Sangue – Culś

Culś è un mostro malvagio e millenario che fagocita terrore e lo rigetta sotto forma di metal estremo, la sua forza si rigenera nelle atmosfere soffocanti e morbose di luoghi dimenticati dal tempo: il sound che ne deriva è maligno e pesante, opprimente e soffocante come la polvere delle catacombe.

Debuttano sulla lunga distanza i romani Sangue con Culś, full length che mette ancora in evidenza l’ottima scena estrema capitolina.

Il quintetto, dopo un primo ep uscito un paio d’anni fa, torna dunque sul mercato con questo terrificante e devastante lavoro sulla lunga distanza a base di un death metal old school immerso nell’antica Etruria che dà vita ad una miscela esplosiva di metal estremo.
Con una produzione in linea con il sound catacombale, sfumature black si trascinano tra i corpi lasciati a marcire da millenni tra maledizioni e sacrifici, atmosfere soffocanti che avvolgono un impatto che non dà tregua, mentre a tratti mid tempo pesantissimi e dall’attitudine doom/black lasciano poco spazio alla luce (They Do Not Rest, Her Cold Breath).
Culś è un mostro malvagio e millenario che fagocita terrore e lo rigetta sotto forma di metal estremo, la sua forza si rigenera nelle atmosfere soffocanti e morbose di luoghi dimenticati dal tempo: il sound che ne deriva è maligno e pesante, opprimente e soffocante come la polvere delle catacombe.
Un debutto affascinante ed assolutamente fuori dai soliti cliché, anche se rivolto soprattutto agli amanti delle sonorità old school.

Tracklist
1.In the Church
2.They Do Not Rest (Clock of the Giants)
3.Eerie Murmuring / Infinity Abysmal
4.Interlude / Call of the Gorgon
5.Shifting into Necrocosmos
6.Her Cold Breath
7.Interlude / Tuchulcha
8.The Rite of Cosmic Void
9.When the Magus Whispers to the Skies

Line-up
Valerio Scissor – Guitars
Welt – Guitars
MeTa – Bass
Rector Stench – Drums
Mirko “Offender” Scarpa – Vocals

Elevators To The Grateful Sky – Nude

La band, in questo nuovo lavoro, torna alle sonorità che avevano caratterizzato il debutto, lasciando in parte lo spirito garage che aveva animato lo splendido Cape Yawn per un viaggio che dal deserto porta la band ancora una volta nelle strade della piovosa Seattle.

Sono passati cinque anni dal bellissimo debutto Cloud Eye e tre dal capolavoro Cape Yawn e il viaggio degli Elevators To The Grateful Sky nel rock degli ultimi trent’anni del secolo scorso continua con questo terzo album intitolato Nude.

Con un contratto nuovo di zecca con la label greca Sound-Effects Records, ed accompagnato dallo splendido artwork realizzato come sempre dal frontman Sandro di Girolamo, i rockers parlermitani tornano con un questi nuovi undici brani che confermano il loro status di spicco nella scena underground in ambito stoner/psych rock.
D’altronde i componenti della band hanno sempre dedicato il loro talento a più di un genere, passando con disinvoltura dal metal estremo al rock ed alle sue tante sfaccettature dimostrando di saper convincere sia come Elevators To The Grateful Sky che nelle altre incarnazioni Sergeant Hamster, Haemophagus, Undead Creep e Cavernicular, tanto per nominare quelle di cui nel tempo ci siamo occupati e che puntellano una delle scene più interessanti del nostro paese.
La band, in questo nuovo lavoro, torna alle sonorità che avevano caratterizzato il debutto, lasciando in parte lo spirito garage che aveva animato lo splendido Cape Yawn per un viaggio che dal deserto porta la band ancora una volta nelle strade della piovosa Seattle.
Ovviamente la parte psichedelica e stoner è ben presente nei vari brani che compongono Nude, con l’opener Addaura che come un trip sale, stonata e psichedelica e di matrice settantiana.
Il quartetto prepara il campo per quello che sarà l’album più vario scritto fino ad oggi, con una serie di ispirazioni ed atmosfere che vanno dagli anni sessanta ai novanta, trent’anni di rock e hard rock catapultati in un’opera che affascina e tiene incollati alle cuffie dalla prima all’ultima nota.
Beggars Can’t Be Choosers, Insects In Amber, lo stoner/doom di Flowerian, Song For July, In Your Hands (che ricorda non poco gli Alice In Chains), mostrano un gruppo dall’approccio più diretto rispetto al passato.
Manca in questo lavoro il brano da jam session come poteva essere la title track dell’album precedente, ma il suo fagocitare ispirazioni che vanno dai The Beatles agli Alice In Chains, dai Kyuss ai Nirvana, dai Black Sabbath ai Cathedral per restituirle sotto forma di un sound personale ed ormai riconoscibilissimo, contribuisce a rendere Nude un altro straordinario lavoro targato Elevators To The Grateful Sky.

Tracklist
1.Addaura
2.Beggars Can’t Be Choosers
3.Like A Seashell
4.Nude
5.Insects In Amber
6.Night’s Out
7.Flowerian
8.Drowned Dragness
9.Song For July
10.In Your Hands
11.The Trembling Watermoon

Line-up
Sandro di Girolamo – vocals and percussion
Giorgio Trombino – guitars, bass, alto saxophone, congas, keyboards, alternate lead vocals
Giuseppe Ferrara – rhythm guitars
Giulio Scavuzzo – drums, darbouka, tambourine, percussion and alternate lead vocals

ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – Facebook

Ruins Of The Past – Alchemy Of Sorrow: Gold

Ruins Of The Past è un progetto solista del musicista berlinese Tobias Jäpel la cui genesi risale agli inizi del decennio, anche se la prima uscita risale a due anni fa con il full length omonimo a cui fa seguito questo nuovo ep.

