Keys Of Orthanc – Dush agh Golnauk

Trattandosi di un esordio ci si potrebbe accontentare, anche se non sono pochissimi gli aspetti da migliorare, per evitare che le buone idee espresse da Dorgul vengano restituite in maniera oltremodo confusionaria.

Keys Of Orthanc è il nome di questa nuova one man band che si affaccia sulla scena black metal.

Come fanno ampiamente intendere monicker e titolo dell’album è l’immaginario tolkeniano a dominare a livello lirico nel lavoro del musicista del Québec (che per eliminare ogni fraintendimento si presenta come Dorgul).
L’interpretazione che ne deriva non può che risentire di tutto questo, per cui sono atmosfere per lo più epiche a caratterizzare l’opera, anche se le pulsioni pagan folk sono meno accentuate a favore di un incedere più malinconico.
A livello compositivo Dorgul si fa valere ma la produzione non è nitida come dovrebbe, per cui purtroppo gli spunti melodici non emergono come dovrebbero, soffocando per esempio le buone intuizioni dei due brani centrali Witchking e Mor Gashnum.
Trattandosi di un esordio ci si potrebbe accontentare, anche se non sono pochissimi gli aspetti da migliorare, per evitare che le buone idee espresse da Dorgul vengano restituite in maniera oltremodo confusionaria; d’altro canto, considerati i mezzi che mette a disposizione l’odierna tecnologia, ignorare questo aspetto non dovrebbe essere così complicato.

Tracklist:
1. Satum
2. Ringwraiths
3. Witchking
4. Mor Gashnum
5. The White Wizard
6. Outro

Line up:
Dorgul – All instruments, Vocals

KEYS OF ORTHANC – Facebook

Majesty Of Silence – Zu dunkel für das Licht

Il sound teatrale e straripante di enfasi fatica a raggiungere l’obiettivo, perché con un simile approccio è senz’altro importante un buon talento compositivo (e fin qui ci siamo), ma lo è altrettanto, se non di più, un senso della misura che fa decisamente difetto ai Majesty Of SIlence.

Un altro ritorno dopo oltre un decennio di silenzio: questa volta sono gli svizzeri Majesty Of Silence a rifarsi vivo dopo un lungo oblio iniziato nel 2006, dopo l’uscita del loro quarto full length.

Tutto sommato il momento scelto per ripresentarsi sulla scena sarebbe anche quello giusto per chi si dedica ad un genere come il symphonic black che, in effetti, negli ultimi anni era finito fuori dai radar della maggior parte degli appassionati, fino al recente rientro in pompa magna dei Dimmu Borgir e alla luce del gradito recupero ad alto livello degli stessi Cradle Of Filth.
Dimezzati rispetto alla formazione originale (sono rimasti i soli Peter Mahler e Christian Geissmann), gli elvetici cii sommergono con un album come Zu dunkel für das Licht entro il quale non si fanno mancare nulla, riversandoci tutto quanto sarebbe lecito attendersi da interpreti di questa frangia metallica che non ha mai avuto la sobrietà tra le sue caratteristiche principali.
E’ cosi che il sound teatrale e straripante di enfasi fatica a raggiungere l’obiettivo, perché con un simile approccio è senz’altro importante un buon talento compositivo (e fin qui ci siamo), ma lo è altrettanto, se non di più, un senso della misura che fa decisamente difetto dell’Argovia.
Ecco, se Dani Filth vi appare in certi momenti fastidiosamente verboso, andando a sovrastare costantemente le trame musicali dei suoi compagni, non è nulla rispetto a quanto accade con i Majesty Of Silence i quali, per ottanta minuti, ci sommergono incessantemente con le proprie strepitanti liriche in tedesco, facendomi persino venire in uggia una lingua che personalmente adoro in certi ambiti ambiti musicali.
Peccato, perché questo lavoro, con le dovute sfrondature farebbe tutto un altro effetto; nei frangenti più solenni e teatrali affiorano persino reminiscenze dei Devil Doll, mentre i passaggi sinfonici riportano necessariamente ai Dimmu Borgir, e non è un caso se sono per lo questi momenti quelli in cui si rimpiange maggiormente la bulimia verbale che affligge alcuni passaggi magnifici, disseminati in buona quantità specialmente nella seconda metà dell’opera (Traurige Geschicht’, Rudi, Sonne, Erlösung).
Probabilmente il tutto sarà anche funzionale al racconto (ed evidentemente cose da dire ce ne sono in quantità) ma si giunge alla fine dell’opera abbastanza estenuati nonostante l’abitudine a certi ascolti e la relativa buona predisposizione.
Le migliori band attuali, non solo in ambito estremo, ci stanno insegnando che la musica aumenta la sua efficacia quando si toglie piuttosto che aggiungendo, e il sound dei Majesty Of Silence è “troppo” sia per minutaggio che per interpretazione del genere, con l’aggiunta puntuale anche di una voce femminile che c’entra come i cavoli a merenda.
Ecco, è per tutti questi motivi che il ritorno della band svizzera non va oltre una sufficienza derivante dall’apprezzamento per un’espressione musicale non banale, ma che necessita di una necessaria revisione per poter raggiungere in futuro un livello più consono al potenziale dimostrato a tratti.

Tracklist:
1. Der Untergang
2. Das Feuer
3. Der Zahn der Zeit
4. Unerwarteter Besuch
5. Endstille
6. Dem Engel noch zuhören
7. Klangfeind – Neuzeithasser
8. Traurige Geschicht’
9. Rudi
10. Sonne
11. Weisse Welt
12. Zweiundzwanzig
13. Erlösung
14. Stille

Line up:
Peter Mahler: Guitars, Vocals
Christian Geissmann: Guitars, Bass, Vocals

MAJESTY OF SILENCE – Facebook

Desounder – Desounder

I Desounder sono una band a cui non mancano tecnica, una cantante che fa la differenza ed un sound che non si accontenta di seguire i soliti binari per cercare nuove strade ma senza paura di guardarsi indietro.

Che l’Andromeda Relix sia sinonimo di qualità non è certo una novità, infatti la label nostrana riesce sempre a sorprenderci con uscite varie e di alto livello, passando di genere in genere con la naturalezza di chi la materia la conosce molto bene.

