Grima – Tales of the Enchanted Woods

Un lavoro che squarcia il velo sul talento di questi due ragazzi, per i quali mi piace pensare che il comune sentire causato dalla loro condizione gemellare abbia realmente fatto la differenza.

Uno degli aspetti negativi dell’essere più o meno sommersi da materiale proveniente da ogni parte del globo è quello di rischiare di trascurare dischi di enorme valore: ecco perché ci ritroviamo a parlare di questo secondo album dei russi Grima a ben otto mesi dalla sua uscita nonostante si riveli, alla prova dei fatti, uno dei migliori album di black metal atmosferici usciti nel corso dell’anno.

Del resto bisognerebbe anche fidarsi delle etichette che promuovono questi lavori, in questo caso la Naturmacht che di colpi, oggettivamente, ne sbaglia ben pochi: qui però il centro è pieno, perché Tales of the Enchanted Woods è una delle espressioni più fresche ed entusiasmanti del genere che ci sia stato dato modo di ascoltare in tempi recenti.
I Grima sono un duo siberiano formato dai gemelli Gleb e Maxim Sysoev (membri anche degli Ultar), qui con i nickname Vilhelm e Morbius, i quali annichiliscono ed emozionano con il loro black metal epico e maestoso, capace di prendere il meglio dalla scena scandinava e tedesca, iniettandovi una sognante componente cascadiana, splendide venature folk grazie all’inserimento della fisarmonica ed un velenoso screaming che rimanda parzialmente ai Cradle Of Filth.
Tutte queste componenti si amalgamano alla perfezione dando vita ad un lavoro che si sviluppa su cinque tracce portanti più tre strumentali; se l’ascolto, come a volte accade, inizia in maniera un po’ distratta, i Grima impiegano poco per catalizzare l’attenzione con un brano ottimo come The Moon And Its Shadows e, successivamente, con il capolavoro Ritual, grazie al suo enorme carico evocativo dovuto ad una stupefacente capacitò del duo di creare melodie di rara solennità. Never Get Off The Trail , The Grief (con trame chitarristiche che ne illuminano il finale), The Shepherds Of The sono altre perle che trasportano l’ascoltatore all’interno delle maestose e gelide foreste siberiane, protette da uno spirito che ne tutela gli abitanti e che punisce severamente chi non ne rispetta le forme di vita animale e vegetale (forse è l’unico tipo di divinità della quale ci sarebbe veramente bisogno …).
I Grima regalano quasi tre quarti d’ora di magnificenza oscura ed atmosferica, con un ispirazione ed una freschezza che fanno passare sopra a qualche piccola sbavatura esecutiva e l’assenza di un batterista in carne ed ossa.
Inezie, se rapportate al valore complessivo di un lavoro che squarcia il velo sul talento di questi due ragazzi, per i quali mi piace pensare che il comune sentire causato dalla loro condizione gemellare abbia realmente fatto la differenza

Tracklist:
1. The Sentry Peak
2. The Moon And Its Shadows
3. Ritual
4. Wolfberry
5. Never Get Off The Trail
6. The Grief
7. The Shepherds Of The
8. The Sorrow Bringer

Line-up
Morbius – Guitars
Vilhelm – Vocals, Guitars, Programming

GRIMA – Facebook

Profundum – Come, Holy Death

Ogni attimo è finalizzato al completamento di un percorso che porta verso una fine più invocata che temuta, con la tensione che non viene mai lasciata scemare.

I Profundum sono una di quelle misteriose band che periodicamente sbucano da qualche oscuro anfratto esibendo in maniera magnifica sonorità disperatamente malsane e funeree.

Come spesso avviene in questi casi, tra l’altro, le uniche notizie certe sono la provenienza statunitense (San Antonio), il fatto che Come, Holy Death sia il loro full length d’esordio che segue l’ep dello scorso anno What No Eye Has Seen, e che si tratta di un duo formato dai misteriosi LR e R, anche se diversi indizi mi fanno ragionevolmente ritenere che quest’ultimo sia, in effetti, il Ryan Wilson titolare del pregevole monicker The Howling Void.
Inoltre, le note promozionali ci fanno sapere che i Profundum traggono la loro ispirazione dai fondamentali primi lavori degli Emperor per poi sviluppare un’idea di musica oscura, ferale e nel contempo maestosa.
Indubbiamente, chi ha ben presente le sonorità di In The Nightside Eclipse può trovarsi d’accordo con tale affermazione, fermo restando che il sound dei californiani propende in maniera decisiva verso il funeral doom, lasciando che le sfuriate di matrice black siano solo una delle componenti del sound e non quella preponderante.
Fatte le debite premesse, si può tranquillamente dichiarare Come, Holy Death come una delle sorprese dell’anno quando si parla di sonorità in grado di evocare un senso di struggimento misto ad angoscia e ottundente dolore: mi spingo oltre, affermando che forse mai nessuno, almeno nell’ultimo decennio, è riuscito a realizzare con tale efficacia il connubio atmosferico tra il black metal ed il funeral.
L’album non è particolarmente lungo, con i suoi otto brani dalla durata media di cinque minuti ciascuno che vanno a creare, però, un flusso unico nel corso del quale soffocanti rallentamenti si legano in un abbraccio mortale alle repentine accelerazioni grazie alla solennità delle tastiere: la voce di LR è un growl che sovente si tramuta in uno screaming mai troppo esasperato, comunque restando sempre nei limiti di una certa intelligibilità.
Come, Holy Death, proprio per tutte queste caratteristiche,  non possiede picchi né punti deboli, perché non c’è un solo secondo sprecato indugiando in passaggi interlocutori: qui ogni attimo è finalizzato al completamento di un percorso che porta verso una fine più invocata che temuta, con la tensione che non viene mai lasciata scemare. Obbligato a scegliere un brano emblematico, opto per Unmoved Mover, abbellito da un misurato tocco pianistico, ma ribadisco che anche le altre sette tracce non sono affatto da meno.
Profundum è un altro nome da segnare con il circoletto rosso in egual misura, sia per per gli appassionati di black atmosferico sia per quelli di funeral doom.

