scoccare direi, visto la qualità dei prodotti made in Italy, anche quelli meno conosciuti.
Costruito su fondamenta che ricordano il power metal raffinato ed elegante al quale lo stivale ha dato un fondamentale contributo con Labyrinth, Shadows Of Steel ed in parte Vision Divine: il sound di Kingdom Of Sand è un ottimo e vario esempio di quello che le sonorità metalliche di stampo classico hanno dato in questi ultimi anni, con la band che non si ferma agli illustri colleghi ma spazia tra melodie, aggressività e varie soluzioni stilistiche, così da non essere solo figlia di un unico approccio.
Tra i brani che compongono l’album , oltre ad orchestrazioni dal mood orientaleggiante, è forte lo spirito power nato nelle terre germaniche, che non fa altro se non indurire il sound, quel tanto che basta per accontentare anche i defenders che mal digeriscono qualche orchestrazione di troppo.
Così ci troviamo al cospetto di un buon lavoro, che non manca di brani davvero interessanti (Mirror) ed un’ottima altalena tra il neoclassicismo nazionale ed il power dirompente di scuola tedesca, valorizzata da un’interpretazione su buoni livelli di Andrea Di Stefano, vocalist dalle grandi potenzialità, ed una prova strumentale tutta grinta e passione.
Una band che crede in quello che fa, ne escono così i Myriad Lights, e non è poco in un mercato virtuale che abbonda di proposte di tutti i generi, fortunatamente molte buone, ma anche con troppe sotto la media.
Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi, molti dei quali ormai lontani dalle opere che hanno scritto la storia del genere.

TRACKLIST
1.Desert Nights
2.Kingdom of Sand
3.Abyssal March
4.The Deep
5.The Grave Chant
6.039 Lights
7.Mirror
8.The Waves
9.Deathbringer
10.Ascension

LINE-UP
Francesco Lombardo-Guitars
Jeff Lombardo-Bass
Andrea Di Stefano-Vocals
Simone Sgarella-Drums
Emanuele Salsa-Keyboards

MYRIAD LIGHTS – Facebook

VIII – Decathexis

Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni

Poco più di due anni fa mi ero trovato ad elogiare il primo full length dei sardi VIII, autori in quel frangente, con il loro Drakon, di un black metal dalle ampie sfumature doom e ricco di passaggi evocativi e melodici.

Le cose sono cambiate non poco nel lasso di tempo intercorso tra quell’uscita ed il qui presente Decathexis, non tanto dal punto di vista qualitativo che, come vedremo, non ha subito alcun contraccolpo, bensì da quello riferito all’approccio stilistico: gli VIII sono oggi una realtà dedita ad un black avanguardista che può essere avvicinabile ai parti più recenti della scuola francese, reso però con una personalità ed un tocco di follia che ne accentua la peculiarità.
Ed è proprio da un concept basato su stati di alterazione mentale (Decathexis significa, a grandi linee, ad una forma patologica di progressivo disinteresse e distacco nei confronti della realtà circostante) che DrakoneM, sempre aiutato dal fido drummer Mark, prende le mosse per sviluppare un lavoro impressionante per come la materia viene plasmata a piacimento senza che, alla fine, il risultato finale ne risenta particolarmente a livello di fluidità.
Non era semplice, infatti, concentrare in un solo album una simile quantità di influssi, corrispondenti ad altrettanti cambi di scenario ed atmosfera, mantenendo saldo il controllo delle composizioni senza farsi sopraffare dalla propria vis sperimentale.
Fin dall’incipit di Symptom, infatti, si intuisce che Decathexis offrirà una cinquantina minuti all’insegna di un’imprevedibilità, abbinata ad un’estremizzazione del suono che va oltre i semplici canoni del black o del death: gli VIII suonano quello che si può definire a buon titolo avantgarde metal, senza che tale definizione appaia pomposa o inadeguata
Così le incursioni del sax, strumento che da chi ascolta metal estremo viene normalmente visto come il fumo negli occhi, sono solo uno dei simboli del disagio che gli VIII traducono in musica: i tre brani, la cui delimitazione appare più una necessità che non una conseguenza logica, per cui potrebbero essere anche dieci od uno soltanto, non lasciano punti di riferimento certi ed è quasi impossibile prevedere quale direzione prenderà il sound.
Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni, rischiando del loro con l’abbandono di strade più confortevoli ma ottenendo un risultato davvero soddisfacente, che lascia quale unico interrogativo la reazione di chi ha seguito le prove del passato al cospetto di una sterzata così decisa e violenta inferma al proprio modus operandi.
Poco male, visto che auspicabilmente DrakoneM e Mark dovrebbero ottenere nuovi e numerosi consensi per un album che va assaporato, comunque, mantenendo un’ampia apertura mentale.

