Dope – Blood Money Part I

Aspettando la seconda parte godiamoci Blood Money e diamo il bentornato a Edsel ed ai suoi Dope!

Per chi ha seguito con attenzione lo sviluppo ed il successo del nu metal, negli anni a cavallo del nuovo millennio, si ricorderà certo dei Dope e dei loro due primi album, due mazzate di devastante metallo industriale, pregno di groove e dall’elevato appeal melodico.

Felons and Revolutionaries e Life, rispettivamente del 1999 e del 2001, fecero crescere la fama del gruppo capitanato da Edsel Dope, arrivato leggermente in ritardo sul ruolino di marcia del mainstream, ma sicuramente dotato del giusto approccio e talento per regalare agli allora amanti del nuovo suono metallico americano qualcosa per smuovere i fondoschiena.
Innumerevoli cambi di line up, ancora tre lavori tra il 2003 ed il 2009 e poi il lungo letargo interrotto dalle scariche industrial nu metal del nuovo Blood Money part I, buon ritorno per il gruppo statunitense.
Parliamoci chiaro, se nel 2016 siamo ancora qui ad esaltarci per le opere di gruppi classici che si rifanno all’hard rock settantiano o alla new wave of british heavy metal, allora una mazzata nu metal direttamente dagli States ci sta tutta ed il ritorno dei Dope risulta proprio questo, una devastante prova di forza dalle sonorità metalliche moderne e crossover.
E Blood Money (il brano) risulta tutto quello che vorreste sentire da un album dei Dope: nu metal potentissimo, industriale e dal chorus che si stampa in testa al primo passaggio, in due parole irresistibile.
Chiudete gli occhi ed il tempo scorrerà a ritroso fino all’alba di questo disgraziato millennio, tempi in cui il genere e le sue star erano ospiti fissi sui magazine di tutto il mondo, mentre Shoulda Known Better, Razorblade Butterfly e la spettacolare A New Low riportano definitivamente il calendario all’anno di grazia 1999.
Non fosse altro, la band ci fa regalo di una chicca, la cover di Violet di santa madre Courtney Love e delle sue Hole, nei novanta affascinante strega tossica e Yoko Ono del grunge, ora mirabile cantautrice dei sopravvissuti di un decennio che è già storia.
Aspettando la seconda parte, godiamoci Blood Money e diamo il bentornato a Edsel ed i suoi Dope!

TRACKLIST
1.Intro – Confessions Of A Felon
2.Blood Money
3.Shoulda Known Better
4.Lexapro 5.Hold On 6.1999
7.Razorblade Butterfly
8.Drug Music
9.A New Low
10.Hypocrite
11.X-Hale
12.End Of The World
13.Selfish
14.Numb
15.Violet (Bonus Track)

LINE-UP
Edsel Dope – Vocals, guitars, keys
Nikk Dibs – Guitars
Jerms Genske – Bass
Dan Fox – Drums

DOPE – Facebook

Under Static Movement – The Mirror

Le influenze sono da attribuire in egual modo ai gruppi storici dei primi anni del nuovo millennio, ed i nuovi eroi del metal core che girano sui canali satellitari e con cui la band nostrana si avvicina senza timori reverenziali, carichi di energia e rabbia metallica.

Nuovo ep per l’ alternative metal band Under Static Movement, quintetto nato dall’unione di musicisti di diverse realtà gravitanti tra Cremona e Piacenza.

The Mirror è il terzo ep in poco meno di dieci anni di attività, una buona presenza live e qualche cambio nella line up.
La proposta degli Under Static Movement è un alternative metal, tra il nu metal ed il metal core, dalle buone intuizioni melodiche, ma comunque energico e aggressivo il giusto per fare sfracelli soprattutto in sede live.
Buona l’alternanza tra scream core e voce pulita, gagliardi i riffoni stoppati e le ritmiche potenti e cadenzate, marchio di fabbrica dei gruppi di metal moderno.
Le influenze sono da attribuire in egual modo ai gruppi storici dei primi anni del nuovo millennio, ed i nuovi eroi del metalcore che girano sui canali satellitari e con cui la band nostrana si avvicina senza timori reverenziali, carichi di energia e rabbia metallica.
Ottimo come scritto il supporto melodico al muro pregno di groove innalzato dalla sezione ritmica, la band si fa apprezzare nel saper mantenere con sagacia una durezza di fondo che permette al sound di non risultare troppo patinato e The Mirror risulta così un ottimo lavoro, specialmente per gli amanti di queste sonorità, con
Death By Lobotomy, il singolo Mezcal e la conclusiva The Solution tra i brani migliori.

TRACKLIST
1. Death By Lobotomy
2. Falls From Grey
3. Mezcal
4. Put Your Finger Inside
5. Seven
6. Still Laying
7. The Solution

LINE-UP
J.P. – vocals
Riku – guitar
Bone – guitar
Fede – bass
Nik – drums

UNDER STATIC MOVEMENT – Facebook

Almassacro – Ostilità

Uno dei migliori dischi underground italiani dell’anno, ed uno dei migliori lavori in ambito rapcore.

La musica ha molti usi, ognuno dentro di sé ne conosce il più intimo, quello più adatto a lui, ma sicuramente è il veicolo migliore della propria rabbia, e qui in Ostilità dei sardi Almassacro di rabbia ce n’è tanta.