Tracklist:
1. Sentient Shadows
2. Unmoved Mover
3. Antithesis
4. Tunnels to the Void
5. Storms of Uncreation
6. Into Silences Ever More Profound
7. I Have Cast A Fire Upon The World
8. Illuminating The Abyss

Line-up:
LR – vocals
R – all instruments

PROFUNDUM – Facebook

Raventale – Planetarium

Planetarium contiene quattro tracce splendide, nelle quali la componente estrema è brillantemente stemperata da un’ispirazione melodico/atmosferica spinta al suo massimo livello.

Quello dei Raventale non è certo un nome sconosciuto per gli osservatori più attenti della scena estrema dell’est europeo.

La one man band ucraina, il cui titolare è Astaroth Merc, con Planetarium arriva all’ottavo full length in una dozzina d’anni di attività contraddistinta da una qualità media elevatissima, offrendo una personale interpretazione del black metal che, a mio avviso, con questo ultimo album trova la sua sublimazione.
Planetarium contiene quattro tracce splendide, nelle quali la componente estrema è brillantemente stemperata da un’ispirazione melodica spinta al suo massimo livello, come si può facilmente evincere dall’ascolto dell’iniziale Gemini – Behind Two Black Moons, traccia talmente ariosa che talvolta finisce per lambire il post black e persino il progressive, nel momento in cui si palesa uno struggente assolo di chitarra.
Del resto non si scopre oggi il fatto che Astaroth Merc sia un musicista di classe cristallina ed ogni strumento che passa per le sue mani è trattato con maestria, lasciando come di consueto ad un ospite (in questo caso l’ottimo Atahamas, suo compagno anche nei Balfor e nei Deferum Sacrum) il compito di interpretare le linee vocali.
Dopo la splendida prima traccia, il sound si fa ancor più solenne e maestoso con il capolavoro Bringer Of Celestial Anomalies, brano più aspro e ritmato ma trascinante come di rado accade ascoltare: un furioso blast beat viene per lo più sovrastato da pennellate tastieristiche che conferiscono al tutto una magica aura cosmica capace in questi casi di fare la differenza.
Dopo tanta bellezza è oggettivamente difficile fare meglio, e At The Halls Of The Pleiades offre un volto più arcigno, con il suo riffing profondo che non penalizza però una componente atmosferica la quale, anzi, si riprende ampio spazio nelle fase centrale del brano; la chiusura è invece affidata a New World Planetarium, altro episodio che supera i dieci minuti, complessivamente più compassato senza che venga meno il mood che ha contraddistinto l’album lungo la precedente mezz’ora.
Volendo fare un parallelismo magari audace, Planetarium potrebbe rappresentare l’ideale prosecuzione del discorso che gli Arcturus portarono avanti inizialmente con Constellation e poi con Aspera Hiems Simfonia, prima di abbandonare tale vena prog/atmosferica per virare su sonorità avanguardiste, visto che di quelle pietre miliari l’opera targata Raventale possiede lo stesso suggestivo respiro cosmico. A questo quadro va aggiunto che il black metal proposto da Astaroth Merc è anche contraddistinto da una componente doom, forse oggi più attitudinale che non espressa con particolari rallentamenti: ma non è un caso, però, il fatto che il musicista ucraino sia stato chiamato ad esibire le doti della sua creatura al recente Doom Over Kiev, festival che ha visto all’opera la massima espressione del doom death atmosferico europeo con Saturnus, Swallow the Sun, Clouds e Eye Of Solitude. Tutto ciò rende l’idea di quale considerazione godano i Raventale in patria e, alla luce di questo, non sarebbe male che gran parte degli estimatori del black/doom al di fuori di quei confini desse il giusto risalto ad un progetto guidato da un musicista che, come pochi altri, è riuscito a produrre con una tale continuità album di assoluto valore.

Tracklist:
1 Gemini – Behind Two Black Moons
2 Bringer Of Celestial Anomalies
3 At The Halls Of The Pleiades
4 New World Planetarium

Line-up:
Astaroth Merc – All Isntruments
Athamas – Vocals

RAVENTALE – Facebook

Onirism – Sun

La ragion d’essere di Sun risiede essenzialmente nel suo buon gusto melodico, esaltato da un bel suono di chitarra ed attraversato da tastiere che non sempre paiono essere altrettanto efficaci.

Eccoci alle prese con un nuovo progetto solista, denominato Onirism, appartenente alla scuderia Naturmacht Productions.

Come gran parte del roster della label tedesca, anche la creatura del canadese Antoine Guibert va ad esplorare territori contigui al black metal, nello specifico quelli maggiormente imparentati con sonorità ambient ed atmosferiche.
In tal senso, questo ep intitolato Sun, che arriva dopo un full length ed un altro ep, non apporta particolari novità e la sua ragion d’essere risiede essenzialmente nel suo buon gusto melodico, esaltato da un bel suono di chitarra ed attraversato da tastiere che non sempre paiono essere altrettanto efficaci, apparendo talvolta un po’ “plastificate”.
Nel complesso Sun è comunque un lavoro valido, specie se si apprezzano scelte stilistiche di questo tipo, la cui essenza è basata su tenui melodie appena sporcate dallo screaming e da qualche accelerazione: in effetti la manifestazione d’intenti esibita con un simile monicker viene ampiamente realizzata nei fatti, mettendo sul piatto una mezz’ora abbondante di musica sognante e talvolta dal sentore cinematografico.
Dallo scrigno della Naturmacht negli ultimi tempi è uscito decisamente di meglio, ma il confronto risulta sfavorevole al bravo Antoine più per meriti altrui che per demeriti propri: To The Unknown e la title track sono per esempio due ottimi brani, dalle atmosfere ariose impreziosite da ottimi spunti solisti che depongono a favore delle doti di questo musicista del Quebec, al quale fa difetto forse solo qualche punto in più di “cattiveria”.
Sun è un’opera senz’altro gradevole e a tratti gratificante, ma l’eccellenza dista ancora diversi gradini.

