We All Die! What A Circus! – Somnium Effugium

L’album è davvero molto curato e la limpidezza dei suoni ne favorisce l’assimilazione, anche perché qui è netta la sensazione d’essere al cospetto di un artista con la A maiuscola e non di un pur valido assemblatore di suoni.

Devo ammettere che le ultime uscite nelle quali mi sono imbattuto mi hanno parzialmente riconciliato con i dischi strumentali, specialmente quelli basati su un melodico e riflessivo post rock.

Così, dopo il bellissimo lavoro degli americani In Lights, tocca a questo progetto solista del portoghese João Guimarães dal monicker piuttosto bizzarro, We All Die! What A Circus!.
Nonostante le ingannevoli premesse, il sound offerto dal musicista lusitano è quanto mai ortodosso nel suo dipanarsi liquido, melodico e spesso riflessivo tanto da andare a sconfinare più volte l’ambient; indubbiamente il post rock si presta maggiormente a tale formula, proprio perché la rarefazione del sound porta inevitabilmente a sonorità che sono per loro natura strumentali, mentre le aperture melodiche, quando sono di eccelsa qualità come in questo caso, imprimono alla musica un loro marchio ben definito.
A comprovare quanto affermato è sufficiente l’ascolto di Effugium IV che, dopo un avvio tenue e sommesso, si libera poi in un magnifico assolo di chitarra che la dice lunga sul gusto melodico di cui è in possesso Guimarães.
L’album è davvero molto curato e la limpidezza dei suoni ne favorisce l’assimilazione, anche perché qui è netta la sensazione d’essere al cospetto di un artista con la A maiuscola e non di un pur valido assemblatore di suoni.
Il senso della musica, quando non è supportata dalle parole, è in fondo proprio quello di evocare quanto promesso con i titoli dell’album o dei brani, o comunque di tenere fede a quanto dichiarato dai musicisti in fase di introduzione del disco.
In questo caso, Guimarães ci suggerisce che i temi dell’album sono il sogno della fuga e la fuga stessa, dato che in un mondo disseminato di confini e di rovine, dentro e fuori di noi, la necessità di fuggire diviene impellente.
Somnium Effugium è la colonna sonora che ci accompagna in questo stato che oscilla tra l’onirico ed il reale, con i brani intitolati Somnium improntati ad un ambient piuttosto inquieta, mente gli episodi denominati Effugium sono più orientati al post rock, e in quanto tali portatori di splendide melodie chitarristiche venate di una profonda malinconia.
João regala oltre tre quarti d’ora di pennellate sonore di stupefacente profondità, inducendo alla riflessione e alla commozione, e comunque lasciando un segno profondo in chi desidera lasciarsi avvolgere dalla musica creata da questo musicista dotato di rara sensibilità.
Anche se è proprio grazie alle band più celebrate che questo stile è uscito da uno status di nicchia, il mio consiglio è quello di rivolgere l’attenzione a questi nomi minori e magari misconosciuti, la cui freschezza tiene ben alla larga il manierismo ed il rischio di tediosità che ne consegue.

Tracklist:
1.Somnium I
2.Effugium I
3.Effugium II
4.Somnium II
5.Effugium III
6.Effugium IV
7.Somnium III

Line-up
João Guimarães

WE ALL DIE! WHAT A CIRCUS! – Facebook

La Tredicesima Luna – Il sentiero degli Dei

Una bellissima prova, ovviamente di fruizione meno immediata rispetto alle opere prodotte da Brusa con il monicker Medhelan, ma con una profondità anche concettuale che sarebbe un vero peccato non cogliere nella sua interezza.

Proprio qualche giorno fa ho avuto occasione di parlare della riedizione dei due seminali lavori che Mortiis pubblicò ad inizio carriera sotto l’egida della Cold Meat Industry.

Infatti, Ånden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent sono considerati unanimemente tra le opere che hanno favorito lo sviluppo della forma di ambient definita dungeon synth, che vede tra i suoi più brillanti esponenti in terra italiana il milanese Matteo Brusa.
Con questo suo nuovo progetto denominato La Tredicesima Luna, Brusa sposta il tiro su una forma di ambient che prende le mosse dai precursori del genere (su tutti Brian Eno, con puntate anche sulla Kosmische Musik degli anni ‘70) ma ammantandola di un’aura oscura che, rispetto alla produzione del genio inglese, rimanda soprattutto a un lavoro come Apollo.
In effetti, il tutto viene anche suffragato da un afflato cosmico che pervade la mezz’ora di musica di cui si compone Il Sentiero degli Dei; i due lunghi brani si rivelano così avvolgenti e senz’altro riusciti nella loro funzione evocatrice di scenari probabilmente solo immaginati dai migliori scrittori di fantascienza o da registi visionari come Kubrick: va detto che il senso di pace e di apparente armonia con l’universo viene contrastato da uno sgomento latente, derivante  dall’incapacità della mente umana di circoscrivere ciò che di fatto è illimitato.
Una bellissima prova, ovviamente di fruizione meno immediata rispetto alle opere prodotte da Brusa con il monicker Medhelan, ma con una profondità anche concettuale che sarebbe un vero peccato non cogliere nella sua interezza.

Tracklist:
1.Parte I – Fuochi sotto le stelle / Tra due mondi
2.Parte II – Energie ancestrali / La luce dorata dell’aurora

Line-up:
Matteo Brusa

LA TREDICESIMA LUNA – Facebook

Mortiis – Ånden som Gjorde Opprør / Keiser av en Dimensjon Ukjent

Funeral Industries e Plastichead, a poco più di vent’anni dalla prima pubblicazione, offrono la riedizione di Ånden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent, due lavori, usciti all’epoca per la leggendaria Cold Meat Industry, che portarono all’attenzione di una più vasta fascia di pubblico il nome di Mortiis.

Funeral Industries e Plastichead, a poco più di vent’anni dalla prima pubblicazione, offrono la riedizione di Ånden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent, due lavori, usciti all’epoca per la leggendaria Cold Meat Industry, che portarono all’attenzione di una più vasta fascia di pubblico il nome di Mortiis.