Questo disco è una cosa rara, nel senso che musicalmente siamo nei sobborghi della New York anni novanta, dove il rap si abbracciava mortalmente al metal, o nella Los Angeles dei Downset, stessi codici facce diverse, come nella Sardinia del 2016. Gli Almassacro fanno un disco fantastico di metal e di rap, di cuore e di stomaco, testi bellissimi e una musica che viaggia benissimo. Il loro è un rapcore esplosivo, nemmeno politico, è rabbia che viene dal basso, contro i capi e i loro sgherri. Ostilità è proprio ciò che dice il titolo, ed è un lavoro esplosivo fatto benissimo, che fa il paio con un’altra meraviglia, ovvero il disco dei La Furia, altro capolavoro. Qui rispetto ai La Furia c’è più metal, più rapcore, anche perché i ragazzi del gruppo provengono da altre esperienze con gruppi prevalentemente hardcore, per cui le coordinate sono quelle ma si va oltre. Fa tantissimo anche l’essere sardi, perché sull’isola la rabbia gioca sempre in champions league. Colpisce durissimo questo disco, a partire da A.c.a.b.che non è la solita canzone contro le guardie, ma è molto di più, perché certi schemi in Italia si ripetono sempre e sono immutabili: leggete qui , e vedete se non vi ricorda Stefano Cucchi e molti altri, ma è un omicidio poliziesco del 1897…
Una delle cose migliori di questo disco sono i testi, davvero notevoli e intrisi di poesia urbana (che è un termine di merda ma è per intenderci), ed è uno dei migliori dischi underground italiani dell’anno nonchè in ambito rapcore. Qui non troverete salvezza, democrazia come la intendete voi, ma rabbia e voglia di vendetta di chi sulla strada c’è si è fatto le nocche dure; inoltre va a continuare una linea rossa che va dai Tear Me Down fino agli Almassacro, per continuare con gruppi come i Coru e Figau, e passa per spazi liberati, morti e carceri e non si interrompe mai, ma grida ancora.

TRACKLIST
1. Per Chi Sputa Sangue
2. Maschere di Cera
3. Atena Suicida
4. Colpo di Grazia
5. A.c.a.b.
6. Attitude
7. Nervi Tesi

LINE-UP
Ese – voice-
Yari – voice-
Sgrakkio – guitar-
Deddu – drum-
Safety – bass-

ALMASSACRO – Facebook

The Sinatra’s – Nerves

I The Sinatra’s sono in giro dal 2005 a macinare chilometri, dischi e canzoni, e ci sono sempre, come quelle macchine che non ti abbandonano mai, e questo disco lo testimonia.

I The Sinatra’s sono un gruppo che fa musica rumorosa ed emozionante, con molte influenze dalla scena dell’alternative modern metal a stelle e strisce.

Come dice già il titolo del disco, il suono che troverete è dominato dai nervi, ma c’è anche tantissima melodia, anzi la melodia qui regna su tutto. Il suono è molto radiofonico e piacevole, i The Sinatra’s ci mettono del loro, creando atmosfere molto interessanti, facendo rumore e pesanti melodie, tenendo in primo piano l’impatto dal vivo che è notevole. I The Sinatras’s sono un gruppo che fa musica per emozionare il loro pubblico, con un’azzeccata formula in bilico fra emo, metal e la melodia italiana; sono in giro dl 2005 e sono un gruppo che macina chilometri, dischi e canzoni, e ci sono sempre, come quelle macchine che non ti abbandonano mai, e questo disco lo testimonia. Note come dolce lava, una voce che ti culla e ti sculaccia quando è il caso, ed un rifacimento in pieno stile Sinatra’s di Helter Skelter dei Beatles, con tante emozioni e divertimento da parte un gruppo che si impegna e porta sempre a casa il risultato.

TRACKLIST
01. Landscapes
02. It Came From The Sand
03. Useless Perspectives
04. Nightdrive
05. Shelter
06. Black Feeder
07. Helter Skelter
08. Mare Magnum
09. Sleeping Giant
10. For The Lost

LINE-UP
Nicola Sant’Agata – Vocals
Nelson Picone – Guitar
Gennaro “Johnny” Caserta – Drums
Orazio Costello – Bass

THE SINATRA’S – Facebook

Klee Project – The Long Way

Un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’affascinante mood teatrale e, soprattutto, originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .

Un’altra opera da annoverare tra le migliori uscite dell’anno in campo hard rock, anche questa volta nata nei nostri patri confini.

I Klee Project sono una sorta di super gruppo che vede unire i talenti di Roberto Sterpetti, cantante, ed Enrico “Erk” Scutti (ex Cheope, ex Figure of Six) ai cori e testi, a diversi musicisti di livello internazionale come Marco Sfogli (Pfm, James La Brie) alla chitarra, Lorenzo Poli (Vasco Rossi, Nek) al basso ed Antonio Aronne (Pavic, Figure Of Six) alla batteria, come se non bastasse l’importante contributo dell’orchestra sinfonica condotta da Francesco Santucci e di Tina Guo (Foo Fighters, Cirque Du Soleil, John Legend).
The Long Way è un concept basato su un viaggio, il sogno che si avvera di un musicista che attraversa l’ America sulla leggendaria Route 66 e da Memphis arriva nella città degli Angeli dove troverà l’amore , il successo, gli eccessi e la consapevolezza di dover ricominciare daccapo per ritrovare l’equilibrio perduto.
La musica che accompagna il protagonista attraverso le vicende narrate è un hard rock/alternative che spazia da bellissime ed emozionati note southern rock ad armonie orchestrali, dal metallo moderno ed alternativo all’ elettronica.
Un lavoro importante questo The Long Way, un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’ affascinante mood teatrale, perfetta a mio parere da portare live come fatto per le storiche opere che hanno attraversato indenni più di quarant’anni di musica rock e, soprattutto,originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .
Seguendo la trama e le varie vicende, il sound risulta vario, ma allo stesso tempo facile da seguire senza perdersi tra i generi e le moltitudini di sfumature.
Cantato, suonato e prodotto come e meglio di un top album internazionale, The Long Way vive di rock tradizionale e moderno, sudista e pop, metallico e melodico, duro come i riff forgiati nell’acciaio delle sei corde, delicato come il suono degli strumenti classici.
Tutte queste varianti e contraddizioni creano un suono entusiasmante ed è un attimo perdersi nella storia e nei vari capitoli che compongono l’opera.
Non ci sono brani migliori di altri, questo lavoro ha tutti i crismi dell’opera rock e come un’opera va ascoltata, capita e fatta propria. Bellissimo ed emozionante.