Tracklist:
01.Floating
02.To the Unknown
03.Heart of Everything
04.Attraction
05.Sun

Line-up: Vrath

ONIRISM – Facebook

Skognatt – Ancient Wisdom

Alla luce della bontà del sound offerto in due tracce come Ancient Wisdom e Xibalba, è maturo il momento per puntare alla pubblicazione di un lavoro a nome Skognatt dal minutaggio più consistente.

Skognatt è il progetto solista di Danijel Zambo, musicista tedesco molto attivo come compositore sia a proprio nome sia anche in ambito pubblicitario e cinematografico; il suo background comunque resta quello metal, ambito al quale si è dedicato negli ultimi anni anche con un’altra sua one man ban deominata Derailed.

In quel caso la materia trattata era un doom/post metal mentre, invece, in Ancient Wisdom , secondo ep come Skognatt, Zambo si dedica ad un black metal atmosferico e, almeno nel caso di questo ep, dai toni piuttosto soffusi.
Le due tracce presentate sono entrambe molto belle, ma in effetti il black metal risiede per lo più in qualche accelerazione e nello screaming del musicista di Augsburg, visto che l’utilizzo prevalente della chitarra acustica e le atmosfere evocative riportano addirittura ai primi Tiamat: niente male, considerando che tra tutti i vari influssi che le band odierne cercano di assorbire dal passato questo non è certo uno dei più saccheggiati.
Danijel Zambo si dimostra un compositore di vaglia, riuscendo peraltro a districarsi con disinvoltura tra album di metal, dai tratti comunque pesanti, ed una ricca produzione solista che svaria dall’elettronica all’industrial fino a più recenti puntate nel trip hop; una versatilità che, comunque non impdisace al nostro di mettere sul piatto un lavoro di metallica qualità, seppur molto breve.
Si può concludere dicendo che, alla luce della bontà del sound offerto in due tracce come Ancient Wisdom e Xibalba, è maturo il momento per puntare alla pubblicazione di un lavoro a nome Skognatt dal minutaggio più consistente.

Tracklist:
01.Ancient wisdom
02.Xibalba

SKOGNATT – Facebook

Nyss – Princesse Terre (Three Studies of Silence and Death)

Dischi come questo sono un arricchimento culturale ed un estremo oscuro piacere per gli amanti del genere, perché qui ci troviamo a livelli altissimi.

Black metal esoterico, atmosferico e maledettamente affascinante.

I Nyss sono un duo francese che dopo aver pubblicato quattro ep arriva al debutto per Avantgarde Music, ed è un gran disco di black metal moderno e sperimentale. I pezzi sono tre, la presentazione è molto semplice, la musica viene messa in primo piano ed occupa lo spazio più importante del progetto, tanto che si hanno pochissime informazioni sul gruppo, come nella tradizione dei gruppi francesi di black metal. Ascoltando il loro debutto intitolato Princesse Terre (Three Studies Of Silence And Death) si apre un mondo popolato di dolore e di verità negate, un affondare nella nostra maledizione, il tutto reso con un black di taglio atmosferico molto debitore alle origini ed all’ortodossia del genere. Il risultato è un disco eccezionale, moderno e sperimentale ma soprattutto sovraccarico di emozioni, in un continuo rollio di tempi ed atmosfere. I tre pezzi sono altrettante piccole nere sinfonie legate fra loro dal filo comune della sofferenza, mediate da una composizione al di sopra della media, con un piglio che solo i grandi gruppi black hanno, soprattutto nei crescendo con chitarre e tastiere molto presenti nel disco. Le tre lunghe suite hanno migliaia di sorprese in serbo, come un vecchio castello abbandonato infestato dagli spiriti, ma quel vecchio castello è la nostra anima. I Nyss confermano e superano quanto di buono avevano fatto nelle precedenti uscite, ed appartengono di diritto a quell’aristocrazia black metal atmosferica che sta contando ottime uscite, come potete bene vedere nel catalogo della stessa Avantgarde Music. Dischi come questo sono un arricchimento culturale ed un estremo oscuro piacere per gli amanti del genere, perché qui ci troviamo a livelli altissimi.

Tracklist
I
II
III

Line-up
Þórir Nyss ~ Instruments of the art
L.C. Bullock ~ Invocations

NYSS – Facebook

Astarium – Drum-Ghoul

La perfezione sta altrove, ma qui non si può fare a meno di apprezzare la voglia di creare qualcosa di differente, soprattutto con scelte che possono anche apparire discutibili ma che, alla fine, rendono il tutto personale ed intrigante, specie se applicate come in questo caso a sonorità più orrorifiche che sinfoniche.

Ho avuto occasione nelle scorse settimane di parlare della one man band siberiana Astarium, prima con l’ep Epoch Of Tyrants e poi con lo split assieme a Burnt e Scolopendra Cingulata.

Vista l’iperproduttivita di SiN, l’uomo che sta dietro a tutto questo, per evitare di esser nuovamente sorpassato dall’attualità mi precipito a scrivere due righe anche su quello che, per ora, sembra essere l’ultimo parto dell’instancabile musicista di Novosibirsk, il full length Drum-Ghoul.
Se nelle precedenti occasioni avevo apprezzato la genuinità dell’operato da parte del nostro, ritenendo nel contempo un po’ troppo scolastico il risultato dal punto di vista prettamente musicale, devo dire che quelli che nella precedente occasione mi apparivano come insanabili difetti, questa volta acquisiscono una loro funzione essenziale.
La chiave di volta è il suono delle tastiere, che in un ambito dichiaratamente orrorifico come quello di Drum-Ghoul, con il loro timbro minimale, a tratti vicino a quello delle mitiche tastierine Bontempi (i miei connazionali meno giovani capiranno di cosa sto parlando), si rivelano più funzionali alla creazione di un’atmosfera profondamente malata e nel contempo surreale.
La lunghissima opener Hill Of Scape-Gallows (oltre un quarto d’ora di durata) funge da prova del nove per l’ascoltatore: chi riesce ad arrivare senza fatica alla sua fine, da qual momento in poi potrà godersi un lavoro strambo quanto si vuole, ma decisamente affascinante; la voce continua ad essere uno screaming piuttosto piatto alternato ad un growl effettato ma, tutto sommato, contribuisce a creare quell’alone straniante che ha comunque nel suono della tastiere il suo principale artefice.
Dread Asylum è piuttosto gobliniana nel suo snodarsi melodico, e in fondo pensare a quest’album come un’ipotetica soundtrack di un film horror è un’ipotesi tutt’altro che peregrina, mentre Hospitality Of Demon si snoda in maniera più canonica mantenendo comunque le caratteristiche sonore delle altre tracce, con Pernicious Elixir a chiudere le macabre danze con il suo reiterato giro di tastiera, preludio di un finale che si stempera con uno pseudo-violino.
La perfezione sta altrove, ma qui non si può fare a meno di apprezzare la voglia di creare qualcosa di differente, soprattutto con scelte che possono anche apparire discutibili ma che, alla fine, rendono il tutto personale ed intrigante, specie se applicate come in questo caso a sonorità più orrorifiche che sinfoniche.
SiN è portatore di una concezione della musica lontana diversi anni luce lontana da qualsiasi parvenza di commercialità, e solo anche per questo si merita un certo credito, al di là di tutte le altre considerazioni.

