Gravesite – Horrifying Nightmares …

Senza un brano sotto la media, “Horrifying Nightmares …” sembra uscito davvero dalle orde barbariche che ci investirono nei primi anni novanta: parlare di influenze è superfluo, ascoltatelo.

Supergruppo estremo tutto italiano? E perchè no?

D’altronde, a ben vedere il curriculum dei musicisti impegnati in questa band c’è da stropicciarsi gli occhi: David, batterista di almeno tre gruppi esagerati come Haemophagus, Morbo ed ex Sergeant Hamster, Gioele axeman di Haemophagus e Repulsione, oltre a Claudio (basso) e Gabri (voce) a dare il loro contributo ad una miriade di band tra cui Ancient Cult, Bland Vargar, Nagasaki Nightmare il primo e Black Temple Below, Cancer Spreading, Terror Firmer il secondo.
Nati lo scorso anno, i Gravesite hanno all’attivo un demo, “Obsessed by the Macabre”, prima che il full lenght d’esordio irrompa sulla scena underground sotto l’ala della Xtreem Music, che di lavori old school se ne intende, e ci massacrino sotto le bordate death metal del loro devastante Horrifying Nightmares …
Album che si rifà alla tradizione del death metal classico, il lavoro del gruppo emiliano travolge l’ascoltatore che, ad un primo disattento approcciarsi al disco, potrebbe pensare di trovarsi al cospetto di una delle band storiche del nostro genere preferito, direttamente dai primi ’90, tanto è perfetto a livello di sound, composto da tutti gli ingredienti che hanno fatto storia nella musica estrema.
Tanto death nord europeo, ed una spruzzata di sound made in Bay Area, fanno di Horrifying Nightmares … un ascolto obbligato per tutti i deathsters dagli ascolti old school, sparsi per lo stivale e non solo.
Atmosfera orrorifica già dalla stupenda copertina retrò, partenze a razzo per le vie di un massacro senza soluzione di continuità e brusche frenate doom/death, sono le virtù principali di un lavoro pregno di impatto non solo death, visto che la band ci tiene a sottolineare un’orgogliosa attitudine punk che aiuta non poco l’aggressività e la voglia della band di non scendere a compromessi.
Ottimo il lavoro dei musicisti e non potrebbe essere altrimenti, iniziando dal bestiale orco al microfono, per passare al gran lavoro della sei corde (Gioele è una garanzia di qualità) esaltato da una sezione ritmica da orgia infernale.
Senza un brano sotto la media, Horrifying Nightmares … sembra uscito davvero dalle orde barbariche che ci investirono nei primi anni novanta: parlare di influenze è superfluo, ascoltatelo.

Tracklist:
1. Intro / Anguished Sheep
2. Submerged in Vomit
3. Horrifying Nightmares of Flesh and Blood
4. I Want to Rot
5. The Painter of Agonies
6. Where Mortals Fear to Thread
7. Curse of the Red Moon
8. Worship Death in All Its Forms
9. Suscipe Mortem

Line-up:
Claudio – Bass
David – Drums
Gioele – Guitars
Gabri – Vocals

GRAVESITE – Facebook

Black Capricorn / Bretus – 7″ Split

Un sette pollici che regala enorme piacere e che fa vedere la bontà della scena italiana in quanto a musica oscura e pesante.

Semplicemente due tra le migliori band di musica pesante in Italia uniscono le loro forze e ci presentano una coppia di inediti davvero ottimi.

Sul lato A di questo sette pollici, stampato in trecento copie dalla The Arcane Tapes, ci sono i Bretus, macchine calabresi di sonorità doom classiche, con grandi composizioni che arieggiano la disperazione e il cantato davvero fuori dal comune dei Candlemass, ma oggi sono meglio di questi ultimi. La canzone si ispira ad un racconto dalle stesso titolo molto importante nella produzione lovecraftiana, ed è un ulteriore invito a leggere il Maestro.
Sul lato B le bestie di Satana sarde Black Capricorn, che si sono rivelati nel 2014 con “The Cult of Balck Friars” come uno dei migliori gruppi nel genere doom versante occulto. Le loro abrasioni sonore sono fuori dal comune e questo inedito li conferma come un gruppo che può suonare quello che vuole. The Hound of Harbinger God  è un pezzo di quasi nove minuti ipnotico ed iniziatore, basta seguirlo ed andarci dietro, non cercando la luce in questa bellissima oscurità.
Un sette pollici che regala enorme piacere e che fa vedere la bontà della scena italiana in quanto a musica oscura e pesante.
Una chicca.

Tracklist:
Lato A Bretus – The Haunter Of The Dark
Lato B Black Capricorn – The Hound of Harbinger God

Line-up:
Bretus
Zagarus – vocals
Ghenes – bass
Faunus – guitars
Striges – drums

Black Capricorn
Fabrizio “kjxu” Monni – guitars, vocals, 2nd guitar solo
Daniele Manca – guitars, 1st guitar solo
Virginia Piras – bass
Rachela Piras: drums

BRETUS – Facebook

BLACK CAPRICORN – Facebook

Lectern – Fratricidal Concelebration

Per gli amanti del death metal americano questo album è un oggetto da mettere vicino, con orgoglio, alle opere dei nomi storici del genere.

Un dinamitardo album di death metal tecnico, feroce e old school, direttamente dagli states dei primi anni novanta.

No , questo assalto sonoro dal titolo Fratricidal Concelebration fa molta meno strada per arrivare a noi, sia in margini di tempo che di chilometri percorsi: infatti la band protagonista di cotanto massacro è romana e l’album datato 2015.
I Lectern provengono quindi dalla capitale, una vita nell’underground metallico ed ora finalmente giunge il momento di dare alle stampe l’agognato debutto che risulta un autentico e devastante tributo al death metal americano, prodotto benissimo e suonato ancora meglio.
Mezz’ora basta e avanza al combo per mettere tutti d’accordo, qui si fa death con palle che sono mastodontiche sfere d’acciaio, risultando un brutale assalto sonoro, un’aggressione senza pietà resa superba da una tecnica invidiabile.
Velocità, pesantezza, virtuosismi ritmici formidabili ed un growl belluino, fanno di Fractricidal Concelebration un tributo al re dei generi estremi, qui assolutamente nobilitato da un songwriting in stato di grazia ed un’attitudine da top band del genere.
Prodotto da Giuseppe Orlando nei The Other Sound Studios, l’album letteralmente spacca, la band non concede un attimo di tregua, il loro death che, a tratti, si avvicina al brutal, è un perfetto esempio di come si può essere estremi e tecnici senza finire nel caos senza costrutto.
Fratricidal Concelebration è composto da canzoni che si dimostrano una più feroce dell’altra, una più brutale e devastante dell’altra, una più bella dell’altra.
Sedici anni sono passati dalla nascita dei Lectern, una vita se si pensa a come il mondo della musica, anche estrema, sforna gruppi e dischi come panini dal fornaio sotto casa, eppure mai attesa fu meglio premiata, così che la band romana si guadagna un posto d’onore tra le top band del panorama estremo, non solo nazionale.
Per gli amanti del death metal americano questo album è un oggetto da mettere vicino, con orgoglio, alle opere dei nomi storici del genere.