Per chi non ne conoscesse la storia la riassumiamo in breve: il musicista norvegese è stato uno dei protagonisti dei primi vagiti della scena black metal rivestendo il ruolo di bassista negli Emperor e partecipando ad un album seminale come Into The Nightside Eclipse.
Dopo la successiva uscita dalla band, Håvard Ellefsen (questo è il suo vero nome) ha iniziato una carriera solista dedicata all’esplorazione di sonorità di matrice ambient, innestandovi però le proprie radici black sotto forma di un’aura fortemente epica e glacialmente solenne, divenendo di fatto un precursore di quel filone che oggi viene definito Dungeon Synth.
Va detto che, all’epoca, la scelta di Mortiis fece discutere (cosa che sarà un po’ il leit motiv di tutto il suo percorso musicale, a ben vedere) un po’ perché alcuni lo consideravano una copia edulcorata di Burzum o ancora a causa del suo presentarsi truccato da troll, un qualcosa di sicuramente originale ma dall’impatto altrettanto grottesco.
Al di là di questo, e riascoltandole con piacere dopo che molta acqua è passata sotto i ponti, è innegabile il valore intrinseco di queste due opere, piuttosto omologhe per contenuti essendo uscite a distanza di qualche mese l’una dall’altra, in quanto risultano ancora oggi portatrici di un fascino ancestrale senza apparire irrimediabilmente datate, anche perché il loro minimalismo indotto dal confronto con i mezzi a disposizione oggi, finisce per aumentarne in ogni caso il fascino.
Il percorso del folletto norvegese si sposterà in seguito verso un approccio ben più modernista, andando a lambire forme di industrial dai risultati altalenanti e comunque ben lontane anche per attitudine dai lavori dei primi anni novanta.
Ben venga quindi la riedizione diÅnden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent, opere che lo stesso Mortiis ha deciso di riproporre dal vivo in diverse occasioni in questa fine del 2017, cosa che sicuramente farà piacere a molti ma che, sotto certi aspetti, ha l’effetto di una parziale retromarcia rispetto a quanto fatto nella fase più recente della sua carriera.
Detto ciò, ritengo che la riedizione di questi album sia quanto mai opportuna anche in veste di ideale istantanea del fermento creativo che si viveva all’epoca in Norvegia, sicuramente legato all’esplosione della scena black metal ma anche ai diversi rivoli stilistici che ne sarebbero susseguiti.

Tracklist:
Ånden som Gjorde Opprør
1.En mørk horisont
2.Visjoner av en eldgammel fremtid

Keiser av en Dimensjon Ukjent
1.Reisene til grotter og ødemarker
2.Keiser av en dimensjon ukjent

Line-up
Maks Molodtsov

MORTIIS – Facebook

Satanath – Your Personal Copy

L’approccio all’ambient di Aleksey Korolyov non prevede lunghe reiterazioni di uno stesso tema. bensì è caratterizzata da un continuo cambio di scenario, e più che la colonna sonora di missioni spaziali o di documentari naturalistici, Your Personal Copy potrebbe essere l’ideale accompagnamento di qualche strambo cartone animato.

Prima di questo lavoro conoscevo Aleksey Korolyov solo come mente della Satanath Records (e delle sub label Symbol Of Domination e GrimmDistribution), per cui ragionando in maniera fin troppo lineare era lecito aspettarsi che un suo progetto solista potesse fare riferimento ai generi normalmente trattati dalla sua etichetta (black, death, thrash, in particolare).

Nulla di tutto questo: a confermare l’acutezza e l’imprevedibilità di questo progetto che porta lo stesso nome della label, Your Personal Copy è un qualcosa che sta a metà strada tra ambient e elettronica, ma con un approccio a suo modo unico nell’affrontare la materia.
L’album consta di una ventina di brani la cui gran parte è di durata convenzionale (2-3 minuti) ma con alcune eccezioni come Vigtio e la conclusiva Univraris che si spingono oltre gli 8-9 minuti; anche per questo l’ambient di Satanath è nervosa, cangiante e soprattutto fuori dagli schemi, saltabeccando da passaggi atmosferici a bizzarri inserti elettronici da video game del secolo scorso. Pertanto, a differenza dell’ambient più canonica e carezzevole, l’approccio di Aleksey non prevede lunghe reiterazioni di uno stesso tema bensì è caratterizzata da un continuo cambio di scenario, e più che la colonna sonora di missioni spaziali o di documentari naturalistici, Your Personal Copy potrebbe essere l’ideale accompagnamento di qualche strambo cartone animato.
La creatività del musicista russo è indubbia, e in fondo sembra che il tutto nasca in maniera più spontanea che calcolata, lasciando immaginare che il nostro forse abbia fatto per assurdo più fatica ad inventarsi i venti improbabili titoli rinvenibili nella tracklist.
Ma, aldilà della battute, Satanath in questo caso si fa portavoce di un linguaggio musicale differente, all’interno del quale possiamo dedurre una cultura musicale molto ampia che, attingendo dal krautrock e dall’elettronica (un background che è insito molto più spesso di quanto si pensi in chi si dedica poi alle forme di metal estremo), offre un risultato senz’altro anomalo, di ascolto oggettivamente complesso, ma dannatamente intrigante dalla prima all’ultima nota.

Tracklist:
01. Peitefuv
02. Masfois
03. Inratit
04. Nodaser
05. Movsak
06. Kiomlu
07. Gegnuz
08. Invotod
09. Erimop
10. Vigtio
11. Hegtaras
12. Briloam
13. Lartagik
14. Hetatro
15. Kehtatos
16. Opkito
17. Knurat
18. Farzmit
19. Onihmas
20. Univraris

Line-up:
Aleksey Korolyov – music and concept

SATANATH – Facebook

Camerata Mediolanense – Le Vergini Folli

Le Vergini Folli è rivolto ad un pubblico selezionato, il quale deve porsi come obiettivo primario quello di godere della purezza stilistica e poetica di un lavoro che ferma lo scorrere del tempo, obbligando ad ascoltare musica spogliata delle convenzioni strumentali e compositive della nostra epoca.

Da oltre vent’anni la Camerata Mediolanense costituisce una delle più piacevoli anomalie musicali del nostro paese.