Tracklist:
01. Hill Of Scape-Gallows
02. Dread Asylum
03. Hospitality Of Demon
04. Pernicious Elixir
Line up:
SiN – All instruments, Vocals

ASTARIUM – Facebook

Sun Of The Sleepless – To The Elements

Echi di Empyrium e The Vision Black si inseguono e si fondono in una nuova ed ancora più oscura veste, dando vita ad una forma di black metal che va a toccare vette difficilmente superabili.

Quando ci si approccia all’ascolto dell’album di una band poco conosciuta penso che tutti, istintivamente, provino a raccogliere qualche notizia sui musicisti che ne fanno parte e sulla sua discografia passata: questo, inevitabilmente, rischia di creare un pregiudizio (nel senso letterale di giudizio preventivo) nel bene o nel male, quando invece i nomi coinvolti nell’opera sono ben noti.

Confesso che, quando è partito To The Elements nel mio lettore stracolmo di album in mp3 da ascoltare per poi provare a descriverne il contenuto nel migliore dei modi, dei Sun Of The Sleepless ricordavo solo che mi erano arrivati via Prophecy Productions ma, aiutato anche da quest’ultimo indizio, ho impiegato ben poco per capire che il musicista coinvolto in questo progetto era Markus Stock, alias Ulf Thodor Schwadorf: per chi ha amato fin dalla prima ora gli Empyrium ed ha apprezzato non poco l’operato del nostro anche con i The Vision Bleak, non è difficile riconoscere l’impronta di uno degli autori maggiormente peculiari tra quelli dediti al lato più oscuro del metal.
Ed ecco scattare il pregiudizio: da quel momento in poi ti attendi di ascoltare qualcosa di speciale, capace di costringerti ad un’attenzione superiore alla media per cogliere al meglio ogni sfumatura, cosa che, per carità, si prova sempre a fare ma con risultati altalenanti, trovandosi spesso di fronte a lavori anche buoni a livello esecutivo e compositivo ma non sempre stimolanti.
Però uno come Markus Stock non può deludere, perché troppo è il talento che madre natura gli ha concesso, regalandoci  con questo suo progetto solista nato alla fine dello scorso secolo la sua personale interpretazione di un black metal che, se già di solito in terra germanica viene interpretata in maniera ben diversa e più ricercata rispetto al resto del mondo, in questo caso tocca vette difficilmente superabili; ovviamente il musicista bavarese non si dimentica d’essere il padre degli Empyrium e certi episodi più rarefatti o acustici lo stanno a dimostrare (The Burden, il cui testo è tratto dall’opera shakespeariana la Tempesta, e Forest Crown), ma nei restanti cinque brani fa sciogliere il face painting a una moltitudine di ragazzotti di buona volontà, esibendo qualcosa che rasenta lo stato dell’arte del genere, almeno per quanto riguarda il suo aspetto più atmosferico ed evocativo.
Bastano pochi secondi di Motions per immergersi nell’atmosfera austera che il marchio Sun Of The Sleepless regalerà lungo lo spartito creato per To The Elements: questo brano è uno dei più belli ascoltati nel genere negli ultimi anni, e il piede batte ai ritmi parossistici dei blast beat mentre mentre lo spirito si lascia trasportare da un crescendo melodico che si vorrebbe interminabile.
Echi di Empyrium e The Vision Black si inseguono e si fondono in una nuova ed ancora più oscura veste, passando per la superba The Owl dedicata al meraviglioso rapace notturno, per arrivare alla conclusiva Phoenix Rise, che si ammanta di una più malinconica melodia per poi chiudersi con una citazione tolkeniana tratta da La Compagnia dell’Anello.
Da un musicista di questo spessore non ci poteva attendere nulla di meno, ma ogni volta che si palesa un album di simile livello qualitativo si rinnova quel momento magico che è il piacere della scoperta e la voglia di riascoltare queste note non appena se ne avrà l’occasione …
Là fuori c’è davvero tanta grande musica, gran parte della quale il popolo degli appassionati è destinato ad ignorare stante l’impossibilità fisica di ascoltarla tutta: uno dei nostri compiti è anche far emergere ciò che davvero non può e non deve essere ignorato, come appunto questo primo full length dei Sun Of The Sleepless del  bravissimo Markus Stock.

Tracklist:
1. The Burden
2. Motions
3. The Owl
4. Where in My Childhood Lived a Witch
5. Forest Crown
6. The Realm of the Bark
7. Phoenix Rise

Line up:
Ulf Theodor Schwadorf – Everything

SUN OF THE SLEEPLESS – Facebook

Vials Of Wrath – Days Without Names

Un bellissimo esempio di musica oscura, dalle sfumature drammatiche ma sempre godibile da un punto di vista melodico, attingendo sicuramente alla scuola statunitense che ha sempre avuto come caratteristica principale quella di porre al centro delle opere la forza e l’immensità della natura, in questo caso specifico vista però come segno tangibile della maestosità del creato.