Tracklist:
1. Symptom
2. Diagnosis
3. Prognosis

Line-up:
DrakoneM – Guitars, Bass, Synth, Vocals (additional)
Mark – Drums

VIII – Facebook

Shining Line – Shining Line

AOR nella sua massima espressione, con ospiti internazionali ma orgogliosamente tricolore nella sua creazione

La Street Symphonies, label nostrana e ottimo punto di riferimento per gli amanti dei suoni hard rock, mette le mani e ristampa il clamoroso debutto dei rockers melodici Shining Line, uscito autoprodotto cinque anni fa e ore tornato a risplendere di magnificenza melodica.

Il gruppo nasce dalla mente di Pierpaolo Monti (ex Sovversivo) che insieme ad Amos Monti (basso), Alessandro Del Vecchio alle tastiere (Edge Of Forever, Eden’s Curse, Moonstone Project), ed alla coppia di chitarristi Marco D’andrea (Planethard) e Mario Percudani (Hungryheart) compongono la line up dei Shining Line, per poi avvalersi di un sontuoso nugolo di musicisti della scena hard rock melodica internazionale e dar vita ad una meravigliosa opera prima.
Un disco internazionale non solo per gli ospiti, ma anche per la cura nei dettagli, i suoni potenti e cristallini, la produzione lasciata ad Alessandro del Vecchio, con Michael Voss (Casanova, Mad Max, Voices Of Rock) alle prese con mix e mastering, fanno di Shining Line un gioiello nascosto che, finalmente ritorna a splendere con una label a supportarne la distribuzione.
AOR del più raffinato ed elegante abbia sentito negli ultimi tempi, valorizzato come detto dagli ospiti che sono tantissimi e di cui cito Robin Beck, Mikael Erlandsson, Michael Voss, Phil Vincent, Michael Bormann e Michael Shotton.
Per ottanta minuti, di cui neanche un secondo è sotto una media eccellente, verrete trasportati in un mondo di melodie dal taglio hard rock, a tratti sognanti, in altre supportate dall’energia sprigionata da sei corde ispiratissime e regali tastiere in un’apoteosi di musica sopra le righe.
Di un’altra categoria il songwriting, che se la gioca alla pari con le top band del genere e tenere un livello così alto per oltre un’ora non è cosa facile per nessuno, credetemi.
Una raccolta di brani che spazia dunque dall’appeal radiofonico che in anni passati avrebbe portato molte canzoni nel palinsesto delle radio rock di mezzo mondo, a suadenti note melodiche, trasformate in ballad e che i fans del genere non potranno che amare alla follia (Heat Of The Light con la voce di Robin Beck è da standing ovation) così come la traccia regina di questo lavoro, Can’t Stop The Rock, hard rock melodico a stelle strisce, che entra nella testa ipnotizzandoci e vi avverto, continuerete ad ascoltarla fino alla sfinimento.
Un album bellissimo, AOR nella sua massima espressione con ospiti internazionali, ma orgogliosamente tricolore nella sua creazione, un piccolo capolavoro da non lasciarsi assolutamente sfuggire.