TRACKLIST
1.Everybody Knows
2.Southern Boy
3.The Long Way
4.If You Want
5.The Prisoner
6.Hereafter
7.Time Is Over
8.Your Sacrifice
9.Close To Me
10.You Should Be Mine
11.This Game
12.Lucrezia’s Night
13.Lucrezia’s Night (Reprise)

LINE-UP
Roberto Sterpetti – vocals
Enrico “Erk” Scutti – Chorus
Marco Sfogli – Guitars
Lorenzo Poli Bass
Antonio Aronne – Drums

KLEE PROJECT – Facebook

Noise Pollution – Unreal

Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito.

Secondo disco per questo gruppo italiano di metal moderno.

Metal per l’appunto, con l’aggiunta di un piglio punk e reminiscenze di crossover. Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito. La produzione è molto buona e fa risaltare il gruppo, ma su questo disco non c’è molto da dire. Ascoltare Unreal è un qualcosa che potrebbe piacervi, soprattutto se vi piace il metal che non fa male, ma è anche qualcosa che lascia indifferenti. I Noise Pollution sono bravi, suonano bene e hanno genuina passione, ma evidenziano il lato debole del metal cosiddetto moderno, ovvero quello di essere radiofonico ma in fondo vacuo, evanescente.
Questa recensione non è una stroncatura e nemmeno un elogio, ma una semplice constatazione. Se fossero americani venderebbero molto di più, perché questo suono oltre oceano è particolarmente apprezzato. Il consiglio è sempre lo stesso, ed è quello che dovrebbe sottinteso ad ogni recensione: ascoltate con orecchie vostre, fatevi un’idea, date a tutti una possibilità, le recensioni sono indicazioni e nella maggior parte dei casi sono indicazioni sbagliate, l’importante è stare sulla strada.

TRACKLIST
1.Breaking Down
2.MAD
3.Gone Forever
4.Shame
5.Unreal
6.God of Sadness
7.Hole inside me
8.Two Faced
9.We Can’t forget
10.Full of dreams

LINE-UP
Amedeo ‘Ame’ Mongiorgi – vocals
Tony Cristiano – guitar
John ‘Line’ Virzì – guitar, vocals
Lorenzo ‘Wynny’ Magni – bass, vocals
Chris ‘Labo’ Albante – drums

NOISE POLLUTION – Facebook

Projekt Mensch – Herzblut

Chi apprezza il sound dei Rammstein può trovare nei Projekt Mensch un valido surrogato

Il meritato successo planetario conseguito dai Rammstein ha indubbiamente aperto le porte ad una forma di metal imbastardito dall’elettronica e contraddistinto da una discreta base danzereccia che, ovviamente, trova la sua sublimazione in terra tedesca, visto che a mio avviso proprio l’utilizzo della lingua madre ne è un elemento fondante ed essenziale.

Questo ha ovviamente sdoganato diverse realtà che portano a muoversi in questo solco, tra i quali annoveriamo i Projekt Mensch, in circolazione già da diversi anni e con all’attivo un album nel 2011.
Tutto sommato, rifarsi vivi in questo momento di prolungata vacanza discografica di Lindemann e soci si rivela una mossa azzeccata: gli estimatori di quel tipo di sound possono trovare nei Projekt Mensch un valido surrogato, anche se rispetto ai Rammstein manca, e non poco, la potenza del muro sonoro eretto dai riff di Kruspe e Landers.
Herzblut scorre via comunque molto lineare ed orecchiabile, con più di un brano killer che mieterà diverse vittime (Der Schmerz, Dunkelheit, Mach mich fromm e Segne mich), anche se ha il piccolo difetto di vederli racchiusi tutti nella sua prima metà, con una seconda parte che presta il fianco sia ad una certa ripetitività, sia ad una minore incisività a livello prettamente compositivo.
Nulla di trascendentale, ma decisamente appetibile per quelli che, come me, hanno sempre avuto un debole per questa “tamarra” commistione tra metal ed elettronica in salsa teutonica.

Tracklist:
01. Der Schmerz
02. Dunkelheit
03. Mach mich fromm
04. Ich bringe dich Heim
05. Segne mich
06. Spieglein Spieglein
07. Schuld und Sühne
08. Das Kind
09. Vergeltung
10. Mein Herz

Line-up:
Deutscher W
Caligula
Stalin
Dark
Wolfenstein

PROJEKT MENSCH – Facebook

Under The Bed – Two Is A Lie

Una piacevole sorpresa in un genere dove gli standard sono ben consolidati e molte volte la noia prende il sopravvento.

Non più siamo così lontani come si può pensare da quell’America patria del metal moderno e la conferma arriva da Two Is A Lie, secondo album del gruppo toscano Under The Bed.

La band poggia il proprio sound su fondamenta che richiamano il metalcore, ma le manipola a suo piacimento inglobando più generi, ed il risultato, oltre ad apparire vario e mai prevedibile, riesce ad essere personale quel tanto da non finire nel solito calderone di quei gruppi che cavalcano l’onda prima che la tempesta si plachi.
Il quintetto originario di Montecatini alterna aggressive sferzate metalliche ad atmosfere rock (che qualcuno continua a chiamare post grunge), inserendo ottimi interventi elettronici e lasciando che il growl tipico del genere si alterni alle clean vocals: niente di nuovo direte voi, ma il tutto funziona, anche grazie alla bravura di Armando (voce pulita oltre che chitarra e programming) e Joshua, alle prese con le tonalità estreme.
Disperato, rabbioso, intimista, furioso, delicato, sono tutte le sensazioni derivanti dall’ascolto della musica del combo nostrano e che si susseguono nei vari passaggi di Two Is A Lie e dei suoi vari capitoli, di cui Something In The River Of Blood!, il rock cantautorale della sognante Keep Daydreaming, il rock’ n’n roll nascosto tra le pieghe di Florence On Friday e la rabbia a stento trattenuta di Crack A Selfish Open (brano che sprigiona ispirazione crossover da tutti i pori), sono i migliori esempi del credo compositivo degli Under The Bed.
Una piacevole sorpresa questo lavoro, in un genere dove ormai gli standard sono ben consolidati e molte volte la noia prende il sopravvento: una ventata di freschezza compositiva da parte di un gruppo italiano era quello che ci voleva.