Parlare di black metal di ispirazione cristiana rischia seriamente d’essere una contraddizione in termini, se si pensa che questo genere musicale nacque, semmai, con lo scopo di riscoprire le radici del paganesimo e contrastando con forza (non solo musicalmente, come ben sappiamo) quella religione cattolica che venne imposta alle popolazioni scandinave agli albori del precedente millennio.

Se c’è un qualcosa, però, su cui mi sono sempre auto imposto di soprassedere, allorché devo valutare o godermi un disco, è la sua componente religiosa o politica, facendo eccezione in quest’ultimo caso solo per chi prova a propugnare in maniera esplicita certe ideologie che sono già state ampiamente giudicate e condannate, non da me ma dalla storia.
Questa introduzione è necessaria per far sì che non venga snobbato dai puristi il secondo album dei Vials Of Wrtah, progetto solista del musicista statunitense Dempsey “DC” Mills, autore di un’interpretazione davvero di buon livello del black metal nella sua forma più atmosferica ed eterea. La bontà di Days Without Names, al di là ovviamente del non possedere alcun elemento innovativo, risiede sostanzialmente in una certa varietà stilistica che fa oscillare il sound tra sfuriate vicine al depressive, ampie aperture atmosferiche ed accenni folk, senza dimenticare che la chitarra può esser utilizzata anche per suonare ottimi assoli (Burning Autumn Leaves).
L’album consta di sei brani mediamente abbastanza lunghi, oltre a due più brevi tracce strumentali, e gode di una produzione abbastanza pulita per la media del genere, il che valorizza soprattutto le parti più intimiste e, appunto, il buon lavoro chitarristico, sia elettrico sia acustico, senza affossare la voce che, magari non sarà un punto di forza ma non diviene neppure un elemento di disturbo come talvolta accade.
In buona sostanza Days Without Names si rivela un bellissimo esempio di musica oscura, dalle sfumature drammatiche ma sempre godibile da un punto di vista melodico, attingendo sicuramente alla scuola statunitense che ha sempre avuto come caratteristica principale quella di porre al centro delle opere la forza e l’immensità della natura, in questo caso specifico vista però come segno tangibile della maestosità del creato.
Il lavoro va goduto nel suo insieme ed è fortemente consigliato a chi apprezza il black metal in questa sua forma, trovando i propri picchi nella parte centrale con Burning Autumn Leaves e The Path Less Oft Tread, senza comunque mostrare cenni di debolezza in alcuna sua parte; le liquide note acustiche che chiudono A Cleansing Prayer lasciano davvero un bel retrogusto oltre alla consapevolezza del fatto che il genere, nelle sue varie forme e sfumature, continua ad avere risorse infinite.

Tracklist:
1. That Which I’ve Beheld
2. Journey Beyond the Flesh
3. Revival of the Embers
4. Burning Autumn Leaves (Under a Harvest Moon)
5. The Path Less Oft Tread
6. Silhouettes Against the Sun
7. A Cleansing Prayer

Line-up:
Dempsey “DC” Mills – All instruments, Vocals

VIALS OF WRATH – Facebook

Bereft of Light – Hoinar

Quella marchiata Bereft Of Light è musica dal grande impatto emotivo, che non può lasciare indifferenti per la sua aura tragica stemperata dalle frequenti rarefazioni acustiche.

Quello di Daniel Neagoe è un nome caro a tutti gli appassionati del funeral/death doom più atmosferico e melodico, genere che ha contribuito a spingere verso vette qualitative difficilmente superabili con gli Eye Of Solitude prima, e con i Clouds più recentemente.

Il musicista rumeno è, però, un artista nel senso più autentico del termine e la sua ispirazione pare attingere ad un pozzo senza fondo, anche quando il genere non è quello che gli ha dato la maggiore visibilità.
Del resto il nostro non è nuovo ad incursioni nel black metal, prima con i Sidious assieme ad altri suoi compagni negli Eye Of SOlitude, poi nei Vaer assieme al suo storico sodale Déhà e, infine, in un precedente progetto solista denominato Colosus, che però, probabilmente è stato soppiantato da questo nuovo denominato Bereft Of Light.
In Hoinar, Daniel prende dichiaratamente le mosse dalla corrente cascadiana che è stato uno degli sviluppi recenti più efficaci e segnanti in ambito black, rendendo peculiare e ben riconoscibile il sound in gran parte della scena nordamericana: ovviamente il tutto viene eseguito da uno che ha scritto un album di rara drammaticità come Canto III e l’umore del lavoro non può non risentirne, portandosi appresso ben delineato il proprio marchio stilistico e conferendogli più d’una sfumatura depressive, a partire dalla scelta di uno screaming disperato che solo nella meravigliosa Freamăt trova un suo contraltare nelle clean vocals.
L’opera consta fondamentalmente di tre brani portanti (Legamânt, Freamăt e Tarziu), oltre a due tracce strumentali di ambient atmosferico (Uitare e Pustiu), esibendo anche un giusto senso della misura ed evitando di saturare l’ascoltatore con una durata eccessiva.
Del resto, quella marchiata Bereft Of Light è musica dal grande impatto emotivo, che non può lasciare indifferenti per la sua aura tragica stemperata dalle frequenti rarefazioni acustiche, eseguite in maniera limpida quanto lineare e propedeutiche ai tipici crescendo che sono parte integrante dello stile di Neagoe, resi ancor più evocativi dall’utilizzo compatto e all’unisono di tutta la strumentazione assieme alla voce. Detto di Freamăt , resa più meoldica e relativamente accessibile proprio dalle parti di cantato pulito, Legamânt e Tarziu sono brani intrisi di una drammaticità a tratti parossistica, nei quali il dolore tracima da un songwritibng sempre ad altissimo livello.
Del resto il doom ed il depressive black sono solo due maniere leggermente diverse per esprimere la propria sensibilità artistica da parte di un musicista come Daniel Neagoe che, davvero, oggi può essere considerato uno dei due (l’altro è Déhà, ma che ve lo dico a fare …) più influenti ed attivi in un settore musicale che sarà pure di nicchia (sicuramente lo è in Italia, purtroppo) ma che resta ugualmente uno degli strumenti di elezione per raccontare le paure, le sofferenze e le miserie dell’umana esistenza.