TRACKLIST
01. Highway Of Love (feat. Erik Martensson)
02. Amy (feat. Harry Hess)
03. Strong Enough (feat. Robbie LaBlanc)
04. Heaven’s Path (strumentale)
05. Heat Of The Light (feat. Robin Beck)
06. Can’t Stop The Rock (feat. Mikael Erlandsson)
07. The Meaning Of My Lonely Words (feat. Michael Shotton)
08. The Infinity In Us (feat. Michael Voss)
09. Still In Your Heart (feat. Bob Harris & Sue Willetts)
10. Homeless’ Lullaby (feat. Carsten “Lizard” Schulz & Ulrich Carlsson)
11. Follow the Stars (feat. Phil Vincent)
12. Unbreakable Wire (feat. Jack Meille, Bruno Kraler, Graziano De Murtas & Alessandro Del Vecchio)
13. This Is Our Life (feat. The Italian Rock Gang – BONUS TRACK ESCLUSIVA)
14. Under Silent Walls Part I – Blossom: From Night to Dawn (strumentale)
15. Under Silent Walls Part II – Alone (feat. Michael Bormann)
16. Under Silent Walls Part III – Overture: Death of Cupid (strumentale)

LINE-UP
Pierpaolo “Zorro11” Monti – Drums & Percussion
Amos Monti – Bass
Alessandro Del Vecchio – Keybs & Vocals
Marco “Dandy” D’Andrea – Guitars
Mario Percudani – Guitars

Bob Harris (Axe, Edge Of Forever)
Brian LaBlanc (Blanc Faces)
Brunorock
Carsten “Lizard” Schulz (Evidence One, Domain, Midnite Club)
Douglas R. Docker (Biloxi, Docker’s Guild)
Elisa Paganelli
Enrico Sarzi (Midnite Sun)
Erik Martensson (Eclipse, W.E.T.)
Frank Law (The Pythons)
Gabriele Gozzi (Markonee)
Graziano “Il Conte” De Murtas (Wine Spirit)
Ivan Varsi
Harry Hess (Harem Scarem)
Jacopo Meille (Tygers Of Pan Tang, Mantra, Fool’s Moon)
Johan Bergquist (Elevener, M.ill.ion)
Josh Zighetti (Hungryheart)
Luke Marsilio (Lizhard)
Marco Tansini (Big Sur)
Marco Sivo (Planethard)
Marko Pavic
Matt Albarelli (Homerun)
Matt Filippini (Moonstone Project)
Michael Bormann (Rain, Charade, Jaded Heart, The Trophy, Redrum, Zeno)
Michael Shotton (Von Groove, Airtime)
Michael T. Ross (Hardline, Lita Ford, Angel)
Michael Voss (Mad Max, Voices Of Rock, Casanova, Demon Drive)
Mikael Erlandsson (Last Autumn’s Dream, Salute)
Phil Vincent (Tragik, Circular Logik)
Robbie LaBlanc (Blanc Faces)
Robin Beck
Sue Willetts (Dante Fox)
Tank Palamara (The Lovecrave, Oxido)
Tim Manford (Dante Fox)
Tommy Ermolli (Khymera)
Ulrich Carlsson (M.ill.ion)
Vinny Burns (Dare, Ten, Asia)
Walter Caliaro (Edge Of Forever)

SHINING LINE – Facebook

Septem – Living Storm

I Septem fanno metal con il cuore e non con il mixer o con le pose, perché la loro musica di metallari inveterati parla direttamente al cuore, muovendo le corde del metallico amore, e se ascolterete questo disco capirete cosa voglio dire.

Per i metallari più attenti e vogliosi di nuove sonorità e di gruppi meritevoli, i Septem avevano già colpito al cuore con il precedente album omonimo che era stata una delle migliori uscite del 2013.