Anomalia in quanto, nonostante uno stile che rifugge ogni accenno di rumorosità o modernità, l’ensemble è sempre gravitato anche nella sfera di gradimento della fascia di ascoltatori di rock e metal dotati di una naturale propensione verso sonorità impattanti dal punto di vita emotivo.
A tutto questo, poi, contribuisce poi l’ingresso nel nuovo decennio della Camerata Mediolanense nel roster della Prophecy Productions, etichetta tedesca che propone ogni volta dischi di straordinaria qualità afferenti a generi che vanno dal black metal sino al neofolk o appunto, alla derivazione neoclassica che troviamo elevata alla sua massima espressione in questo Le Vergini Folli.
Come sostiene Elena Previdi, fondatrice del collettivo, l’album può apparire datato per sonorità ed approccio perché lo è a tutti gli effetti, collocandosi ben al di fuori di ogni tentazione modaiola: proprio per questo Le Vergini Folli è rivolto ad un pubblico selezionato, il quale deve porsi come obiettivo primario quello di godere della purezza stilistica e poetica di un lavoro che ferma lo scorrere del tempo, obbligando ad ascoltare musica spogliata delle convenzioni strumentali e compositive della nostra epoca, ancor più in questa occasione che non prevede alcun intervento delle percussioni, molto importanti invece nell’economia degli album precedenti.
A dominare la scena sono quindi il pianoforte della Previdi e l’intreccio delle voci femminili di Desirée Corapi, Carmen D’Onofrio e Chiara Rolando che, assieme a quella maschile di 3vor, interpretano i sei componimenti poetici scritti da altrettante ed anonime autrici femminili d’altri tempi, oltre a due sonetti del Petrarca che si rivelano, peraltro, una gradita appendice a Vertute, Honor, Bellezza, uscito nel 2013 e del tutto basato a livello lirico sull’opera del poeta aretino.
A colpire, nell’operato della Camerata Mediolanense, è l’esibizione di una limpidezza compositiva che non può lasciare indifferenti, con le cristalline voci delle splendide interpreti che declamano versi scritti in un italiano pregno di una ricchezza espressiva destinata, irrimediabilmente, a scemare di pari passo con l’abbrutimento etico e sociale.
Gli otto brani riconciliano con l’arte, in virtù di una proposta che non ha nulla dello snobismo intellettuale di certe proposte elitarie, ma riporta direttamente all’essenza della musica, quella che riluce in particolare nella conclusiva Quando ‘l sol, dove la poetica petrarchesca viene sublimata in una trasposizione di abbagliante bellezza, grazie all’interpretazione vocale di Desirée Corapi ed al talento pianistico di Elena Previdi.
E’ magnifica anche Mi Vuoi, dal beffardo e trascinante finale, mentre l’altra traccia ispirata dal poeta toscano è Pace Non Trovo, perfetta nel suo duetto tra voce femminile e maschile: anche per questi due brani, oltre al già citato Quando ‘l sol, sono stai girati altrettanti video, meritevoli di visione anche per la cura dei particolari che li contraddistingue.
Le Vergini Folli è un album da non perdere, è un lampo di struggente poesia che si fa musica (nel senso più letterale) ed essendo in qualche modo collocabile artisticamente nel passato, per un ascolto ideale necessita dell’astrazione da un presente che non contempla soverchie pause di riflessione.

Tracklist:
1.Lacrime di gioia
2.Scrissi con stile amaro
3.Notte di novelli sogni
4.Mi vuoi
5.Notte ancora
6.Pace non trovo
7.Dolce salire
8.Quando ‘l sol

Line up:
Elena Previdi – composizione, tastiere, clavicembalo, organo, fisarmonica e percussioni
Giancarlo Vighi – tastiere, percussioni, voce (coro)
3vor – voce (baritono), percussioni, tastiere e campionamenti
Manuel Aroldi – percussioni
Marco Colombo – percussioni
Desirée Corapi – voce
Carmen D’Onofrio – voce (soprano lirico)
Chiara Rolando – voce

CAMERATA MEDIOLANENSE – Facebook

Spectrale – ▲

L’ascolto di quest’album dovrebbe essere obbligato per tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato dagli Spectrale.

Seguendo le varie scene underground, in tutti questi anni abbiamo avuto la fortuna di conoscere non solo band fuori dal comune, ma soprattutto etichette che fanno del portare a conoscenza di più persone possibili grande musica di qualsiasi genere si tratti.

Una di queste è sicuramente la label transalpina Les Acteurs de L’ombre Productions, che si cura di molte realtà estreme della scena del proprio paese con passione ed ottimo fiuto.
E’ così che le opere che l’etichetta ci propone all’attenzione hanno tutte un qualcosa per cui vale la pena soffermarsi all’ascolto, fuori dai soliti cliché e tutte valorizzate da enorme personalità.
Avevamo fatto la conoscenza degli Spectrale, band dal sound prevalentemente acustico, in occasione del bellissimo split in compagnia di altre due realtà dell famiglia Les Acteurs De L’ombre, gli In Cauda Venenum e gli Heir.
Giunge così anche per la creatura di Jeff Grimal il momento di licenziare il primo full length, questo , dal titolo che rispecchia il concept esoterico ed ipnotico della musica del chitarrista francese, misteriosa ed a suo modo estrema.
Credo che non ci sia assolutamente dubbi sulla natura estrema dei brani contenuti sull’album, ovviamente non si parla di sfuriate black o death metal, ma di ricami acustici che si muovono sinuosi tra le corde delle chitarre, creati dalla mente e dalle dita di questi straordinari musicisti che come maghi ci ipnotizzano e portandoci in mondi paralleli, lontano dagli isterismi di una società sempre più malata e vicino il più possibile a quello che ognuno di noi chiama Dio.
Quarantacinque minuti di musica estrema perché va aldilà dei soliti ascolti, ci invita a fermarci e per un po’ viaggiare al di sopra del mero mondo materiale sulle note delle stupende Attraction, la meravigliosa e pink floydiana Magellan e le due parti di Monocerotis suggestivi attimi musicali di questa splendida ed originale opera.
Gli Spectrale vanno oltre, l’ascolto di ▲ dovrebbe essere obbligato a tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato da Jeff Grimal e soci.

Tracklist
1.Andromede
2.Contract
3.Attraction
4.Landing
5.Magellan
6.Monocerotis Part1
7.Monocerotis Part2
8.▲
9.Retour Sur Terre

Line-up
Jeff Grimal – Guitar
Léo Isnard – Drums,guitar
Xabi Godart – Guitar,noise
Raphael Verguin – Cello

SPECTRALE – Facebook

Mz.412 / Trepaneringsritualen – X Post Industriale / Rituals 2015 e.v.

Il disco cattura dal vivo i rituali al X Post Industriale, perché di concerto non si può proprio parlare, di questi due gruppi che eseguono un qualcosa che va oltre la musica.

Split live tra due fra le maggiori realtà attuali dell’industrial dark ambient rituale svedese, gli Mz.412 ed i Trepaneringsritualen.