Alchemy Of Sorrow: Gold è un lavoro che conferma la buona predisposizione del nostro alla costruzione di un melodic death doom di una certa efficacia in virtù di un buon lavoro chitarristico del tutto funzionale alla causa.
Personalmente prediligo l’operato di Tobias quando i ritmi si rallentano ed il sound si fa più malinconico, un po’ per gusto personale ma soprattutto perché consente di uscire dagli schemi più prevedibili per quanto gradevoli del melodic death.
Il musicista tedesco fa tutto da solo e piuttosto bene e anche il growl, pur non essendo il massimo, è comunque apprezzabile.
Quale brano emblematico del lavoro scegliamo Rust, quello che è non solo il più lungo ma anche quello in cui le varie sfumature del sound meglio si amalgamano senza pendere in modo deciso verso l’una o l’altra componente.
Molto bella anche la più breve title track, che chiude l’ep all’insegna di un melodic death doom a tratti struggente, e convincente come del resto un po’ tutte le tracce.
L’operato di Jäpel dimostra come, senza inventarsi nulla di nuovo, ma immettendo competenza, passione e la giusta dose di talento sia possibile offrire nel migliore dei modi queste sonorità, lasciando intravedere un potenziale anche superiore rispetto a quanto già espresso in Alchemy Of Sorrow: Gold.

Tracklist:
1.Prelude
2.Gold (Alchemy of Sorrow – Pt. I)
3.Rust (Alchemy of Sorrow – Pt. II)
4.The Bitter Chalice
5.Alchemy of Sorrow

Line-up:
Tobias Jäpel – All instruments, Vocals, Lyrics

RUINS OF THE PAST – Facebook

Aether Void – Curse Of Life

Curse Of Life è composto da undici brani suonato e prodotto benissimo, ai quali dove non manca un pizzico di groove e un gran lavoro chitarristico, seguendo strade tracciate dai gruppi storici del genere senza perdere quella personalità che nei debutti può fare la differenza.

Nati dalle ceneri dei No Way Out un paio d’anni fa, debuttano per Revalve Records i modenesi Aether Void con Curse Of Life, album che si colloca in ambito heavy/power tra ispirazioni classiche ed input più moderni.

Curse Of Life è composto da undici brani suonato e prodotto benissimo, ai quali dove non manca un pizzico di groove e un gran lavoro chitarristico, seguendo strade tracciate dai gruppi storici del genere senza perdere quella personalità che nei debutti può fare la differenza.
Ed infatti gli Aether Void manipolano la materia con buona padronanza di mezzi, accostando l’heavy classico di matrice Iron Maiden era Blaze Bayley al power e al metal di scuola statunitense (Iced Earth, ultimi Metal Church) per un risultato più che positivo.
La band nostrana ha una marcia in più quando lascia libere le sei corde, sul pezzo quando partono per cavalcate metalliche tagliando l’aria con fendenti potenti e melodici (Twisted Maze).
L’atmosfera di tensione palpabile che accomuna le opere del genere rimane in primo piano anche quando gli Aether Void depotenziano l’impatto di quel tanto per consentire alla parte melodica del sound di uscire in tutta le sue sfumature drammatiche ed in crescendo suggestivi (One Last Dawn).
Bellissima Misleading Promises, brano maideniano che offre un sunto del credo musicale del gruppo risultando il picco di Curse Of Life, album consigliatissimo a chi ama il metal classico del nuovo millennio.

Tracklist
1.Walking Down The Path (Intro)
2.Golden Blood
3.What You Reap And Deserve
4.Twisted Maze
5.One Last Down
6.Hoax
7.Faithless Crusade
8.Misleading Promises
9.Death Wish
10.The Eternal City
11.Angels Die Too

Line-up
Thore – Vocals
Bond – Lead Guitar
Erik – Rhythm Guitar
Bruso – Bass
Albi – Drum

AETHER VOID – Facebook

Vain Vipers – Vain Vipers

Rock’n’roll melodico, graffiante a tratti emozionante nel far rivivere atmosfere che si erano perse davanti ai palchi del Whiskey a Go Go, del Viper Room, o del Rainbow in un’escalation di puro divertimento che non fa prigionieri, questo è Vain Vipers e quello che trasmettono le dieci tracce suonate da Mick, Wild, Scott e Aaron.

L’uscita in questo periodo del biopic sui leggendari Motley Crue ha riacceso qualche luce sul Sunset Boulevard e sulla scena glam/hair/street metal di Los Angeles, balzata gli onori della cronaca musicale a metà anni ottanta e diventata una delle scene più influenti della storia del metal/rock mondiale.

Siamo lontani anni luce dalle esagerazioni di una generazione di musicisti votati al rock’n’roll style, ma è pur vero che la fiamma ha continuato in questi anni a bruciare nell’underground e per i fans più attenti le sorprese non sono certo mancate.
I Vain Vipers per esempio sono una band italiana al debutto per la Volcano Records con questo buon album omonimo, ispirato dalle leggende della scena losangelina, composto da un lotto di belle canzoni e in grado di risvegliare antichi pruriti in chi ha vissuto da testimone lo spettacolo pirotecnico e non solo musicale offerto dagli eroi del Sunset.
Rock’n’roll melodico, graffiante a tratti emozionante nel far rivivere atmosfere che si erano perse davanti ai palchi del Whiskey a Go Go, del Viper Room, o del Rainbow in un’escalation di puro divertimento che non fa prigionieri, questo è Vain Vipers e quello che trasmettono le dieci tracce suonate da Mick, Wild, Scott e Aaron.
L’album ci mette un po’ ad ingranare, l’opener I Hate You risulta un crescendo di tensione che arriva ad esplodere lasciando che la musica ci travolga e non trovi più ostacoli.
E dalla successiva Bitch (Please Shot Up) si entra in un vortice creato dal rock’n’roll selvaggio, irriverente ed irresistibile delle varie Kissy Doll, Let’s Party, 80’s Whore e Rock’n’Roll, brani che saranno derivativi quanto si vuole, ma il piedino non smette di battere il tempo e i chorus entrano in testa al primo colpo.
Un buon lavoro per una band che sa come far divertire gli amanti del genere: i gruppi a cui sono legati i Vain Vipers mi sembra inutile nominarli, basta premere il tasto play e si torna idealmente a bere una birra sul Sunset Boulevard.

Tracklist
1. I Hate You
2. Bitch Please (Shut Up)
3. Kissy Doll |
4. Lost In Your Eyes
5. Let’s Party
6. Reach Me In The Dark Side |
7. 80’s Whore
8. Devil Is Waiting |
9. Rock‘n’Roll
10. Weeping

Line-up
Mick – Vocals
Wild – Guitars / Back Vocals
Scott – Bass Guitar/ Back Vocals
Aaron – Drums

VAIN VIPERS – Facebook Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)

Eva Can’t – Febbraio

Febbraio conferma appieno il valore degli Eva Can’t, la cui nuova veste assume contorni sempre più definiti, tali da non lasciare spazio a fraintendimenti riguardo al fatto che il percorso artistico di questa band bolognese sia sfociato in un sound a suo modo unico nel nostro panorama per stile e contenuti musicali e lirici.