Tracklist:
1. Fratricidal Concelebration
2. Labial of Inveigher
3. Genuflect for Baptismal Transubstantiation
4. Falsifier Bribed in Desanctification
5. Pulpit of Tormentation
6. Lordless
7. Deign of Ceremonier
8. Golgothanean
9. Libidinal Tabernacles

Line-up:
Fabio Bava – vocals, bass
Enrico Romano – guitars
Marco Valentine – drums
Pietro Sabato – guitars

LECTERN – Facebook

Black Inside – A Possession Story

Passato, presente e futuro dell’heavy metal passano da album come questo bellissimo “A Possession Story” dei nostrani Black Inside.

Questo bellissimo album mi da lo spunto per fare una considerazione sull’attuale stato di salute dell’heavy metal nel nostro paese: chiaro che, se prendiamo come punto di riferimento e paragone gli anni d’oro (decennio ottantiano), a livello di popolarità non c’è confronto, quelli erano tempi in cui il metal era normalmente in classifica e le band storiche, aiutate da ogni tipo di media, potevano contare addirittura su articoli apparsi su quotidiani e settimanali non proprio di settore (qualcuno si ricorda i Maiden su Sorrisi e Canzoni TV … ?).

I tempi sono cambiati, le tv sono sempre meno libere e chi avrebbe la possibilità di dare una mano al metal, continua a far girare un certo tipo di rock più impegnato politicamente, lasciando al genere, a mio parere il più anarchico di tutti, le briciole.
Peccato, anche perché mai come in questo periodo il metal gode di ottima salute, rigenerato da etichette che non mollano, alla faccia della crisi, ed immettono sul mercato gioielli di musica dura che, aldilà delle influenze più o meno riscontrabili, riescono nella non facile impresa di piacere, travolgere, emozionare.
A distanza di pochissimo tempo dal bellissimo album dei Negacy, ecco che un’altra band mi conquista con un lavoro che poggia le sue fondamenta sul metal classico ma che, invece di risultare il classico lavoro old school, si rivela vario, fresco e moderno pur richiamando il sound dei nostri eroi.
Questa volta si scende al sud, nella bellissima Napoli per incontrare i Black Inside e parlarvi del loro ultimo lavoro dal titolo A Possession Story.
Il gruppo campano nasce nel 2009 e nel 2011 esordisce con l’ep “Servants of the Servants”, seguito dal primo full length “The Weigher of Souls” del 2013, che li ha portati a dividere il palco con Blaze (“che ci faccio io nei Maiden”) Bailey e i Phantom X.
Due anni sono passati, (un lasso di tempo che sta diventando una costante per la band) ed eccoli tornare alla grande con questo bellissimo lavoro di metallo classico, per inciso hard & heavy incendiario, dal songwriting clamoroso ma soprattutto, come detto prima, vario.
Infatti A Possession Story è un susseguirsi di bellissime canzoni, tra l’heavy metal epico e progressivo di certi capolavori della vergine di ferro (The Siege OF Jerusalem), richiami al metal statunitense dei grandiosi Iced Earth (Man Is A Wolf to Men), affreschi di hard rock sabbathiano (Jeffrey), stoner metal grondante lava (I’m Not Like You), travolgente hard & heavy (la conclusiva Pharmassacre) e ballads drammatiche da applausi (la title track), che formano insieme alle altre canzoni un tuffo nel miglior esempio di quello che è oggi l’heavy metal: un genere che guarda al passato con più di un piede nel presente e nel futuro della musica , ed è proprio grazie a dischi come questo che risulta immortale.
Non bastasse ci si aggiungono le prove dei musicisti che, guidati dalla personalità debordante del singer Luigi Martino, sciorinano una prestazione eccezionale in ogni passaggio dell’album, aiutati da una produzione perfetta per il genere, non troppo cristallina per risultare patinata, ma assolutamente sanguigna.
Chi mi conosce per ciò che scrivo si IYE, sa che il mio amore per l’heavy metal è incondizionato causa le troppe primavere, ormai, passate in compagnia della musica dura per eccellenza, ma vi assicuro che album come A Possession Story fanno tornare il sorriso a questo inguaribile vecchietto …

Tracklist:
01. Man is a Wolf to Men
02. The Siege of Jerusalem
03. Black Inside
04. I’m Not like You
05. King of the Moon
06. Too Dark to See
07. A Possession Story
08. Forsaking Song
09. Jeffrey
10. Pharmassacre

Line-up:
Luigi Martino – Lead Vocals
Brian Russo – Guitars
Eduardo Iannaccone – Guitars
Vincenzo La Tegola – Bass Guitar
Enzo Arato – Drums

BLACK INSIDE – Facebook

AA.VV. – A Treasure To Find, un Omaggio ai Novembre

Un’operazione del tutto azzeccata per la qualità intrinseca dei brani scelti e delle rispettive riproposizioni.

Prima di cominciare a parlare di questo album devo fare doverosamente outing: i Novembre non mi hanno mai fatto impazzire. Intendiamoci, non ho alcuna intenzione di sminuire (e del resto chi sono io per pensare di farlo ?) il valore oggettivo di una band che ha influenzato centinaia di musicisti, non solo nel nostro paese: il fatto è che il sound della creatura dei fratelli Orlando non è mai riuscito del tutto a far breccia in un cuore come il mio, che pure è propenso per natura ad emozionarsi ascoltando brani intrisi di malinconia come sono in effetti quelli dei Novembre. Come cantava qualcuno molti anni fa, evidentemente, è solo “una questione di feeling”.

Questa premessa, che ai più forse parrà superflua, è doverosa in quanto l’apprezzamento che andrò a descrivere nei confronti di questa ottima iniziativa della Mag-Music, non è quello del fan accecato dalla passione, bensì deriva esclusivamente dalla bontà delle rielaborazioni dei brani dei Novembre contenuti nel tributo.
Nove sono le tracce proposte con il contributo di dieci realtà musicali (in quanto Cold Blue Steel viene brillantemente rielaborata dall’accoppiata Vostok / Australasia), diverse per background e stile ma ugualmente ispirate nei rispettivi percorsi musicali dalla seminale band capitolina .
Nella scelta dei brani la parte del leone la fa il penultimo album “Materia” con quattro tracce (in effetti cinque se consideriamo che L’Alba di Morrigan propone mirabilmente in un sol colpo Aquamarine / Geppetto) lasciando il resto ai vari “Classica” (2), “Wish I Could Dream It Again…”, “Arte Novecento” e “Novembrine Waltz” (uno ciascuno), e tralasciando misteriosamente del tutto l’ultima testimonianza su lunga distanza “The Blue”.
Nel complesso l’operazione si rivela, comunque, del tutto azzeccata per la qualità intrinseca dei brani scelti e delle relative riproposizioni, con note di merito per l’operato di Lenore S. Fingers, dove possiamo apprezzare ancora una volta la splendida voce di Lenore, Shores Of Null, la band più metal del lotto che, non a caso, si appropria da par suo di The Dream Of The Old Boats ,uno dei brani più datati dei Novembre, e, come detto L’Alba di Morrigan con la poetica accoppiata tratta da “Materia”.
Di sicuro gradite a chi ha familiarità con la musica proposta, per assurdo questo tipo di iniziative possono rivelarsi utili soprattutto incuriosendo chi magari conosce solo di fama le band oggetto dei tributi, tanto più in questo caso specifico alla luce del recente annuncio (al punto che viene da chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina …) dell’imminente ritorno dei Novembre, guidati dai soli Carmelo Orlando e Massimiliano Pagliuso, a ben otto anni di distanza da “The Blue”.
Da applaudire quindi per la brillante intuizione i promotori del tributo, Marco Gargiulo della Mag-Music e Stefano Morelli di Rumore, a maggior ragione per la decisione di offrirne i contenuti in download gratuito.