Il disco è stato registrato a Bologna al Club Kindergarten nell’ottobre, in occasione dell’evento X Post Industriale organizzato dalla storica etichetta Old Europa Cafe. Il disco cattura dal vivo i rituali, perché di concerto non si può proprio parlare, di questi due gruppi che eseguono un qualcosa che va oltre la musica. Le tracce dello split sono quattro, due per ogni gruppo e sono di lunga durata, e sono dei veri e propri rituali per espandere la nostra coscienza. Questa musica, come si diceva prima, va ben oltre il canonico scambio di emozioni fra ascoltatore e musicista, e punta a creare porte per arrivare in altre dimensioni, cambiando di significato al rumore e alla musica stessa. Le due esperienze sonore che sono opera degli Mz.412 sono maggiormente cariche di rumori ed interferenze, infatti questo è sempre stato un prodotto industriale fatto con attitudine black metal, molto improntato a far scaturire reazioni nell’ascoltatore, e con un forte tocco di marzialità. Rumori, feedback e altro ancora disturbano l’ascoltatore, proiettandolo in una dimensione di assenza e morte, in un limbo dove la vita non possiede le inutili maschere che le diamo e si rivela per quello che è, una fastidiosa frequenza di fondo. In queste due tracce il rituale serve a rivelare ciò che non vediamo, svelando una terribile verità. Gli altri due pezzi di Trepaneringsritualen sono diversi rispetto ai precedenti, perché qui ci addentriamo maggiormente nel dark ambient, le atmosfere si fanno più rarefatte, al contempo sono venefiche e riescono a penetrare la nostra scatola cranica, arrivando dritte nel cervello. Ci sono mondi ed esseri di altre dimensioni che vengono fuori richiamati da questi suoni, che sono davvero profondi e continuano la grande tradizione della dark ambient legata all’industrial, che racchiude molte cose. Questo split dal vivo è un documento incredibile e forse irripetibile, nel senso che catturare in tempo reale queste due entità è cosa davvero notevole, che riporta al massimo la forza di questi rituali, un qualcosa che è legato al nostro ancestrale e che risveglia forze sopite. Un assaggio e una documentazione imperitura di ciò che è stato il X Post Industriale.

Tracklist
01 SIDE A Akt I
02 SIDE B Akt II
03 SIDE C Akt I
04 SIDE D Akt II

ANNAPURNA – Facebook

Priest – New Flesh

I Priest spaziano per tutto lo spettro dell’elettronica più cupa e marziale, possiedono grandi aperture melodiche e in alcuni frangenti sono autori di un pop eccezionale.

I Priest sono davvero una sorpresa perché ci si sarebbe aspettati una cosa molto differente, anche per il fatto che sono coinvolti personaggi che fino ad ora hanno fatto esperienze diverse rispetto a questo disco.

Sul gruppo in sé non è dato sapere molto, solo che sono svedesi, indossano maschere sadomaso e che fanno un synth pop con sconfinamenti nell’ebm e nella dance tout court. Il loro debutto è estremamente piacevole e coinvolgente, con un suono elettronico molto ritmato con fortissime influenze ebm, come si diceva prima, una voce molto particolare e una forte fisicità del suono. Gli amanti dell’ebm qui troveranno un suono che gli piacerà ma anche molta più varietà rispetto al solito. I Priest spaziano per tutto lo spettro dell’elettronica più cupa e marziale, possiedono grandi aperture melodiche e in alcuni frangenti sono autori di un pop eccezionale. Il disco è stato prodotto dall’ex Ghost Alha, e vede anche una partecipazione dell’altro ex Ghost Airghoul, e tutto il disco è pervaso da quel senso di satanica lussuria vittoriana che troviamo anche nei lavori del famoso gruppo svedese. New Flesh scorre benissimo, possiede un fascino ed una forza notevole, come un qualcosa del quale si sa che è male, ma anche terribilmente affascinante. Il disco ha uno scorrimento piacevole e quando si congiunge carnalmente con il pop sono davvero bei momenti. Si poterebbero prendere come punti cardinali i Depeche Mode, ma si passa anche da tutta la tradizione ebm, in special modo quella del Nord Europa, per arrivare ad una sintesi originale, lasciva e decadente. In questo album la sconfitta è data per sicura, ma si trova godimento nelle tenebre, e in musica come questa che è davvero di eccellente qualità.

Tracklist
1 – The Pit
2 – Vaudeville
3 – History in Black
4 – Populist
5 – The Cross
6 – Private Eye
7 – Nightmare Hotel
8 – Virus
9 – Call My Name
10 – Reloader

PRIEST – Facebook

Cordis Cincti Serpente – Cenobitorium

In Cenobitorium l’ambient assume una forma minacciosa e disturbante, materializzando di fatto quella sensazione di disagio derivante dall’incombere di una qualche avversità.

Aprirsi a sonorità come quelle offerte da questo progetto denominato Cordis Cincti Serpente dovrebbe essere normale per chi predilige le forme musicali più oscure e meno convenzionali.

In Cenobitorium l’ambient assume una forma minacciosa e disturbante, materializzando di fatto quella sensazione di disagio derivante dall’incombere di una qualche avversità.
Chi sta dietro a questo progetto non si è risparmiato nel creare e reperire suoni che restano in sottofondo rispetto a quelli quotidiani, quasi a voler creare una sorta di parallelismo tra un mondo emerso brulicante di effimera vita ed uno sommerso nei cui anfratti si celano entità in procinto di risvegliarsi da un sonno durato eoni (in fondo il bello di simili ascolti è proprio quello di ricevere degli input diversi a seconda della sensibilità del singolo).
Volendo esemplificare, le coordinate di Cenobitorium rimandano ai lavori meno “rumorosi” della Cold Meat Industry, la cui pesante eredità è stata raccolta da diverse etichette, tra le quali l’italiana Industrial Ölocaust Recordings che sta offrendo uscite di un certo spessore.
La descrizione delle tre lunghe tracce sarebbe superflua quanto stucchevole, ma va citato doverosamente il rischio di erosione psichica derivante dall’ascolto prolungato della prima parte di Cenobitorium, con le sue malevole campanelle che si sovrappongono a sinistri scricchiolii e versi distorti provenienti da chissà quale forma di vita.
Se qualcuno fosse incuriosito da questa sommaria descrizione sappia che l’opera è reperibile in formato cassetta, in numero limitato, presso il sito della Industrial Ölocaust Recordings (http://cardinium.com/product/ior-tk-x/)

Tracklist:
Side A
Cenobitorium I
Cenobitorum II
Side B
Cenobitorium III

CORDIS CINCTI SERPENTE – Facebook

Ancient VVisdom – 33

Il suono è un qualcosa che non troverete da nessuna altra parte, bisogna completamente abbandonasi a questo piccolo grande capolavoro di musica occulta americana, che si sviluppa su più livelli e che potrebbe farvi vedere le cose in una prospettiva diversa, derivando direttamente dall’oscurità dei figli dei fiori, dalle pazze ore di Aleister Crowley e che continua a fluire tra le ere, non domata da duemila anni di cristianesimo.