Gravatum è stato in assoluto uno degli album cantati in italiano che, personalmente, ho più amato all’epoca della sua uscita, per cui riguardo a questa nuova produzione offerta dalla band guidata da Simone Lanzoni le aspettative erano notevoli.

Febbraio, ep contenente cinque brani per un totale di circa venticinque minuti di musica, vede un’ulteriore evoluzione verso una forma di cantautorato progressivo che ormai del metal degli esordi conserva solo poche ma ben inserite tracce.
L’intro strumentale Februus è ben più di quello che sovente è un semplice frammento volto a preparare il terreno al resto del lavoro, visto che il suo sviluppo consistente avvince ed avvolge fin da subito, rivelandosi l’ideale e non banale per premessa per l’episodio chiave Vermiglia, una canzone superba a livello lirico e musicale, con la quale Lanzoni sembra trarre linfa vitale dalla rinomata scuola cantautorale della sua Bologna, con il tutto ovviamente rivisto ed attualizzato con il background della band.
Di fronte ad un simile gioiello intriso di emotività, i restanti brani rischiano di venire offuscati ma questo non succede perché il livello di intensità del lavoro si mantiene elevatissimo, prima con Candele, in cui certi passaggi strumentali più evocativi quanto aspri rievocano nella parte conclusiva i migliori Primordial, poi con la title track, il cui avvio leggermente in sordina viene ampiamente compensato da una seconda parte nelle quale la chitarra solista si prende la scena e, infine, con il rock movimentato anche dal growl di Finale, degna chiusura di un lavoro di grande spessore.
Febbraio conferma appieno il valore degli Eva Can’t, la cui nuova veste assume contorni sempre più definiti, tali da non lasciare spazio a fraintendimenti riguardo al fatto che il percorso artistico di questa band bolognese sia sfociato in un sound a suo modo unico nel nostro panorama per stile e contenuti musicali e lirici.

Tracklist:
1. Februus
2. Vermiglia
3. Candele
4. Febbraio
5. Finale

Line-up:
Simone Lanzoni: guitars, vocals
Diego Molina: drums
Luigi Iacovitti: guitars
Andrea Maurizzi: bass

EVA CAN’T – Facebook

Locus Animae – Luna

La poetica del gruppo è quella di avanzare attraverso musica originale e di ispirazione neoclassica verso territori gotici ma anche di avanguardia.

I Locus Animae sono un gruppo proveniente da Novara, attivo dal 2012.

Inizialmente hanno cominciato come gruppo black metal, poi hanno sviluppato una poetica tutta loro, come si può sentire in maniera molto netta in questo nuovo ep, Luna. La poetica del gruppo è quella di avanzare attraverso musica originale e di ispirazione neoclassica verso territori gotici ma anche di avanguardia. La musica è delicata e sognante, ma anche possente e perentoria quando, con reminiscenze del black metal delle origini. Luna è la continuazione del ciclo cominciato con il precedente Prima Che Sorga Il Sole, che era un ottimo lavoro. Spicca l’azzeccato gioco fra la bellissima voce femminile di Vera Clinco dei Caelestis, che si completa benissimo con il cantato sia in chiaro che in growl di Gregory Sobrio. Il gruppo è tecnicamente di livello e porta molto in alto il pathos delle canzoni. Il sentire è gotico, forte di un sentimento anche mediterraneo che porta a vedere le cose in una maniera molto diversa dal gotico nordico, ad esempio. La presenza di un afflato neoclassico nella musica dei Locus Animae è molto forte ed è una delle colonne portanti del loro suono. Il cantare in italiano conferisce forse il vero valore aggiunto di questo gruppo, la metrica della nostra lingua si sposa benissimo con questo suono, e ne è la narrazione perfetta. Fin dalla prima canzone, L’Incanto Della Sirena, si capisce che non siamo al cospetto del solito combo di gothic metal, qui si va molto oltre: Luna parla di ricordi, tasselli della nostra vita che rimangono nel caleidoscopio di ciò che pensiamo di sapere. Stupisce la forza dirompente dell’album, la completezza del sound dove non c’è un cosa fuori posto, un’incongruenza, un qualcosa di sbagliato. Il sentimento è il motore primo di tutto, e i Locus Animae hanno un nome che è adattissimo alla loro musica, perché parla alla nostra anima. La comparsa di quando in quando nella musica del black metal attraverso intarsi molto preziosi è un ulteriore segno della bravura e della grandezza di questa band. La forma dell’ep è il giusto spazio per poter godere di queste composizioni così dolci e forti, che parlano di un mondo che possiamo vedere se abbandoniamo il delirio che ci viene proposto quotidianamente.

Tracklist
1.L’Incanto Della Sirena
2.Il Cantico Del Mai Nato
3.Crepuscolo
4.All’Imbrunire
5.Eclissi – Come La Terra Baciò La Luna

Line-up
Gregory Sobrio – Clean Vocals, Growl, Scream –
Nicolò Paracchini – Bass, Scream –
Brian Cara – Rhythm Guitar –
Emmanuele Iacono – Lead Guitar –

LOCUS ANIMAE – Facebook

Walls Of Babylon – The Dark Embrace

La Revalve rispolvera il primo album dei progsters Walls Of Babylon, lavoro uscito nel 2015 che metteva in mostra le ottime potenzialità del gruppo, poi confermate con il secondo A Portrait of Memories uscito lo scorso anno.

La Revalve rispolvera il primo album dei progsters Walls Of Babylon, lavoro uscito nel 2015 che metteva in mostra le ottime potenzialità del gruppo poi confermate sul secondo A Portrait of Memories uscito lo scorso anno.