Tracklist:
1. Valentine – Lenore S. Fingers (Novembrine Waltz)
2. The Dream Of The Old Boats – Shores Of Null (Wish I Could Dream It Again)
3. A Memory – Demetra Sine Die (Arte Novecento)
4. Aquamarine/Geppetto – L’Alba Di Morrigan (Materia)
5. Cold Blue Steel – Vostok & Australasia (Clasica)
6. Nostalgiaplatz – Arctic Plateau (Classica)
7. Memoria Stoica/Vetro – Shape (Materia)
8. Nothijngrad – Electric Sarajevo (Materia)
9. Jules – Lauren Vieira (Materia)

MAG MUSIC – Facebook

Madness Of Sorrow – III: The Beast

Sterzando leggermente il tiro su sonorità più metalliche, ma non snaturando assolutamente il proprio credo musicale, il gruppo ha regalato ai fan il degno successore dell’ottimo primo album.

La bestia che si annida tra le note create dai nostrani Madness Of Sorrow, non si è mai estinta e torna con tutto il suo terribile bagaglio di nefandezze, nascosta nell’ombra dei palazzi apostolici, contaminando, possedendo, liberando ogni tipo di istinto e il male, quello vero che rovina vite, distrugge speranze, annienta personalità e umanità.

III: The Beast è il terzo capitolo creato dalla band di Muriel Saracino, factotum dei Madness Of Sorrow, che con il precedente “Take The Children Away From The Priest”, aveva impressionato gli addetti ai lavori con un album di genere che pescava tanto dal metal dei Death SS quanto dal dark ottantiano, risultando uno dei più riusciti lavori del 2013.
Il nuovo album non tradisce le aspettative, il sound della band ormai è ben canalizzato sulle coordinate date dal leader, lasciando a pochi dettagli le differenze con il suo bellissimo predecessore.
Un gran bel lavoro quello fatto da Saracino, questa volta aiutato dal nuovo chitarrista e bassista Shark, anche in fase di scrittura: l’album riparte da dove “Take The Children Away From The Priest” ci aveva lasciati, quindi molto più metallico specialmente in avvio con i primi due brani, Welcome to Your Suicide e Three Meters Underground, che partono a razzo.
Si torna ad atmosfere oscure con il capolavoro Seed of Evil, uno stupendo affresco colorato con pastelli dark ed horror metal perfettamente bilanciati creando un arcobaleno di tonalità nere e drammatiche, interpretate da Muriel con rabbiosa personalità.
Sia chiaro, la teatralità delle classiche band di genere qui è sostituita da un’atmosfera di drammatica pesantezza, denuncia e sofferenza: l’alchimia tra metal moderno (continuo a trovare nella musica del gruppo più di un riferimento al reverendo Manson, oltre ai maestri Death SS) ed il dark rock continua ad imperversare nel sound di una band matura, poco incline a note ruffiane ma solidamente ancorata al proprio percorso musicale, che con il nuovo album si conferma in tutto il suo cupo incedere.
The Army of Sinners durissima e moderna richiama i Nefilim di Zoon, mentre The Black Lady risulta l’esempio lampante del buon mix tra Manson ed i Death SS, prima che la devastante Vatican’s Ruins ci consegni il brano più estremo del lavoro, almeno per quanto riguarda le ritmiche e la buona dose di velocità.
Non mancano due graditi ospiti sul nuovo album: Simon Garth, già presente sul precedente lavoro e qui alle prese con la chitarra acustica in Crucifixed, e Bolthorn, bassista degli epic metallers Avoral sulla devastante Three Meters Underground.
Evilangel superba e malefica song metallica fino al midollo, in compagnia della superba Drowned, chiude III: The Beast e conferma i Madness Of Sorrow come una delle realtà più fulgide del panorama horror metal nazionale.
Sterzando leggermente il tiro su sonorità più metalliche, ma non snaturando assolutamente il proprio credo musicale, il gruppo ha regalato ai fan il degno successore dell’ottimo primo full length, sta a voi ora immergervi nelle atmosfere di questo ennesimo bellissimo lavoro da non perdere per alcun motivo.

Tracklist:
1. Welcome to Your Suicide
2. Three Meters Underground
3. Seed of Evil
4. The Army of Sinners
5. The Black Lady
6. Vatican’s Ruins
7. No Redemption
8. Crucifixed
9. Evilangel
10. Drowned

Line-up:
Muriel – Vocals, rithm/lead guitar
Shark – Rithm/lead guitar
Derrick – Live drums

MADNESS OF SORROW – Facebook

Mindful Of Pripyat – … And Deeper, I Drown In Doom …

Sparatevi senza indugi questa bomba grind/death lanciata dai nostrani Mindful Of Pripyat.

Nati lo scorso anno, i Mindful Of Pripyat sbaragliano il campo nel genere estremo che si rifà al grind/death, con un lavoro sorprendente per impatto e aggressività senza soluzione di continuità.

Forte di un sound che passa agevolmente dal grind tout court al death old school, il trio proveniente dall’area milanese rompe argini, spiana colline e provoca valanghe, una tempesta di metal estremo che si abbatte senza pietà, lasciando al suo passaggio solo distruzione.
I Mindful Of Pripyat iniziano da questo micidiale …and Deeper, I Drown in Doom… la loro avventura nell’underground estremo, e la loro abilità è confermata dalle esperienze passate di tutti e tre i musicisti: Gio, ex Corporal Raid, che devasta alla velocità della luce il drumkit, Giulia, ex Sign of Evil ed Exterminate, alle prese con basso e sei corde e Tya, voce e chitarra già con Antropofagus, Necromega.
Supergruppo? Beh dal curriculum lo si può anche affermare, del resto la conferma di essere al cospetto di una band con i fiocchi arriva dallo tsunami di note estreme che vengono riversate sull’ascoltatore, un massacro racchiuso in 16 brani di cui due sono le cover di Oblivion Descends (Unseen Terror, straordinaria), e Contagion (Defecation) che chiude alla grande il mini cd.
Nel mezzo la band deflagra tra ritmiche violentissime, accelerazioni sempre al limite ed un talento per confezionare il tutto in una forma canzone non molto comune nelle band dedite al genere.
Consigliato alla grande ai fans del grindcore, …and Deeper, I Drown in Doom… non cede un secondo sia per impatto sia per l’alta qualità del sound: in un attimo si arriva all’ultimo brano e la voglia di ricominciare a farci del male con le mazzate inferte dal combo è tanta.

Tracklist:
1. Containment
2. Liquidators
3. Chernobitch
4. Cleansed by Fallout
5. Lone in Town
6. Deterrence
7. Deep Water Coffin
8. Mindful of Pripyat
9. Oblivion Descends (Unseen Terror cover)
10. Rusty Skin
11. 40 Seconds
12. Maruta
13. Rabid
14. G.W.I.
15. Impressions of a Sick Mind
16. Contagion (Defecation cover)

Line-up:
Giovanni – Drums, Vocals
Giulia – Guitar, Bass, Vocals
Tya – Vocals, Noises

MINDFUL OF PRIPYAT – Facebook

Raging Dead – Born In Rage

Date un ascolto al debutto dei Raging Dead, ne vale la pena.