Con questo Living Storm, i Septem si superano e pubblicano un grandissimo disco di heavy metal che viene dal cuore, mantenendo ben salde le radici e innovando anche tra NWOBHM e i migliori In Flames, ma andando oltre le ultime uscite degli svedesi. La voce di Daniele Armanini ci porta lontano verso un’epicità sicuramente estranea a questa nostra società. Il gruppo suona compatto e coordinato come un’orchestra, prodotto in maniera eccellente da Tommy Talamanca ai Nadir Studios. I Septem cambiano più volte registro musicale all’interno della stessa canzone, e la loro bravura tecnica e compositiva li porta ad esplorare diversi luoghi musicali. In Living Storm troviamo l’heavy metal inglese degli anni ottanta così come i fondamentali Helloween, ma si ascolta anche un suono risalente alla moderna scuola svedese, oltre ad una straordinaria melodia che è tutta dei Septem. Il disco è davvero godibile e ha dei momenti in cui si viene trasportati lontano. Una delle cose che colpiva maggiormente del disco precedente era stata scoprire che i Septem fanno metal con il cuore e non con il mixer o con le pose, perché la loro musica di metallari inveterati parla direttamente al cuore, muovendo le corde del metallico amore, e se ascolterete questo disco capirete cosa voglio dire. Rispetto al disco d’esordio questo Living Storm è, come promette il titolo, più brutale e veloce ed è ancora, come accaduto per il precedente disco, una delle migliori uscite dell’anno. Questi ragazzi parleranno al vostro cuore metallico, ascoltateli.

TRACKLIST
1. Lord of the Wasteland
2. Living Storm
3. Midnight Sky
4. Milestones
5. Cielo Drive
6. Waiting for Dawn
7. Montezuma II
8. The Crystal Prison

LINE-UP
Daniele Armanini – vocals
Francesco Scontrini – guitar, vocals
Enrico Montaperto – guitar
Andrea Albericci – bass guitar
Matteo Gigli – drums

SEPTEM – Facebook

Joe Robazza – Stellarly

Joe Robazza dà la sensazione d’essere un musicista giustamente ambizioso e foriero di idee brillanti ma, all’atto pratico, il risultato che scaturisce da questa prima prova solista si rivela appena sufficiente.

Primo passo solista per Joe Robazza, chitarrista degli SpiritRow, alle prese con quello che egli stesso definisce “rock filosofico”.

Appiccicare certe etichette, invero un po’ pretenziose, alle proprie opere può rivelarsi un boomerang, e questo è un rischio che il buon Joe corre seriamente, visto che, al di là del condivisibile intento di affrontare tematiche decisamente impegnative, il risultato finale non è del tutto convincente.
Stellarly è un breve Ep nel quale il musicista veneto prova a riversare tutte le influenze musicali di cui si è abbeverato nel corso della sua carriera e, fondamentalmente, uno dei problemi è proprio questa sua voglia di volerle condensare in poco più di un quarto d’ora.
Se Perfect Evolution si dimostra un brano piuttosto riuscito e sufficientemente lineare, pur nella sua variabilità, nelle tracce successive il sound sembra progressivamente sfilacciarsi, con l’aggravante di una prestazione vocale che lascia diverse perplessità nelle parti che vorrebbero essere più evocative (molto meglio, invece, quando la timbrica di Robazza si fa più aggressiva).
Il rock/metal alternativo contenuto in Stellarly si dirama verso molteplici direzioni ma senza dare mai la sensazione di essere frutto di un “caos organizzato”: il lavoro così vive di buoni spunti, rinvenibili in certi passaggi dal sapore orientaleggiante (che andrebbero maggiormente sfruttati vista l’abilità esecutiva del chitarrista) capaci di rendere efficaci anche alcuni momenti della conclusiva Cold Disaster. Anche la title track si avvale una buona linea melodica nel suo finale ma, come detto, l’ep si muove a strappi, mostrando momenti piuttosto opachi come il nu metal simil-Korn di And Believe, che risulta particolarmente indigesto.
Joe Robazza dà la sensazione d’essere un musicista giustamente ambizioso e foriero di idee brillanti ma, all’atto pratico, il risultato che scaturisce da questa prima prova solista si rivela appena sufficiente: per il futuro sarebbero auspicabili scelte differenti per le parti vocali ed uno sviluppo più organico dal punto di vista compositivo, perché sull’aspetto prettamente strumentale c’è poco o nulla da eccepire.
Il giudizio è pertanto interlocutorio, in attesa di future evoluzioni.