Ecco che l’ultimo gioiellino marchiato dal logo dell’etichetta arriva puntuale a MetalEyes, presentandoci così i Desounder (ex Rider’s Bone), quartetto di Verona nato nel 2013 e al debutto con questo bellissimo album omonimo composto da undici brani davvero brillanti.
Il lavoro contiene hard rock aperto a non poche contaminazioni, tra spunti moderni e tradizionali, con il blues ed il soul a fare il bello e cattivo tempo e la voce splendidamente “nera” della singer Eleonora Nory Mantovani a svegliarci dal torpore e ad accompagnarci tra le trame del disco.
Basterebbe Dear John, terza traccia dell’album per mettere d’accordo chi nel rock cerca qualcosa in più, come le sfumature jazz/soul con quei fiati che duettano con la splendida voce della cantante, spettacolare anche su Pain, altro brano fuori dai soliti schemi obbligati dell’hard rock moderno.
Il bello di Desounder è la varietà di stili con la quale il gruppo ci tiene incollati alle cuffie e così si passa dalla semi ballad grunge I Take My Time, che ricorda gli Stone Temple Pilots di Core, all’alternative metal di Prisoner, al riff southern della letale King Of Nothing.
Un’ottima produzione fa il resto e questo primo lavoro ci consegna un gruppo notevole, a cui non mancano tecnica, una cantante che fa la differenza ed un sound che non si accontenta di seguire i soliti binari per cercare nuove strade ma senza paura di guardarsi indietro.

Tracklist
1. Reverse (intro)
2. Man From The Moon
3. Dear John
4. Pain
5. I Take My Time
6. Prisoner
7. The King’s Entrance
8. King Of Nothing
9. The Void Of Absence
10. Save Our Souls
11. You Fall Again

Line-up
Eleonora Nory Mantovani – Vocals
Nicolò La Torre – Guitars
Matteo Valle – Bass
Martino Pighi – Drums

DESOUNDER – Facebook

Tenebra Arcana – Luna ep

Come debutto quello dei Tenebra Arcana è uno dei più impressionanti e belli degli ultimi anni, e dentro ha tante cose che gli amanti del metallo più nero apprezzeranno.

Primo lavoro in download libero degli italiani Tenebra Arcana, che escono con il loro ep Luna.

Nato nel 2018 tra Milano e Lodi, il gruppo debutta con il proprio black metal classico e con elementi sinfonici, ma fatto soprattutto di rabbia e velocità, che sono le componenti essenziali di questo suono. La voce che canta prevalentemente in chiaro, ma non disdegna qualche passaggio in growl, mette in evidenza i testi che sono da seguire con attenzione. L’impatto è notevole, e fin dal primo pezzo prende corpo un massacro senza requie, con momenti di notevole coinvolgimento dell’ascoltatore. Pur essendo un gruppo esordiente i Tenebra Arcana hanno le idee molto chiari, sono devoti al nero metallo e possiedono una notevole cultura musicale che si riverbera nella loro musica. Quest’ultima è sul black metal sinfonico classico, ma in alcune cavalcate sonore il gioco delle due chitarre evidenzia un avvicinamento più moderno al genere, ed il tutto si fonde con tenebrosa armonia. La lunghezza non eccessiva dell’ep ci fa apprezzare le ariose composizioni che sono tutte sopra i quattro minuti e mezzo, a parte la prima e l’ultima canzone. Come debutto quello dei Tenebra Arcana è uno dei più impressionanti e belli degli ultimi anni, e dentro ha tante cose che gli amanti del metallo più nero apprezzeranno. Extra Black Metal nulla salus.

Tracklist
1.Darkness fall
2.The fall
3.Tenebra Arcana
4.Luna
5.Ecate mater nocte

Line-up
Gemy – voice & keyboards
Goro – voice & guitar
Gabriel – guitar
Teone – bass
Darkror – drums

TENEBRA ARCANA – Facebook

Necros Christos – Domedon Doxomedon

E’assolutamente da ascoltare l’opera definitiva del quartetto tedesco, un death d’annata dal fascino ancestrale immerso in aromi misteriosi e oscuri.

Non manca l’ispirazione e neanche gli attributi ai teutonici Necros Christos per rilasciare una mastodontica opera a probabile epitaffio di una lunga carriera, iniziata nel 2002 con il demo Necromantic Doom e proseguita tra vari split, EP e due full in studio fino a oggi; quasi due ore di musica divisi in tre cd e un lungo lavoro compositivo dal 2011, anno dell’eccellente “Doom of the occult”, costituiscono uno sforzo importante all’insegna di un black death oscuro e molto ispirato.

Necessitano tempo e pazienza per poter apprezzare la forza melodica e di impatto, sviluppata all’interno dell’opera; ogni cd siglato come ITH, THEI e SETH contiene solo tre brani nel senso classico del termine, ognuno attorniato da brevi intermezzi, sia strumentali con arpeggi orientali e aromi di flamenco che con vocals intitolati Temple e Gate, dove la tensione sviluppata dal death espresso dalla band si scioglie in oasi ritualistiche e di quiete (in ITH il delicatissimo Gate of Sooun, condotto dalle note misteriose di un affascinate sitar). La parte death, in definitiva nove brani tutti con importante lunghezza, tratteggia con potenza l’idea della band di “endytime death metal” dove le melodie elaborate dalle chitarre e il superbo lavoro del drummer, sempre vario, ci portano con la mente verso lidi cari ai Morbid Angel, come in He Mourn Death in Hell, o ad assaporare oscura old school in I Am Christ in cui il suono nitido della chitarra solista ci conduce verso un inaspettato break centrale semiacustico e riverberato molto atmosferico. Il lungo viaggio intrapreso mantiene coordinate affascinanti attraverso i ritmi battenti dei dodici minuti di Seven Altars Burn in Sin; grandi melodie, solos coinvolgenti, rallentamenti doom e break acustici sono la forza del brano, carico di una passione che non manca mai anche nei successivi episodi death come Exiled in Trasformation e in The Heart of King Salomon in The Sorcery dove i riff intessono trame antiche e polverose e il growl del singer Mors Dalos Ra ci conduce in sentieri impervi e dannati. Nell’ultimo cd, SETH, appare la song più lunga di tutto il lotto, In Meditation on The Death of Christ, carica di brutalità e riff taglienti e intricati su una base ritmica cangiante; le chitarre si inseguono, si inerpicano su percorsi di puro death a suggellare un’opera dal sicuro fascino. Onore a questi artisti a cui il coraggio non è di sicuro mancato con questa opera.