Esordio al fulmicotone per questa giovane band di Cremona, nata all’inizio dello scorso anno per volere del chitarrista e vocalist Cloud Shade, adocchiata dai ragazzi della Atomic Stuff che hanno masterizzato, mixato e registrato questo Ep nei loro studi di Isorella(Brescia) sotto la supervisione di Oscar Burato.

I Raging Dead sono protagonisti di un aggressivo metal dai riferimenti horror, colmo di attitudine punk/sleazy e alquanto moderno: i brani (cinque più intro) fanno dell’impatto e della grinta, tutta rock’n’roll, il punto di forza non allontanandosi troppo dalle influenze dichiarate e andando subito al sodo, senza troppi fronzoli, una dichiarazione di intenti che premia il gruppo , protagonista di brani assolutamente efficaci.
Awakening The Damned funge da atmosferica intro, a seguire one, two, three, e si parte per questo tuffo in un moderno rock’n’roll, punkizzato da ritmiche veloci e stradaiole, solos metallici ed un’aurea di irriverente attitudine alla Murderdolls, modernizzata da riferimenti al Rob Zombie meno industrial e al fantasma di Steve Sylvester che aleggia su ogni produzione del genere.
Da Scratch Me fino a Vengeance il gruppo non risparmia energie, le canzoni escono potenti e trascinanti (Anathema, Redemption e Nightstalker), facendo divertire l’ascoltatore che, di certo, non si annoia travolto da un sound che dal vivo deve risultare incisivo come pochi.
L’accento su questo lavoro sono i molti richiami allo street, che esce dai brani esplodendo nella conclusiva Vengeance, quello più cattivo e sporco di band come i primi L.A Guns e che aiuta non poco i brani a conquistare l’ascoltatore di turno.
Come al solito, quando di mezzo ci si mette l’Atomic Stuff , la qualità del prodotto è molto alta ed un ascolto è d’obbligo per gli amanti del genere.

Tracklist:
1. Awakening Of The Damned
2. Scratch Me
3. Anathema
4. Redemption
5. Nightstalker
6. Vengeance

Line-up:
Cloud Shade – Lead Vocals/Guitar
Matt Void – Lead Guitar
Tracii Decadence – Drums
Simon Nightmare – Bass

RAGING DEAD – Facebook

Celeb Car Crash – ¡Mucha Lucha!

Singolo apripista del nuovo album per i Celeb Car Crash.

Singolo apripista del futuro secondo album per l’alternative rock band nostrana Celeb Car Crash, segnalatasi nel 2013 con il debutto “Ambush!”, uscito nel 2013 e che molto bene fu accolto dagli addetti ai lavori.

Fresco di firma per la Sliptrick Records e reduce da un tour che li ha visti di spalla ai grandi Lacuna Coil, il quartetto sforna tre brani rock molto belli, che pescano tanto dal post grunge quanto dal rock alternativo di questi ultimi anni, rendendo così l’attesa per il nuovo parto ancora più interessante.
L’America è al centro del songwriting ed uno squisito gusto per ritmiche mai scontate porta il gruppo ad uscire prepotentemente dall’affollato mondo dell’underground rock grazie ad un sound ispirato, impreziosito dalla performance dell’ottimo cantante Nicola Briganti e ad un rock che graffia pur conservando un’eleganza di fondo.
Because I’m Sad è il singolo, una rock song che parte semiacustica per poi esplodere in elettricità , dall’ottimo appeal e costruita per piacere senza scendere nel patetico rock da classifica.
Segue Next Summer, trascinata da un riff hard rock e molto Alter Bridge nel refrain anche se la mia preferita resta ¡Adiós Talossa! (tututu) , ottima canzone aperta dal suono delle trombe, che si trasforma in un brano tra Nirvana e Foo Fighters, con le ritmiche e le atmosfere che cambiano tra elettricità ed una tristezza di fondo, solo stemperata dai cori ariosi e dall’ottimo ritornello.
Band interessante, i Celeb Car Crash mostrano un songwriting davvero ispirato, anche se tre tracce sono ancora poche per trarre conclusioni definitive;, non ci resta che aspettare l’arrivo del nuovo lavoro che, viste le premesse, non dovrebbe deludere gli appassionati dell’alternative rock.

Tracklist:
1.Because I’m sad
2.Next Summer
3.¡Adiós Talossa! (tututu)

Line-up:
Nicola Briganti – Voce, Chitarra
Carlo Alberto Morini – Chitarra
Simone Benati – Basso
Michelangelo Naldini – Batteria

CELEB CAR CRASH – Facebook

THE MAGIK WAY – CURVE STERNUM

A differenza di quanto accade sovente, in occasione di reunion che per motivi di marketing vengono contrabbandate come eventi epocali, per i The Magik Way si può invece tranquillamente affermare che di un ritorno di questa levatura se ne sentiva davvero il bisogno.

Il nome dei The Magik Way era balzato nuovamente alla ribalta dopo diversi anni di oblio, grazie alla riedizione delle due uniche testimonianze discografiche della loro prima parte di carriera.

Curve Sternum è il naturale passo che segue questo tipo di operazioni, propedeutiche a riportare l’attenzione su una band in procinto di tornare sulla scena dopo un lungo silenzio; decisamente meno prevedibile è, invece, il modo in cui Nequam e Azach si ripropongono al pubblico: il dark ambient dalla forte componente esoterica lascia spazio ad una sorta di neo folk dai contenuti orrorifico-rituali, esaltati da testi a volte disturbanti, altre volte grotteschi, recitati con voce da crooner dal primo dei due.
I Corpi Pesanti, in apertura di lavoro, è un brano che fatica a decollare in prima battuta a causa delle forzature metriche che contraddistinguono il comparto lirico, senza dimenticare un timbro vocale comunque poco convenzionale; ci vuole infatti un po’ di tempo e, quindi, diversi ascolti per venire a patti con un approccio musicale volto, più che ad attrarre, a disorientare prima e ad avvolgere poi l’ascoltatore con i suoi testi che rifuggono ogni banalità ed un sound solo apparentemente semplice e minimale.
Forse anche per questo, il disco si rivela come una delle uscite più originali degli ultimi tempi, rendendo credibile un accostamento audace, soprattutto per attitudine, alle opere di personaggi quali Mr.Doctor o Malleus.
Rispetto ai citati geni musicali qui troviamo indubbiamente un minore slancio melodico ed atmosferico e una maggiore voglia di sperimentare un suono che, talvolta, diviene quasi ossessivo nel suo per lo più lento incedere.
Curve Sternum è la perfetta espressione artistica esibita da un gruppo di musicisti che oltre vent’anni fa ritennero troppo angusti i confini espressivi del black metal, avviando senza alcuna fretta un percorso di ricerca musicale e filosofica privo di vincoli temporali ed espressivi: ne è testimonianza il cospicuo periodo di stand by al quale sono stati appunto soggetti i The Magik Way.
Con calma e consapevolezza, come creature sotterranee che si nutrono con pervicace regolarità di tutto ciò che proviene dalla superficie, nulla escluso, il duo alessandrino giunge ad offrire un album difficile e che necessita di molta pazienza ed altrettanta voglia di conoscenza da parte degli ascoltatori: superati questi ostacoli, sul piatto resta un lavoro forse per pochi ma sicuramente di gran pregio.
A differenza di quanto accade sovente, in occasione di reunion che per motivi di marketing vengono contrabbandate come eventi epocali, per i The Magik Way si può invece tranquillamente affermare che di un ritorno di questa levatura se ne sentiva davvero il bisogno.