Tracklist:
I – Uitare
II – Legamânt
III – Pustiu
IV – Freamăt
V – Târziu

Line-up:
Daniel Neagoe – everything

BEREFT OF LIGHT – Facebook

The Committee – Memorandum Occultus

Dietro alle identità celate c’è una band che maneggia a suo piacimento una materia sempre delicata come il black metal, plasmandolo e trasformandolo in un venefico ed annichilente flusso.

Sono passati circa tre anni dall’uscita di Power Through Unity, primo full length del misterioso combo denominato The Committee, composto da musicisti della scena black metal provenienti da diverse nazioni.

La band, nata come solo project del vocalist igor Mortis, ha la sua base in Belgio, ma al di là della collocazione geografica, ciò che importa è, in effetti, la qualità enorme del black metal prodotto da questo gruppo capace di unire tematiche poco rassicuranti dal punto di vista sociale ad un sound cupo e allo stesso tempo melodico, con più di un momento che va a lambire i confini più epici del genere.
Memorandum Occultus, rispetto al suo predecessore che presentava un contenuto lirico pervaso dall’ossessione per la guerra, riporta la barra sulla contemporaneità mettendo in luce senza falsi moralismi il lato più cinico ed oscuro dei potenti ed i diversi strumenti da costoro utilizzati per soggiogare le masse, mentre lo stile musicale si mantiene saldamente ancorato ad un black strutturato su mid tempo avvolgenti, dall’ampio impatto atmosferico ed evocativo, sicuramente tutt’altro che asettico come il concept potrebbe invece indurre a pensare.
Sei ottimi brani si susseguono così nel raccontare una realtà dalla quale siamo più portati a distogliere lo sguardo per il nostro quieto vivere, risultando piuttosto uniformi nel loro incedere ritmico e, tutto sommato, anche melodico, ma terribilmente convincenti e alo stesso tempo ammantati di un oscura inquietudine.
Se è magnifica Treacherour Teachings – Weapons Of Religion, con tanto di vocalizzi femminili arabeggianti, non sono da meno le altre tracce, nel corso delle quali questi ottimi interpreti del genere non mollano mai la presa, offendo fino alla fine momenti di sicuro impatto emotivo.
I The Committee si confermano molto più di un progetto estemporaneo, capace di colpire soprattutto per l’identità dei suoi membri che si celano anche in versione live presentandosi al pubblico incappucciati: in realtà, dietro ai paraventi c’è una band che maneggia a suo piacimento una materia sempre delicata come il black metal, plasmandolo e trasformandolo in un venefico ed annichilente flusso.

Tracklist:
1. Dead Diplomacy – Weapons Of War
2. Synthetic, Organic Gods – Weapons Of Genocide
3. Golden Chains – Weapons Of Finance
4. Treacherour Teachings – Weapons Of Religion
5. Flexible Facts – Weapons Of History and Chronology
6. Intelligent Insanity – Weapons Methodology And Duality

Line-up:
Igor Mortis – Guitar – Vocals
William Auruman – Drums – Percussion
Aristo Crassade – Guitar – Vocals
Marc Abre – Bass
Urok – Keyboards
Navigator – Guest Vocals

THE COMMITEE – Facebook

Les Chants du Hasard – Les Chants du Hasard

Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

Ancora oggi, a più di vent’anni dalla loro uscita, i primi due album degli Elend (Leçons de Ténèbres nel 1994 e Les Ténèbres du Dehors due anni dopo), sono considerati come dei capolavori di musica dark ambient e classica, nei quali l’attitudine estrema era assolutamente concettuale e la musica manteneva una sua perfetta connotazione fuori dagli schemi del metal.

Allora qualcuno parlava più di nuova musica classica che di sottogenere metal e non a torto, vista la totale mancanza di strumenti tradizionalmente rock.
Questo nuovo progetto, anch’esso di provenienza transalpina, si avvicina non poco allo stile del magico gruppo franco/austriaco, una one man band che vede il compositore Hazard alle prese con un’affascinate musica orchestrale, profondamente dark e dall’animo black metal, che si evince dall’uso dello scream, nei passaggi vocali, mentre le tastiere disegnano arabeschi sinfonici e drammatici.
Leggermente meno mistica ed occulta rispetto a quella degli Elend, la musica di Hazard è sicuramente più teatrale, creando un’opera che, chiudendo gli occhi, prende forma nella mente come trasposizione artistica sul palco di un teatro dell’orrore.
I sei capitoli seguono un percorso metaforico su dilemmi esistenziali, dunque lasciando ad altri sterili colonne sonore di film fantasy, mentre piano piano la musica di Hazard si fa spazio tra i meandri dell’inconscio, facendosi ad ogni ascolto sempre più profonda, oscura e a suo modo estrema.
Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

TRACKLIST
1. Chant I – Le Théâtre
2. Chant II – Le Soleil
3. Chant III – L’Homme
4. Chant IV – L’Enfant
5. Chant V – Le Die
6. Chant VI – Le Vieillesse

LINE-UP
Hazard – Orchestrations

LES CHANTS DU HASARD – Facebook

A Mournful Path – From The Wreckage Of Humiliation

Gli A Mournful Path sono un duo di black metal da Newcastle, Australia, e il loro black metal non vi lascerà tregua, figlio maledetto della scuola australiana, con quella saturazione dello spazio sonoro che rende bellissimo questo viaggio tra l’atmospherical e il black più tendente al death.

Questa traccia che vi proponiamo è un appunto, un piccolo assaggio di qualcosa che vi atterrerà nelle orecchie entro la fine dell’anno.