Tracklist:
1.Perfect Evolution
2.Stellarly
3.And Believe
4.Cold Disaster

JOE ROBAZZA – Facebook

Hierophant – Mass Grave

Mass Grave è la realizzazione delle promesse seminate nelle precedenti uscite, ed è un disco davvero notevole.

A chi ha occhi e soprattutto voglia di vedere la situazione appare in tutta la sua chiara gravità: siamo fottuti, e bisogna che qualcuno come gli Hierophant ce lo ricordi.

Il gruppo ravennate è in giro dal 2010 e fa musica violenta, pesante e maledettamente affascinante, musica catartica. Nel loro terzo disco gli Hierophant raggiungono forse la loro maturazione definitiva, anche se si spera che le loro sepolture di massa continuino per molto tempo ancora. Il loro stile è un misto di death metal, hardcore furioso e un’aggressività simile a quella dei compianti The Secret ma più intelligibile e maggiormente metal. Il loro intento è quello di scuotere l’ascoltatore, e di farlo muovere per tutta la durata del disco o del concerto. La bravura degli Hierophant ha già da tempo travalicato i confini patri, ed infatti sono molto apprezzati sia in Europa che nel mondo. Maggiore effetto ed efficacia al massacro è data dalla produzione di Taylor Young, uno che con Nails ed altri gruppi ha già provocato diversi denti rotti in giro per il mondo. Rispetto ai precedenti e già ottimi album degli Hierophant questo forse è il più strutturato, il più violento ed il più death metal, e non c’è davvero un attimo di tregua. Mass Grave è la realizzazione delle promesse seminate nelle precedenti uscite, ed è un disco davvero notevole.
Tenebre, cenere e rumore, è quello che siamo.

TRACKLIST
01. Hymn of Perdition
02. Execution of Mankind
03. Forever Crucified
04. Mass Grave
05. Crematorium
06. In Decay
07. Sentenced to Death
08. The Great Hoax
09. Trauma
10. Eternal Void

LINE-UP
Giacomo – Bass, Vocals
Ben – Drums
Lollo – Guitars, Vocals
Steve – Guitars

HIEROPHANT – Facebook

Crossbones – Crossbones

Un’iniziativa assolutamente consona al valore dell’opera in questione

Siamo ancora negli anni ottanta, anche se ormai il decennio successivo è alle porte, ed i venti alternativi spingono il rock verso una nuova frontiera: nell’Italia metallica, ancora lontana dai fasti degli ultimi anni e difesa da un manipolo di eroi contro l’esterofilia dilagante di fans e molti addetti ai lavori , continuano ad affacciarsi gruppi che, con un po’ di ritardo, dei suoni heavy metal fanno il loro credo, in un paese ancorato alla canzone popolare ed al progressive del decennio precedente.

Molti rockers con meno primavere sulle spalle, del chitarrista ligure Dario Mollo ricorderanno le collaborazioni con Tony Martin nel progetto The Cage (The Cage 1998, The Cage2 2002 e The Third Cage 2012) e con Glenn Hughes nei Voodoo Hill (Voodoo Hill nel 2000, Wild Seed of Mother Earth del 2004 e Waterfall uscito lo scorso anno).
Il talentuoso musicista e produttore nostrano, oltre ad altre importanti collaborazioni ha un passato nei Crossbones, autori di questo ottimo lavoro licenziato nel 1989 e oggi ristampato dalla Jolly Rogers Records per la gioia degli amanti dell’hard & heavy old school.
Prodotto da Kit Woolven (Thin Lizzy, UFO) e con alle tastiere il contributo dell’ospite internazionale Don Airey, l’esordio omonimo dei Crossbones aveva tutte le carte in regola per tatuarsi nel cuore degli amanti dei suoni scolpiti nell’acciaio: una produzione che per quei tempi soddisfaceva non poco, una serie di canzoni superlative e l’enorme talento (senza nulla togliere alla precisa ed efficiente sezione ritmica composta da Ezio Secomandi alle pelli e Fulvio Gaslini al basso) dei due indiscussi protagonisti, Dario Mollo con la sua sei corde che sprigionavano suoni blackmoriani a profusione ed il cantante Giorgio Veronesi, grande interprete dei suoni duri e regali del gruppo.
Diventato in breve tempo un oggetto di culto, anche per non aver avuto un seguito (almeno fino ad oggi), Crossbones segue le coordinate stilistiche del metal/rock britannico, aggressivo, raffinato e con quelle sfumature epiche avvicinabili proprio ai Rainbow, messe in evidenza da un Mollo straordinario alla sei corde ed un songwriting di altissimo livello.
L’opener Fallen Angel, la diretta Rock ‘n’ roll , il metallo epico della gloriosa The Promised Land, l’omaggio a Vivaldi nella classica Winter sono solo fiocchi di un pacco regalo confezionato alla perfezione dal gruppo ligure che, all’epoca, con questo lavoro, salì sul podio dei migliori lavori usciti dalla ancora bistrattata ( metallicamente parlando) penisola.
Bene ha fatto la Jolly Roger ha curare questa ristampa in cd, un’iniziativa assolutamente consona al valore dell’opera in questione, da non perdere.