Tracklist:
1.I corpi pesanti
2.La mano raccoglie
3.A curva di sterno
4.Yod-He-Vau-He
5.Nel tempo restare
6.L’orrore
7.Scuotiti, oh vita!
8.In alto come in basso

Line-up:
Nequam – vocals, acoustic guitars, programming
Azàch – drums and percussions, backing vocals

Maniac of Sacrifice – electric guitars
Old Necromancer – electric guitars
Tlalocàn – doublebass

THE MAGIK WAY – Facebook

Night Gaunt – Night Gaunt

I romani Night Gaunt esordiscono con questo disco omonimo andando a rimpinguare la schiera di buone band della capitale dedite ad un doom dai tratti piuttosto classici.

I romani Night Gaunt esordiscono con questo disco omonimo andando a rimpinguare la schiera di buone band della capitale dedite ad un doom dai tratti piuttosto classici.

L’album, originariamente uscito come autoproduzione nel 2014, ha catturato l’attenzione dell’attenta label genovese BloodRock Records che lo ha riproposto sul mercato questa primavera.
In ossequio ad un genere che si sviluppa, come è giusto che sia, nel solco della tradizione, appare quasi superfluo sottolineare come i nostri in queste sette tracce rinuncino in partenza all’inserimento di spunti innovativi: qui si fa, bene e con tutta la dedizione del caso, del sano doom intriso fino al midollo degli umori lisergici che hanno fatto la fortuna di nomi quali Saint Vitus, Pentagram, Candlemass ecc.
Un rito di una quarantina di minuti nel corso dei quali non vengono risparmiate distorsioni spasmodiche, riff avvolgenti, ritmi pachidermici alternati a repentine cavalcate e vocals evocative quanto basta, con una partenza leggermente in sordina ed un deciso cambio di passo a livello qualitativo ad iniziare da The Patient, passando per l’irresistibile traccia strumentale e manifesto delle band, Night Gaunt, fino ad arrivare alla conclusiva Acquiescent Grave, nella quale il quartetto romano pare aver voluto convogliare tutte le proprie influenze e la genuina passione per questo genere.
Un esordio che non è ancora sufficiente per collocare i Night Gaunt nelle prime file dello schieramento di partenza (dove risiedono stabilmente i concittadini e neo-compagni di etichetta Doomraiser), ma che si rivela lo stesso oltremodo soddisfacente, contribuendo a perpetuare quella tradizione doom che ormai nel nostro paese, e nella capitale in particolare, si sta consolidando in maniera convincente.
Il primo importante passo è stato compiuto nel migliore dei modi e il prossimo obiettivo, per la band romana, sarà quello di mostrare una cifra stilistica più personale pur senza dover necessariamente snaturare le proprie caratteristiche.

Tracklist:
1. Persecution
2. Breathless
3. The Church
4. The Patient
5. Night Gaunt
6. Black Velvet
7. Acquiescent Grave

Line-up:
Araas – Bass
Kelèvra – Drums
Zenn – Guitars
Gc – Guitars, Vocals

NIGHT GAUNT – Facebook

Abysmal Grief / Runes Order – Hymn of the Afterlife / Snuff the Nun

Uno split album di qualità non comune grazie alla presenza di due realtà che non deludono mai, dall’alto delle capacità compositive e della personalità dei musicisti coinvolti.

Split album che vede all’opera due nomi pesanti, questo pubblicato dalla Italian Doom Metal Records.

In realtà solo uno di questi parrebbe compatibile con la ragione sociale della label, e parliamo dei genovesi Abysmal Grief, mentre i Runes Order appartengono, di fatto, al mondo degli sperimentatori elettro-ambient.
La band ligure, che apre il lavoro con Hymn of the Afterlife, conosciuta e venerata come formidabile interprete di un horror doom dai tratti unici, per l’occasione si avvicina alle sonorità degli altri ospiti di questo 12”, proponendosi in una veste dark ambient, già esibita qualche anno fa nell’ep “Foetor Funereus Mortuorum” .
Gli Abysmal Grief non evocano semplicemente il dolore lancinante della perdita ma sono essi stessi gli officianti del rito, i necrofori che si incaricano di portare la bara all’esterno della chiesa, coloro che scavano la fossa e che, infine, gettano le ultime manciate di terra sul feretro, prima che il suo dimorante venga inghiottito per sempre nell’oblio della morte.
Personalmente prediligo la band allorché Labes C. Necrothytus ringhia dall’alto della sua tastiera- pulpito su un tessuto musicale più canonico, anche se, pure in questa veste, l’effetto macabro è ugualmente garantito e di indubbia qualità.
Peraltro, come detto, tale scelta contribuisce a rendere la proposta non troppo dissimile, non solo negli intenti, rispetto a quella dei Runes Order di Claudio Dondo.
Il brano Snuff The Nun è una magistrale summa (suddivisa in cinque parti) del background musicale dell’artista: il dark ambient dell’avvio sfocia progressivamente nell’ipotetica soundtrack di un horror psicologico, prima con il contributo vocale di Alex De Siena, poi con il manifestarsi del retaggio elettronico di Dondo, naturale continuatore dei suoni provenienti dalla seminale scena teutonica degli anni ’70.
Inquietante e perfettamente complementare, nonostante le diverse basi di partenza delle due band, alla traccia degli Abysmal Grief, Snuff The Nun termina come come Hymn of the Afterlife era iniziata, ovvero con la recitazione di un Pater Noster qui del tutto spogliato da ogni suo paramento sacro.
Pubblicato in 500 copie, di cui 300 in vinile nero e 200 in grigio, lo split album si rivela di qualità non comune, grazie alla presenza di due realtà che non deludono mai, dall’alto delle capacità compositive e della personalità dei musicisti coinvolti.

Tracklist:
Side A
Abysmal Grief – Hymn Of The Afterlife
Side B
Runes Order – Snuff The Nun

Line-up:
Abysmal Grief
Lord Alastair – Bass
Fog – Drums
Regen Graves – Guitars, Synths
Labes C. Necrothytus – Keyboards, Vocals

Runes Order
Claudio Dondo – All instruments
Alex De Siena – Vocals

ABYSMAL GRIEF – Official Website

RUNES ORDER – Facebook

Jussipussi – Greatest Tits

Dall’underground italiano stanno venendo fuori molti dischi di musica pesante davvero interessanti, ed è al piccolo cabotaggio che dobbiamo rivolgerci se si vuole ascoltare buona musica.

Questi giovani terroni trapiantati a Milano ci regalano stoner metallico veloce e di ottima fattura.

Il disco è stato una vera sorpresa: seppure loro non siano insieme da tanto, in sette prove vengono fuori questi cinque pezzi.
Il pianeta si chiama Queens of the Stone Age, ma i Jussipussi annettono nuovi territori mischiando la sacra materia con i Red Fang e i Clutch più corrosivi.
Il loro nome deriva da un tipo di pane finlandese, che pare non abbia assolutamente nulla da vedere con la pussy. I Jussipussi si presentano in maniera fortunatamente poco seria, poi li ascolti e ti impressionano veramente poiché possiedono un groove davvero notevole, un passo molto superiore.
I brani scorrono bene, ascoltandoli non si pensa al genere, ma si viene trascinati da questo misto di melodia e cartavetro, ora seguendo un’impennata, ora planando placidi su delle spogliarelliste.
I Jussipussi vi faranno divertire con canzoni come Vultures che sono vere chicche, canzoni che qualcuno oltre oceano vorrebbe scrivere ma non ce la fa.
I ragazzi prendono tutto con molta ironia ma hanno le carte in regola per diventare un gruppo importante, hanno talento e musicalità da vendere, in più non si prendono troppo sul serio e ciò non guasta mai.
Dall’underground italiano stanno venendo fuori molti dischi di musica pesante davvero interessanti, ed è al piccolo cabotaggio che dobbiamo rivolgerci se si vuole ascoltare buona musica.
Un bel disco, una gradita sorpresa da Taxi Driver Records.

