Wednesday 13 – Condolences

Per Wednesday 13 un album pienamente riuscito ed un un passo che piacerà non poco ai rockers dai gusti più metallici.

A Wednesday 13 bisogna riconoscere il merito di aver riportato in auge lo shock rock, quella mistura di horror punk, hard rock e glam che fece la fortuna di molte band (una fra tutte, i Misfits) nel passato, con i Frankenstein Drag Queens from Planet 13 prima, i Murderdolls poi, e per finire con la sua carriera solista, aggiungendovi un tocco di alternative metal quel tanto che basta per tramutare in zombie ubbidienti un bel po’ di rocker in giro per il mondo.

Inutile, almeno per chi segue da tempo le vicende di Mr.Joseph Poole, segnalare i due bellissimi album condivisi con Joey Jordison degli Slipknot con il monicker Murderdolls, ma pure la sua carriera solista non ha deluso, specialmente con i primi due lavori, ispirati comunque da uno stesso immaginario.
Condolonces, titolo di quest’ultima uscita ispirata dalla morte di Bowie, porta almeno due novità non da poco: la firma per Nuclear Blast e la produzione affidata a Zeuss (Hatebreed, Shadows Fall ed Emmure).
Il sound, detto della lunga title track, che rappresenta una sorta un record per il genere (più di sei minuti), e delle influenze metalliche ben marcate e neanche tanto distanti dai nostri confini (ultimi Death SS), continua la tradizione del cantante statunitense, con una serie di brani che uniscono l’attitudine horror/punk ad un rock alternativo pesante e ,come già espresso, più indirizzato verso lidi metallici, quasi estremi se consideriamo il genere suonato.
E allora aspettatevi un disco serio nell’approccio, meno strutturato su film e fumetti di serie B, ma reso oscuro e malato da una forte connotazione oscura, come a volere esorcizzare la morte, non solo a livello visuale.
Wednesday 13 allora se ne esce con una serie di brani dall’impatto pesantissimo, a tratti al limite del thrash (You Breathe, I Kill, Omen Amen e Prey For Me) altri in linea con le vecchie releases (What The Night Brings e Cadaverous), altri ancora con il dark metal che vela di malinconia tracce come la title track e la conclusiva Death Infinity.
Per Wednesday 13 un album pienamente riuscito ed un un passo che piacerà non poco ai rockers dai gusti più metallici.

TRACKLIST
01.Last Rites
02.What The Night Brings
03.Cadaverous
04.Blood Sick
05.Good Riddance
06.You Breathe, I Kill
07.Omen Amen
08.Cruel To You
09.Eulogy XIII
10.Prey For Me
11.Lonesome Road To Hell
12. Condolences
13. Death Infinity

LINE-UP
Troy Doebbler – Bass
Roman Surman – Guitar
Kyle Castronovo – Drums
Jack Tankersley – Guitar
Joseph Poole “Wednesday 13” – Vocals, Guitar

WEDNESDAY 13 – Facebook

Universal Theory – The Most Attractive Force

Il duo madrileno propone un metal gotico e progressivo, con innesti di elettronica, un disco con grande sentimento di gotico struggimento: i fantasmi ti passano vicino e ti accarezzano, perché la tristezza è il sentimento più nobile

Gli Universal Theory sono un duo spagnolo fondato da Jesus Pinilla agli strumenti analogici e digitali e con Jose Maria Martos alla voce femminile.

Questo disco è uscito nel 2015, ed è il secondo capitolo della loro discografia, due anni dopo il debutto Mistery Timeline. Il duo madrileno propone un metal gotico e progressivo, con innesti di elettronica. Il disco ha molte sfaccettature, porta a galla una grande cultura musicale e, dalle parole di Jesus, il gruppo nasce per il piacere di ricercare. Infatti non c’è mai una canzone uguale, anzi, ogni traccia è praticamente un genere a sé stante. La cifra stilistica è sempre quella del metal altro, del sentire gotico in chiave moderna, con tastiere molto presenti. Se dovessi paragonarli con altri gruppi direi Tiamat o Moonspell, meno spigolosi e satanici. Qui troviamo un certo gusto surrealista nell’approcciarsi alla realtà, come se questa musica fosse uno specchio dal quale osservare, non visti, lo svolgersi della guerra quotidiana, ma ci sono temi alti trattati molto bene. Gli Universal Theory sono un gruppo che lascia un ottimo ricordo nei padiglioni auricolari, funzionano bene nei momenti più veloci ma il meglio lo danno nelle aperture melodiche, ottime dilatazioni di tempo e spazio. The Most Attractive Force è un disco che regala molti ascolti, e che può essere degustato su diversi livelli, poiché ha la giusta complessità che dà una struttura forte e una lunga vita a questa musica. Una delle peculiarità più interessanti del gruppo è la perfetta compenetrazione delle due voci, che sono l’una la metà dell’altra, e quando si incrociano è meraviglia. Il duo madrileno propone un metal gotico e progressivo, con innesti di elettronica, un disco con grande sentimento di gotico struggimento: i fantasmi ti passano vicino e ti accarezzano, perché la tristezza è il sentimento più nobile, e The Most Attractive Force è un momento di dolorosa consapevolezza umana.

TRACKLIST
1.Before Sunrise
2.Somewhere Else
3.Unfinished Desire
4.The Most Attractive Force
5.Romance I
6.Deeper Than You Know
7.Romance II
8.The Wall Of Darkness
9.Light Vein

LINE-UP
Jesús Pinilla: Vocals, Instruments & Programming
María José Martos: Vocals

UNIVERSAL THEORY – Facebook

Shivered – Journey to Fade

Belle melodie, una malinconia latente, a volte quasi repressa e mai troppo esplicita, come da dettami della premiata ditta Nyström/Renkse, sono gli ingredienti di base che rendono Journey To Fade un album da ascoltare con la dovuta attenzione.

Gli Shivered sono la creatura musicale di Mohammad Maki, musicista iraniano che, con questo suo full length d’esordio, non fa nulla per nascondere la sua devozione verso le band portatrici di un sound malinconico e dai tratti depressivi, Katatonia in primis.