Gli A Mournful Path sono un duo di black metal da Newcastle, Australia, e il loro black metal non vi lascerà tregua, figlio maledetto della scuola australiana, con quella saturazione dello spazio sonoro che rende bellissimo questo viaggio tra l’atmospherical e il black più tendente al death. Il duo ha rilasciato questa traccia per la Inverse Records che pubblicherà il loro mini di debutto. Gli A Mournful Path si inseriscono in quel novero di gruppi che riescono a dare al black metal un significato di liberazione, un mezzo per andare verso il cielo o verso il centro della terra a vostra preferenza. Il male ed il disagio escono a mille all’ora dalla voce di Michael Romeo, con il fratello David che fa tutto il resto, ed ad ascoltarli non sembrano davvero un gruppo esordiente. I due fratelli Romeo respirano e suonano come fossero un’unica entità e ciò lo si sente molto bene anche da quest’unica traccia.
Un piccolo raggio nero che preannuncia una tempesta molto interessante e pesante.

TRACKLIST
1. From The Wreckage Of Humiliation

LINE-UP
David Romeo: Song writing and all instruments
Michael Romeo: Words and voice

A MOURNFUL PATH – Facebook

Eoront – Another Realm

La musica del gruppo siberiano si avvicina molto a quella dei Drudkh, giusto per dare delle coordinate musicali, ma ha una maggiore connotazione mistica.

Da Krasnoyarsk in Siberia arrivano gli Eoront, un gruppo che sta dando un nuovo senso al black metal atmosferico.

Fin dalle prime battute el disco si capisce che gli Eoront fanno un genere a sé stante, che prende spunto dall’atmospheric, con forti venature symphonic grazie ad un ottimo lavoro con le tastiere, ma c’è molto di più. La musica del gruppo siberiano si avvicina molto a quella dei Drudkh, giusto per dare delle coordinate musicali, ma ha una maggiore connotazione mistica. Dentro alle composizioni degli Eoront possiamo ascoltare anche delle derive psichedeliche che ampliano ulteriormente il discorso, portando ulteriori elementi di originalità. Il magma sonoro che esce da Another Realm è molto bello ed originale, ed è un disco che si fa ascoltare con piacere. Gli Eoront hanno una differente idea di black metal e qui la sviluppano, sebbene questo sia per loro un mezzo più che un abito da indossare a tutti i costi. Non è nemmeno un discorso di innovazione, quanto una scelta di stile bene precisa e coerente, che li porta ad essere un gruppo molto interessante. Another Realm entra di diritto nei dischi black metal più belli di quest’anno, e farà la gioia di molti. E dalle foreste siberiane arriveranno ancora nere gioie, perché l’incedere degli Eoront è quello dei grandi gruppi, ma soprattutto di una band che sa quello che vuole.

TRACKLIST
1. The Rain
2. Two Worlds
3. Genesis
4. The Glow
5. The Sea
6. Dreamcatcher Line-up:
7. Zakarum, The Order of
Light

LINE-UP
Foltath – vox, guitars
Eugene – bass
Valea – keys
Ephemiral Gorth – drums, percussions

EORONT – Facebook

Moonaadem – Moonaadem

In poco più di mezz’ora Antonios offre una solida dimostrazione delle proprie capacità compositive, andando a lambire tutte le diverse sfumature racchiuse nel black di matrice atmosferica e dimostrando in tal senso un notevole equilibrio.

Questo nuovo interessante progetto solista arriva dal Libano, altra nazione che di solito rimane fuori dai radar del metal (a memoria in epoca recente mi vengono in mente solo i bravi Kimaera).

Marwan Antonios inizialmente aveva denominato la sua creatura Black Folly, ma di fatto Moonaadem, fin dal nome che significa “non esistenza”, nasce con l’esigenza di cambiare non solo il monicker ma anche l’indirizzo musicale, con il sentire più malinconico che rabbioso espresso dal proprio black metal, sintomo di una necessità di comunicare sensazioni ancor più intime.
Con un sound mai troppo aspro, se non per il consueto screaming, l’album si snoda con buona fluidità tra toni atmosferici e qualche puntata nel depressive, senza ovviamente stravolgere gli schemi usuali, rivelandosi meritevole di attenzione in virtù di un impatto melodico non privo di eleganza unito ad una buona cura dei particolari: forse la sola voce, utilizzata comunque con parsimonia, appare un po’ compressa dagli strumenti ma non è detto che non sia un effetto voluto.
In poco più di mezz’ora Antonios offre una solida dimostrazione delle proprie capacità compositive, andando a lambire tutte le diverse sfumature racchiuse nel black di matrice atmosferica e dimostrando in tal senso un notevole equilibrio.
Molto belle Pleine Lune, la strumentale Désillusion e la conclusiva e la più liquida Marche Funèbre pour la Mort de la Terre, ma nel complesso c’è davvero ben poco da eccepire su questo primo passo targato Moonaadem, senza’altro passibile di ulteriori sviluppi alla luce del buon potenziale già espresso dal bravo musicista libanese.

Tracklist
1. Multivers
2. Pleine Lune
3. Malaise astral
4. Désillusion
5. Désolation et folie noire
6. D’une existence mourante
7. Marche funèbre pour la mort de la Terre

Line-up:
Marwan Antonios

MOONAADEM – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=dZfFeHUN91U

Neige Et Noirceur – Verglapolis

Verglapolis è un disco di grande bellezza, da gustare con le cuffie, travalicando i generi per costruire una narrazione che è un mito moderno, un’opera sopra un evento ben più grande di noi, e che non possiamo capire fino in fondo, ma possiamo sentirlo.

La tempesta di ghiaccio del 1998 in Quebec durò una settimana, e lasciò gran parte del territorio senza elettricità per oltre un mese.

Questa incredibile tempesta è ricordata ancora molto bene dagli abitanti della parte francofona del Canada, e secondo alcuni studi, avrebbe lasciato impresso un segno nel dna dei bambini ancora in gestazione, a causa dello stress vissuto dalle madri.
Tutto ciò è narrato mirabilmente in questo disco di Neige Et Noirceur, il progetto solista di Spiritus nato nel 2002 e che ha una nutrita discografia. Il black metal di Neige Et Noirceur è profondamente influenzato dall’ambiente di provenienza, e la bravura particolare di Spiritus è quella di riuscire a rendere davvero il gelo e la pesantezza dell’ambiente quebecois, grazie alle chitarre distorte e all’uso sapiente e tenebroso di droni e tastiere. Tutto ciò che è ascoltabile nel disco concorre a creare un’ambientazione davvero glaciale e senza vita, se non quella di spiriti maligni, che sottolineano ancora una volta che su questa terra l’uomo è davvero ospite e nemmeno troppo gradito. In Verglapolis, questa città composta di blocchi di ghiacci, si possono sentire le note droniche di Neige Et Noirceur, un requiem della vita e della speranza, un suono affascinante e debitore nella sua poetica a H.P. Lovecraft, perché queste innominabili visioni sono figlie sue. Verglapolis è un disco di grande bellezza, da gustare con le cuffie, travalicando i generi per costruire una narrazione che è un mito moderno, un’opera sopra un evento ben più grande di noi, e che non possiamo capire fino in fondo, ma possiamo sentirlo.