Tracklist:
1 The Bliss of a New Black Dawn
2 Warning Sign
3 Vultures
4 Explant ( Feat.Giacomo Boeddu from Isaak )
5 Bury You Deep

Line up:
Francesco Borrelli : Batteria
Michele Cigna : Chitarra
Marco Giarratana : Voce
Antonio Petrotta : Basso

JUSSIPUSSI – Facebook

Psychedelic Witchcraft – Black Magic Man

Questo 10″ è una carezza, un profondo atto d’amore verso un certo tipo di musica e di retaggio culturale che va dai Black Sabbath a Lucio Fulci, passando per pupille senza colore e sguardi alla volta celeste.

Un salto indietro nel tempo, un disco di razza per una grande cantante ed un gruppo molto valido.

Le atmosfere sono quelle rarefatte e fumose degli anni settanta, con un doom rock in stile Jex Thoth, ma con un’anima maggiormente aperta allo spettro di quegli anni.
Non è un’operazione vintage, ma l’espressione di una grande cultura musicale unita ad una passione fuori dal comune, che è quella di Virginia Monti, giovane donna che sa molto ciò che vuole, e ci porta per mano in un immaginario pagano che è assai più vero e calzante di quello che ci viene propinato ogni giorno.
Questo 10” è una carezza, un profondo atto d’amore verso un certo tipo di musica e di retaggio culturale che va dai Black Sabbath a Lucio Fulci, passando per pupille senza colore e sguardi alla volta celeste.
La produzione rende pienamente merito a questo disco che è senz’altro l’inizio di una grande carriera. Non si può non rimanere impressionati dalla potenzialità di Virginia e del suo gruppo, che sembrano già consumati veterani.
Black Magic Man non ha bisogno di essere gridato o suonato a mille, ha soltanto un vitale bisogno di girare sul vostro giradischi, mentre interrompete lo stupro perpetrato ai vostri danni dalla vita moderna e vi lasciate guidare da Virginia.
Non ci saranno difficoltà ad immergersi in un piacevole liquido, dove il femmineo la farà da padrone, come è giusto che sia, riportando a casa ciò che è nostro e che ci è stato negato da almeno duemila anni.
Bello, piacevole ed è un ep che uscirà questa estate.

Tracklist:
1 Angela
2 Lying on Iron
3 Black Magic Man
4 Slave of Grief

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – Facebook

Veratrum – Mondi Sospesi

“Mondi Sospesi” conferma le qualità dei Veratrum che, con questo lavoro, dovrebbero guadagnarsi il meritato supporto degli appassionati.

I Veratrum sono una band bergamasca dedita ad un black/death nel quale, nella sua forma alquanto estrema, non viene dimenticata l’importanza delle melodie: cantano in lingua madre e sono al secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo un demo d’esordio (“Sangue” del 2010) ed un full-length (“Sentieri Dimenticati” del 2012).

Mondi Sospesi risulta un buon ascolto per chi sbava per le sonorità scandinave, qui amalgamate da parti estreme riconducibili alla scena dell’Est con i Behemoth in testa: i musicisti, tecnicamente sul pezzo con i propri strumenti, ed una produzione all’altezza fanno il resto, così che il sound estremo della band esplode apparendo a tratti devastante.
Non un assalto senza soluzione di continuità, ma l’aggressione a tratti ragionata e i piccoli dettagli melodici rendono l’ascolto vario; l’uso della lingua italiana forse frenerà un po’ la band a sul mercato estero, ma trovo la scelta, se non ancora perfettamente oliata, sicuramente coraggiosa.
La band quando parte a razzo fa davvero male, le chitarre sparano a velocità della luce solos melodici e la sezione ritmica crea un muro sonoro notevole, ma gli inserti sinfonici, presenti in buon numero, ed i continui cambi di atmosfere e velocità riescono a tenere alta la tensione per tutto il lavoro.
Ottime tra le canzoni presenti sull’album, Il Culto Della Pietra, dove la band alterna death/black, ad una parte sinfonica dal piglio epico e declamatorio, con un riff portante in pieno stile scandinavo che ricorda i primi vagiti della scena melodic death, così come l’intro della devastante Il Tempo Del Cerchio, poi violentata da squarciante metallo oscuro e furibondo.
La seguente Quando in Alto vince la palma del brano più estremo del lotto, con il suo death metal al limite del brutal nelle ritmiche e nel growl animalesco e profondo, rivelandosi un pesantissimo macigno estremo e di notevole impatto.
Mondi Sospesi conferma le qualità dei Veratrum che, con questo lavoro, dovrebbero guadagnarsi il meritato supporto degli appassionati.

Tracklist:
1. Intro
2. Un Canto
3. Il Culto Della Pietra
4. Etemenanki
5. Il Tempo Del Cerchio
6. Quando In Alto
7. Davanti Alla Verità
8. H Nea Babylon

Line-up:
Haiwas -Voice Guitar
Rimmon – Guitar Vocals
Marchosias – Bass
Sabnok – Drums

VERATRUM – Facebook

Defallen Prophecy – Death, Hate, Love, Life

Per gli amanti del genere, “Death, Hate, Love, Life” può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta

Dura di questi tempi parlare di metalcore: il genere è inflazionato, inutile girarci attorno, meno male che, nella valanga di band che si affacciano sulla scena più cool del momento, emergono realtà di un certo spessore.
Così vien da sé che buoni brani, groove a manetta e melodie azzeccate possano fare la differenza.

Basta questo per uscire allo scoperto e riuscire a portare il proprio prodotto all’attenzione dei fans?
Direi di si, anche se chiaramente non si può pretendere l’originalità, specialmente da un combo giovane e al debutto come i nostrani Defallen Prophecy, ma il buon songwriting e quattro brani che, pur non uscendo dai canoni del genere, dimostrano buona padronanza dei mezzi ed impatto notevole, sono già una garanzia di successo nei confronti degli amanti del metal più moderno.
In effetti gli standard del genere ci sono tutti e messi ben in evidenza, partendo dall’opener Panta Rei, muro sonoro colmo di groove, vocione estremo che si scontra con le clean, violenza controllata ma potente e melodie che si alternano, come il sound descritto esige dai suoi adepti.
Vero è che almeno due brani sono ottimi, Heartbreak (ripresa in versione remix alla fine del lavoro) e la veloce e devastante Rising Hope, dove le clean vocals si riprendono la rivincita con l’ottima melodia del refrain.
Per gli amanti del genere, Death, Hate, Love, Life può essere un ottimo ascolto e i Defallen Prophecy una nuova scoperta, prima che il music biz decida che non è più tempo per il metalcore e questi suoni vengano chiusi in quello stesso cassetto dove giace già da un po’ il nu metal: chi vivrà vedrà.