L’adesione al modello citato talvolta diviene fin troppo esplicito, però il tutto risulta eseguito con tale perizia e spontaneità che ritengo sia giusto passare oltre, per godere della bontà del lavoro messo in scena da Maki.
Credo sia inutile ribadire quanto sia complicato dedicarsi al metal nei paesi arabi, tanto più in Iran, dove la religione islamica e lo stato finiscono per sovrapporsi: questo basta e avanza per fornire, nel nostro piccolo, il meritato supporto a questo musicista che, con Journey To Fade, dimostra ampiamente d’essere molto più di un buon copista.
Già, perché, alla fine, bisogna anche essere in grado di comporre dei brani che abbiano una loro identità ed una forma canzone definita, ed in questo il bravo Mohammad riesce benissimo, in virtù di una voce che ben si adatta al genere, e di doti chitarristiche di buon livello, ben supportate dalla sezione ritmica composta da due ospiti, lo statunitense Doug Ross al basso ed il francese Arnaud Krakowka alla batteria.
Ora, io provo a mettermi nei panni di questo ragazzo, dotato di una spiccata sensibilità artistica, che si trova a vivere in una realtà sociale nella quale probabilmente non si riconosce appieno e la cui passione viene a malapena tollerata, se non apertamente osteggiata: ne deriva quindi che, anche se la sua proposta musicale pecca in originalità, non c’è alcun dubbio sul fatto che il tutto scaturisca da un travaglio interiore effettivo e ben lungi d’essere solo di facciata.
Fatta questa premessa, riesce più naturale far propria questa dozzina di brani di ottima fattura, tra i quali spiccano per immediatezza Second Soul e la title track, per profondità ed intensità Eradicate e la magnifica My Last Will, senza per questo trascurare le restanti tracce che vanno a comporre una tracklist di elevato livello medio, offerta peraltro con grande cura dei particolari.
Belle melodie, una malinconia latente, a volte quasi repressa e mai troppo esplicita, come da dettami della premiata ditta Nyström/Renkse, sono gli ingredienti di base che rendono Journey To Fade un album da ascoltare con la dovuta attenzione.

Tracklist:
1. Eradicate
2. Sudden Fear
3. River of Shame
4. Unable
5. Red Sky
6. Second Soul
7. Neurotic
8. Journey to Fade
9. The Light Tears Apart
10. My Last Will
11. The Leaver
12. The Hourglass (bonus)

Line-up:
Mohammad Maki – Vocals, Guitars
Doug Ross – Bass
Arnaud Krakowka – Drums

SHIVERED – Facebook

Eli Van Pike – Welcome To My Dark Side

Welcome To My Dark Side scorre via senza particolari intoppi consegnandoci una decina di brani concisi, efficaci e vari.

Dall’unione di tre questi musicisti scaturisce, oltre ad un monicker (Eli Van Pike) originato dai rispettivi cognomi, una forma di gothic industrial che dovrebbe, secondo gli intenti dichiarati, attrarre i fans di Rammstein, Eisbrecher e in generale di un sound di tipica matrice tedesca.

Messa così, la questione potrebbe rivelarsi ingannevole perché in effetti il trio dimostra una certa versatilità, derivante anche da un’indubbia maestria strumentale che rende Welcome To My Dark Side un album tutt’altro che monotematico o ancor peggio noioso.
Quello che è il pregio dell’album si rivela però anche il suo principale difetto, perché l’idea di fondere sonorità industrial con altre di stampo più classico non è affatto male, ma finisce per far viaggiare il tutto a due velocità, con i brani più ritmati che si rivelano a mio avviso superiori a quelli di natura più melodica.
Sarà forse perché, da estimatore dei Rammstein fin dalla prima ora, l’ormai lunga vacanza compositiva presa da Lindemann e soci mi rende ancor più gradito tutto ciò che vi assomiglia, ma non c’è dubbio che a livello attitudinale gli Eli Van Pike si fanno preferire di gran lunga in questi frangenti.
Sono così le cosi le corpose Herzschlag e Tears Of War, con i lori classici riff squadrati, a spiccare in un album comunque divertente e piuttosto scorrevole, con un trio di musicisti che interpreta la materia con sapienza, disinvoltura ed un pizzico di gradita leggerezza dal punto di vista dell’approccio (Made In Germany), che spesso porta il sound dalle parti dei Mono Inc. in versione irrobustita (la title track, Amen).
L’alternanza vocale tra l’impostazione power dello statunitense Ken Pike e quella gothic del tastierista Thorsten Eligehausen funziona abbastanza bene, anche se entrambi non sempre appaiono a proprio agio, l’uno quando si spinge su tonalità troppo alte e l’altro quando tende a forzare ribassandole ulteriormente.
Poco male, tutto sommato, perché Welcome To My Dark Side scorre via senza particolari intoppi consegnandoci una decina di brani concisi, efficaci, vari e contraddistinti dal notevole lavoro chitarristico di Marc Vanderberg: nulla di imprescindibile, ma un qualcosa che si lascia ascoltare sempre con estremo piacere.

Tracklist:
01. Made in Germany
02. Herzschlag
03. 1-2 frei
04. World on Fire
05. Tears of War
06. One last Rose
07. Peter, 41
08. Welcome to my Dark Side
09. Amen
10. Valentine´s Day

Line-up:
Marc Vanderberg – Guitars, Drum & Bass Programming
Ken Pike – Lead Vocals
Thorsten Eligehausen – Lead Vocals, Keyboards

ELI VAN PIKE – Facebook

Valborg – Endstrand

Ficcante e corrosivo, Endstrand è un lavoro perfetto per chi voglia immergersi in una realtà claustrofobica e ossessiva

I Valborg sono tra gli esponenti più in vista, oltre che più prolifici, della scena industrial metal tedesca, con i loro sei full length pubblicati negli ultimi 8 anni, incluso questo ultimo Endstrand.