TRACKLIST
01. Diatryma Paddock
02. Hatespeare
03. Something In The River Of Blood!
04. The Time
05. Aphelion / Perihelion
06. Keep Daydreaming (’til You Make It Real)
07. Florence On Friday
08. One Plus One
09. Crack A Selfish Open
10. Golden Railings

LINE-UP
Armando Marchetti – vocals, guitar, programming
Federico Morandi – bass, backing vocals
Joshua Pettinicchio – raw and backing vocals
Michele Bertocchini – guitar, backing vocals
Andrea Bruciati – drums, backing vocals

UNDER THE BED – Facebook

Atonismen – Wise Wise Man

Un oscuro scrigno musicale che, alla sua apertura, esplode in un caleidoscopio di note industrial gothic death metal.

La tanto bistrattata rete nel corso degli ultimi decenni ha dato la possibilità a molte realtà di farsi conoscere, specialmente quelle nate in paesi ai confini del mondo musicale e, in questo caso, metallico.

I paesi dell’Europa dell’est per esempio, solo pochi anni fa praticamente sconosciuti a livello musicale, hanno trovato nel web la possibilità di far conoscere le loro scene, qualitativamente notevoli come in Russia, dove la musica è storicamente una parte importante della crescita culturale e non un fastidioso ripiego come per esempio nel nostro paese.
Noi fin dai tempi di Iyezine, abbiamo sempre dato il giusto spazio alle varie scene mondiali, missione che portiamo avanti con entusiasmo anche sulla nuova testata metallica a nome MetalEyes e le soprese non mancano di certo, cominciando dagli Atonismen e dal loro bellissimo primo album, Wise Wise Man.
Il trio di San Pietroburgo è un gruppo nuovo di zecca formato dal polistrumentista e cantante Alexander Orso e dai due chitrarristi Alexander Senyushin e Child Catherine.
Il loro nuovo lavoro è quanto mai riuscito, visto che nel proprio sound ingloba vari suoni ed influenze, per un mix letale ed estremo di gothic, dark, elettronica e death metal molto affascinate.
Atmosfere horror, sadiche parti elettroniche, una voce personalissima e teatrale, ritmi marziali, orchestrazioni sinfoniche, ed accelerazioni estreme, fanno parte di questo oscuro scrigno musicale che alla sua apertura esplode in un caleidoscopio di note industrial gothic death metal.
Pensate ad una jam tra i primi Crematory, i Rammstein, e le sinfonie dark di una tra le miriadi di gothic metal band sparse per il globo, ed avrete un’idea del sound malato, destabilizzante e molto estremo del gruppo russo, che dà il meglio di sé quando l’elettronica diventa padrona del sound, con parti industrial dark malatissime e destabilizzanti.
Si passa così da brani potentissimi di oscuro ed orchestrale gothic metal (la title track e la stupenda Sorry), devastanti esempi di musica estrema moderna, maligna e terrorizzante come i due remix e la splendida Almagest.
Album affascinate, molto curato e maligno il giusto per farvi attraversare da voglie strane di bondage, frustini e torture assortite.

TRACKLIST
1.Almagest
2.Sorry
3.My Tale
4.Wise Wise Man
5.Wiegenlied
6.In Timeless Clamor
7.Wise Wise Man (dark-mix)
8.Wise Wise Man (industrial-mix)

LINE-UP
Alexander Orso – All instruments, Vocals
Alexander Senyushin – Guitars
Child Catherine – Guitars

ATONISMEN

Widow Queen – A Matter Of Time

Tutto viene esposto con una maturità sorprendente, conquistando al primo ascolto, mentre echi post grunge continuano a giocare con il metal alternativo

Mi sono trovato recentemente davanti ad una delle tante deliranti affermazioni (fatta da un musicista) secondo cui il grunge avrebbe distrutto il rock ‘n’ roll ed il metal, assurdità che negli anni novanta era prassi leggere sulla carta stampata dell’epoca.