Track List:
1. Panta-Rei
2. The Invisible Cage
3. Heartbreak
4. Rising Hope
5. Heartbreak (Remix)

Line-up:
Lorenzo Carnevali – vocal
Alessandro Carati – bass, vocal
Francesco Oliva – guitar
Andrea Carnevali – guitar
Luca Impellizzeri – drum

DEFALLEN PRPHECY – Facebook

Helfir – Still Bleeding

Per chi ama le sonorità oggi simboleggiate dai vari Moss, Patterson e dai fratelli Cavanagh, Still Bleeding è un album assolutamente imperdibile.

Non è così frequente riscontrare una perfetta corrispondenza tra le influenze dichiarate da un musicista e ciò che confluisce poi nei suoi dischi: tutto questo accade, invece, in occasione dell’ esordio un veste solista del salentino Luca Mazzotta con il suo progetto Helfir.

Nella relativa pagina Facebook si fa riferimento ad Antimatter, Anathema, Katatonia, Porcupine Tree e Alternative 4, ed effettivamente in Still Bleeding Mazzotta prima assimila, per poi amalgamare mirabilmente, quanto prodotto da tutte queste magnifiche band.
Indubbiamente, in percentuale è l’impronta fornita da Mick Moss quella che si manifesta in maniera più evidente, ma Luca ha il grande merito di non limitarsi ad una citazione sbiadita o didascalica, mettendoci invece del proprio a livello compositivo e presentando un lotto di brani pressoché inattaccabile.
Certo, del musicista inglese manca l’inconfondibile timbro che da solo rende speciale qualsiasi canzone, ma l’interpretazione di Mazzotta è ugualmente efficace e, soprattutto, capace di toccare le giuste corde disseminando l’album di momenti dal grande spessore emotivo, anche in virtù di un eccellente lavoro chitarristico.
Se vogliamo dirla tutta, due tra le band che Luca colloca tra i propri numi tutelari, sto parlando di Porcupine Tree (e dello stesso Wilson solista) e Katatonia, da diverso tempo non riescono a produrre lavori coinvolgenti come questo magnifico esordio targato Helfir.
Un disco da godersi immergendosi in toto nelle sue note che non tradiscono mai, con l’unica punta di opacità riscontrabile nel sentore folk di Dresses Of Pain; nient’altro che il classico pelo nell’uovo di un disco che meraviglia ed avvince con la bellezza non comune di My Blood, Alone, Black Flame, decisamente all’altezza degli Antimatter e degli Alternative 4 più ispirati, e di Night And Deceit, splendido brano dai suoni più robusti e dal flavour dark, per certi versi accostabile agli ultimi The Foreshadowing, che chiude nel migliore dei modi l’ispirato lavoro di questo bravissimo musicista nostrano.
Per chi ama le sonorità oggi simboleggiate dai vari Moss, Patterson e dai fratelli Cavanagh, Still Bleeding è un album assolutamente imperdibile.

Tracklist:
1.Oracle
2.My Blood
3.In The Circle
4.Alone
5.Dresses Of Pain
6.Black Flame
7.Portrait Of A Sun
8.Where Are You Now?
9.Night And Deceit

Line-up:
Luca Mazzotta – Vocals, Guitars, Bass, Keyboarrds, Drums Programming

HELFIR – Facebook

Graal – Chapter IV

Chapter Iv è il quarto bellissimo lavoro dei romani Graal, uno splendido viaggio tra hard rock, progressive e metal.

Questo bellissimo album è la risposta perfetta a chiunque mi dovesse chiedere quali siano le origini della mia smisurata passione per la musica rock/metal: più di trentacinque anni di una fiamma che dentro di me continua ad ardere, a dispetto delle primavere che passano inesorabili e dei mille problemi che la vita porta con sé.

Lo dico da sempre, le persone che hanno la fortuna di innamorarsi della sublime arte non saranno mai sole e hanno qualcosa in più, se poi questa meravigliosa dipendenza li porta a confrontarsi con svariati generi ancora meglio, perché riusciranno ad assaporare e fare proprie le virtù insite in ogni stile musicale.
E’ così che, passate più di tre decadi a confrontarmi con tutti i generi che l’hard rock e l’heavy metal hanno regalato, davanti ad un lavoro come Chapter IV dei romani Graal è come tornare tra le braccia di una vecchia amante mai dimenticata, passionale, calda e bellissima musa ispiratrice di sogni ora romantici, ora carnali ma tremendamente autentici.
La band romana, al quarto album, festeggia dieci anni di uscite discografiche avendo licenziato il primo lavoro “Realm Of Fantasy” nel 2005, seguito da “Tales Untold” del 2007 e “Legends Never Die” del 2011.
Maturità compositiva ed assoluta padronanza del genere suonato arrivano, con quest’opera, al massimo del loro splendore e ci offrono uno spaccato di musica che miscela metal, hard rock e progressive a cavallo tra ‘70-‘80, trasportandolo nel nuovo millennio per lasciarlo finalmente libero di regalare emozioni mai sopite , tra fughe tastieristiche, chitarroni heavy, ricami folk ed una vena prog entusiasmante.
Cori perfettamente inseriti in canzoni di estrema eleganza, riff e assoli elettrici di scuola heavy britannica, tasti d’avorio che fanno il bello e cattivo tempo, come negli anni in cui spadroneggiavano signori delle keys come Jon Lord e Rick Wakeman, e gustosi inserti folk, sono il ripieno di questi undici confetti musicali che non tralasciano una vena epica e fiera tipica di cavalieri e custodi del Santo Graal.
Un Graal che forse non è una coppa come tutti credono, ma uno spartito dove racchiuse ci sono le note di brani fuori dal tempo come Pick Up All The Faults, Revenge, l’accoppiata capolavoro The Day That Never Ended / Stronger, riassunto compositivo della band dove troverete tracce di Rainbow, Uriah Heep, Yes, con qualche richiamo al blues del serpente bianco era Lord ed un’attitudine heavy sempre presente e mai doma.
L’album continua il suo viaggio tra emozioni e brividi e si arriva così alla celestiale Goodbye, altra canzone capolavoro, dove a fare capolino sono i Genesis di Peter Gabriel, sempre con un taglio da ballad metal ma marchiata a fuoco dalla discografia settantiana della band inglese.
Viviamo in tempi in cui, purtroppo, anche la musica risente della vita frenetica che la società moderna ci impone, sempre alla ricerca del nostro Graal, che poi altro non è che una pace interiore, un attimo per concederci qualcosa che aiuti a sognare: io l’ho trovato, il suo nome è Chapter IV.

Tracklist:
1.Little Song
2.Pick Up All The Faults
3.Shadowplay
4.Revenge
5.The Day That Never Ended
6.Stronger
7.Guardian Devil
8.Lesser Man
9.Last Hold
10.Goodbye
11.A Poetry For A Silent Man
12.Northern Cliff

Line-up:
Andrea Ciccomartino – Voce, Chitarra Rtimca e Acustica
Francesco Zagarese – Chitarra Solista
Michele Raspanti – Basso
Danilo Petrelli – Tastiere
Alex Giuliani – Batteria

GRAAL – Facebook

Bastian – Among My Giants

Riedizione a cura della Underground Symphony del bellissimo album per Sebastiano Conti,che, con il monicker Bastian, raccoglie una manciata di stelle del metal mondiale per regalrci un lavoro sulla scia di Black Sabbath,Dio e Rainbow.