Ovviamente la provenienza geografica ed il genere d’elezione sono indizi che portano ad un sound squadrato e marziale che, forse, alla lunga potrà anche apparire monocorde, ma che sarà apprezzato non poco da chi ama queste sonorità.
Va dato atto al trio di Bonn d’aver in buona parte rifuggito la tentazione di accodarsi didascalicamente alle linee guida rammsteinane, conferendo anche ai brani più rallentati un’asprezza ed una ferocia che depone a favore della sincerità compositiva, unita ad una conoscenza della materia che ne mantiene anche le scelte più azzardate al di qua della pericolosa china del kitsch.
Del resto, lo screaming è tutt’altro che accattivante e le ritmiche a tratti assecondano una tendenza tamarra che affiora nei brani più estremi anche dal punto vista lirico, come le invocazioni a Satana (Orbitalwaffe) e quella alla Madonna in una tutt’altro che “religiosamente corretta” Ave Maria.
Ficcante e corrosivo, Endstrand è un lavoro perfetto per chi voglia immergersi in una realtà claustrofobica e ossessiva, un po’ meno per chi associa tali caratteristiche ad una certa ripetitività. In effetti non è sempre così, visto che i Valborg provano qualche variazione sul tema anche se, alla fine, tra i pezzi che più colpiscono troviamo quelli martellanti e ritmati, come la micidiale Blut Am Eisen, Beerdigungsmaschine e Stossfront, poste tutte nella prima metà di un lavoro che, nel suo dipanarsi, assume tratti via via più più sperimentali e meno orecchiabili, raggiungendo punte notevoli con la disturbata ma meno feroce Geisterwürde.

Tracklist:
1.Jagen
2.Blut am Eisen
3.Orbitalwaffe
4.Beerdigungsmaschine
5.Stossfront
6.Bunkerluft
7.Geisterwürde
8.Alter
9.Plasmabrand
10.Ave Maria
11.Atompetze
12.Strahlung
13.Exodus

Line up:
Jan Buckard – Vocals, Bass
Christian Kolf – Vocals, Guitars
Florian Toyka – Drums

VALBORG – Facebook

Dirty Machine – Discord

Questi ragazzi americani hanno trovato la propria via per fare un genere fin troppo bistrattato e che invece riesce ancora a regalare buoni dischi come questo.

Fare nu metal è una missione difficile al giorno d’oggi, e farlo bene è sempre stato difficoltoso, ma i californiani Dirty Machine riescono a centrare il bersaglio al primo tentativo.

Questi ragazzi americani hanno trovato la propria via per fare un genere fin troppo bistrattato e che invece riesce ancora a regalare buoni dischi come questo. Il nu metal è un linguaggio che dovrebbe portare far buttare fuori il disagio, usando codici solo all’apparenza diversi fra loro, come il metal e qualcosa vicino al rap. Nel caso specifico dei Dirty Machine ci troviamo di fronte ad un disco molto ben prodotto, dove le chitarre graffiano belle ribassate, con molti riferimenti ai grandi classici attraverso rielaborazioni personali e ben riuscite. Discord non ha un incedere velocissimo, ma scava molto bene i suoi solchi sul terreno, alternando melodia e pezzi più pesanti. Le parti vocali sono incastonate tutte molto bene, con molte aperture melodiche che funzioneranno egregiamente nelle radio americane che magari le avessimo qui, avremmo una migliore cultura rock. Discord è la rumorosa testimonianza che un certo modo di fare nu metal non è ancora (o mai) morto, e se si prende la band giusta con dj annesso si riescono ancora a sentire cose egregie; certo ora che, ormai da anni e anni, è passata la grande marea bisogna avere idee chiare e capacità di produrre dischi più che buoni. Discord è tutto ciò, ed è soprattutto un disco molto divertente, che fa saltare e che garantisce molti ascolti senza morire dentro allo stereo, e alla fine questa è la cosa più importante, qualunque sia il genere.

TRACKLIST
1. Seeds
2. Discord
3. Self Made Hero
4. Social Recoil
5. Ecusa’s Nightmare
6. Built
7. C4
8. Wonka

LINE-UP
Dave Leach – Vocals
Darren Davis – Vocals/Guitar
Arnold Quezada – Guitar
NIGHTMARE – Drums
DJ Ecusa – Turntable
Youngblood – Bass

DIRTY MACHINE – Facebook

03 mag 2017 – Caricato da Zombie Shark Records

For My Demons – Close To The Shade

Un ascolto obbligato per le anime tormentate che vagano in questo tragico inizio millennio.

For My Demons è un brano dei Katatonia tratto dal bellissimo Tonight Decision, album licenziato dal gruppo svedese nel 1999, ma è anche il modo con il quale Gabriele Palmieri ha provato ad esorcizzare i suoi demoni attraverso la musica.

Musica che ovviamente penetra nell’anima, essendo dark e melanconica, melodica e a tratti rabbiosa, ma sempre attraversata da un mood di eleganza estetica sopra la media.
Sarà la bellissima voce del leader (ex Neverdream), sarà l’atmosfera dark che mantiene una raffinatezza d’autore, sarà per quel velo di elettronica che fa da tappeto melodico a strutture ritmiche notevoli e mai banali, ma Close To The Shade risulta un esordio eccellente, un album maturo, sentito e profondo.
Non è cosa da poco riuscire a trasmettere emozioni del genere, ma i For My Demons ci riescono con questo intensa opera prima.
La title track ci da il benvenuto con il suo assolo che scava nella nostra anima, tirando fuori gli incubi a mani nude: un brano splendido che viene seguito da una meno disperata Directions.
Reborn si avvia su un tappeto orchestrale, la chitarra acustica sanguina accordi classici mentre le ritmiche tutt’altro che semplici mantengono alta la tensione, per tornare al dark metallico dell’opener, tragico ed intimista nei perfetti interventi delle sei corde (Emanuela Marino, Luca Gagnoni) e versatile a livello ritmico (Andrea Terzulli al basso e Valerio Primo alle pelli).
La Fleur Du Mal, altro ottimo brano dall’andamento lineare, lascia spazio alla conclusiva Burning Rain, che gode di un riff pesante e dalle reminiscenze riconducibili ai primi Anathema, seguito da un giro pianistico melanconicamente dark con la splendida voce di Palmieri che, quando prende il comando, fa decollare il sound mantenendo altissima la qualità della musica prodotta e portandoci ai titoli di coda che scorrono su un fiume in piena di emozioni.
Non una nota fuori posto in un lavoro in cui è normale essere spinti a confrontare tra i For My Demons con le band storiche del genere, senza però che questo vada a sminuire la personalità e la capacità di emozionare del gruppo nostrano.
Un ascolto obbligato per le anime tormentate che vagano in questo tragico inizio millennio.