Questa immane stupidata riesce sempre, anche a distanza di anni, a farmi arrabbiare non poco, anche perché chi ha vissuto l’ultimo decennio del millennio scorso sa che forse solo negli anni ottanta si è potuto godere di così tanto rock sui canali musicali e non solo.
Sono i primi anni novanta, da Seattle una bomba rock viene lanciata sul mondo, ed il grunge diventa in poco tempo il genere di punta del rock americano e del mercato mondiale.
Dopo la fiammata durata qualche anno, un’altra ondata di gruppi segue la strada tracciata dal Seattle sound, con l’alternative che ora regna incontrastato, ma questo scontro finisce in una alleanza che porta ad un rock ancora più malinconico, destabilizzato da umori alternativi e crossover, anche se i gruppi che fanno la voce grossa mantengono un legame forte con i loro predecessori: nasce così il post grunge genere che continua ancora oggi a deliziare il palato degli amanti del rock moderno made in U.S.A.
E di post grunge si parla per la musica creata dai napoletani Widow Queen, trio formato dai fratelli Pellegrino, Amedeo (voce e basso) e Rosario (chitarra), con il fondamentale contributo di Riccardo Bottone alle pelli.
La band, tramite la Volcano Records debutta sulla lunga distanza con A Matter Of Time, album maturo e ben congegnato che si muove tra i meandri del rock che ha fatto storia aldilà dell’Atlantico, tra grunge e alternative, potente ma con un’anima intimista che si avvicina alle produzioni a cavallo dei due millenni: più solari degli Staind ma molto più oscuri dei Nickelback, per esempio, con il metal a guidare la sei corde ed il groove a potenziare le parti più energiche.
Partono alla grande i Widow Queen, con una label in ascesa nel panorama rock/metal nazionale e la presenza di Mark Basile dei DGM sulla bellissima Watch Over Me, brano che (sarà un caso) si assume l’onere di presentare tutte le sfaccettature del sound del gruppo campano.
Momenti acustici dai tratti intimisti lasciano spazio ad esplosioni di metallo moderno e potente, ariosi arpeggi che non mancano di emozionalità fanno preludio all’entrata in campo della voce, perfetta e e dagli umori a tratti rabbiosi e drammatici, con il trio che infiamma l’ascolto creando atmosfere di rock alternativo che, nel piccolo capolavoro Moments, si avvicinano ai System Of A Down.
Tutto viene esposto con una maturità sorprendente, conquistando al primo ascolto, mentre echi post grunge continuano a giocare con il metal alternativo, con l’opener Faith e Before the Day Falls che non mancheranno di fare breccia nei cuori dei rockers con ancora almeno una camicia di flanella nell’armadio.
Ottimo lavoro in barba a chi ancora nel 2016 vuole costruire assurdi muri ed imprigionare le sette note, noi saremo sempre dalla parte della buona musica da qualunque genere essa provenga.

TRACKLIST
1.Faith
2.Truth
3.By Your Side
4.Alive
5.Watch Over Me (feat. Mark Basile)
6.Moments
7.Liar King
8.Oxygen
9.Before the Day Falls
10.What Else Remains

LINE-UP
Amedeo Pellegrino – Bass, guitars, voice
Rosario Pellegrino – Guitars, voice
Riccardo Bottone – Drums

WIDOW QUEEN – Facebook

Elemento – Io

Un gran bel disco, fatto di grandi melodie e di un metal davvero progressivo.

Disco giustamente ambizioso che esplora i sentimenti umani, usando come sonda un metal progressivo unito a djent, mathcore e tanto altro.

In questo viaggio siamo guidati da Time, una figura umanoide che mostra al protagonista un’ampia gamma di sentimenti umani. Provenienti da una provincia italiana, e non serve sapere quale, gli Elemento parlano molto bene con la loro musica, che è un gran bel viaggio tra vari generi, rimanendo sempre nell’universo dello strumentale. Come i grandi dischi Io deve essere sentito molte volte, poiché si articola su diversi livelli, riuscendo ad esprimere molte emozioni, ricercando la natura profonda dell’uomo. Come in un processo alchemico la natura umana viene processata attraverso vari stadi, dove cambiando stato raggiunge il suo vero io. Gli Elemento riescono a rendere benissimo un discorso musicale che non è per nulla semplice, poiché oltre a trattare generi difficili, se non viene composto bene risulta confuso, mentre invece le loro melodie escono sgorgando come in una fresca sorgente. Un gran bel disco, fatto di grandi melodie e di un metal davvero progressivo.

TRACKLIST
1.Life – Izanagi
2.Violence – Vehement Mantra
3.Fear – Consuming The Light
4.Hate – Energy Flows
5.Wrath – The Eraser
6.Corruption – Infinite
7.Wrong – Paranoia
8.Death – Foreshadow
9.Nobility – In Reality
10.Courage – Create!
11.Love – Severance
12.Peace – Clear Mind, Clear Thoughts
13.Truth – Upside Now
14.Right – Old
15.Time – Spirit Of Fire

LINE-UP
Rick – Guitar
Nick -Guitar
Thomas -Drums

ELEMENTO – Facebook

In Flames – Battles

Battles è un album apprezzabile se degli In Flames preferite questa versione americanizzata e commerciale, se invece siete amanti del Gothenburg sound rivolgete le vostre orecchie altrove, il gruppo di Colony e Clayman non esiste più.

Gli In Flames sono e resteranno una dei gruppi più importanti in senso assoluto per lo sviluppo delle sonorità estreme: fondatori insieme ad una manciata di band (Dark Tranquillity ed At The Gates su tutte) del death metal melodico, anche conosciuto come Gothenburg sound, nei primissimi anni novanta, e creatori di una serie di album fondamentali con cui attraversarono l’ultimo decennio del secolo scorso entrando nel nuovo millennio con il loro capolavoro, Clayman.

Da molti quello viene considerato l’album perfetto, il primo esempio di metal estremo moderno in equilibrio tra tradizione scandinava e statunitense, il padre di tutto un movimento musicale che si identifica con il metalcore, ma che del death metal melodico è figlio legittimo.
Purtroppo Clayman è stato per il gruppo svedese la fine di un ciclo e gli In Flames dal 2000 sono ripartiti, trasformandosi in un’entità che non ha più niente da spartire con la band di Lunar Strain, Whoracle, The Jester Race e l’altro capolavoro Colony.
Il salto temporale fino al 2016, con album più o meno riusciti, porta fino a Battles, ultimo lavoro che allontana sempre più il gruppo dal sound scandinavo e dal metal, per abbracciare l’alternative rock .
Non fraintendetemi, Battles troverà ancora molti estimatori, ma è indubbio che se il gruppo da qualche anno a questa parte avesse cambiato monicker nessuno si sarebbe scandalizzato, in sostanza con questo lavoro la trasformazione è completa e i vecchi In Flames non esistono più.
Questa band che si fa chiamare così in realtà è una band moderna, molto alternativa ma assolutamente poco originale, il suo nuovo lavoro risulta un poco riuscito sunto di quello che il metal/rock dalle mire mainstream ci riserva in questi primi anni del nuovo millennio.
La carica estrema è definitivamente scomparsa, almeno se pensiamo al death metal degli esordi, sostituita da un più commerciabile metal per adolescenti, con qualche intrusione nel rock patinato dei Muse e richiami al nu metal dei P.O.D. (The Truth), dei Linkin Park, con l’abuso delle parti elettroniche ed una prestazione troppo ruffiana di Fridèn al microfono.
Qualche riff più agguerrito sparso per l’album non basta: The End, Here Until Forever e Underneath My Skin sono brani che, se sull’artwork non ci fosse il logo del gruppo svedese, avrebbero un suo perché, magari suonati da cinque pivelli con il mascara, ma qui ci troviamo al cospetto di un gruppo troppo importante e con ormai troppe primavere sul groppone, e quei coretti alla P.O.D. che fanno capolino tra molti dei brani di Battles non possono che lasciare l’amaro in bocca, almeno ai vecchi fans.
Come già detto, Battles è un album apprezzabile se degli In Flames preferite questa versione americanizzata e commerciale, se invece siete amanti del Gothenburg sound rivolgete le vostre orecchie altrove, il gruppo di Colony e Clayman non esiste più.