Lo scorso anno uscì, autoprodotto, questo bellissimo lavoro di metal classico e hard rock ottantiano ad opera del chitarrista siciliano Sebastiano Conti che, con il monicker Bastian, riunì un manipolo di stelle come vocalist del calibro di Mark Boals e Michael Vescera, entrambi ex Malmsteen, e batteristi di pari fama quali Vinnie Appice (Black Sabbath e Dio), John Macaluso (Riot, James Labrie, Malmsteen, TNT) e Thomas Lang (Paul Gilbert, Glenn Hughes).

Impreziosito dalla chitarra e dal talento compositivo del musicista nostrano, Among My Giants esplodeva in tutto il suo splendore, una splendida opera che riproponeva i fasti dell’hard rock di metà anni ’80: un tributo al metal più nobile, di cui fu il cordone ombelicale e che portò la nostra musica preferita a viaggiare tra i decenni successivi fino ai giorni nostri.
Un sogno per Sebastiano che si realizzò, circondandosi di musicisti leggendari di cui lui è stato ed è un fan, unendoli sotto il programmatico titolo Among My Giants: un lavoro mastodontico, nel quale Conti si prese cura di tutti i dettagli, regalando ai fortunati ascoltatori più di un’ora di musica immortale.
Purtroppo, senza il concreto supporto di una label alle spalle, l’album rischiava di passare inosservato, annegato nel mare di uscite che ogni giorno si affacciano sul mercato discografico, poco incline alla qualità e molto affascinato dai generi più cool.
Finalmente qualcuno che non sia una piccola ‘zine come la nostra si è accorto di quest’opera: la Underground Symphony, storica label nostrana, ha messo nelle mani di Sebastiano una penna per la firma sul contratto ed è così che Among My Giants esce completamente rinnovato nella sua veste grafica, ma soprattutto lo si potrà trovare in qualsiasi negozio di musica, in modo che chiunque possa avere la possibilità di far suo questo splendido lavoro.
Si potranno assaporare quindi le atmosfere dell’opener Odissey, in pieno stile Black Sabbath era Tony Martin, la fantastica performance del chitarrista su brani come Hamunaptra, Magic Rhyme e Mother Earth, il blues rock di Justify Blues, jam strumentale in compagnia di Giuseppe Leggio alle pelli e Corrado Giardina al basso, le atmosfere cangianti che passano dal metallo epico di Rainbow/Dio, ai ritmi più stradaioli di Sexy Fire e che rendono il lavoro molto vario, toccando vette emozionali altissime nelle due ballad The Fisherman e An Angel Named Jason Becker, dedicata al chitarrista americano.
Un lavoro enorme, un sogno che si è realizzato per il musicista nostrano e che vede i propri sforzi ulteriormente premiati da un contratto e dal vedere la propria opera finalmente a disposizione di tutti gli amanti di queste sonorità.
Non avete più scuse, fate vostro questo album ed anche voi vi troverete “tra i giganti”.

Tracklist:
1.Odyssey
2.Mother Earth
3.Hamunaptra
4.Tamburine Song
5.Secret and Desire
6.Sexy Fire
7.Lights and Shadows
8.Justify Blues
9.Magic Rhyme
10.The Beach
11.The Fisherman
12.Song of the Dream
13.Soul Hunters
14.An Angel Named Jason Becker

Line-up:
Sebastiano Conti – Guitars
Guests:
Michael Vescera – Vocals
Mark Boals – Vocals
Vinnie Appice – Drums
Thomas Lang – Drums
John Macaluso – Drums
Giuseppe Leggio – Drums
Corrado Giardina – Bass

BASTIAN – Facebook

Filii Eliae – Cimiterivm

Il metal occulto di scuola italiana e una consistente spruzzata di black in salsa mediterranea sono gli ingredienti di base che rendono “Cimiterivm” un gran bel disco.

La genesi dei Filii Eliae va ricercata molto indietro nel tempo: erano infatti gli anni 80 quando i fratelli Maurizio e Roberto Figliolia muovevano i primi passi nella scena metal campana con le loro band dai monicker come Mayhem ed Enslaved, che vennero poi resi famosi ad altre latitudini, .

Dopo un lunghissimo silenzio la nuova creatura, che prende il nome dalla latinizzazione del cognome dei nostri, si manifesta con l’ottimo “Qvi Nobis Maledictvm Velit”, album capace di riscuotere unanimi consensi a livello di critica.
La ritrovata vena creativa di Martirivm ed Ossibvs Ignotis (nomi d’arte adottati dai due) porta la band salernitana a produrre, a meno di un anno di distanza, un nuovo lavoro, Cimiterivm, che ne sancisce in tutto e per tutto l’innegabile valore.
Il sound dei fratelli campani, che si avvalgono al basso dell’ausilio di Vastvm Silentivm, si può definire a buona ragione come black/doom, poiché del primo assimila le ritmiche nei passaggi più veloci mentre dal secondo attinge soprattutto al suo saper essere solenne, epico e allo stesso tempo, pesante come un macigno.
Allo stesso modo non è azzardato intravvedere negli Abysmal Grief un nobile influsso per quanto riguarda i tratti più funerei dell’album, contrassegnati da un uso piuttosto simile delle tastiere, come pure un minimo debito nei confronti del maestro The Black, non fosse altro che per il ricorso ai testi in latino, anche se, va detto subito, lo stile dei Filii Eliae è molto più composito e ricco di sfumature.
Non a caso, Martirivm si rivela musicista di grande spessore sia quando tesse atmosfere macabre con le tastiere e la chitarra, con la quale si lascia andare con gradita frequenza ad assoli intrisi di melodia, sia con uno screming/growl alla Sakis, mai superfluo e sempre incisivo pur nella difficoltà di interpretare i testi nell’antica lingua.
Per capire quali siano gli intenti dei Filii Eliae basta ascoltare il primo brano, lo strumentale Introitvs, che si rivela tutt’altro che una consueta intro, costituendo invece il primo dei tre splendidi strumentali che esplicitano, senza lasciare alcun dubbio, le doti compositive ed il gusto melodico non comune della band salernitana.
La successiva title-track è la virtuale partenza di un rituale che si snoderà tra una serie di brani avvincenti, vari e perfettamente eseguiti (anche da una sezione ritmica che svolge il suo compito in maniera essenziale ma efficace); il metal occulto di scuola italiana e una consistente spruzzata di black in salsa mediterranea sono gli ingredienti di base che rendono Cimiterivm un gran bel disco.
Tra le tracce (ognuna di eccellente livello, qui di filler non se ne parla neppure) mi sentirei di segnalare ancora la furiosa Tabvula Rasa e la migliore del lotto, Odivm Aeternvm, episodio dai ritmi che avvincono apparendo un’ipotetica e mirabile fusione tra i Rotting Christ ed i Satyricon di “K.I.N.G.” ma risultando, invece, la ciliegina sulla torta messa sull’album da una band dai tratti del tutto personali come i Filii Eliae.

Tracklist:
1. Introitvs
2. Cimiterivm
3. Cinis Cineri
4. Tabvla Rasa
5. Exeqviae
6. Plvrimvm Sangvinis
7. Ivs Vitae Ac Necis
8. Fvneralis
9. Odivm Aeternvm
10. Extrema Pars

Line-up:
Ossibus Ignotis – Drums
Martirium – Vocals, Guitars
Vastum Silentium – Bass

FILII ELIAE – Facebook