Tracklist
Disc 1 – ITH א
1. Temple I : The Enlightened Will Shine like the Zohar of the Sky
2. I Am Christ
3. Gate of Sooun
4. Temple II : Who Will Get Me a Drink of Water from the Cistern of Bethlehem?
5. Tombstone Chapel
6. Gate of Damihyron
7. Temple III : Unless YHVH Had Been My Help, My Soul Would Soon Have Dwelt with Dumah
8. He Doth Mourn in Hell
9. Gate of Aion Tsevaoth

Disc 2 – SETH ב
1. Temple IV : Oracle of the Man Whose Eye Is Open
2. Seven Altars Burn in Sin
3. Gate of Arba-Hemon
4. Temple V: בראשית
5. Exiled in Transformation
6. Gate of Behet-Myron
7. Temple VI : The Weight of Gold That Came to Solomon in One Year Was 666 Talents of Gold
8. The Heart of King Solomon in Sorcery
9. Gate of Sulam

Disc 3 – TEI טטט
1. Temple VII : They and All That Belonged to Them Went Down Alive into Sheol
2. The Guilt They Bore
3. Gate of Jehudmijron
4. Temple VIII : Mount Sinai Was All in Smoke, for YHVH Had Descended upon It in Fire
5. Exodos
6. Gate of Dimitrijon
7. Temple IX : A Redeemer Will Come to Zion
8. In Meditation on the Death of Christ
9. Gate of Ea-On

Line-up
The Evil Reverend N. – Guitars
Iván Hernández – Drums
Peter Habura – Bass
Mors Dalos Ra – Vocals, Guitars (electric, acoustic), Keyboards

NECROS CHRISTOS – Facebook

The Shiva Hypothesis – Ouroboros Stirs

Un debutto davvero interessante, con la band che ci investe con una serie di tempeste estreme perfettamente bilanciate con momenti di epiche melodie oscure, un lavoro ritmico di prim’ordine e passaggi atmosferici che rendono giustizia al concept religioso e filosofico che sta dietro all’opera.

La Wormholedeath non si smentisce con le sue uscite di ottima qualità e licenzia il primo album di questo notevole gruppo estremo, nato nei Paesi Bassi da diversi anni e chiamato The Shiva Hypothesis.

Il quartetto in questione suona un atmosferico mix di black e death metal, con molte sfumature dark ed una teatralità innata: il sound è valorizzato da un’anima progressiva, con strutture caratterizzate da furiosi cambi di tempo ritmici e dissonanze chitarristiche su una base estrema cupa e pregna di misticismo.
Ouroboros Stirs lascia ad un intro quasi impercettibile il compito di portarci all’attacco funesto di Ananda Tandava, primo squillo di questo misterioso lavoro; a tratti il sound dei nostri risulta intriso di quelle atmosfere dark/progressive care ai primi Arcturus, per poi lasciare spazio a violente tempeste death/black alla Behemoth, il cantato tra scream e growl interpreta i testi a sfondo religioso e filosofico in un clima di tregenda sonora, in parte smorzata dalle atmosfere oscure e pacate di cui la band è maestra.
Maze Of Delusion (uno dei brani, insieme a Caduceus e Praedormitium, che componevano il promo di cui vi avevamo parlato in passato) è uno splendido esempio di thrash/black metal che si sviluppa su tempi medi, per poi accelerare improvvisamente e tornare a calcare territori black metal puri, prima che un’intermezzo dark alla Fields Of The Nephilim incoroni il brano come il picco qualitativo di Ouroboros Stirs.
Un debutto davvero interessante, con la band che ci investe con una serie di tempeste estreme perfettamente bilanciate con momenti di epiche melodie oscure, un lavoro ritmico di prim’ordine e passaggi atmosferici che rendono giustizia al concept religioso e filosofico che sta dietro all’opera.
Ouroboros Stirs cresce con gli ascolti così da metabolizzare le varie sfumature di cui è composto: lasciatevi rapire dal suono creato dal gruppo olandese, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Enkindling
2.Ananda Tandava
3.Caduceus
4.Praedormitium
5.Build Your Cities on the Slopes of Mount Vesuvius
6.Maze of Delusion
7.Carrying off the Effigy
8.With Spirits Adrift

Line-up
ML – Bass, Keys, Electric & Accoustic Lead Guitar (track 5 & 8), Additional Vocals (track 3 to 7)
BN – Drums & Percussion, Additional Vocals (track 6)
JB – Electric & Accoustic Guitars, Additional Vocals (track 4)
MvS – Vocals

THE SHIVA HYPOTHESIS – Facebook

Hornwood Fell – Inferus

I tre brani proposti non offrono alcun barlume di luce e, questa volta, lo stile vocale non deroga mai da uno screaming che resta in sottofondo rispetto ad un sound dissonante e ruvido.

Nuova uscita per gli Hornwood Fell con questo breve ep intitolato Inferus, che segue di circa sei mesi il precedente full length My Body My Time.

La band dei fratelli Basili è appunto fresca reduce da un album che ha lasciato alcune perplessità, derivanti dall’approdo ad sonorità inquiete e cangianti sulla falsariga di quanto era stato esibito ancora prima, ma in maniera più organica, in Yheri.
Inferus rappresenta una sterzata piuttosto brusca, nel senso che interrompe quel percorso evolutivo che, in maniera condivisibile o meno, aveva portato gli Hornwood Fell a svincolarsi dagli stilemi del black metal per spingersi verso soluzioni vicine alla frangia progressiva e avanguardistica del genere: i tre brani proposti non offrono alcun barlume di luce e, questa volta, lo stile vocale non deroga mai da uno screaming che resta in sottofondo rispetto ad un sound dissonante e reso ruvido da una produzione che è, comunque quella di un demo.
Anche se questo quarto d’ora di musica non mi ha fatto sobbalzare sulla sedia, devo ammettere che sotto certi aspetti, andando credo in controtendenza, preferisco questa versione nuda e cruda degli Hornwood Fell piuttosto che quelle più edulcorata anche se, d’altra parte, non si può fare a meno di notare che simili scostamenti stilistici giunti in tempi così ravvicinati sono sintomo della ricerca di una strada più delineata entro la quale incanalare un’idea di black metal sicuramente non banale.
Inferus è un qualcosa che viene sbattuto in faccia agli ascoltatori badando molto più alla sostanza che alla forma e immagino che i Basili stessi abbiano utilizzato questa uscita alla stregua di un test per sondare il terreno, in vista di un nuovo lavoro su lunga distanza;  quello degli Hornwood Fell è un ritorno alle origini solo in apparenza, perché in realtà le sonorità dissonanti esibite equamente in Tetro, Inferno e Morte sono testimonianza di un’inquietudine compositiva che per certi versi non ha consentito loro, fino ad oggi, di esibire in maniera più continua le proprie potenzialità.