Di prog metal si tratta, suonato ottimamente e dalle buone intuizioni compositive espresse già da The Dark Embrace, composto da nove brani inediti più la cover degli Stratovarius, Hunting High And Low.
La band mette sul piatto grande personalità ed una sagacia compositiva che rispecchia gran parte del metallo progressivo moderno: atmosfere tese, dal piglio drammatico, ritmiche possenti e valorizzate da perfetti cambi di tempo inseriti con gusto e senza strafare, melodie a cascata e refrain dal buon appeal.
Sin dall’opener Puppet Of Lie gli Walls Of Babylon ci vanno giù pesanti e la partenza risulta travolgente con l’aiuto delle seguenti The Defeat ed Alone.
Più power rispetto a quello che si ascolterà sul suo successore, The Dark Embrace ha nelle sue trame le ispirazioni che decretano il buon risultato qualitativo della musica suonata dai nostri, con la mente che vaga tra le opere di Evergrey e Dream Theater e quella furia power che lo fa più europeo.
Bene ha fatto la Revalve a riproporlo per chi ha apprezzato il gruppo marchigiano dall’ultimo album e che non potrà sicuramente fare a meno delle varie The Emperor e Revenge Of Morpheus, picchi di questa bellissima opera progressivamente metallica.

Tracklist
1.A Puppet of Lies
2.The Defeat
3.Alone
4.The Dark Embrace
5.Honor and Sorrow
6.The Emperor
7.A New Beginning
8.Revenge of Morpheus
9.A Warm Embrace
10.Hunting High And Low

Line-up
Valerio Gaoni- Vox
Fabiano Pietrini- Guitar
Francesco Pellegrini -Lead guitar
Matteo Carovana- Bass
Marco Barbarossa- Drums

WALLS OF BABYLON – Facebook

Julinko – Nèktar

Nèktar è un disco che ha molte letture e regala tantissimi spunti diversi, è uno di quei dischi che porta l’ascoltatore lontano, in una terra dove le leggi fisiche non sono le stesse, un sogno che chiede di mutare forma per essere capito in fondo, un disco di musica bellissima e psichedelicamente altro.

Etereo, esoterico, dolce, lancinante e additivo viaggio messo in musica in maniera davvero originale per questo terzo disco della creatura sonica chiamata Julinko, il primo in forma di terzetto.

La dea musicale che ha dato avvio al tutto è Giulia Parin Zecchin, cantante, chitarrista e visionaria che fonda il gruppo a Praga nel 2015 e per varie tappe arriva a concepire questo piccolo capolavoro in una discografia già ottima. Il disco possiede un suono che fa nascere un universo tutto suo, lo stile musicale ingloba molte cose, molti rimandi e tante cose che rendono speciale il tutto. Per prima cosa spicca la voce di Giulia, che altro non è che una bellissima connessione ad un qualcosa di superiore, che si può capire solo se legato alla musica degli altri componenti del gruppo, Carlo Veneziano alla batteria e synth e Francesco Cescato al basso. Nèktar è un distillato di riverberi, psichedelia profonda e di un’oscurità che piano piano si prende tutto. C’è un senso di sogno, di visione alchemica che prepara a qualcosa d’altro, un non stare mai fermi in un mondo che vive nel buio e scava nei simboli. Come altri pochi esempi, Giulia è una sciamana che suona per far nascere o rinascere qualcosa di antico che è in noi dormiente. L’ispirazione del disco le è venuta in un momento di conoscenza indotta da agenti esterni ed interni che ha fatto diventare il Nèktar del titolo un percorso a ritroso dalla morte ad una nuova vita. Giulia taglia carni con la sua voce e la sua chitarra, che è come una spada oppiacea che uccide e fa godere, il resto del gruppo la segue benissimo, in un percorso che non può essere lineare, ma che è anzi scosceso e difficile come tutti i percorsi iniziatici. La musica è dolce e sinuosa, pericolosa e bellissima come il canto di una sirena. Musicalmente si segue una certa tradizione italiana fortemente underground che ha sempre dato ottimi frutti, quella di un certo tipo di psichedelia rumorista e lisergica di alta qualità. Nèktar è un disco che ha molte letture e regala tantissimi spunti diversi, è uno di quei lavori che porta l’ascoltatore lontano, in una terra dove le leggi fisiche non sono le stesse. Un sogno che chiede di mutare forma per essere capito in fondo, un disco di musica bellissima e psichedelicamente altro.

Tracklist
1.Into the Flowing Stream Plunge Me Deep
2.Deadly Romance
3.Venus’Throat
4.Leonard
5.The Hunt
6.Spirit
7.Servo
8.Death and Orpheus
9.The Woods, the Wheel
10.Nèktar

Line-up
Giulia Parin Zecchin – Guitar and Voice
Carlo Veneziano – Drums and Synth
Francesco Cescato – Bass

JULINKO – Facebook

The Worst Horse – The Illusionist

Un lavoro riuscito ed estremamente godibile per gli amanti dei suoni stoner/groove metal.

Dall’immaginario horror e dai fumetti di Dylan Dog (l’indagatore dell’incubo) nasce il concept dietro a The Illusionist, primo lavoro su lunga distanza dei rockers milanesi The Worst Horse.

Il quartetto nasce per volere del cantante David Podestà e del chitarrista Omar Bosis , a cui si aggiungono in seguito il batterista Francesco Galimberti e recentemente il bassista Riccardo Crespi.
The Illusionist racconta di una società sempre più malvagia e crudele con i deboli, mentre l’indagatore dell’incubo e l’illusionista si danno battaglia tra le trame di molte delle canzoni che competano un lavoro di hard rock che si nutre di varie ispirazioni ed influenze.
Dal blues sporcato di stoner rock, al rock duro vero e proprio, dal rock’n’roll al southern metal paludoso e viscido della scena di New Orleans, The Illusionist non manca di prendere per il colletto e sbattervi contro il muro a colpi di rock che si potenzia di iniezioni groove metal.
Sono tre quarti d’ora intensi e sanguigni quelli offerti dal gruppo milanese, le chitarre sature, la voce graffiante e bagnata da Jack Daniels d’annata si riveste di blues mentre la caccia all’illusionista si fa intensa tra le note di Tricky Spooky, il rock blues di Circles, Leather Face, il rock’nroll di Grimorium e la conclusiva It.
Registrato con l’aiuto di Gabriel Pignata al basso (Destrage) e la chitarra di Luca Princiotta (Doro Pesch, Blaze Bayley), ospite in It, l’album risulta un lavoro riuscito ed estremamente godibile per gli amanti dei suoni stoner/groove metal.