TRACKLIST
1. Drained
2. The End
3. Like Sand
4. The Truth
5. In My Room
6. Before I Fall
7. Through My Eyes
8. Battles
9. Here Until Forever
10. Underneath My Skin
11. Wallflower
12. Save Me

LINE-UP
Anders Friden – vocals
Bjorn Gelotte – guitars
Niklas Engelin – guitars
Peter Iwers – bass
Joe Rickard – drums

IN FLAMES – Facebook

Annisokay – Devil My Care

Devil In My Care è un album ben confezionato, prodotto benissimo, un lavoro professionale insomma, ma, come ormai ci ha abituato la scena metalcore melodica, inadatto ai maggiori di 18 anni …

Post hardcore o metalcore fate voi, fatto sta che il modern metal dai rimandi core continua a sfornare giovani band dalle indubbie capacità tecniche ma raramente supportate da buone idee, ed il mercato si satura di album tutti uguali, magari perfetti per i gusti dei teenagers dai pruriti metallici ma, invero, freddi come il ghiaccio.

La verità è che il genere è inflazionato ed ascoltare qualcosa di veramente interessante diventa sempre più un’impresa.
Il nuovo lavoro dei tedeschi Annisokay si posiziona nel mezzo delle due verità: da una parte il terzo album del gruppo di Halle vive di tutti i cliché triti e ritriti del genere, doppia voce (clean e scream), ritmi sincopati, alternanza continua tra parti rabbiose e melodie ruffiane; dall’altra, d alzare le quotazioni di questo Devil My Care, è l’ottimo uso dell’elettronica che avvolge tutto l’album in atmosfere pop rock, a tratti al limite del danzereccio, ma pur sempre ben inserite nel contesto dei brani.
Il giovane quintetto tedesco con due album ed una manciata di lavori alle spalle, vanta già una buona esperienza, virtù che si evince dalla raccolta di brani, tutti con l’appeal giusto per essere apprezzati dai loro coetanei.
Devil In My Care è un album ben confezionato, prodotto benissimo, un lavoro professionale insomma, ma, come ormai ci ha abituato la scena metalcore melodica, inadatto ai maggiori di 18 anni …

TRACKLIST
1. Loud
2. What’s Wrong
3. Smile (feat. Marcus Bridge of Northlane)
4. D.O.M.I.N.A.N.C.E.
5. Blind Lane
6. Thumbs Up, Thumbs Down (feat. Christoph von Freydorf of Emil Bulls)
7. Hourglass
8. Photographs
9. Gold
10. The Last Planet

LINE-UP
Dave Grunewald – Shouts
Christoph Wieczorek – Guitar & Vocals
Philipp Kretzschmar – Guitar
Norbert Rose – Bass
Nico Vaeen – Drums

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Everlasting Blaze – Everlasting Blaze

Un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio orecchio anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

L’underground metal/rock nostrano si arricchisce ogni giorno di nuove ed eccellenti proposte, nate in giro per le città della penisola in ogni genere, formando un universo musicale che non patisce più la sudditanza verso le scene oltreconfine.

Gli Everlasting Blaze, per esempio, sono una giovane band genovese fuori con il primo lavoro, molto ben curato e dai suoni moderni, alternativo nel saper bilanciare rock, metal ed atmosfere dark, grazie soprattutto alla splendida voce della singer Marwa.
E l’ottimo uso di ritmiche e chitarre dai toni aggressivi, ammorbiditi dalla dolce ed espressiva voce di Marwa, è l’arma letale con cui il gruppo genovese ammalia ed ipnotizza l’ascoltatore in questi suggestivi ed intensi minuti di musica, valorizzata da ottimi arrangiamenti e da una produzione sul pezzo, così da consegnare un lavoro professionale e coinvolgente.
La virtù principale che affiora a più riprese dall’ascolto delle tracce è una sfumatura poetica che affiora anche nei brani più grintosi, ed esplode nella bellissima Freedom, l’anima più delicata degli Everlasting Blaze si scontra con quella metallica, mentre If Only, Life of Crime e Zombie Town mostrano gli artigli, acciaio rovente e moderno che si sfida singolar tenzone con l’introspettività dark ed appunto poetica del sound creato dal combo genovese.
Ad un primo ascolto troverete molte similitudini con gli Evanescence e i gruppi alternative dalle tinte dark/gothic di qualche anno fa, ma rimanendo nell’underground ho trovato la musica del gruppo sulla linea degli spagnoli Rainover, anche se la band genovese mantiene un approccio alternativo molto più marcato.
In conclusione, Everlasting Blaze risulta un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio sguardo anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

TRACKLIST
1.Misery
2.If Only
3.Freedom
4.Life of Crime
5.Alone
6.Scream
7.No Mercy
8.Zombie Town
9.Memories
10.Obey
11.Searching
12.The Wasted Soul

LINE-UP
Marwa – vocal,guitar
Sadem – guitar
Youssef – bass
Fabio – drums

EVERLASTING BLAZE – Facebook

Chemistry-X – Click Less And Jam Mo’

Il gruppo ricorda alcune delle band che fecero fuoco e fiamme sul mercato dell’epoca, anche se le ottime intuizioni ritmiche e l’assoluta padronanza dei mezzi fanno dei Chemistry-X una realtà del tutto personale.