Tracklist:
1. Tetro
2. Inferno
3. Morte

Line up:
Marco Basili: Vocals, Guitars and bass
Andrea Basili: Batteria, guitars and Vocals

HORNWOOD FELL – Facebook

Skyborne Reveries – Winter Lights

Il buon gusto e il delicato incedere dei brani rendono assolutamente gradevole un’opera come Winter Lights, che consente di trascorrere un’ora in compagnia di musica di notevole intensità emotiva e decisamente scorrevole.

Dal sempre ricco e peculiare scrigno della Naturmacht ecco provenire questo secondo full length degli Skyborne Reveries, one man band australiana attiva da qualche anno per volontà del musicista australiano Nathan Churches.
Il sound qui offerto è un post black metal molto atmosferico, ben strutturato e sviluppato con uno spiccato senso melodico.

Il buon gusto e il delicato incedere dei brani rendono assolutamente gradevole un’opera come Winter Lights, che consente di trascorrere un’ora in compagnia di musica di notevole intensità emotiva e decisamente scorrevole. Va detto altresì che, nonostante qualche accelerazione ritmica e lo screaming di prammatica, le pulsioni metalliche rimangono decisamente sullo sfondo, relegatevi anche da una produzione che privilegia anche troppo le tastiere, strumento predominante nell’intero lavoro.
Così, una serie di brani dall’andamento sognante e carezzevole si snoda senza particolari variazioni sul tema, andando a comporre un lavoro sicuramente bello ma che, proprio per i piccoli difetti sopra enunciati, non consente agli Skyborne Reveries di raggiungere o avvicinare l’eccellenza assoluta.
Ciò che resta nelle orecchie è un qualcosa di piacevolmente carezzevole che posso definire, a grandi linee, una versione molto più edulcorata dei Coldworld e, anche per questo, Winter Lights è destinato a trovare estimatori in chi predilige anche la musica ambient più ariosa. Tra i brani direi che la miglior sintesi il buon Nathan la raggiunge in The Forgotten, sia per minutaggio che per struttura, laddove il black assume una parte più preponderante all’interno del sound, sposandosi al meglio ad una sempre ben presente vena atmosferica.
Ecco quindi un’ ideale base dalla quale ripartire per provare a fare un decisivo salto di qualità, oltre ad un fondamentale progresso auspicabile a livello di produzione proprio esaltare al meglio le caratteristiche di un sound che, essendo ben lontano dalle ruvidezze del black più canonico, necessità di una resa senz’altro più limpida.

Tracklist:
1. Winter Lights
2. Ascending Beyond That August Firmament
3. Song of the Rin
4. I Must Return
5. The Forgotten
6. When Stars Sing
7. Of Mountains and Tranquil Skies

Line up:
Nathan Churches – All instruments, Vocals, Programming

SKYBORNE REVERIES – Facebook

Totalselfhatred – Solitude

Non è affatto semplice raffigurare la sofferenza ed il disagio interiore attraverso contenuti musicali così nitidi e relativamente accessibili: la grandezza dei Totalselfhatred risiede proprio in questa dote che è solo di pochi.

I finlandesi Totalselfhatred, fin dalla loro apparizione sulla scena con il full length autointitolato giusto dieci anni fa, rappresentano quell’ala del depressive black metal capace di unire la disperazione espressa dalle liriche e dal concept,  insito in lavori riconducibili al sottogenere, ad un senso melodico che diviene l’elemento cardine su cui si fondano i dischi più riusciti.n

Sette anni dopo Apocalypse in Your Heart, quando forse qualcuno li aveva dati per persi, ecco di nuovo tra noi questi quattro finnici abili come pochi nell’evocare le visioni più luttuose, lasciando che l’autoannientamento divenga, grazie alla dolorosa bellezza della loro musica, persino un evento accettabile.
Solitude si snoda lungo cinque brani medi lunghi , un tempo necessario ad ogni episodio per delineare una propria identità melodica e rimica e, all’intero lavoro, per imprimersi efficacemente nella memoria degli ascoltatori: a livello strettamente stilistico, in effetti, l’album non sarebbe così naturalmente catalogabile nel DBSM perché, al di là delle vocals strazianti (ma neppure troppo rispetto ad altre realtà), musicalmente ci troviamo di fronte ad un’opera che sicuramente non evoca allegria ma nella quale la melodia gioca un ruolo fondamentale in gran parte dei brani, fatta eccezione per la sola e più ruvida Hollow, mentre nelle restanti tracce la bilancia pende a favore delle parti più rarefatte e malinconiche .
La quasi title track Solitude MMXIII regala melodie chitarristiche struggenti, mentre lo strazio esistenziale assume toni ancora più intensi in Cold Numbness e Black Infinity, fino allo splendido finale con Nyctophilia, che ben illustra quello che è per assurdo è il momento di sollievo per il depresso, la notte, unica parte nella giornata nella quale ci si può togliere la maschera a smettere di fingere di divertirsi o fare vita sociale, cosa che alla fine è ancora più pesante della solitudine stessa.
Non è affatto semplice raffigurare la sofferenza ed il disagio interiore attraverso contenuti musicali così nitidi e relativamente accessibili: la grandezza dei Totalselfhatred risiede proprio in questa dote che è solo di pochi.

Tracklist:
1. Solitude MMXIII
2. Cold Numbness
3. Hollow
4. Black Infinity
5. Nyctophilia

Line-up:
A. – guitars, keyboards, vocals
C. – guitars, vocals
I. – drums, vocals
J. – guitars, vocals
N. – bass

TOTALSELFHATRED – Facebook

Blood Moon Hysteria – My Sacrifice EP

Runar Beyond torna ad esprimere con la musica emozioni come il disagio esistenziale e la profonda inquietudine, in un’atmosfera che conduce alle condizioni più estreme e dolorose dell’animo umano.

La musica che accompagna un gesto rituale e di sottomissione come il sacrificio non può che esprimere drammatica e tragica sofferenza, così come avviene con le quattro tracce che compongono il ritorno dei Blood Moon Hysteria, sotto cui monicker si cela Runar Beyond, musicista di Stavanger al secondo lavoro dopo il debutto di due anni fa intitolato Crimson Sky.