Tracklist
01. Tricky Spooky
02. 313 Pesos
03. The Illusionist
04. Circles
05. Leather Face
06. Grimorium
07. XIII
08. Blind Halley
09. Elevator To Hell
10. It

Line-up
David Podestà – Vocals
Omar Bosis – Guitars
Francesco Galimberti – Drums
Riccardo Crespi – Bass

THE WORST HORSE – Facebook

Virginiana Miller – The Unreal Mccoy

Ci sono momenti alla Calexico, cose più vicine a gente come King Dude, lo spirito di un Elvis nettamente sconfitto e purtroppo ancora in vita, aperture che ricordano il più tenebroso american gothic, insomma un grande disco davvero pieno di angoli e di chilometri da fare senza meta.

Dopo sei anni di assenza tornano i livornesi Virginiana Miller, gruppo tra i padri fondatori dell’ indie in Italia che ha sempre fatto cose interessanti, anche se sono cambiate molte cose in sei anni.

Innanzitutto non hanno più nulla da dirci in italiano, come hanno affermato loro, e allora cantano in inglese. E nella lingua di oltremanica ci raccontano come immaginano l’America vista da Torino, senza muoversi da casa, usando testimonianze e quell’immenso immaginario che ha prodotto la terra americana in questi anni. In pratica si potrebbero considerare gli Stati Uniti come uno sconfinato produttore di sogni, incubi, racconti ed immagini. Tutti noi ci siamo abbeverati, e tuttora lo facciamo, ma i Virginiana Miller vanno oltre e lo raccontano attraverso nove tracce di bellissimo indie rock, con la voce di Simone Lenzi che in inglese è ancora più incisiva che in italiano, e non era facile. Il disco è un concentrato di pop rock composto e suonato ad un livello superiore, unendo musicalmente Inghilterra, Italia e Usa, in un qualcosa di molto originale, in linea con la produzione precedente e andando oltre, da grande gruppo. Se l’ascoltatore non lo sapesse, potrebbe pensare che questo disco sia di un gruppo americano, e ciò per le atmosfere, la languida sensualità dell’unione fra parole e musica, e quei racconti di polvere e merda che poi è l’America vera, quella che non si vede ma decisamente maggioritaria rispetto a quella che appare sui nostri schermi. Difficile sbarcare il lunario là, nonostante i tanti proclami di un’America che tornerà ancora grande, forse l’America è morta o forse è solo un luogo della mente, e l’unica maniera per raccontarla è quella dei Virginiana Miller. Tornando a loro, con questo lavoro dopo una lunga pausa, confermano d’essere uno dei migliori gruppi italiani, nel senso che riescono ad andare oltre le loro gloriosa storia per fare un qualcosa di dirompente e davvero nuovo. Ci sono momenti alla Calexico, cose più vicine a gente come King Dude, lo spirito di un Elvis nettamente sconfitto e purtroppo ancora in vita, aperture che ricordano il più tenebroso american gothic, insomma un grande disco davvero pieno di angoli e di chilometri da fare senza meta. I Virginiana Miller potevano fare un disco più confortevole e facile, mentre qui raccontano usando codici nuovi per loro, e dimostrando che possono fare ciò che vogliono sempre con ottimi risultati. Un grande ritorno, ma in realtà non se ne sono mai andati, siete voi che avete la fregola di avere un disco all’anno come minimo, questo è artigianato musicale.
” The sky is clear / We feel safe / In the fallout shelter / God is strong / No communists around ”

Tracklist
01. The Unreal McCoy
02. Lovesong
03. Old Baller
04. Motorhomes Of America
05. Christmas 1933
06. The End Of Innocence
07. Soldiers On Leave
08. Toast The Asteroid
09.Albuquerque

Line-up
Antonio Bardi: Electric and acoustic guitar
Daniele Catalucci: Bass, backing and harmony vocals
Giulio Pomponi: Acoustic and electric piano, synth, farfisa, keyboards
Matteo Pastorelli: Electric, acoustic and steel guitar, Synth, Mini theremin
Simone Lenzi: lead vocals
Valerio Griselli: drums

Ale Bavo: synth on The unreal McCoy
Ada Doria, Daniela Bulleri: harmony vocals on The unreal McCoy
Andrea “Ciro” Ferraro: harmony vocals on Soldiers on leave
Matteo Scarpettini: percussions on Old baller, Motorhomes of America, Christmas 1933, The end of innocence, Soldiers on leave, Toast the asteroid, Albuquerque

VIRGINIANA MILLER – Facebook

Freddy Delirio And The Phantoms – The Cross

Come in una colonna sonora di un film fantasy/gothic/horror anni ottanta, Freddy Delirio ci prende per mano e ci conduce in un mondo parallelo, in cui fantasmi e spiriti si muovono attraverso il tempo in una loro dimensione ancestrale.

Uno dei musicisti più importanti della scena rock/progressive e metal tricolore, storico tastierista dei leggendari Death SS e protagonista di molti altri progetti che lo hanno visto coinvolto, torna con un nuovo album di inediti.

Federico Pedichini, conosciuto come Freddy Delirio, tramite la label genovese Black Widow licenzia The Cross, cinquanta minuti di ottima musica rock divisa in undici capitoli sotto il monicker Freddy Delirio And The Phantoms.
Come in una colonna sonora di un film fantasy/gothic/horror anni ottanta, il musicista toscano ci prende per mano e ci conduce in un mondo parallelo, in cui fantasmi e spiriti si muovono attraverso il tempo in una loro dimensione ancestrale.
Dall’opener Frozen Planets in poi questo scrigno di musica senza tempo si apre davanti a noi: le ritmiche sono da subito grintose, e l’aura metallica del brano potrebbe ingannare l’ascoltatore, caricato di energia hard & heavy anche dal secondo brano, la splendida Guardian Angel.
Ma le porte del castello posseduto si aprono con Inside The Castle, primo capolavoro di questo lavoro, un brano orchestrato su atmosfere space/horror e valorizzato da un assolo di chitarra da brividi.
Con The Circles si entra nel cuore dell’opera, un brano horror che con il successivo In The Fog disegna paesaggi grigi di bruma, illuminati dagli occhi glaciali delle fiere nascoste tra i cespugli.
L’atmosfera di The Cross, anche grazie al superbo lavoro di Delirio alle tastiere e ad assoli chitarristici che sprizzano melodie heavy come sangue da un’arteria tagliata, alterna momenti di tensione altissima con passaggi più liquidi che si avvicinano alla new wave, per poi esplodere in cavalcate prog metal (Afterlife) o dark rock (In The Forest).
La conclusiva The Ancient Monastery è anche il brano più lungo dell’album, con il quale la band si congeda con un doom/dark/rock di scuola italiana, tradizione musicale di cui è pregno The Cross, album da avere a prescindere dai generi a cui si ispira.