Ebbene si, c’è ancora nel 2016 chi ha il talento e la voglia di suonare nu metal, quello vero, il genere che sul finire degli anni novanta e per i primi anni del nuovo millennio spodestò il grunge dal trono delle preferenze degli appassionati di tutto il mondo e, a colpi di ritmiche potenti, chitarre sature e rap, conquistò il mondo della musica rock/metal.

Non siamo in America, ormai aldilà dell’oceano nessuno si sognerebbe di registrare un album come Click Less And Jam Mo’, ma in Italia, precisamente in Abruzzo (Sulmona) e la posse in grado di farci saltare come grilli psicopatici si chiama Chemistry-X.
Il gruppo, un quintetto, muove i primi passi nel 2008 nascendo dalle ceneri dei Bad Pudge dove militavano Fuckin’ FiL (voce), D-Exp (chitarra) e Batterio (batteria).
La band, completata dal percussionista Turco e dall’inumano bassista Dild-1, nel 2011 licenzia l’ep First Lady Takes Time, dunque cinque anni separano questo primo lavoro sulla lunga distanza dal precedente lavoro, tanti, ma ne è valsa la pena visto l’ottimo lavoro che vi vado a presentare.
Nu metal dicevamo, quindi dimenticatevi tutto ciò che di core vi è stato proposto in questi ultimi anni: di suoni cosiddetti moderni, ormai lanciati verso l’oblio da un mercato saturo di proposte, su Click Less And Jam Mo’ non ne troverete neanche una nota, la musica del gruppo appartiene in tutto e per tutto alla scena statunitense di una ventina di anni fa, ma impreziosita da una serie di varianti musicali che fanno di queste composizioni un bellissimo caleidoscopio di colori e suoni.
Salsa, ritmi tribali, funky, metal e rap si danno daf are in un’orgia di crossover, davvero intrigante, a tratti irresistibile, con il basso che pulsa impazzito, la voce che, diciamolo, mette in fila molti dei colleghi dell’epoca, mentre le percussioni creano vortici di ritmi ipnotici e la chitarra urla metallica la propria nobile origine.
Ne esce un album bellissimo, magari fuori tempo massimo, ma a chi non frega niente di mode ed altre amenità un esempio fulgido di cosa si creava ai tempi sotto l’etichetta di crossover/nu metal.
Girate la manovella del volume al massimo e cominciate a saltare sotto i letali colpi delle varie Venomous Inside, Day Off, Viral, la devastante Compulsive Liar e la spettacolare cover di Galvanize dei The Chemical Brothers che, accompagnate da una track listdi gran livello, vi regaleranno un tuffo sontuoso nel più scatenato sound dove rap e metal trovarono la loro perfetta alchimia.
Il gruppo ricorda alcune delle band che fecero fuoco e fiamme sul mercato dell’epoca, anche se le ottime intuizioni ritmiche e l’assoluta padronanza dei mezzi fanno dei Chemistry-X una realtà del tutto personale.

TRACKLIST
01. Intro
02. Venomous Inside
03. Y’all Bounce
04. Day Off 0
05. Sex Hides The Way
06. Jam Mo’
07. Viral
08. Galvanize (The Chemical Brothers cover)
09. Compulsive Liar
10. Taste My Payback
11. All But Real
12. Outro

LINE-UP
Fuckin’ FiL – voice
D.3xp – guitars
Turco – percussions
Dild-1 – bass
Batterio – drums

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Bolgia Di Malacoda – La Forza Vindice Della Ragione

Una band che conferma l’alto valore artistico del rock del bel paese e la sua assoluta maturità nell’affrontare il lato oscuro dell’uomo e della sua spiritualità.

Mefistofelico: non credo ci sia un’altra parola più adatta per descrivere La Forza Vindice Della Ragione, nuovo lavoro di questa band toscana, che della teatralità e della tradizione letterale nazionale ne fa il suo concept lirico per inglobarlo in un alternative rock metal assolutamente fuori dagli schemi.

Il demone metà donna e metà animale demoniaco fa bella mostra di sé nella copertina molto seventies che la Bolgia Di Malacoda ha scelto per quest’opera luciferina, cantata in italiano e suonata con un taglio internazionale, amalgamando in una bolgia infernale, metal , dark wave e progressive.
Il lato teatrale ed interpretativo sta tutto nella voce di Ferus, un Piero Pelù posseduto da un demone che lo allontana dalle ultime schermaglie politiche col portafoglio pieno di euro e lo riavvicina al ribelle proto punk dei primi anni dei Litfiba, mentre il sound passa con disinvoltura tra il metal di chitarre in stato di guerra, ritmiche che a tratti corrono sulle strade horror/punk dei Misfits, per poi illuminarsi di spettacolari cambi di tempo che avvicinano la band al progressive, genere nel quale  noi abitanti dello stivale non siamo secondi a nessuno.
E poi un taglio letterario impreziosisce il tutto, già dal titolo che cita il poeta Carducci e che viene oltremodo tributato con l’opener Inno A Satana.
E’ una sorpresa continua La Forza Vindice Della Ragione, un album da seguire passo per passo, senza perder una nota o una parola, immersi in un’atmosfera stregata, con il sacerdote pazzo al microfono che ci invita al sabba che noi, ormai posseduti dal ritmo ipnotico di Malacoda, Andremoida, la frenetica Attent’al prete e la conclusiva Le Lune Storte, non possiamo esimerci dal rifiutare.
Una band che conferma l’alto valore artistico del rock del bel paese e la sua assoluta maturità nell’affrontare il lato oscuro dell’uomo e della sua spiritualità.