TRACKLIST
01 – Close to the Shade
02 – Directions
03 – Scars
04 – Reborn
05 – When Death Hurts
06 – La fleur du mal
07 – Burning Rain

LINE-UP
Gabriele Palmieri – Vocals
Luca Gagnoni – Guitar
Emanuela Marino – Guitar
Andrea Terzulli – Bass
Valerio Primo – Drums

FOR MY DEMONS – Facebook

Sollertia – Light

I Sollertia colpiscono nel segno al primo colpo, rilasciando un album di rara bellezza ed intensità e che possiede la freschezza di un approccio progressivo unito ad un dolente incedere affine per impatto al doom più melodico.

Da un’altra di quelle etichette europee dalle uscite rade ma sempre di qualità, come è la francese Apathia Records, arriva l’esordio dei Sollertia, intitolato Light.

Il duo è composto dal francese VoA VoXyD (con un passato nei gotici Ad Inferna), che si occupa interamente della parte musicale e compositiva, e dal più noto James Fogarty, vocalist britannico conosciuto anche come Mr.Fog, attualmente titolare del ruolo nei grandi In The Woods, nonché detentore del progetto solista Ewigkeit.
Nonostante alcuni indizi derivanti dal passato dei due musicisti possano farlo pensare, in realtà il sound dei Sollertia si rivela estremo solo in pochi frangenti (The Devil Seethe), andandosi invece a collocare in un ambito che si potrebbe definire, a grandi linee, sotto la sfera di influenza dei Katatonia, e comunque andando ad abbracciare le diverse sfumature che si diramano da quel settore musicale ricco di realtà talentuose e nel quale si possono annoverare, con tutte le distinzioni del caso, anche Anathema ed Antimatter.

Infatti, in maniera affine alle band citate, Light offre una serie di brani per lo più avvolti da linee malinconiche, anche se i Sollertia ci mettono di loro una propensione progressiva ed un notevole carico di tensione che pervade il disco per l’intero sviluppo.
Le undici tracce si snodano, così, sempre in maniera convincente, grazie ad una pulizia sonora volta a solleticare con buona continuità la sfera emotiva dell’ascoltatore, alla quale contribuiscono in maniera decisiva sia l’interpretazione vocale di grande spessore da parte di Fogarty (coadiuvato in tre brani dall’ospite Vanja Obscure), sia lo splendido lavoro chitarristico di VoA VoXyD; non penso di esagerare defininendo Light uno dei migliori album usciti finora nel 2017, in virtù di un sound che, nonostante appia a tratti fruibile, gode contestualmente di una grande profondità.
Qui la luce evocata dal titolo è in realtà quella che, nella copertina, si fa largo tra le nubi e la nebbia: un qualcosa di tenue e soffuso che prelude ad un’oscurità mai del tutto assoluta, derivante da una sensibilità lirica e musicale che assume un sentire cosmico nei suo momenti più alti (le meravigliose Pascal’s Wager, Enter The Light Eternal, Praying At The Chapel Perilous, Mathematical Universe Hypothesis e Sisyphean Cycle).
I Sollertia colpiscono nel segno al primo colpo, rilasciando un album di rara bellezza ed intensità e che possiede la freschezza di un approccio progressivo unito ad un dolente incedere affine per impatto al doom più melodico: difficile chiedere di meglio ad un lavoro che, per il suo valore, si colloca come minimo all’altezza delle ultime uscite delle citate band di riferimento.

Tracklist:
1. Adducantur
2. Abstract object theory
3. Pascal’s wager
4. Enter the light eternal
5. Praying at the chapel perilous
6. The devils seethe
7. Mathematical universe hypothesis
8. Dark night of the soul
9. Sisyphean cycle
10. Positive disintegration
11. Light

Line up:
James Fogarty : Lyrics & Vocals
VoA VoXyD : Instruments & Composition

Vanja Obscure : Vocals on #3, #6 and #10

SOLLERTIA – Facebook

Opalized – Rising From The Ash

Questi ragazzi di Bordeaux hanno una marcia in più e lo si può sentire benissimo nel disco, perché la potenza ed il controllo che hanno molti gruppi se lo sognano.

Gli Opalized sono di Bordeaux e propongono un metalcore molto potente e vicino al thrash, con un forte background hardcore.

Gli Opalized si distinguono nel grande mare del metalcore per una notevole potenza di suono, anche grazie ad una puntuale produzione. Questi ragazzi di Bordeaux hanno una marcia in più e lo si può sentire benissimo nel disco, perché la potenza ed il controllo che hanno molti gruppi se lo sognano. Oggigiorno per fare un metalcore che possa risultare notevole bisogna essere ancora più bravi di anni fa, sia perché quando un genere comincia a mostrare segni di usura bisogna ricercare altre vie, sia perché non è per nulla facile distinguersi. Gli Opalized invece riescono molto bene a farsi sentire, con il loro timbro veloce e potente, e le loro parti melodiche mai ovvie e scontate, inserite sempre molto bene e con proprietà. Diventa davvero piacevole ascoltate dischi come questo di metal moderno, che lasciano anche grande speranza per il futuro del fare musica pesante in maniere intelligente: dalla Francia arrivano molti di questi esempi e gli Opalized sono fra i migliori.

TRACKLIST
01. The Fall
02. Gives It Back
03. End of Humain Reign
04. Unity
05. Black Flag
06. Near Death Experience
07. Rising from the Ashes

LINE-UP
Boris Kasnov – Vocals
Joachim Touron – Guitar, Clean Vocals
Seeklone – Guitar, Studio Drums
Rémy Pasques – Bass

OPALIZED – Facebook

Sabbath Assembly – Rites Of Passage

Un disco dolcissimo e tremendo, un metal pop liberty che è concepito e suonato in maniera straordinaria, per un gruppo che continua a stupire facendo musica di qualità altissima.