Tracklist
01. Frozen Planets
02. Guardian Angel
03. Inside The Castle
04. The Circles
05. In The Fog
06. The New Order
07. Afterlife
08. In The Forest
09. Liquid Neon
10. Cold Areas
11. The Ancient Monastery

Line-up
Freddy Delirio: Vocals, keyboards, guitars, bass and drums

Special guests:
Vincent Phibes: Guitar solos and clean guitars on “In the fog”, “Cold areas” and “The ancient monastery”
Francis Thorn: Guitar solos and additional guitars on “Frozen planets”, “Guardian angel”, “Liquid neon” and “In the forest”
Lucky Balsamo: Guitar solos on “Inside the castle”, “The new order” and “The circles”
Jennifer Tavares Silveira: Female vocals
Elenaq: Female vocals
Steve Sylvester: Vocal chorus on “The new order”
Francesco Noli: Drums
Chris Delirio: Percussion

FREDDY DELIRIO – Facebook

Inner Shrine – Heroes

Heroes è un lavoro relativamente breve che gode di un’elegante levità nel suo scorrere dai tratti quasi cinematografici: l’operato del duo toscano si rivela in ogni frangente fresco ed evocativo, grazie anche ad una notevole scorrevolezza che compensa l’assenza, di fatto, di una forma canzone vera e propria.

Gli Inner Shrine sono stati una delle prime band che in Italia negli anni novanta fu in grado di accogliere le tendenze gothic doom provenienti dall’Inghilterra, per poi cercare di rielaborarle in senso operistico con l’utilizzo di più voci femminili.

In tal senso, pur nel suo apparire piuttosto acerbo al momento dell’uscita, Nocturnal Rhymes Entangled in Silence, datato 1997, è tutt’oggi da considerarsi uno degli album più importanti del genere pubblicato dalle nostre parti.
La carriera del gruppo fiorentino è stata un po’ frammentaria ma Luca Lotti, assieme al compagno della prima ora Luca Moretti, nel nuovo decennio ha ridato slancio all’attività degli Inner Shrine, prima con l’uscita di Mediceo (2010) e Pulsar (2013) e poi di questo Heroes.
Rispetto a vent’anni fa il sound ha perso oggi parte della sua asprezza per evolversi in un bellissimo metal atmosferico dalla natura per lo più strumentale dato che, salvo sporadici interventi vocali maschili, c’è un ricorso molto efficace a vocalizzi femminili di stampo operistico che in pratica assumono il ruolo di un vero e proprio strumento.
Le ariose aperture melodiche e le solenni partiture che delineano il lavoro, più che assomigliare ai modelli del gothic doom più noti, si avvicinano maggiormente ad entità particolari dello scorso secolo come gli Elend o Malleus, il tutto in una versione molto meno classica da un lato e meno intrisa di elementi dark esoterici dall’altro.
Heroes è un lavoro relativamente breve che gode di un’elegante levità nel suo scorrere dai tratti quasi cinematografici: l’operato del duo toscano si rivela in ogni frangente fresco ed evocativo, grazie anche ad una notevole scorrevolezza che compensa l’assenza, di fatto, di una forma canzone vera e propria, l’unico aspetto del lavoro che potrebbe lasciare perplesso qualcuno (penso ben pochi, però).
La rielaborazione posta in chiusura del brano Cum Gloria, originariamente presente in Mediceum, vale a rendere piuttosto evidente come il sound degli Inner Shrine si sia evoluto in qualcosa di più etereo ma pur sempre affascinante, perché l’apoteosi sinfonico atmosferica di tracce come Ode of Heroes o Gaugamela o l’incedere più dolente e malinconico di Doom e Sakura, producono un carico emotivo a tratti esaltante e così diretto che già al primo ascolto si viene avvolti in maniera inevitabile da questo magnifico lavoro, ennesima dimostrazione di come in Italia non si è secondi a nessuno quando si tratta di proporre sonorità che fondono la tradizione classica con il metal.

Tracklist:
1. Donum (Intro)
2. Akhai
3. Ode of Heroes
4. Doom
5. Firebringer
6. Guagamela
7. Sakura (Metal Version)
8. Cum Gloria (Extended Version)

Line-up:
Luca Liotti
Leonardo Moretti

INNER SHRINE – Facebook

Wrong Way To Die – Wild And Lost

Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene.

I Wrong Way To Die sono un gruppo padovano di hardcore melodico ma c’è molto di più.

Nati nel 2011, hanno debuttato sulla lunga distanza nel 2014 con Ingrates, per Redfield Digital, e hanno condiviso il palco con gruppi dal grande seguito come Texas In July e Being As An Ocean. La band si autodefinisce melodic hardcore, ma la sua musica va ben oltre questo genere , regalando molte emozioni che è poi la cosa più importante. I Wrong Way To Die sono un gruppo di talento e passione, all’interno di ogni canzone riescono sempre a trovare le soluzioni adeguate, e soprattutto allargano l’orizzonte di questo suono, rompendo i soffitti e facendoci intravedere il cielo. Nella loro musica si può sentire una linea melodica in comune con gruppi come i Deftones, quelle scalate melodiche che rimettono a posto il cervello e lo stomaco di chi ascolta. Ci sono tantissimi stop and go, tutti bellissimi e coerenti, e anche le parti maggiormente post hardcore sono molto belle. Se si volesse dare una definizione del loro suono, definizione per forza riduttiva perché è sempre la musica ed il gusto personale a comandare, si potrebbe azzardare un post hardcore progressive, perché ci sono cose in questo gruppo che vanno oltre le definizioni esistenti. I Wrong Way To Die non inventano nulla, ma lo fanno in maniera molto originale e coinvolgente, con un disco che ha una grande freschezza e al contempo un grande calore che ti avvolge e ti fa stare bene, senza contare che la resa dal vivo deve essere devastante. Uno degli indicatori della bontà di un album è quello di far premere nuovamente il tasto play alla fine dell’ascolto, e con Wild And Lost lo si fa più e più volte, perché c’è una luce particolare in questo disco, come in certe mattine nelle quali sembra che tutto l’universo possa volerti almeno un po’ di bene. Si sente molto chiaramente che il gruppo ha ascoltato e studiato molto e, mi spiace dirlo, ma se fossimo ad altre latitudini avrebbe ben altro seguito. Un disco che cerca dentro e fuori di noi alcune risposte, che sono già messe in musica proprio qui.