Gli Ancient Vvisdom sono dei cantori dell’occulto, seguaci di Lucifero e del percorso della mano sinistra, adoratori della carnalità umana, ma soprattutto un grandissimo gruppo musicale.

Nato nel 2009 in quel di Austin in Texas, il trio si compone di Nathan Opposition, anche nei Vessel Of Light con Dan Lorenzo, suo fratello Michael e Connor Metsker. Nel 2010 incidono un dodici pollici split intitolato Inner Earth Inferno su Withdrawl Records con un certo Charles Manson, non so se lo conoscete. In seguito hanno pubblicato altri tre dischi dopo quel dodici pollici. La loro traiettoria musicale è un rock neo folk con innesti doom e gotici, dal forte retrogusto metal, e fortemente ispirato dalla tradizione del folk americano. In alcuni momenti ci si avvicina anche al death rock, ma è davvero difficile non privilegiare la matrice folk per definire il gruppo. 33 è un disco esoterico ed occulto, che parla di luce e tenebra molto diversamente dai soliti termini, e già dal titolo ha dei riferimenti ben precisi in tal senso. Qui, sia nella musica che nei testi c’è la carnalità umana, l’eterna lotta dell’umano per uscire fuori dai binari già determinati di un’esistenza priva di libero arbitrio. La musica è dolce e molto melanconica, ti culla nell’oscurità, adoratori di Lucifero ti sussurrano parole di conoscenza proibita e tutto il disco ha un sapore difficilmente dimenticabile. In 33 ci sono momenti di assoluto entusiasmo grazie ad un gruppo che è in stato di grazia, e che va ben oltre la musica. Il suono è un qualcosa che non troverete da nessuna altra parte, bisogna completamente abbandonasi a questo piccolo grande capolavoro di musica occulta americana, che si sviluppa su più livelli e che potrebbe farvi vedere le cose in una prospettiva diversa, derivando direttamente dall’oscurità dei figli dei fiori, dalle pazze ore di Aleister Crowley e che continua a fluire tra le ere, non domata da duemila anni di cristianesimo.

Tracklist
1. Ascending Eternally
2. Light of Lucifer
3. In the Name of Satan
4. True Will
5. The Infernal One
6. Summoning Eternal Light
7. Rise Fallen Angel
8. 33
9. The Great Beast
10. Lux
11. Dispelling Darkness

Line-up
Nathan “Opposition” Jochum – vocals, acoustic guitar, kick drum
Michael Jochum – guitar, back up vocals
Connor Metsker – bass

ANCIENT VVISDOM – Facebook

Shibalba – Psychostasis-Death Of Khat

L’operato dei Shibalba è strettamente consigliato a chi condivide con i tre musicisti la fascinazione esercitata dall’aura mistica delle discipline orientali.

Può stupire il fatto che un’opera come questo Psychostasis-Death Of Khat dei Shibalba sia stata pubblicata da una label come la Agonia Records che, normalmente, è dedita a generi estremi come black o death, visto che qui siamo in presenza invece di un’ambient dark trance, meditativa e sciamanica (citando letteralmente la scheda di presentazione).

L’apparente scollamento trova una sua spiegazione nel dato che due dei tre musicisti coinvolti nel progetto sono attivi da anni nell’ambito del black metal, trattandosi di Acherontas V.Priest, leader degli ellenici Acherontas, e Karl NE/Nachzehrer, che ha guidato fino allo scorso anno gli ormai disciolti svedesi Nåstrond; ai due si aggiunge il meno conosciuto Aldra-Al-Melekh.
Del resto non è neppure così infrequente l’incursione di musicisti dal background estremo in territori sperimentali, così come abbastanza spesso i risultati sono più che soddisfacenti; quella degli Shibalba è una proposta ovviamente rivolta ad un’audience differente da quella canonicamente dedita al metal o comunque, dotata di una grande disponibilità ad accogliere istanze sperimentali.
Psychostasis-Death Of Khat è fondamentalmente un prolungato (forse troppo) flusso sonoro nel quale rumore dronico, campane tibetane e invocazioni assortite si sovrappongono, offrendo a tratti momenti notevoli (l’acustica Reanimation of Akh che va a lambire la forma canzone e la minacciosa Opening the Shadow Box) ma restando quasi costantemente nell’alveo di un’ambient pesantemente ammantata di un’aura meditativa, strettamente connessa con la visione del mondo tipica delle filosofie orientali.
L’operato dei Shibalba, pertanto, è strettamente consigliato a chi condivide con i tre musicisti la fascinazione esercitata dall’aura mistica di tali discipline.

Tracklist:
1. Phychostasis-Death of Khat
2. Ihag Mthong
3. Kaoshikii Mahayana
4. Aether Ananda Aiwass
5. Naljorpa
6. Reanimation of Akh
7. Five Points of Desire
8. Orgasmic Inebriation
9. Opening the Shadow Box
10. Svarna Khecari Mudra

Line-up:
Acherontas V.Priest
Aldra-Al-Melekh
Karl NE/Nachzehrer

SHIBALBA – Facebook

Neun Welten – The Sea I’m Diving

Gli undici brani contenuti in The Sea I’m Diving sono altrettante pennellate dalle tonalità pastello che cullano l’ascoltatore.

I tedeschi Neun Welten ritornano con il loro terzo full length, a ben otto anni di distanza dal precedente Destrunken.