Accompagnato dal fido Fredrik S al piano, il polistrumentista e compositore norvegese dà vita a quattro brani di metal oscuro, melanconico e dark, la colonna sonora dell’apocalisse come scritto nella presentazione dell’opera licenziata come sempre dalla nostrana Wormholedeath.
Lasciati ormai i sentieri acustici della sua prima creatura, Beyond The Morninglight, Runar entra nell’oscuro e misantropico mondo del black metal, anche se le ispirazioni dark e l’atmosfera di oscura sofferenza sono riscontrabili nell’ormai consolidato sound a metà strada tra Joy Division e primi Katatonia.
Ispirate e tragiche sono le sfumature di Deception e Deception PT 2, assolutamente estreme quelle della title track e soprattutto della conclusiva Towards The Abyss, brani che portano la musica dei Blood Moon Hysteria verso territori di violenta disperazione, dopo l’estremo atto del sacrificio.
Runar Beyond torna ad esprimere con la musica emozioni come il disagio esistenziale e la profonda inquietudine, in un’atmosfera che conduce alle condizioni più estreme e dolorose dell’animo umano.

Tracklist
1.My Sacrifice
2.Deception
3.Towards The Abyss
4.Deception Part 2

Line-up
Runar Beyond – Music and lyrics
Fredrik S – Special guest on piano

BLOOD MOON HYSTERIA – Facebook

Urfaust – The Constellatory Practice

Un viaggio, un rituale, un flusso di coscienza … l’opera conclusiva della trilogia dimostra appieno la personalità unica del duo olandese.

A soli due anni da Empty Space Meditation il duo olandese completa la trilogia e il lungo viaggio iniziato con Apparitions, EP del 2015.

Edito senza particolare preavviso, The Constellatory Practice offre, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’ennesima dimostrazione di come gli Urfaust siano una band senza pari, dotata di ispirazione, personalità, di un mood peculiare capace di creare sempre musica stimolante e affascinante; ogni loro opera, a partire da Geist ist teufel del 2004, ha sempre avuto alti motivi di interesse offrendo un suono black intenso, viscerale, ricco di derive ambient e doom. L’opener esprime un black doom trascendente, con le sue vocals invocative, a iniziare un viaggio verso luoghi inesplorati; il continuo interagire tra la parte strumentale e i reiterati vocalizzi creano un effetto ipnotico straniante e intossicante. Le idee non mancano ai due musicisti (VRDRBR alla batteria e IX alle voci e alla chitarra, da sempre alla guida della band olandese) e ci permettono di assaporare suoni ambient screziati di aromi orientali in Behind the veil of trance sleep, portandoci con la mente in lunghi rituali dal sapore magico. Un forte afflato cosmico e spirituale penetra nelle nostre sinapsi e gangli neuronali con A course in cosmic meditation, prima che il suono di False sensorial impressions ci riporti in claustrofobici abissi , dove rimaniamo attoniti di fronte a minacce imperscrutabili. Colpisce nel suono della band la profonda competenza, la capacità di saper dove colpire per poter lasciare ferite lacere e sanguinanti. Trail of the conscience of the dead ammalia con cadenza blackdoom sopraffina, mentre il particolare vibrato di IX dona un aura mistica e il lavoro chitarristico si insinua lentamente nella nostra sostanza grigia, scavando e lacerando con precisione, stimolando la nostra psiche verso dimensioni acide e visionarie. La parte finale del brano, sommersa di archi e synth, meraviglia e lascia desiderosi di mandare in un loop continuo i dodici minuti di questo brano magnifico. Suggestioni orrorifiche marchiano a fuoco l’ultimo brano con un uso pesante e reiterato di organo e litanie che spaziano in un cosmo profondo e desolato. L’opera cresce in modo smisurato con gli ascolti, non deve essere ascoltata in modo superficiale ma sentita nel profondo. Gli Urfaust lasciano sempre, con la loro arte, sensazioni molto peculiari e come al solito la loro personalità e l’ispirazione sono un unicum nel mondo dell’arte nera.

Tracklist
1. Doctrine of Spirit Obsession
2. Behind the Veil of the Trance Sleep
3. A Course in Cosmic Meditation
4. False Sensorial Impressions
5. Trail of the Conscience of the Dead
6. Eradication Through Hypnotic Suggestion

Line-up
VRDRBR – Drums
IX – Guitars, Vocals

URFAUST – Facebook

ΚΕΝΌΣ – Inner Rituals

Inner Rituals sorprende con le sue sonorità disturbanti, lontane da ogni freddo tecnicismo ma capaci, piuttosto, di lasciare chi ascolta in uno stato di perenne sospensione.

Piuttosto particolare questo album d’esordio dei francesi ΚΕΝΌΣ, di fatto progetto solista di K, coadiuvato comunque in alcuni altri aspetti (basso, missaggio e registrazione) da Maelstrom.

Inner Rituals e è un lavoro che, ad un primo ascolto, può lasciare perplessi, perché sembra d’essere al cospetto di un lavoro imperfetto che potrebbe far derubricare il tutto ad un prodotto trascurabile e, quindi, accantonabile senza rimpianti; invece, insistendo, diviene evidente come il tutto sia funzionale alla creazione di un’atmosfera generale capace di restituire quel senso vuoto e straniamento che il musicista transalpino vuole evocare fin dal monicker e dal titolo dell’album.
Le dissonanze portate alle estreme conseguenze divengono allora familiari e Inner Rituals acquista il potere di rendere tutto il mondo circostante molto meno limpido e luminoso, grazie ad un black doom che attinge sia ai suoni tipicamente obliqui provenienti dalla terra di Francia sia, nel contempo, da un’ortodossia strumentale che proviene dai primordi del genere in Scandinavia.
E’ probabile che, per i motivi esposti nelle righe iniziali, a molti questo lavoro possa apparire un qualcosa di non troppo riuscito o addirittura di approssimativo, ma è bene ricordare come le finalità del black metal, in tutte le sue manifestazioni, risiedono nell’evocazione di tutto quanto occupa uno spazio nelle retrovie della psiche e dell’indole umana, e che necessità di una piccola scintilla per sviluppare un’esplicita esibizione di misantropico disagio.
E tutto questo non lo si ottiene sicuramente tramite un freddo tecnicismo ma, semmai, grazie a sonorità disturbanti e capaci di lasciare chi ascolta in uno stato di perenne sospensione.
E’ per questo che Inner Rituals si rivela una piacevole sorpresa, riguardo alla quale, volendo imputare qualcosa al bravo K, si può lamentare solo una durata ridotta ed il fatto che la tracklist offre i suoi momenti migliori all’inizio (Snakes ed Atlantis) scemando leggermente nella sua intensità nella sua fase discendente.
Ripeto, questo lavoro targato ΚΕΝΌΣ va ascoltato con pazienza, nonché con mente ed orecchie ben aperte.