Tracklist
1. Orbit
2. Aimless
3. Reformed
4. Eternal
5. Fall Apart
6. The Most You Can Lose
7. The End / To Begin
8. The Glass I

Line-up
Federico Mozzo – Guitars
Vittorio Rispo – Bass
Marco Violato – Drums
Pham The Cosma Hai – Vocals

WRONG WAY TO DIE – Facebook

Kraanston – Northern Influence

Si prova un gusto decisamente differente rispetto al gruppo sludge medio, anche se definire i Kraanston sludge è un arrotondare per difetto, dato che sono difficilmente classificabili, o meglio sono i Kraanston punto e basta.

Da Torino arrivano i Kraanston, al debutto sulla lunga distanza dopo l’ep Dead Eyes del 2016.

La loro proposta è uno sludge molto particolare, potente, distorto e che esplora anche altri sottogeneri del metal come thrash e groove metal, confezionando un disco non comune e molto interessante. Non poteva essere altrimenti con in formazione due musicisti come Fabio Insalaco degli Homicide Hagridden e Andrea Bonamigo dei The Selfish Cales, due gruppi musicali assai diversi, ma entrambi eccellenti nei loro campi. Northern Influence è un disco che non cerca mai la soluzione ovvia, ma lavora attraverso distorsioni e una imponente sezione ritmica per devastare tutto. La via anglosassone allo sludge ha influenzato molto i nostri, anche se la loro proposta è originale, dato che il suono dei Kraanston è metal nella sua essenza e nella sua manifestazione. Il disco regala belle sensazione a chi ama la musica pesante fatta con passione e concretezza, e saranno particolarmente soddisfatti gli amanti di sfuriate distorte e con la batteria incombente. Il gruppo è un trio molto ben assortito e capace di funzionare al meglio, esprimendosi in momenti più lenti o anche più veloci, sempre pesanti e potenti. Si prova un gusto decisamente differente rispetto alla band sludge media, anche se definire i Kraanston sludge è un arrotondare per difetto, dato che sono difficilmente classificabili, o meglio sono i Kraanston punto e basta. La formazione di questi musicisti è solida come i loro ascolti, tutto è eseguito al meglio, in perfetta comunione con la produzione. Non manca nemmeno la melodia declinata in maniera diversa, che contribuisce ad attirare l’attenzione dell’ascoltatore verso questo magma sonoro. Northern Influence riserva anche parecchie sorprese, certi pezzi dopo vari minuti cambiano registro e sono la migliore testimonianza della bravura compositiva ed esecutiva di questo gruppo. Un disco in tutto e per tutto underground che meriterebbe molto e speriamo lo riceva, anche se lo scopo principale è quello di fare male, tanto male.

Tracklist
1.UVB-76
2.An Unknown Hero
3.Tunguska (free)
4.Planet 4
5.Noril’sk
6.Cargo Cult
7.Kraanston

Line-up
Fabio Insalaco – Guitar / Vocals
Andrea Bonamigo – Bass / Vocals
Stefano Moda – Drums

KRAANSTON – Facebook

Flashback Of Anger – Shades

I Flashback Of Anger sono la band dal sound più tedesco che mi sia capitato di ascoltare in questo ultimo periodo tra quelle battente bandiera tricolore, e hanno dato vita ad un’opera imperdibile per gli amanti dei suoni melodic power.

Terzo album per i Flashback Of Anger, band toscana attiva dal 2003 e sotto contratto per una label tedesca che di questi suoni se ne intende, la IceWarrior Records.

L’album, uscito a dicembre dello scorso anno, si intitola Shades ed arriva a confermare l’ottima forma della scena power/progressive tricolore e la bravura del quartetto, protagonista di un lavoro piacevole e ricco di melodie dall’appeal altissimo.
Guidato dal singer Alessio Gori, anche tastierista e quinto importante elemento dei Gamma Ray di Kay Hansen nell’Hellish Rock Tour 2007/08, il gruppo dà alle stampe un album che non conosce battute d’arresto, ispirato ovviamente dalle icone del genere, ma con una sua forte connotazione.
Non stiamo parlando di una band alle prime armi, i Flashback Of Anger hanno esperienza da vendere, sia musicale che di vita e si riflette su di un sound potente e melodico, perfetto nel bilanciare la possente carica del power metal a sfumature pregne di raffinati passaggi e refrain che ricordano l’hard rock melodico ed il prog metal, anche se in generale l’atmosfera dei brani rimane ben salda nel miglior power metal della scuola di Amburgo. Pur non allontanandosi dalle coordinate stilistiche di Edguy, Helloween e Gamma Ray, i Flashback Of Anger convincono per un talento melodico sopra la media e, partendo dall’opener Ripped Off e passando per Numbers e Band Of Brothers non c’è nota che non abbia un forte appeal su chi ascolta.
I Flashback Of Anger sono la band dal sound più tedesco che mi sia capitato di ascoltare in questo ultimo periodo tra quelle battente bandiera tricolore, e hanno dato vita ad un’opera imperdibile per gli amanti dei suoni melodic power.

Tracklist
1.Ripped Off
2.Numbers
3.Loaded Guns in Guitar Cases
4.Band of brothers
5.Holdout
6.Edge of dreams
7.Dawn of life
8.Lonely Road
9.Tropical Paradise
10.Marvels of the World

Line-up
Alessio Gori – Voice, Keyboards
Gianmarco Lotti – Guitars
Marco Moroni – Bass
Lorenzo Innocenti – Drums

FLASHBACK OF ANGER – Facebook

Alive – Lookin’ For A Future

Una decina di brani che non deludono per chi il genere lo ama a dispetto dei tanti anni passati, delle mode e di una vita trascorsa nell’underground in attesa che i riflettori si riaccendano e che si torni a ruggire come ai tempi d’oro di Motley Crue, Extreme e Mr.Big.

La Volcano Records licenzia in poco tempo due ottimi lavori che ripercorrono le strade di quel metal/rock che fece sprigionare delle autentiche eruzioni rock’n’roll dalle strade della Los Angels anni ottanta.