I Sabbath Assembly sono da anni uno dei gruppi più interessanti nel panorama del metal occulto, e sono ovviamente molto altro.

Dopo qualche cambio di formazione, sempre sotto il comando illuminato della cantante Jamie Myers, ex Hammer of Misfortune, i Sabbath Assembly tornano con un disco molto interessante e differente rispetto alle loro altre opere. Ad ogni lavoro il gruppo progredisce e ci offre musica diversa, impreziosita dal fatto di essere scritta e suonata benissimo. Rites Of Passage è un disco maestoso, bellissimo e costruito per essere apprezzato su diversi livelli di lettura, come tutte le grandi opere. La loro magnificenza rituale e simbolistica è davvero grande, il disco ha un incedere epico e magnificente, scava dentro il nostro passato per provare a mettere a fuoco il nostro presente. La loro musica si può definire in molti modi, ma forse barocca è quello che le calza meglio. In questo caso, barocco non è un inclinazione verso gli orpelli, ma un istinto a leggere la storia umana e a rigettarla sotto forma di musica e di piacere. Gli album dei Sabbath Assembly sono sempre stati strutturati come rituali, sacrifici in forma di musica, e questo disco rappresenta vari riti di passaggio che possiamo incontrare nella nostra vita. La musica è un doom rock per l’ appunto barocco, con forti momenti di heavy pop anni settanta. I Sabbath Assembly, semplificando notevolmente sono simili ai Ghost, solo molto più interessanti, e poi vari musicalmente ed esteticamente più aderenti. In sede di scrittura è forte l’ impronta di King Diamond nei suoi dischi solisti, con quel timbro sontuoso e aperto ad influenze liberty. Rites Of Passage, come per i loro dischi precedenti, va poi oltre un significato meramente musicale. Qui c’è il dolore dei riti di passaggio che sigla ogni nostro cambiamento, ogni perdita o cambiamento importante, poiché in questa epoca di finto progresso abbiamo dato per scontato che il dolore possa essere escluso dalle nostre vite, invece è esso stesso un rito di passaggio. Un disco dolcissimo e tremendo, un metal pop liberty che è concepito e suonato in maniera straordinaria, per un gruppo che continua a stupire facendo musica di qualità altissima.

TRACKLIST
1. Shadows Revenge
2. Angels Trumpets
3. I Must Be Gone
4. Does Love Die
5. Twilight of God
6. Seven Sermons to the Dead
7. The Bride of Darkness

LINE-UP
Johnny DeBlase – Bass
Kevin Hufnagel – Guitars
Dave Nuss – Drums
Jamie Myers – Vocals
Ron Varod – Guitars

SABBATH ASSEMBLY – Facebook

Hesperia – Caesar. Roma Vol. I

Mai ovvio e sempre interessante, Caesar, primo disco di una serie dedicata a Roma, rappresenta una delle punte più alte del metallo italiano, che definire tale è molto riduttivo.

Sesto disco per questo progetto solista attivo da molti anni. Lo scopo di Hesperia è di fare metallvum italicvm come afferma lui stesso, cercando di concepire una via italica al pagan metal vicino al black.

Il suono di questo concept album sulla vita di Giulio Cesare è molto più sfaccettato, e partendo dal pagan si avvicina molto al metal nella sua accezione più folk, perché qui oltre alla musica c’è molto da dire e scoprire. Hesperia parte da lontano, a cominciare dal nome che è quello antico della nostra penisola, in un fulgido passato pagano che abbiamo dimenticato in fretta abbagliati dalle falsità cristiane. Il disco, dal punto si vista musicale, è una minuziosa ricerca di un suono che sia solennemente adatto a far risuonare questa storia, che è speciale e non può essere raccontata senza l’ausilio di un metal speciale. Hesperus è un musicista di talento e trova sempre un’adeguata impalcatura sonora a testi molto belli che mostrano la storia sotto il punto di vista dei protagonisti, facendo rivivere e sanguinare la storia di Giulio Cesare. Il disco potrebbe essere anche rappresentato sulle assi di un teatro, tanto è ricca la drammatizzazione; una continua meraviglia sonora, passando dal folk al metal, dal quasi black a rock progressivo o anni novanta, il tutto al servizio della storia narrata. Mai ovvio e sempre interessante, Caesar, primo disco di una serie dedicata a Roma, rappresenta una delle punte più alte del metallo italiano, che definire tale è molto riduttivo. La musica è ottima e le storie sono un nostro passato che è stato sepolto troppo presto, ma che rimane un paradigma.

TRACKLIST
1. Ivlia Gens (Incipit) / Svpremvs Dvx
2. Trivmviratvm
3. De Bello Gallico
4. Britannia Capta Erit / Alea Iacta Est
5. Roma
6. Aegyptvs (Tema di Cleopatra)
7. Caesar (Tema di Cesare)
8. Romana Conspiratio (Tema di Bruto)
9. Divini Praesagii (Romanorvm Deorvm)
10. Le idi di marzo (The Ides of March)
11. Ivlivs Caesar (Divvs et Mythvs)

LINE-UP
Hesperus: Everything

HESPERIA – Facebook

This Morn’Omina – Kundalini Rising

L’ascolto di un lavoro dalle simili caratteristiche non è affatto semplice, ma chi apprezza il versante industrial e sperimentale della musica non farà fatica ad entrare in sintonia con i This Morn’Omina.

Questa è musica che, probabilmente, con una webzine che si chiama MetalEyes dovrebbe entrarci poco o nulla, eppure resto fermamente dell’idea che gran parte del materiale sonoro che arriva dalla Dependent Records, sia esso riconducibile all’ebm, piuttosto che all’industrial o al synthpop, possa trovare orecchie disposte ad apprezzarlo anche sulle nostre metalliche sponde.