Gli undici brani contenuti in The Sea I’m Diving sono altrettante pennellate dalle tonalità pastello che cullano l’ascoltatore attraverso la voce e la chitarra di Meinolf Müller, il violino ed il piano di Aline Deinert ed il violoncello, la chitarra ed il basso di David Zaubitzer: la profonda connessione con tematiche naturalistiche (in questo caso con l’acqua quale elemento cardine a livello lirico) è percepibile in ogni singolo passaggio in quanto, nonostante l’approdo ad una più tradizionale forma canzone, le modifiche intervenute nel “mondo” dei Neun Welten non hanno affatto stravolto quella che è sempre stata l’essenza primaria della loro forza compositiva.
Momenti di alto lirismo si vanno ad intrecciare, così, con altri nei quali la voce quasi sussurrata di Müller accarezza i timpani; indubbiamente la musica del trio è rivolta a chi vuole trovare un’oasi di pace, pur se virtuale, una sorta di immaginaria radura all’interno della foresta nella quale giacere e meditare, magari consentendo ad un pizzico di malinconia di illanguidire l‘animo.
Il sound dei Neun Welten è pura poesia, ed il gradito inserimento delle parti vocali rende ancor più tangibile tale aspetto facendo sì che canzoni splendide come Drowning, Nocturnal Rhymes, Human Fail e la più post rock oriented In Mourning siano solo i picchi di un’opera da godersi nella sua interezza e con la giusta predisposizione: l’arricchimento, sia morale che musicale, è assolutamente garantito …

Tracklist:
01. Intro
02. Drowning
03. The Dying Swan
04. Cursed
05. Nocturnal Rhymes
06. Floating Mind
07. Earth Vein
08. Lonesome October
09. Lorn
10. Human Fail
11. In Mourning

Line-up:
Aline Deinert : Violin, Piano
David Zaubitzer : Guitar, Cello, Bass
Meinolf Müller : Guitar, Vocals

NEUN WELTEN – Facebook

Empty Chalice – Emerging is Submerging – The Evil

Le sonorità offerte da A. lavorano ai fianchi, costringono a pensare e lasciano un retrogusto amaro, rivelandone la grande profondità e la capacità di incidere sullo stato d’animo dell’ascoltatore.

Nello scorso dicembre avevamo parlato di Music For Primitive, album uscito a nome Gopota, creatura musicale che vede coinvolti Antonio Airoldi e e Vitaly Maklakov.

Il primo (che qui si firma come A.) si ripropone oggi alla nostra attenzione con il secondo atto di questo progetto denominato Empty Chalice, con il quale continua imperterrito l’opera di disturbo sonoro brillantemente proposta in quell’occasione.
Emerging is Submerging – The Evil mostra tratti più inquietanti che minacciosi e qui l’ambient opprime stendendosi come un velo di cenere sulle nostre percezioni sensoriali, proiettando nella mente un immaginario grigio ed opalescente.
Le vibrazioni sonore creano un flusso che potrebbe essere la riproduzione dell’ansito di un pianeta entrato nei suoi ultimi millenni (se non secoli) di vita, ma anche quello di chi sta rannicchiato nel proprio guscio, rifiutando di confrontarsi con un’umanità che precipita inconsapevole verso la sua estinzione; dico potrebbe, perché il bello di un espressione musicale così ermetica è proprio la sua capacità di offrire diverse chiavi di lettura che possono differire non poco a seconda della sensibilità di chi ascolta.
L’album, che esce per l’etichetta Industrial Ölocaust Records, si snoda lungo un’ora di ambient che vive di un rumorismo meno accentuato, specialmente nelle prime due tracce Look Into My Eyes e Muffled Scream, arrivando persino ad offrire dei barlumi melodici sotto forma di parti corali disturbate da campionamenti ed effetti nella magnifica Sidereal, episodio più breve del lotto.
Molto più caratterizzate da pulsioni death industrial sono invece Emerging Is Submerging e Stolen Breaths and Destroyed Hope, titoli che restituiscono in maniera piuttosto evidente quel senso di soffocamento che paradossalmente aumenta a dismisura, allorché si cerca appunto di emergere venendo ricacciati verso il basso da una realtà divenuta insostenibile.
Emerging is Submerging – The Evil è un esempio eloquente di quanto una musica che si muove nel solco degli album della mai abbastanza rimpianta Cold Meat Industry possa essere ben più annichilente e, a suo modo violenta, di molti dischi di metal estremo; le sonorità offerte da A. lavorano ai fianchi, costringono a pensare e lasciano un retrogusto amaro, rivelandone la grande profondità e la capacità di incidere sullo stato d’animo dell’ascoltatore.

Tracklist:
1.Look into my eyes
2.Muffled Scream
3.Sidereal
4.Emerging is submerging
5.Stolen breaths and destroyed hope

Line-up:
A.

EMPTY CHALICE – Facebook

GlerAkur – The Mountains are Beautiful Now

Questa è musica che travalica i generi, andando a scandagliare la sensibilità di un pubblico il cui sentire, inevitabilmente, da un certo momento in poi si muoverà in perfetta sincronia con quello dell’autore, raggiungendo quello che è il fine ultimo dell’arte, almeno nell’accezione più alta che noi conosciamo.

Abbiamo fatto conoscenza con i GlerAkur poco più di unno fa, parlando dell’ep Can’t You Wait, con il quale il musicista islandese Elvar Geir Sævarsson aveva messo in mostra la sua innata sensibilità artistica.

The Mountains Are Beautiful Now è un album che contiene musica composta inizialmente per l’opera teatrale Fjalla-Eyvindur & Halla, tratta dall’opera di Jóhann Sigurjónsson definita tra le più importanti testimonianze letterarie fuoriuscita dall’isola in epoca moderna.
A Sævarsson era stato proposto inizialmente di fare uscire un lavoro contenente la fedele riproduzione della musica utilizzata per la rappresentazione al National Theatre (dove il nostro lavora come fonico) ma, in seguito, il tutto è stato realizzato rendendolo un album slegato in qualche modo dall’aspetto visivo e registrato da una band vera e propria.
Ciò che ne scaturisce è un’opera magnifica che, senza smarrire la sua indole originaria di supporto alle azioni degli attori sul palco, offre circa tre quarti d’ora di musica ambient con ampie aperture atmosferiche e diverse incursioni da parte di sonorità più robuste, accentuate dall’utilizzo contemporaneo di una doppia batteria.
Una scelta, questa, della quale si evince la ragione d’essere ascoltando la già edita Can’t You Wait, con il suo fantastico crescendo percussivo, e la conclusiva Fagurt er á fjöllunum núna, che nella seconda metà esplode in un delirante death-industrial; per il resto, salvo la più tenue HallAlone, le meravigliose Augun Opin e Strings si avvalgono di atmosfere prevalentemente acustiche che avvolgono l’ascoltatore, trasportandolo nei paesaggi unici di una delle terre più particolari ed affascinanti del pianeta.
Lo stesso sound targato GlerAkur del resto non potrebbe che arrivare dall’Islanda, una nazione che, proporzionalmente al numero di abitanti, ha prodotto un numero consistente di musicisti in grado di segnare la scena musicale contemporanea (Bjork e Sigur Ros su tutti) grazie a proposte realmente peculiari ed innovative.
Fortunatamente Sævarsson ha seguito il suo istinto che lo ha spinto a completare questa operazione dalla quale è scaturita una gemma preziosa come The Mountains are Beautiful Now: questa è musica che travalica i generi, andando a scandagliare la sensibilità di un pubblico il cui sentire, inevitabilmente, da un certo momento in poi si muoverà in perfetta sincronia con quello dell’autore, raggiungendo quello che è il fine ultimo dell’arte, almeno nell’accezione più alta che noi conosciamo.