Tracklist:
1- Snakes
2-Atlantis
3-Dust
4-Sinborn
5-Shackles
6-Light

Line up:
K : composition, all instruments except bass, vocals
Maelstrom : Bass, mixing and mastering

ΚΕΝΌΣ – Facebook

Blood Rites – Demo 1

Il black metal dei Blood Rites si rivela una morbosa, blasfema ed efficace cascata di suoni, prodotta in maniera adeguata alla bisogna ed in grado di assolvere al compito di colpire mortalmente in maniera concisa ma definitiva

Sputato fuori da chissà quale antro infernale, ecco arrivare a noi questo demo dei cileni Blood Rites, sotto l’egida della sempre attiva label portoghese Caverna Abismal.

Ovviamente il tutto rigorosamente in cassetta, in ossequio al gradito ritorno di un formato che ben si addice a sonorità crude e che, a loro modo, rifuggono la modernità: il black metal dei Blood Rites si rivela una morbosa, blasfema ed efficace cascata di suoni, prodotta in maniera adeguata alla bisogna ed in grado di assolvere al compito che la band si è proposta, quello di colpire mortalmente in maniera concisa ma definitiva, per poi tornare a rintanarsi nel sottosuolo nel quale gli interpreti più genuini del genere prosperano e si riproducono.
Dichiaratamente ispirati al sound ellenico dei primi vagiti di band seminali come Varathron, Rotting Christ e Necromantia, i tre sudamericani dimostrano di sapere il fatto loro, infiorettando ognuno dei brani con intro minacciose quanto funzionali alla causa; perché sembra facile a parole ricalcare gli stilemi di un black diretto e lineare, ma non lo è affatto all’atto pratico riuscire a renderlo in maniera così credibile. Onore ai Blood Rites, sperando di ritrovarli prossimamente alle prese con un uscita dal minutaggio più corposo.

Tracklist:
1.Holy Hate
2.Mask of Damnation
3.Dark Majestics

Line up:
Mal’EK – Guitars, Vocals
RH – Drums, Keyboards
NW – Bass

Kyterion – Inferno II

Black metal di alto livello in italiano vernacolare del XIII secolo, questa in una frase è l’essenza dei bolognesi Kyterion, ma c’è tantissimo d’altro.

Black metal di alto livello in italiano vernacolare del XIII secolo, questa in una frase è l’essenza dei bolognesi Kyterion, ma c’è tantissimo d’altro. Inferno II è il loro secondo album ed un disco da sentire e risentire.

Il loro black metal è vicino ai classici del metal, ed è fatto per dare il maggior risalto possibile alle parole che si sposano con la musica, appunto non si tratta di u nsieme di pose, o una gara a fare le cose nella maniera più lo fi possibile, bensì un progetto ambizioso che coglie nel segno. L’uso dell’italiano popolare del XII secolo ci fa immergere in un’atmosfera medioevale davvero particolare. Il latino era il linguaggio usato dalle istituzioni mentre questo italiano, non ancora consapevole di essere tale, era la lingua del popolo, sporca ma molto espressiva. Il disco è incentrato sulla prima cantica dell’Inferno dantesco, quella di Cerbero tanto per intenderci. Il risultato è un lavoro molto godibile e potente, dove l’irruenza del black non offusca mai le notevoli linee melodiche. Il quasi perfetto bilanciamento fra melodia e potenza è il segreto di questo gruppo che è fra i migliori della scena black italiana e non solo. Inferno II è un disco che va oltre la musica, esplora usando il black metal e l’antico italiano parti della nostra psiche, sia personale che comune. Come spesso accade per il black, esso riesce là dove tanti generi e opere umane hanno fallito : arrivare in profondità creando un pathos altresì introvabile altrove. I Kyterion, poi, sono un gruppo molto talentuoso e molto particolare, per cui il tutto aumenta di valore, arrivando a toccare punti molto alti. Inferno II è un disco che si fa ascoltare e riascoltare, regalando sempre molta soddisfazione. Sarebbe molto bello che altri gruppi seguissero la strada aperta dai bolognesi, esplorando il magnifico italiano vernacolare antico, perché se si ascolta questo disco si intuiscono le grandissime potenzialità di questo linguaggio.

Tracklist
1.Mal Nati
2.Onde La Rena S’Accendea
3.Dite
4.Pena Molesta
5.Cerbero Il Gran Vermo
6.Cocito
7.Dolenti Ne La Ghiaccia
8.Rabbiosi Falsador
9.Vallon Tondo
10.Li ‘Ndivini
11.Terribile Stipa

KYTERION – Facebook

Cavus – The New Era

Fatta salva la possibilità di ascoltare una quarantina di minuti di musica diretta e senza fronzoli, The New Era non ha le caratteristiche necessarie per diventare qualcosa di meno rumorosamente effimero di quanto non sia un temporale estivo.

Secondo full length per questa band finlandese dedita ad un black metal abbastanza canonico nel risultato finale, pur se intriso di diverse pulsioni che oscillano dal black’n’roll (Presence of Existence) a passaggi al limite del grind, almeno per quanto riguarda la velocità impressa alle ritmiche (Killtech).

E’ senz’altro apprezzabile la furia con la quale il gruppo si scaglia nell’arena, fendendo colpi senza porsi troppi problemi se, nella concitazione, vengono lasciate a terra anche vittime innocenti, ma fatta salva la possibilità di ascoltare una quarantina di minuti di musica diretta e senza fronzoli, The New Era non ha le caratteristiche necessarie per diventare qualcosa di meno rumorosamente effimero di quanto non sia un temporale estivo.
L’album non è del tutto deprecabile, sia chiaro, ma ritengo che un lavoro di questo genere possa attrarre solo chi, dal metal estremo, vuole ascoltare più baccano possibile: in tal caso le tracce citate e Calling the Flames, leggermente più articolata, al netto di quanto percepibile da una produzione che certo non aiuta, potrebbero anche risultare gradite.

Tracklist:
1. The New Era
2. Killtech
3. Divine Power
4. I Watch You Die
5. Morphine
6. Calling the Flames
7. The Strength of Hatred
8. Presence of Existence
9. Come to Me Shadows
10. There Will Be Blood

Line up:
A.R.G. – Bass
T.T.T. – Drums
J.K – Guitars
B.P. – Guitars, Vocals
H. – Guitars

CAVUS – Facebook

Skjult – Progenies ov Light

I brani sono oscuri e incalzanti come da copione, la produzione è tutto quanto serve ad apprezzare al meglio di genere, e pazienza se l’originalità è meno che ai minimi termini: questo disco è un bel tuffo in acque caraibiche che, al suono degli Skjult, si tramutano in quelle gelide dei fiordi norvegesi.