Questo è il caso di Kundalini Rising, ultimo parto discografico del prolifico duo belga This Morn’Omina: come il titolo lascia facilmente intuire, l’album trae linfa, non solo a livello tematico, dalla spiritualità induista ma continua l’opera di compenetrazione tra le sonorità elettro/industrial e quelle mistico/tribali tipicamente orientali.
L’ascolto di un lavoro dalle siffatte caratteristiche non è affatto semplice, ma chi apprezza il versante industrial e sperimentale della musica non farà fatica ad entrare in sintonia con Mika Goedrijk (ideatore del progetto) e Karolus Lerocq, i quali paiono a volte giocare con l’ascoltatore, spiazzandolo nel loro passare con disinvoltura da loop aspri e ossessivi a momenti quasi danzerecci (ovviamente tutt’altro che intesi in senso dispregiativo), avvolgendolo con la più disturbante dark ambient o soprendendolo con squarci di musica tradizionale indiana.
Il problema, ammesso che lo sia, di Kundalini Rising è quello d’essere un lavoro che sfiora le due ore complessive di durata (infatti il formato standard prevede il doppio cd), un fatturato tutt’altro che usuale o facile da digerire, specie quando i suoni inducono una senso di straniamento dalla realtà: a livello esemplificativo consiglio di dare un’occhiata qua sotto al video girato per Garuda Vimana, che nonostante sia uno dei brani più brevi devasta l’udito e la psiche come se si sviluppasse per mezz’ora.
Elettronica, strumenti tradizionali, ambient ed una voglia inarrestabile di abbattere schemi e muri sonori: questo è Kundalini Rising, questi sono i This Morn’Omina, e se qualche orfano di Godflesh e Ministry avesse voglia di valicare il confine tra l’industrial metal e quello elettronico non deve farsi sfuggire l’occasione.

Tracklist:
Disc 1
1. Ayahuasca (Lets Shift together)
2. Tir Na Nog
3. Hadji Hadja
4. Yugan (feat. Catastrophe Noise)
5. Garuda Vimana
6. (The) Waters Of Duat
7. Earthwalk
8. Maenad

Disc 2
1. God’s Zoo (Original)
2. The Apotheosis Of Eckhart
3. Graveheart
4. Mohenjo daro
5. Kachina Blue (The Watcher)
6. Kachina Red (The End Of The World)
7. Shakti
8. Moksha

Line up:
Mika Goedrijk
Karolus Lerocq

THIS MORN’OMINA – Facebook

Without Mercy – Mouichido

Un gruppo che per gli amanti del genere è un succulento e sanguinolento piatto dove tra Lamb Of God, Cannibal Corpse e Chimaira ci si abbuffa che è un piacere

Il Canada ha un forte legame con la musica metal, specialmente per quanto riguarda i suoni estremi di matrice death metal , anche se in questi ultimi anni, oltre che al tradizionale sound classico e progressive, non mancano ottimi gruppi alternative.

Ma con i Without Mercy si parla di metal estremo, su questo non c’è dubbio, rabbioso, violento ed in bilico (come sembra andare di moda nell’ultimo periodo) tra tradizione e modernità.
Dunque anche il quartetto di Vancouver sale sul carrozzone dove si sono sedute le band emergenti, dal sound che passa da bordate deathcore ad aperture meno sincopate, più veloci, ed in linea con il death metal classico.
Il gruppo, attivo ormai da più di dieci anni, ha dato alle stampe un solo full length omonimo, contornato da tre ep, compreso quest’ultimo Mouichido.
Quattro brani per una ventina di minuti al limite del brutal e bisogna dare atto al gruppo canadese di non lasciarsi andare a facili compromessi, ma di partire all’assalto con un sound estremo ed allucinato, dove le ritmiche moderne fanno da tappeto a solos che richiamano il sound della Bay Area e creando un buon ibrido.
In Waves, devastante brano death brutal core, vede la partecipazione in qualità di ospite di Mark Hunter dei Chimaira, la produzione valorizza la potenza dei quattro brani e la band se la cava senza sbavature.
Un gruppo che per gli amanti del genere è un succulento e sanguinolento piatto dove tra Lamb Of God, Cannibal Corpse e Chimaira ci si abbuffa che è un piacere.

TRACKLIST
1.Worthless
2.In Waves (ft. Mark Hunter of Chimaira)
3.Burn
4.Morphine

LINE-UP
Alex Friis – Vocals
DJ Temple – Guitars
Ryan Loewen – Bass
Matt Helie – Drums

WITHOUT MERCY – Faceboook

Righteous Vendetta – Cursed

Purtroppo manca quel pizzico in più di estremismo sonoro che avrebbe attirato maggiormente i fans legati al deathcore, ma diamo atto ai Righteous Vendetta che l’uso di soluzioni richiamanti il nu metal di inizio millennio varia quanto basta l’atmosfera dei vari brani.

La ragazza dal cappuccetto rosso, ritratta sulla copertina del nuovo lavoro dei Righteous Vendetta, ci invita ad una camminata nel boschi del Wyoming, intanto con quello sguardo dubito che verremmo infastiditi dagli abitanti della foresta.

Scherzi a parte, tramite Century Media arriva Cursed, il nuovo arrivato in casa Righteous Vendetta, metalcore band statunitense che poco aggiunge al genere se non un ennesimo album di metal moderno, melodico, dai ritmi sincopati e che alterna umori nu metal e melodiche parti con una voce pulita che intona chorus strappalacrime puntati al cuore di ragazzine del nuovo millennio.
Non è neppure poco che il gruppo è in circolazione, siamo arrivati infatti al quarto full length di una carriera iniziata nel 2008, costellata da una discografia che conta pure tre ep.
Con queste premesse ci si aspettava un album capace di colpire nel segno e, sotto il punto di vista commerciale, si può dire che il gruppo abbia centrato l’obiettivo, grazie ad una raccolta di brani ineccepibili sotto il punto di vista della produzione, del suono e dell’appeal.
Purtroppo manca quel pizzico in più di estremismo sonoro che avrebbe attirato maggiormente i fans legati al deathcore, ma diamo atto ai Righteous Vendetta che l’uso di soluzioni richiamanti il nu metal di inizio millennio varia quanto basta l’atmosfera dei vari brani.
Oltre all’ottima Psycho, traccia che non lascia scampo con il suo muro di groove, Cursed qualche buono spunto lo lascia intravedere (la title track, Daemons, la devastante Doomed), ma l’uso smodato delle clean e qualche soluzione ripetuta lungo i brani, non danno all’album quel quid in più per andare oltre una prova più che sufficiente.
L’appeal è comunque buono ed è probabile che l’album faccia sicuramente vittime tra i giovani fruitori del metal moderno.