Tracklist:
1.Augun Opin
2.Can’t You Wait
3.HallAlone
4.Strings
5.Fagurt er á fjöllunum núna

GLERAKUR – Facebook

Sándor Vály – Young Dionysos

Suono come logos creatore, immanente e fuoriuscito da una volontà di potenza di un musicista davvero capace e totale in grado di fare, se vogliamo ridurlo a qualche genere, un ambient drone molto potente e magniloquente, un magma che entra sottoterra e poi fuoriesce da qualche altra parte, ancora più potente e devastatore.

Come giustamente afferma lo stesso multi strumentista, Young Dionysus non è un disco concepito per intrattenere, chi cerca divertimento può recarsi altrove.

Vály è uno sciamano che porta la sua musica nel cosmo attraverso l’atto di suonare tutto ciò che incontra con piglio metal e punk. Urgenza, sangue, ansia e paura, ma anche un immenso immaginario che come in un rito orfico sprigiona la sua forza primordiale per far espandere il suono nell’etere. Con questa musica si torna all’origine catartica della musica, quale musa ispiratrice per l’uomo, essendo in grado di agire sulla totalità psichica dell’essere umano. Suono come logos creatore, immanente e fuoriuscito da una volontà di potenza di un musicista davvero capace e totale in grado di fare, se vogliamo ridurlo a qualche genere, un ambient drone molto potente e magniloquente, un magma che entra sottoterra e poi fuoriesce da qualche altra parte, ancora più potente e devastatore. Dentro Young Dionysus possiamo trovare una scrittura musicale di altissimo livello, senza confini e senza limiti, e uno dei pregi maggiori di Vály è di riuscire a tessere un discorso coerente nonostante l’immensità della materia, e il pericolo di debordare grazie al suo talento. Accade invece che il disco sia molto coerente con il suo enunciato, e si dipani davanti agli occhi, ma soprattutto dentro al cervello di chi è disposto ad accogliere un cosmos più che un’opera musicale. Stupisce anche la grande accessibilità del linguaggio musicale di Vály, che come un medium riesce a farsi tra sé stesso e il suo sterminato universo musicale, scrivendo un disco davvero bello ed originale. Si viene rapiti dalla bravura e dall’attitudine metal del musicista, e capita che a volte durante i concerti spacchi il pianoforte a colpi di ascia, nella stessa maniera nella quale rompe le convenzioni musicali.

Tracklist
1. Young Dionysus
2. Drumwork
3. Overture
4. Vine Song
5. Bacchanale

EKTRO RECORDS – Facebook

Go Ask Alice – Perfection Is Terrible

Se la perfezione è terribile, almeno musicalmente i nostri il rischio lo corrono avvicinandovisi pericolosamente, tramite la proposta di di sonorità cristalline a cavallo tra l’elettronica e l’ambient, dai tratti pacati ma non prive di repentini slanci melodici.

Primo passo discografico per questo trio di musicisti romani denominato Go Ask Alice, i quali raccolgono i brani composti in questi anni riversandoli su questo breve lavoro, sicuramente interessante e di buona fattura relativamente al tipo di sound proposto, intitolato Perfection Is Terrible.

Nelel vita di tutti i giorni, nelle molteplici attività ed i diversi ruoli che la vita offre in sorte, personalmente vedo la ricerca verso un costante miglioramento come un qualcosa di positivo, che spinge le persone a non accontentarsi di un’aurea mediocritas, ma dall’altra, se subentra in tutto questo un aspetto maniacale diviene una sorta di patologia in gradodi rovinare l’esistenza in maniera irrimediabile; una frase come Perfection Is Terrible riassume tutto questo proprio perché, pensandoci bene, il raggiungimento di tale stato equivale alla fine di un qualsiasi percorso evolutivo, assimilabile metaforicamente alla morte.
Comunque, se la perfezione è terribile, almeno musicalmente i nostri il rischio lo corrono avvicinandovisi pericolosamente, tramite la proposta di di sonorità cristalline a cavallo tra l’elettronica e l’ambient, dai tratti pacati ma non prive di repentini slanci melodici.
Infatti, questi otto brevi brani interamente strumentali esibiscono una buona varietà compositiva abbinata ad una gamma di soluzioni abbastanza dinamiche, ovvero tutto quanto serve per non rendere tedioso un album strutturato in questa maniera.
Ed in effetti, la formazione a tre composta dai due fondatori Lorenzo Albanese e Flavio Moro e da Valerio Occhiodoro (aggiuntosi dopo un paio d’anni) consente proprio di sfuggire ai minimalismi delle one man band, offrendo un sound più ricco e sfaccettato, e soprattutto non freddo, nonostante il substrato fondamentalmente elettronico possa far ritenere il contrario.
Anche l’utilizzo a tratti di una batteria “vera” e della chitarra acustica (ad opera rispettivamente degli ospiti Curzio Ferri ed Andrea Oggiano) si rivela un particolare non indifferente capace, di rendere ancor più accattivante e coinvolgente l’operato dei Go Ask Alice; fatto il primo passo, quello che ci si attende ora da questi musicisti capitolini è la conferma su un minutaggio complessivo più consistente delle buone sensazioni destate con Perfection Is Terrible.