I vichinghi, come ben si sa, erano grandi nonché audaci navigatori e furono con ogni probabilità i primi a giungere sul continente americano, anche se nelle sue propaggini più settentrionali, ben prima di Colombo.

Crto che, ascoltando questo secondo album della one man band cubana Skjult, viene da pensare che possano essersi spinti sino ai Caraibi, visto che il sound offerto in  Progenies ov Light sembra più scandinavo di molti degli stessi gruppi norvegesi e svedesi. Con tale premessa, ovviamente, non ci sono da attendersi soverchie variazioni sul tema ma questo non impedisce al buon Conspirator di pubblicare un lavoro valido pur nella sua rigida ortodossia stilistica.
Fino ad oggi il nome più conosciuto del black metal cubano nel quale ci si era imbattuti era quello di Narbeleth, altro progetto solista dalle propensioni leggermente più atmosferiche, ma indubbiamente la scoperta di questi Skjelt testimonia di una scena che dalle parti dell’Avana è tutt’altro che anomala o pittoresca.
Per trovare la chiave di lettura dell’album è opportuno l’ascolto di un brano emblematico come Summoning the Eternal Black Flames of Death, dove echi degli Emperor di In The Nightside Eclipse sono più che una suggestione.
Progenies ov Light è un lavoro che magari a molti potrà apparire anacronistico, e forse lo sarebbe davvero se provenisse da una nazione nordeuropea: al contrario, l’approccio alla materia in qualche modo “puro” di Conspirator rende l’ascolto un’esperienza gradevolissima per intensità e convinzione.
I brani sono oscuri e incalzanti come da copione, la produzione è tutto quanto serve ad apprezzare al meglio di genere, e pazienza se l’originalità è meno che ai minimi termini: questo disco è un bel tuffo in acque caraibiche che, al suono degli Skjult, si tramutano in quelle gelide dei fiordi norvegesi.

Tracklist:
1. Into the Void
2. Immolation Rites
3. Summoning the Eternal Black Flames of Death
4. Glorious Night
5. Hail Blasphemous Hated (The Lord Is Upon Us)
6. A Crown of Horns
7. Dawn of an Era ov Light
8. Baptized by the Unholy Goat

Line up:
Conspirator

SKJULT – Facebook

Utburd – The Horrors Untold

Come per tutti quelli che saccheggiano a livello lirico l’opera di Lovecraft, non si può non provare un moto di empatia nei confronti di Tuor, ma ciò non basta ad evitare di derubricare l’album alla voce discreto ma non imprescindibile.

Ałtra one man band di provenienza russa, quella denominata Utburd si presenta come portatrice di un black metal atmosferico e dalle venature depressive.

In parte si può di anche essere d’accordo con entrambe le affermazioni, benché tali elementi non siano così evidenti nel corso dell’intero album.
L’operato di Tuor, musicista residente nella zona di Murmansk, sembra piuttosto ricordare quei lavori nei quali emergono semmai sonorità piuttosto dissonanti, senza lasciare spazio a quelle aperture melodiche che sarebbe lecito attendersi viste le premesse.
The Horrors Untold, secondo full length targato Utburd, fin dal titolo fa presagire riferimenti alla letteratura lovecraftiana, cosa puntualmente verificabile da brani come Rise Of Dagon e The Mystery Of Joseph Karven (che i realtà dovrebbe essere Joseph Curwen, protagonista di The Case Of Charles Dexter Ward, ma credo possa trattarsi di uno dei guai della traslitterazione dal cirillico); l’orrore evocato a livello di intenti fatica un po’ ad emergere, in quanto il sound mostra un volto per lo più solenne ed algido, il che non è affatto male di per sé ma paga alla lunga una certa mancanza di picchi qualitativi, forse a causa anche di una produzione che restituisce suoni quasi riverberati.
Alla fine, come per tutti quelli che saccheggiano a livello lirico l’opera del solitario di Providence, non si può non provare un moto di empatia nei confronti di Tuor, ma ciò non basta ad evitare di derubricare l’album alla voce discreto ma non imprescindibile.
La ricerca di un maggiore pathos da riversare nelle composizioni potrebbe rivelarsi la chiave di volta per inchiodare l’ascoltatore alla prossima  occasione; resta comunque la sensazione d’essere al cospetto di un progetto interessante e non banale, che ha solo la necessita di rifinire alcuni aspetti che ne frenano al momento il decollo.

Tracklist:
01. Rise Of Dagon
02. The Mystery Of Joseph Karven
03. Death From Mount Tempest
04. Pikman’s Triumph
05. The Horror Untold
06. He, Who Paint In Red
07. Waiting For Death Is Worse
08. He, Who Paint In Red (Instrumental Demo 2016)

Line up:
Tuor – all instruments and arrangements

UTBURD – Facebook

Inferi – Revenant

Revenant è un lavoro che farà la gioia dei fans del death/black melodico, e mostra un gruppo dalla tecnica invidiabile ma che non perde mai le briglie del songwriting e, anche per questo, meritevole di un plauso.

Un oscuro ed impietoso vento estremo si abbatte su di noi: la tempesta nasconde, tra le sue nubi minacciose, demoni che porteranno morte e distruzione non con la forza del brutal death metal, ma con la tecnica invidiabile al servizio di un tornado musicale come il nuovo lavoro degli statunitensi Inferi, band originaria di Nashville/Tennessee, cittadina famosa per ben altri suoni.

Gli Inferi letteralmente si aprono e spunta Revenant un lavoro di metal estremo, tecnicissimo, progressivo, oscuro e melodico, un death/black dotato di una forza sovrumana per impatto ed atmosfere.
Siamo arrivati al quarto album per la band statunitense, in una discografia iniziata nel 2007 con l’uscita di Divinity In War e proseguita con The End of an Era, un paio di anni dop,o e The Path of Apotheosis licenziato nel 2014, ma la furia tempestosa sommata ad una buona intuitività per le melodie non è scomparsa e Revenant risulta così un lavoro riuscito e a tratti travolgente.
Quasi un’ora sotto la tempesta di note estreme che gli Inferi ci fanno cadere addosso, dall’alto tasso tecnico ma con una forma canzone che non lascia spazio all’ego dei musicisti ma sfrutta le loro capacità, per regalare un buon compromesso tra intricati passaggi tecnico/progressivi e bombardamenti a tappeto di death/black metal melodico.
Revenant è composto da nove brani medio lunghi e vari il giusto per tenere sempre viva la voglia di continuare l’ascolto fino alla fine, lasciando che le atmosfere cangianti siano dettate dal cambio di tonalità del canto che rimane estremo, passando dal growl allo scream e duettando sopra ad un tappeto di metal estremo veloce e cattivo, nel quale  le chitarre donano ghirigori melodici in tracce come Condemned Assailant, Through the Depths (con James Malone degli Arsis in veste di ospite), la magnifica Thy Menacing Gaze, attraversata da suggestive parti di tastiere, e la conclusiva Behold the Bearer of Light, che vede come ospite Trevor Strnad dei The Black Dahlia Murder.
Revenant è un lavoro che farà la gioia dei fans del death/black melodico, e mostra un gruppo dalla tecnica invidiabile ma che non perde mai le briglie del songwriting e, anche per questo, meritevole di un plauso.