TRACKLIST
1.Le monde est une foret noire
2.L’hiver de force
3.Nordet – Les premieres neiges
4.Pluie verglacante et brouillard de glace
5.Energie noire
6.Ruines electriques

LINE-UP
Spiritus: music and winter’s poems, guitars, Juno60 – synth yamaha, drums, drum machines, voices and howls
Schimaera: voice, noise

NEIGE ET NOIRCEUR – Facebook

Progenie Terrestre Pura – oltreLuna

I Progenie Terrestre Pura fanno davvero un genere a sé stante, non valgono i parametri con altri gruppi, perché è tutto speciale.

I Progenie Terrestre Pura non sono umani, vengono dalla nostra vera casa, che è persa lontano nelle stelle.

La Terra è solo un luogo dove soffriamo immensamente, non è il nostro luogo, e lo sentiamo chiaramente quando avvertiamo continuamene che c’è qualcosa che non va. Il gruppo italiano ci conduce in un immenso viaggio interstellare, dove il black e il death metal sono i propulsori per raccontare una storia mai sentita prima. Il suono di oltreLuna è ancora più potente e magnifico di quello dei dischi precedenti, La bravura tecnica e compositiva del gruppo è seconda solo alle sensazioni che suscitano. OltreLuna come e più degli altri dischi è un qualcosa di coinvolgente, come uno sguardo gettato su di un presente futuro che non riusciamo a cogliere imprigionati nelle nostre veste attuali. I Progenie Terrestre Pura con il loro suono monolitico, con sprazzi di black metal atmosferico molto potente ed evocativo, e persino con frequenti intarsi di voce lirica e strumenti antichi, tracciano una traiettoria che non può essere descritta se non tramite l’ascolto. E oltreLuna non è solo un disco ma è molto di più. Le immagini evocate con il cantato in italiano, lo splendido lavoro grafico di Alexander Preuss, e soprattutto la loro musica sono un film, è il racconto di un viaggio che forse l’uomo ha già compiuto ma del quale se n’è persa la memoria. I Progenie Terrestre Pura fanno davvero un genere a sé stante, non valgono i parametri con altri gruppi, perché è tutto speciale. I brani sono composti in maniera progressiva, non esiste la stantia forma canzone, perché questo è un viaggio verso le stelle più lontane. Le esperienze musicali sono molteplici e si basano soprattutto sui gusti dell’ascoltatore, ma oltreLuna è un vissuto musicale e poetico che è vivamente consigliato a chi ha una mente aperta e vuole continuare il viaggio. Forse all’estero hanno capito che questo gruppo è davvero una cosa incredibile e forse irripetibile. Oltre la Luna, perché noi siamo ben più di questo.

TRACKLIST
01 [.Pianeta.Zero.]
02 [.subLuce.]
04 [.Deus.Est.Machina.]
05 [.Proxima-B.]
03 [.oltreLuna.]

LINE-UP
Davide Colladon – Guitars/Composition
Emanuele Prandoni – Vocals/Lyrics
Fabrizio Sanna – Bass/Production

PROGENIE TERRESTRE PURA – Facebook

Midnight Odyssey – Silhouettes of Stars

Una compilation perfetta per conoscere la musica di questa one man band australiana e magari cercarne le produzioni passate.

Succulenta compilation per questa one man band australiana di black metal orchestrale ed atmosferico, conosciuta come Midnight Odyssey, creatura astrale del polistrumentista Dis Pater.

Questo monumentale lavoro (più di due ore di musica estrema), raccoglie una serie di inediti, due singoli (Magica e The Night Has Come For Me) più la cover di un brano degli Emperor, Cosmic Keys From My Creations & Times.
Il sound creato da Dis Pater è dunque un black metal orchestrale, ricco di lunghe parti strumentali, a tratti vicino all’ambient ma più spesso contornato da un’aura spaziale come il concept creato dal suo creatore.
Una musica che a livello artistico risulta molto interessante e che ha bisogno del suo tempo per essere apprezzata, visto la lunghezza dei brani che non giova sicuramente all’appeal della musica dei Midnight Odyssey.
L’alternanza tra lo spirito ambient e quello più metallico ed estremo varia l’ascolto di quel tanto che basta per arrivare in fondo senza grossi problemi, anche se non manca qualche pausa.
Nei brani in cui l’anima black metal prende il sopravvento (What Was Is No More, The World Tree Burns To Vapour), echi di Emperor e Limbonic Art si ascoltano tra le note, con uno scream che mantiene un piglio epico e declamatorio, mentre è un attimo essere ancora una volta cullati dalle lunghe parti atmosferiche (Sorrow Of Deadalus, Dis Pater).
Una compilation perfetta per conoscere la musica di questa one man band australiana e magari cercarne le produzioni passate.

TRACKLIST
Disc 1
1.The Night Has Come for Me
2.Magica
3.Cosmic Keys to My Creations & Times (Emperor cover)
4.Sorrow of Daedalus
5.What Was Is No More
6.Fighting the Seraphim
7.Descent
8.The World Tree Burns to Vapour
9.Lost and Forgotten

Disc 2
1.Nocturnal
2.Your Death Is Chosen
3.The Tempest Entranced
4.Dis Pater
5.A Whisper’s Emptiness
6.Theme of Forest and Firmament

LINE-UP
Dis Pater – All instruments, Vocals

MIDNIGHT ODYSSEY – Facebook