Tracklist:
1.Intro
2.Loud
3.Close to the river
4.The shout
5.Section three
6.Nova
7.Morning
8.Nothing to be sad

Line up:
Lorenzo Albanese: bass, keyboards, electric guitar
Flavio Moro: synthetizers, keyboards, drum programming
Valerio Occhiodoro: electric guitar

Guests:
Curzio Ferri: drums
Andrea Oggiano: acoustic guitar

GO ASK ALICE – Facebook

Les Chants du Hasard – Les Chants du Hasard

Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

Ancora oggi, a più di vent’anni dalla loro uscita, i primi due album degli Elend (Leçons de Ténèbres nel 1994 e Les Ténèbres du Dehors due anni dopo), sono considerati come dei capolavori di musica dark ambient e classica, nei quali l’attitudine estrema era assolutamente concettuale e la musica manteneva una sua perfetta connotazione fuori dagli schemi del metal.

Allora qualcuno parlava più di nuova musica classica che di sottogenere metal e non a torto, vista la totale mancanza di strumenti tradizionalmente rock.
Questo nuovo progetto, anch’esso di provenienza transalpina, si avvicina non poco allo stile del magico gruppo franco/austriaco, una one man band che vede il compositore Hazard alle prese con un’affascinate musica orchestrale, profondamente dark e dall’animo black metal, che si evince dall’uso dello scream, nei passaggi vocali, mentre le tastiere disegnano arabeschi sinfonici e drammatici.
Leggermente meno mistica ed occulta rispetto a quella degli Elend, la musica di Hazard è sicuramente più teatrale, creando un’opera che, chiudendo gli occhi, prende forma nella mente come trasposizione artistica sul palco di un teatro dell’orrore.
I sei capitoli seguono un percorso metaforico su dilemmi esistenziali, dunque lasciando ad altri sterili colonne sonore di film fantasy, mentre piano piano la musica di Hazard si fa spazio tra i meandri dell’inconscio, facendosi ad ogni ascolto sempre più profonda, oscura e a suo modo estrema.
Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

TRACKLIST
1. Chant I – Le Théâtre
2. Chant II – Le Soleil
3. Chant III – L’Homme
4. Chant IV – L’Enfant
5. Chant V – Le Die
6. Chant VI – Le Vieillesse

LINE-UP
Hazard – Orchestrations

LES CHANTS DU HASARD – Facebook

Völur – Ancestors

Interessante e molto ben riuscito blend di dark folk,doom e ambient che ci riporta indietro nel tempo,alle radici di un suono.

Molto, molto interessante e affascinante il secondo lavoro dei Völur, trio canadese di Toronto, dedito a un blend di folk ancestrale, doom, ambient assai intenso e ricco di sfumature.

La loro peculiarità si accentua ulteriormente visto che nel loro suono non è prevista alcuna chitarra, ma il tutto si dipana tra un suono di basso che si divide tra ruoli melodici e ritmici, un drumming lento ed evocativo e il violino che modula una moltitudine di ambientazioni, sfiorando anche la “chamber music”, che variano dal pastorale all’ancestrale creando atmosfere di pace e serenità, increspate da momenti di furore in cui emerge tutta l’oscurità e la drammaticità dei loro testi.
Questo Ancestors è il secondo capitolo di una serie di quattro opere incentrate sul vecchio mondo spirituale germanico ; il suono si dipana lento, oscuro, contemplativo in quattro lunghi brani in cui i tre musicisti intrecciano i loro strumenti per creare una miscela antica, che riporta alle origini di certo suono doom (non metal) in cui la potenza e la contemplazione convivono;
E’ come se un vecchio mondo magico tornasse alla luce dopo essere stato oscurato dalla nebbia del tempo; i suoni dell’ opener Breaker of Silence profumano all’ inizio di sapori antichi, polverosi per poi aprirsi, dopo una memorabile frase di basso, in tutta la loro suggestiva potenza: l’ultimo brano, Breaker of Famine, aggiunge anche vocalità black che accentuano la oscura tavolozza dei “colori” di questa opera.
Come sempre ripetuti ascolti giovano all’“innamoramento” di un disco che, forse, avrebbe dovuto essere pubblicato in una stagione non canicolare come l’estate; questi suoni hanno bisogno di scure notti e brevi giornate per poter entrare appieno nel cuore di chi vuole “sentire”.

TRACKLIST
1. Breaker of Silence
2. Breaker of Skulls
3. Breaker of Oaths
4. Breaker of Famine

LINE-UP
Lucas Gadke Bass, Vocals
Laura Bates Vocals, Violin, Effects
Jimmy P Lightning Drums, Percussion

VOLUR – Facebook

Paolo Spaccamonti/Paul Beauchamp – Torturatori

Beauchamp e Spaccamonti dipingono in gran bell’affresco con molti colori e con una bellissima vibrazione di fondo, per un disco che è molte cose e che è anche molto semplicemente grande musica fatta da due sensibilità affini.

La musica è fatta anche di incontri, di scelte di condividere la propria sensibilità e le modalità possibili per fare ciò.

La imprescindibile e misteriosa Torino fa da sfondo a questo incontro di due musicisti che si sono conosciuti proprio lì e che in quella città hanno la loro congiunzione astrale favorevole. Paul Beauchamp è un chitarrista americano esploratore di toni diversi dal solito, più eterei e misteriosi utilizzando acustica ed elettronica, mentre Paolo Spaccamonti è un chitarrista che vive in cinematografiche distese di note e ha una passione che muove anche noi, quella del metal. Insieme hanno scritto composto e suonato due tracce che si completano e che sono come la nostra vita , una bianca e l’altra nera. L’ incontro di questi due chitarristi ha prodotto un luogo musicale sterminato e tutto da ascoltare, figlio di due DNA musicali differenti ma assolutamente affini, che hanno prodotto una musica che allarga spazi e si moltiplica nella testa di chi sente. Dolci droni ed elettronica che parla al cuore, per un paesaggio musicale immenso e lentamente rotante, con colori che cambiano come in un tramonto prima di un apocalisse, nella tenerezza del primo o dell’ultimo abbraccio. Beauchamp e Spaccamonti dipingono un gran bell’affresco con molti colori e con una bellissima vibrazione di fondo, per un disco che è molte cose e che è anche molto semplicemente grande musica fatta da due sensibilità affini. Per tutto ciò dobbiamo anche ringraziare forte l’Argo Laboratorium di Gianmaria Aprile di Fratto9/UnderTheSky e musicista nei Luminance Ratio, un produttore e conoscitore davvero profondo di musica mai ovvia.

TRACKLIST
A. White Side
B. Black Side

FRATTO9 – Facebook