TRACKLIST
1.War Is Killing Us All
2.Cursed
3.Weight Of The World
4.Daemons
5.A Way Out
6.Defiance
7.Psycho
8.Never Say Never
9.Doomed
10.Burn
11.Halfway
12.Become
13.Strangers

LINE-UP
Ryan Hayes — Vocals
Justin Olmstead — Guitar
Justin Smith — Guitar
Zack Goggins — Drums
Riley Haynie — Bass

RIGHTEOUS VENDETTA – Facebook

Hybrid Sheep – Hail To The Beast

Un buon lavoro che unisce la tradizione death melodica con il più moderno metalcore, mantenendo una violenza estrema di fondo che entrerà nei cuori anche dei deathsters dagli ascolti classici.

Death metal melodico con qualche spunto core e soprattutto una carica niente male, in poche parole ecco Hail To The Beast, nuovo lavoro del quintetto francese degli Hybrid Sheep.

Nato quasi una decina di anni fa, il gruppo transalpino proprone il suo secondo full length, di corta durata (poco più di mezzora) e che spara ad altezza d’uomo una serie di cannonate niente male: prodotto a meraviglia, Hail To The Beast non si fa mancare nulla, dalla doppia voce (growl e scream) a ritmiche che alternano la potenza del metalcore con più veloci approcci death metal che le sei corde, molro melodiche, avvicinano a quanto fatto in Scandinavia nel dopo Clayman.
Poi il quintetto transalpino non manca di imprimere la sua personalità che vive di influenze moderne e, aiutato da una buona tecnica, si fa apprezzare con un lavoro urgente, senza compromessi e diretto: un muro sonoro in cui la melodia è fondamentale per la riuscita di brani spaccaossa come Towards Ruins And Oblivion, The World Eater, il death thrash da distruzione totale di Premature Burial e la conclusiva Into The Lion’s Den.
Un buon lavoro che unisce la tradizione death melodica con il più moderno metalcore, mantenendo una violenza estrema di fondo che entrerà nei cuori anche dei deathsters dagli ascolti classici.

1.Warface
2.Towards Ruin and Oblivion
3.Following Blind Leaders
4.The World Eater
5.The Last Breath of a Dying Earth
6.Premature Burial
7.Hail to the Beast
8.Harvest of Humans
9.Into the Lion’s Den

LINE-UP
Arnaud – Vocals
Alex – Guitar
Andre – Guitar
Max – Bass
Jordan – Drums

HYBRID SHEEP – Facebook

D8 Dimension- ProGr 0

Sarebbe davvero semplicistico e fuorviante catalogare i D8 Dimension come un gruppo di industrial metal, perché qui possiamo trovare qualcosa di molto più importante dei generi, le idee.

Sarebbe davvero semplicistico e fuorviante catalogare i D8 Dimension come un gruppo di industrial metal, perché qui possiamo trovare qualcosa di molto più importante dei generi, le idee.

Gli italiani D8 Dimension ne hanno parecchie di idee, e le hanno messe in musica con questo disco che è particolare ed ha la grande attrattiva di trasportarci in molti mondi diversi. Il loro suono è un felicissimo connubio di metal moderno, industrial, nu metal, un tocco di ebm qui e là, e tante ottime melodie metal originali. ProGr 0 ha ha avuto una gestazione di tre anni, e non è tanto per la quantità di tempo ma per la qualità, poiché nel concepire questo disco sono venuti fuori anche problemi fa i componenti del gruppo. Ciò è normalissimo se si considera che in un insieme di persone che fanno musica ci sono più probabilità che sorgano conflitti, ma se poi producono dischi così, evviva i conflitti fra musicisti, anticamera della fertilità musicale. Post apocalisse o prima dell’apocalisse, cioè oggi, il mondo descritto in maniera molto efficace dai D8 Dimension è un qualcosa che ci è molto vicino, tecnologia fuori controllo, vite allo sbando, e gli alieni che sarebbero molto contenti di passarci sopra. I D8 Dimension descrivono tutto ciò con naturalezza ed un suono che riconduce ai Nine Inch Nails meno noiosi (è difficilissimo ma loro ci riescono) e a quel bel misto di metal ed elettronica che aveva un sacco di potenzialità ma forse gli attori sbagliati, rendendo il meglio di questo genere. ProGr 0 arriva dopo un demo del 2010 e Octocura del 2013, ed è uno di quei dischi che viene difficile da descrivere e molto più facile e piacevole da ascoltare. Melodie altre in bilico fra elettronica e metal, tra estinzione e felice malinconia, per un lavoro notevole e davvero bello, che se venisse da oltreoceano sarebbe idolatrato, e qui invece abbiamo gruppi come i D8 Dimension che si autoproducono e sono bravissimi: aiutiamoli.

TRACKLIST
01 – -39°C
02 – My Feast
03 – Matryoshka
04 – X: Bigger Boat
05 – Rollformer Gospel
06 – Astrokiller
07 – Anamnesis
08 – Industrial II
09 – Les Fleurs
10 – Y: Salt On Carthage

LINE-UP
Tepe – Voce
Alu.X – Synth/Samples + Basso
Tyo Crayon – Chitarra
Mik – Chitarra
Michael Mammoli – Batteria

DO DIMENSION – Facebook

Primal Age – A Silent Wound ep

I Primal Age hanno una struttura musicale sullo stile hardcore anni novanta, ma la cosa più notevole che fanno è quella di attualizzare molto bene il loro suono, e sono una cosa che noi ascoltatori di hardcore anni novanta ci siamo sognati per anni.

Provenienti dalla cittadina francese di Evreux, i Primal Age sono attivi dal 1993, sono uno dei primi gruppi europei ad aver fuso insieme hardcore e metal, dando vita a qualcosa di molto simile al metalcore, ma con maggiore groove.