TRACKLIST
1.Fallen Angel
2.Iron in the Soul
3.Rock ‘n’ Roll
4.Cry from the Heart
5.The Promised Land
6.Venom
7.Bad Dreams
8.Winter
9.Fire

LINE-UP
Fulvio Gaslini – Bass
Ezio Secomandi – Drums
Dario Mollo – Guitars
Giorgio Veronesi – Vocals

Lectern – Precept Of Delator

I Lectern si confermano come una delle migliori realtà estreme nate sul nostro territorio

Una schiera di demoni inviati da Satana riesce ad impossessarsi del segreto dell’onnipotenza di Dio , i seguaci del bene vengono cancellati e il male assoluto domina per l’eternità.

Tornano i mastodontici e ferocissimi Lectern, band proveniente dalla capitale che Iyezine aveva già avuto modo di conoscere con il precedente e devastante Fratricidal Concelebration, uscito lo scorso anno.
Al secondo full length il gruppo conferma tutto il bene scritto al riguardo, mettendo in mostra una vena compositiva fuori dal comune, tanta belligeranza, ed un’attitudine malvagia che sprigiona in tutta la sua blasfema cattiveria in questo monumentale Precept Of Delator.
Registrato ai The Outer Sound Studios, l’album vede alla produzione Giuseppe Orlando come avvenuto in passato, perciò aspettatevi un disco dal taglio internazionale, con suoni che escono puliti senza essere troppo cristallini, in perfetta linea con il metal estremo suonato dalla band, un death metal classico di matrice statunitense, con l’ottima tecnica strumentale in evidenza, straordinario nella sua potenza distruttiva, e con una forma canzone che entusiasma.
Una mazzata metallica che equivale ad uno tsunami, con brani veloci, furiosi, pregni di malsana attitudine old school al servizio delle legioni del male, in un vortice di cambi di tempo, solos che strappano le carni come uncini appesi alle pareti di celle nella torre dove Satana guida i suoi demoni per la destabilizzazione totale del bene.
Con Gabriele Cruz che prende il posto di Enrico Romano alla seconda chitarra, i Lectern sono pronti a conquistare gli appassionati a colpi di death metal, con una serie di brani eccezionali (Palpation of Sacramentarian, l’oscura e devastante Distil Shambles e la title track sono di un’altra categoria), ed un secondo lavoro che riesce nella non facile impresa di superare il già ottimo debutto.
Oscuri, brutali e senza compromessi, i Lectern si confermano come una delle migliori realtà estreme nate sul nostro territorio.

TRACKLIST
1.Gergal Profaner
2.Palpation of Sacramentarian
3.Fluent Bilocation
4.Distil Shambles
5.Pellucid
6.Diptych of Perked Oblation
7.Garn for Debitors
8.Precept of Delator
9.Discorporation with Feral

LINE-UP
Fabio Bava- vocals, bass
Pietro Sabato- guitar
Gabriele Cruz- guitar
Marco Valentine- drums

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