TRACKLIST
1. Inno A Satana
2. Nel Dubbio Vedo Nero
3. Malacoda
4. Bimba Mia
5. Adremoida
6. A Un Metro Dal Decebalo
7. Attent’al Prete
8. Introspettiva D’Ottobre
9. Così Passa La Gloria Del Mondo
10. Le Lune Storte

LINE-UP
Ferus – voce
Diego Di Palma detto il Lotti – basso
Michele Rose detto il Vanni – batteria
Alessandro Rocchi detto il Pacciani – chitarra

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Fabiano Andreacchio & The Atomic Factory – Living Dead Groove

Un sound non da tutti, specialmente se si è ancorati ai soliti cliché.

Esce sotto l’ala della Sliptrick Records il nuovo lavoro del bassista Fabiano Andreacchio dopo le fatica strumentale dello scorso anno intitolata Bass R-Evolution.

Il nuovo progetto si chiama Fabiano Andreacchio & The Atomic Factory, dove il musicista è dedito, insieme a Mikahel Shen Raiden (chitarra e voce) e Nicola De Micheli (batteria), ad una sorta di industrial metal dalla forte impronta techno, valorizzato da scorribande progressive con sempre in evidenza il gran lavoro della sezione ritmica condotta dal basso, usato dal protagonista non solo come strumento di accompagnamento ma vero propulsore del sound alquanto originale dell’album, intitolato Living Dead Groove.
Un sound non da tutti, specialmente per chi è ancorato ai soliti cliché, perché la musica spazia senza freni tra frenetiche ritmiche industrial, con toni vocali che richiamano la musica elettronica in stile Kraftwerk, e metal che ha tanto di estremo, moderno, ma pur sempre convogliato in un’espressione sonora che richiama i Cynic ed i gruppi totalmente slegati dalle briglie dettate dai generi.
Quattordici brani in quasi cinquanta minuti di musica senza freni, dove l’elettronica ha comunque la maggior parte dei pregi nel rendere l’ascolto molto vario ed assolutamente appagante, grazie anche ai suoni che escono potenti e cristallini, in overdose industriale e con il progressive a spezzare la tensione con atmosfere dilatate e ariose.
Geniale la cover di Smell Like Teen Spirit dei Nirvana, qui intitolata Smell Like a Corpse, da bass heroes le neanche troppe divagazioni strumentali, dove tutto il talento di Andreacchio è ben in evidenza, mentre sono da applausi un paio di tracce che mettono in risalto l’anima death prog del lavoro (Hypocrsy e Cangrene).
Non mancano gli ospiti che vanno a valorizzare molti dei brani dell’album, come Jeff Hughell (Six Feet Under), Brian Maillard (Dominici, Solid Vision), Dino “Bass Shred” Fiorenza (Y. Malmsteen, E. Falaschi), Gabriels, Francesco Dall’O’ e altri.
Un album che dividerà critica e pubblico,ma che ha nella sua anima crossover il vero punto di forza: dategli un ascolto.

RACKLIST
1.Zombie’s Breakfast
2.Not Dead Yet
3.Corpse’s Hill
4.Splatter Head feat. Gabriels
5.S.o.S. feat. Dino Fiorenza
6.Hypocrisy
7.Cangrene feat. Brian Maillard
8.X-Cape feat. Francesco Dall’O’
9.End of Abomination feat. Jeff Hughell
10.Smell Like a Corpse
11.Creepy Groove feat. G. Tomassucci
12.Hypocrisy Francesco Zeta Rmx
13.Corpses Hill Smoke DJ Rmx
14.End of Abomination Acoustic

LINE-UP
Fabiano Andreacchio-Bass and Vocals
Mikahel Shen Raiden-Guitar and Backing Vocals
Nicola De Micheli-Drums

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Postcards From Arkham – Aeon5

La fantasia al potere, pura immaginazione che controlla la musica, usando differenti codici per esprimere un disegno ambizioso.

La fantasia al potere, pura immaginazione che controlla la musica, usando differenti codici per esprimere un disegno ambizioso.

Dopo il buon successo di Oceanize, incentrato sui miti lovecraftiani di Cthulu, tornano i cechi Postcards From Arkham con un altro incredibile affresco di fantasia, rabbia e voglia di esprimersi per spezzare le catene che ci avvolgono. Questo disco è un mezzo, un’astronave che ognuno può portare dove vuole, essendo il viaggio lo vero scopo di questa impresa. Il tono è epico, dentro possiamo trovare dall’elettronica al post rock con incredibili aperture melodiche, l’elttro metal e tanto altro ancora, in un viaggio scandito da una voce aggressiva, con un metal altro e sognante. I Postcards From Arkham più che un disco creano un’esperienza sonora e non solo, come se fosse un libro, con una musica incredibile e con una voce che sembra più declamare che cantare. Questo disco ha molto dello spirito fantasy in stile videogiochi giapponesi, fluttuanti mondi lucenti che tentano di rifuggire la morte, nutrendosi di sogni e colori. I colori, ecco i veri protagonisti di questo disco che suscita meraviglia. Sentimento ed un elettro metal totalmente personale. Questi ragazzi penso che vedano e sentano ancora una speranza in questa decadenza che chiamiamo progresso e con Aeon5 hanno fatto un atto di fede molto bello e piacevole. Vien voglia di dargli ragione.

TRACKLIST
1. Imagination Filled Balloon
2. Aeon Echoes
3. Thousand Years For Us
4. Overthrown
5. Elevate
6. Pays des Merveilles
7. Woods of Liberation
8. One World Is Not Enough

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