Nello svilupparsi di questa lunga carriera i Primal Age non hanno perso un briciolo della loro potenza, anzi sono diventati più cattivi e sono alla guida del corteo del meglio metalcore che potete trovare in giro.
Questo ep arriva dopo due album ed uno split, e soprattutto dopo tantissima attività dal vivo che li ha portati in tutto il mondo, dal Messico al Brasile passando per il Giappone. A Silent Wound è un ottimo disco di hardcore e metalcore, spingendosi fino al groove metal, e coinvolge molto l’ascoltatore. I Primal Age hanno una struttura musicale sullo stile hardcore anni novanta, ma la cosa più notevole che fanno è quella di attualizzare molto bene il loro suono, e sono una cosa che noi ascoltatori di hardcore anni novanta ci siamo sognati per anni. Il suono dei Primal Age è davvero avviluppante e potente, porta pericolosamente all’headbanging e ci fa ricordare che fare musica così non è facile, oltre ad un certa tecnica ci vuole vera attitudine e qui ce n’è tantissima. Non sono rimasti in molti a fare questo suono che vive superando spesso i confini, e la quarta traccia dell’ep ne rende nota la paternità, essendo un medley di canzoni degli Slayer in omaggio a uno dei più grandi, Jeff Hannemann, tanto per far capire da dove vengono i Primal Age, e anche da dove veniamo tutti noi amanti di questo suono, perché gli Slayer sono una cosa megalitica. Un ottimo ep per un gruppo sempre molto interessante.

TRACKLIST
1.The Whistleblowers VS World Health Organization
2.A Silent Wound (ft Felipe Chehuan – CONFRONTO)
3.Counterfeiters of the Science
4.To Jeff (SLAYER medley – ft Julien Truchan/ BENIGHTED & Koba/ LOYAL TO THE GRAVE)

LINE-UP
Benoit: Guitar
Florian: Guitar
Mehdi: Drums
Dimitri: Bass & Vocals
Didier: Vocals

PRIMAL AGE – Facebook

Wingless – The Blaze Within

Alternative metal poco incline alla commercialità e molto ben costruito, con violenza e rabbia incanalata in un sound che non dimentica un tocco cool nell’uso delle due voci (estrema e pulita) ma con un tocco di personalità.

Quello degli Wingless è alternative metal poco incline alla commercialità e molto ben costruito, con violenza e rabbia incanalata in un sound che non dimentica un tocco cool nell’uso delle due voci (estrema e pulita) ma con un tocco di personalità.

Il trio in questione proviene da Cracovia, in Polonia, è al secondo album dopo il debutto del 2014, intitolato Hatred Is Purity, e licenzia qualche mese fa The Blaze Within un massiccio pezzo di granito modern metal o alternative (come preferite), dosando violenza e melodia con quest’ultima usata con maturità e senza nessuna ruffianeria.
Non sono certo gli Wingless un gruppo con velleità commerciali vietate ai maggiori di diciotto anni, ed infatti Olaf Różański (voce), Grzegorz Luzar (chitarra e basso) e Paweł Solon (percussioni), scelgono la strada del metal moderno da strada (se mi concedete il termine), le cui influenze sono individuabili tra i gruppi degli anni novanta, con parti melodiche e ritmiche che si fanno ricercate e tooliane, mentre la violenza trae linfa dai solchi delle opere dei Prong e dei Ministry attraversati dal trip alternative di Psalm 69.
E in effetti, con il passare degli ascolti, The Blaze Within lascia ottime sensazioni e attimi intensi di musica intimista e drammatica, mentre l’altalena tra la parte più rabbiosa e quella melodica intensifica l’emozionante cambio di umori e sensazioni che brani come la title track, Victory Hotel o Descend lasciano nell’ascoltatore.
Un album che cresce con gli ascolti e con i minuti, lasciando il meglio di sé alla fine dove la già citata Descend si candida ad apice emotivo di un lavoro davvero bello ed interessante.

TRACKLIST
1.Non serviam
2.A blaze within
3.Great shineless brightness
4.Unheard sublime
5.Victory Hotel
6.Reap what you have sown
7.The hours of my rest
8.Descend
9.Jerk me off

LINE-UP
OLAF RÓŻAŃSKI – vocals
GRZEGORZ LUZAR – guitars, bass
PAWEŁ SOLON – drums

WINGLESS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Green Meteor – Consumed By A Dying Sun

I Green Meteor sono un rumoroso collettivo che ha la precisa funzione di farci viaggiare il più rumorosamente possibile con la loro musica, un misto di fuzz, psichedelia e space rock in quota Hawkwind.

Space fuzz rock con voce femminile da Philadelphia. I Green Meteor sono un rumoroso collettivo che ha la precisa funzione di farci viaggiare il più rumorosamente possibile con la loro musica, un misto di fuzz, psichedelia e space rock in quota Hawkwind.

Questo suono è affascinante e morboso, nasce dalla salita alle stelle attraverso le asperità dei Grateful Dead, passando per la tradizione psichedelica pesante americana. I Green Meteor tracciano ardite rotte spaziali, fondono chitarre ed organi sia musicali che umani per arrivare alla meta. Nati nel 2015, cominciano un’intensa attività musicale per poi arrivare al questo debutto attraverso Argonauta Records. Il disco è molto originale, distorto e marcio al punto giusto per essere gustato dalla platea di rumoristi che sta diventando sempre più esigente e che qui troverà moltissimo. I Green Meteor salgono e scendono, guidando il loro mezzo spaziale in mezzo a turbolenze e a momenti di puro piacere. La voce femminile è decisiva nel determinare il successo di questo suono, perché riesce a creare atmosfere molto particolari, arrivando a connotare decisamente il tutto. Consumed By A Dying Sun è un ottimo disco di psichedelia pesante, composto anche da una forte componente di fuzz che aiuta a caricare maggiormente il lavoro nel suo insieme. Ascoltando il disco si riesce a carpire anche una vena punk hardcore che spinge la band a fare qualche passaggio molto più veloce dando una scarica all’ascoltatore. In definitiva questo debutto è l’apertura di una ottima miniera di musica pesante e psichedelica che riesce a salire molto in alto.

TRACKLIST
01 – Acute Emerald Elevation
02 – Sleepless Lunar Dawn
03 – In the Shadow of Saturn
04 – Mirrored Parabola Theory
05 – Consumed by a Dying Sun

LINE-UP
Leta
Amy
Tony
Algar

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