Vain Vipers ed Alive sono due facce della stessa medaglia, simili ma allo stesso tempo differenti nell’ispirarsi alla scena di metà anni ottanta: più glam i primi, duri come l’acciaio i rockers romani, debuttanti per la label napoletana con questo Lookin’ For A Future.
Hard & heavy dunque, tagliente come le lame di un rasoio, pregno di ovvia attitudine rock’n’roll e perfetto nel saper unire grezzo rock duro e melodie ruffiane che farebbero tremare le gambe ad un orco.
I cinque musicisti della capitale ci vanno giù duro, ci invitano al loro party tra chitarre dall’attitudine metallica e sfumature che richiamano il rock americano di matrice hard blues in un contesto heavy, valorizzato dal grande e sagace uso delle melodie.
Ballad come Stand Up o la conclusiva In My Night ci ricordano che il genere non è solo fuoco e fiamme, mentre le varie Hated If, I Don’t Follow e Our last Time regalano chorus orecchiabili, in un contesto hard & heavy.
Una decina di brani che non deludono per chi il genere lo ama a dispetto dei tanti anni passati, delle mode e di una vita trascorsa nell’underground in attesa che i riflettori si riaccendano e che si torni a ruggire come ai tempi d’oro di Motley Crue, Extreme e Mr.Big.

Tracklist
1.Hated If
2.Don’t Follow
3.Money&Control
4.Leave Me
5.Stand Up
6.Lookin’ For a Future
7.Our Last Time
8.Stay Around
9.N0
10.In My Nights

Line-up
Marco Patrocchi – Vocals
Giuseppe Ricciolino – Guitars
Mattia Tibuzzi – Bass
Dario Di Pasquale – Drums
Simone Aversano – Guitars

ALIVE – Facebook

Former Friends – Late Blossom

In Late Blossom c’è tutto ciò che potrebbe essere l’indie alternative in Italia se fatto con umiltà e talento, con uno sguardo deciso oltre i nostri confini, tenendo ben presente cosa sia la nostra tradizione.

Freschezza, potenza e un gran bell’intuito per melodie e ritornelli irresistibili.

I Former Friends sono un giovane gruppo di Cosenza, non si inventano nulla di nuovo ma lo fanno a modo loro e ciò è già molto importante. I nostri hanno un inizio di carriera molto inusuale, dato che la loro prima uscita è Friends For A Week, un ep che ha marcato un confine netto fra ciò che erano e ciò che sono e saranno. A seguito di questo ep esce un disco di loro brani rivisti e suonati dal vivo in saletta per The Garage Session, Behind Closed Doors. I Former Friends vibrano, sono uno di quei gruppi che quando si allineano tutti come se fossero dei pianeti le cose esplodono e vanno benissimo. Questi ragazzi hanno un grandissimo intuito per fare musica e lo si sente subito, la materia indie nelle loro mani scorre molto bene. Il tiro è notevole, e i riferimenti li troviamo nella scuola inglese degli ultimi anni, con una spruzzata di suoni a stelle e strisce. In Late Blossom c’è tutto ciò che potrebbe essere l’indie alternative in Italia se fatto con umiltà e talento, con uno sguardo deciso oltre i nostri confini, tenendo ben presente cosa sia la nostra tradizione. Un disco come questo è difficile da ignorare, ci sono dei difetti, ma le potenzialità della band sono davvero tante e quello che si sente qui è qualcosa che non si ascolta con facilità, perché l’incedere è profondo, si cambia spesso registro e le cose non sono mai quello che sembrano. Un difetto è la produzione troppo piatta, in quanto con suoni più potenti questi ragazzi farebbero piangere i nostri amplificatori, ma è solo un particolare. Il passaggio più arduo per i Former Friends, dopo un disco come questo, sarà continuare andando avanti con gli anni, perché questo disco ha una forte spinta derivante dalla loro giovane età per cui vediamo come andrà. Nel frattempo, nel qui ed ora va molto bene.

Line-up
Andrea Alberti
Marco Pucci
Luca Parise
Lorenzo Gagliardi

FORMER FRIENDS – Facebook

A Day In Venice – III

Si parte dal post rock, ma non c’è solo quello, si va molto oltre, tenendo sempre come punto di partenza una melodia ed una dolcezza, carezze sotto la pioggia.

Terzo disco per il progetto post rock ed altro del chitarrista triestino Andrej Kralj, che lo ha iniziato nel 2013.

A Day In Venice è un concentrato di calma e tenebrosa bellezza, dal clima carico di sentimento e presentimento, per un’esperienza sonora originale ed inedita in Italia. Si parte dal post rock, ma non c’è solo quello, si va molto oltre, tenendo sempre come punto di partenza una melodia ed una dolcezza, carezze sotto la pioggia. Andrej suona tutti gli strumenti e il tutto è molto ben strutturato, dato che fornisce alla sua musica una veste molto particolare, non scadendo mai nell’ovvio, mentre troviamo alla voce Paolo Brembi, che arricchisce notevolmente i brani. Dentro a questo dolce disco troviamo anche tanto emo, nella sua accezione anni novanta, quando era un qualcosa di indie e di melodico che si fondeva con altri generi. Non c’è fretta qui, le ferite hanno tutto il tempo per cicatrizzarsi, e navigando dentro al nostro mare burrascoso abbiamo un porto chiamato A Day In Venice dove fermarci. In ogni canzone troviamo qualcosa di notevole, siano essi passaggi ben concatenati o più per esteso il sentire generale. Sottovalutare questo album sarebbe un grosso errore, soprattutto per le emozioni che provoca a chi ama la musica non convenzionale, e soprattutto quella che induce ad esprimere ciò che proviamo. I riferimenti sono sicuramente tanti, ma su tutti direi che i Radiohead hanno lasciato un’impronta indelebile su alcuni cuori che poi si sono messi a fare musica. Guardare il mare e le sue onde insieme a qualcun altro, sapendo che un appoggio c’è sempre: III riporta l’attenzione su noi stessi e su chi ci circonda, e questo disco potrebbe essere il vostro migliore amico.

Tracklist
1. Dark electricity
2. Walls of madness
3. Tunnel of ashy lights
4. Her body rocks
5. Prison is a red sky
6. I am nowhere in time
7. The golden stone
8. Temple of the dog
9. Far

Line-up
Andrej Kralj
Paolo Brembi

A DAY UN VENICE – Facebook