Tracklist
1.Within the Dead Horizon
2.Condemned Assailant
3.A Beckoning Thrall
4.Through the Depths
5.Enraged and Drowning Sullen
6.Thy Menacing Gaze
7.Malevolent Sanction
8.Smolder in the Ash
9.Behold the Bearer of Light

Line-up
Malcolm Pugh – Guitars
Mike Low – Guitars
Joel Schwallier – Bass
Spencer Moore – Drums
Sam Schneider – Vocals

INFERI – Facebook

Reverorum Ib Malacht – Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble

I Reverorum Ib Malacht destrutturano il black metal rendendolo un coacervo di suoni minacciosi, con linee strumentali, rumori di fondo e urla sconnesse che si sovrappongono e si fondono quasi senza soluzione di continuità, valicando sovente il sottile confine tra la sperimentazione e la cacofonia.

Parlare di black metal cattolico potrebbe sembrare una contraddizione in termini, viste le finalità della nascita del genere e le modalità con cui esso si è sviluppato negli anni.

Del resto, la stessa frangia cristiana rinvenibile in ambiti rock e metal si muove in una direzione opposta rispetto a movimenti musicali nati con connotazioni ribellistiche e, in quanto tali, teoricamente estranei agli schemi rigidi imposti da una religione.
Gli svedesi Reverorum Ib Malacht costituiscono quindi un’anomalia piuttosto marcata, ancor di più se si pensa che l’operazione non si compie con il semplice rimpiazzo delle tematiche sataniste /pagane all’interno di una struttura musicale canonica: in realtà qui si va ben oltre, trattandosi di un’evoluzione sonora che porta il black a fondersi con sperimentalismi di scuola Cold Meat Industry, per un risultato finale inquietante e spiazzante assieme.
Il sound cupo e soffocante in fondo fa pensare ad una religione il cui fulcro risiede nell’espiazione e nella sofferenza rispetto alla misericordia e alla pace, come sarebbe normale ed auspicabile, rispetto a qualcosa di ultraterreno.
Misterium fidei, quindi. Chi la fede non ce l’ha può comunque apprezzare il tentativo di questi musicisti, invero coraggiosi, di destrutturare il black metal rendendolo un coacervo di suoni minacciosi, con linee strumentali, rumori di fondo e urla sconnesse che si sovrappongono e si fondono quasi senza soluzione di continuità, valicando sovente il sottile confine tra la sperimentazione e la cacofonia.
Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble, per tutta questa serie di motivi, è un lavoro rivolto a pochi eletti i quali, al netto delle finalità della band, potranno trovare diversi motivi di interesse purché adusi ad un impatto non convenzionale.
L’unico brano contenente un linea melodica intelligibile è (Natten inuti) en tagg som sticke, che di fatto chiude il lavoro prima dell’outro: una piccola parentesi di respiro la cui collocazione potrebbe avere un significato, difficilmente rinvenibile all’interno di un concetto musicale decisamente criptico, per cui, in ossequio al credo promulgato da Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble, ogni ascoltatore deve accettarlo come un dogma, senza discuterlo né provare ad comprenderlo fino ad esserne compenetrato.
Di per sé il lavoro è affascinante dal punto di vista strettamente musicale, mentre probabilmente sono troppo vecchio o non abbastanza acuto per riuscire a coglierne le reali finalità.

Tracklist:
1. Intro
2. Where Escapism Ends
3. Incompatible Molokh
4. Cloud of Unknowing
5. E va um da
6. Etia si omnes, ego non
7. Skin Without Skin
8. (Natten inuti) en tagg som sticke
9. Outro

Line-up:
Karl Hieronymus Emil Lundin
Karl Axel Mikael Mårtensson

REVERORUM IB MALACHT – Facebook

Ruach Raah – Under The Insignia Of Baphomet

Chitarre veloci e distorte, basso a bestia, cantato che gratta le gole infernali e batteria dritta come la caccia infernale, ed è quasi tutto ciò che si chiede ad un gran disco di black metal.

A partire dal titolo passando per la musica, questo disco dei portoghesi Ruach Raah è un piccolo gioiello di metallo nero e di lodi al nero signore.

Under The Insignia Of Baphomet è il secondo disco nella carriera dei lusitani, uno dei nomi migliori della scena più originale d’Europa insieme a quella francese. La cifra stilistica è quella del black metal d’assalto, rauco, veloce e cattivo. A differenza di altri gruppi portoghesi la produzione è buona, e la fedeltà è abbastanza buona, anche perché la potenza del gruppo ne avrebbe altrimenti risentito. Il disco è una chicca per chi ama il black metal che si avvicina al war metal, il tutto fatto con parecchia ortodossia e amore per il male. Il black che possiamo ascoltare qui è fatto molto bene e con grande passione, non si inventa nulla e non si ha nemmeno intenzione di essere creativi, perché non ve n’è bisogno, e si va molto al concreto. Cattiveria e velocità fanno ascoltare in qualche passaggio un accenno allo speed metal, non puro ma quello che piace e che mette in radio Fenriz dei Darkthrone. La scena portoghese alla quale appartengono i Ruach Raah ha varie declinazioni, ma quello che impressiona è la sua grande qualità, praticamente ogni disco di black metal che da dieci anni esce dalla Lusitania è assolutamente da sentire, e questo Under The Insignia Of Baphomet ne è un ottimo esempio. Chitarre veloci e distorte, basso a bestia, cantato che gratta le gole infernali e batteria dritta come la caccia infernale, ed è quasi tutto ciò che si chiede ad un gran disco di black metal.

Tracklist
1.Under the Insignia of Baphomet
2.Hang Humanity Upside Down
3.Commander of Rats
4.Hammering Down Their faces
5.A Ira do Lucifer
6.Scythe Militia
7.Funeral Fumes
8.Bodysnatchers
9.Lord of the Crypt