Behemoth – Messe Noire

Mastodontico live che fotografa i Behemoth nel 2018, Messe Noire è un lavoro da non perdere per i fans del gruppo di Nergal e per gli amanti del metal estremo.

Più che un semplice live, Messe Noire è la celebrazione del pensiero di Nergal, uomo libero da dogmi, diventato un simbolo dell’indipendenza da imposizioni di qualunque genere: un delirio estremo che se, nel formato in cd viene limitato da una scaletta stringata ed indulgente verso l’ultimo The Satanist, nella versione DVD/Blu-Ray si trasforma in un prodotto imperdibile per i fans della band e del death/black metal.

Per chi ha amato l’ultimo lavoro, questa versione è comunque perfetta per entrare nel mondo live del gruppo, l’atmosfera che si respira all’ascolto risulta ipnotica e d’impatto, con il pubblico soggiogato dal carisma di Nergal e compagni, “sacerdoti” di una liturgia satanica che affascina e stordisce, nel suo essere blasfema e terrorizzante con il suo lucido e chirurgico andamento.
I brani seguono pedissequamente la scaletta di The Satanist, dall’opener Blow Your Trumpets Gabriel, passando per la title track, Ora Pro Nobis Lucifer, valorizzata da un lavoro ritmico straordinario, e per la terrificante e quanto mai ricca di atmosfere sacrileghe The Satanist.
O Father O Satan O Sun!, nel suo epico e ed oscuro incedere, conclude questo viaggio all’inferno in compagnia di Nergal e compagni, una delle più grandi band che il genere possa vantare al momento, famosa e rispettata quel tanto che basta per giungere con la sua nera arte ed il suo oltraggioso pensiero a tutti gli amanti del metal estremo di scuola death/black.
Come scritto, la versione DVD/Blu-Ray risulta più completa e consigliata ai fans del gruppo, mentre quella in cd/vinile, pur registrando la presenza delle sole tracce che compongono The Satanist, risulta comunque un manifesto live affascinante e perfetto nel fotografare i Behemoth nel 2018.

Tracklist
‘Live Satanist‘ (Warsaw 2016):
01 – “Blow Your Trumpets Gabriel”
02 – “Furor Divinus”
03 – “Messe Noire”
04 – “Ora Pro Nobis Lucifer”
05 – “Amen”
06 – “The Satanist”
07 – “Ben Sahar”
08 – “In The Absence Ov Light”
09 – “O Father O Satan O Sun!”
10 – “Ov Fire And The Void”
11 – “Conquer All”
12 – “Pure Evil And Hate”
13 – “At The Left Hand Ov God”
14 – “Slaves Shall Serve”
15 – “Chant For Ezkaton 2000”

‘Live Assault‘ (‘Brutal Assault‘ 2016):
01 – “Blow Your Trumpets Gabriel”
02 – “Furor Divinus”
03 – “Messe Noire”
04 – “Ora Pro Nobis Lucifer”
05 – “Amen”
06 – “The Satanist”
07 – “Ben Sahar”
08 – “In The Absence Ov Light”
09 – “O Father O Satan O Sun!”
10 – “Ov Fire And The Void”
11 – “Conquer All”
12 – “Chant For Ezkaton 2000”

‘The Satanist: Cinematic Archive (music videos):
“Blow Your Trumpets Gabriel”
“Messe Noire”
“Ora Pro Nobis Lucifer”
“The Satanist”
“Ben Sahar”
“O Father O Satan O Sun!”

CD Track list:
01 – “Blow Your Trumpets Gabriel”
02 – “Furor Divinus”
03 – “Messe Noire”
04 – “Ora Pro Nobis Luficer”
05 – “Amen”
06 – “The Satanist”
07 – “Ben Sahar”
08 – “In The Absence Ov Light”
09 – “O Father O Satan O Sun!”

Line-up
Nergal – Vocals & Guitars
Seth – Guitars
Orion – Bass
Inferno – Drums

BEHEMOTH – Facebook

Jyotiṣavedāṅga – Thermogravimetry Warp Continuum

Thermogravimetry Warp Continuum è un impressionante monolite death/black/noise.

Primo abominoso parto su lunga distanza (ma nemmeno troppo, considerando che non raggiunge la mezz’ora di durata) per questa band composta da musicisti indiani e russi.

Jyotiṣavedāṅga è un testo di astronomia vedica, il che fa presupporre che difficilmente ci ritroveremo alle prese con sonorità scontate: Thermogravimetry Warp Continuum è infatti un impressionante monolite death/black/noise che lascia uno spazio pressoché nullo alla melodia.
Il trio esibisce un sound cupo, che si snoda tra accelerazioni più vicine al grind che al black, solo di tanto in tanto rese più intelligibili da brevi pause e rallentamenti sconfinanti nel doom, ingentiliti anche da qualche notevole intarsio chitarristico come avviene nella spaventosa traccia conclusiva Imploding Linear Fusion Propulsion System.
Un growl impietoso, poggiato su un lavoro strumentale dai toni quanto mai ribassati, ci respinge al mittente, impedendoci l’ingresso in un qualche universo parallelo dove alberga una sapere che è all’uomo è per sempre negato.
I brani sono vere e priore deflagrazioni, il suono di corpi celesti che collidono, creando nuovi modi dall’annientamento di altri, con la morte a generare vita in un ciclo continuo: l’opera dei Jyotiṣavedāṅga è qualcosa che non può lasciare indifferenti, a patto di non farsi condizionare negativamente da un fragore che, quando si fa musica, diviene a tratti irresistibile.

Tracklist:
1. Distress Signal: Source Unknown
2. Quantum Integers Systematic Deduction
3. Bilateral Indexing Theory
4. Protocol Hyper Sterilization on Initialize
5. Vector Photon Gammaburst
6. Imploding Linear Fusion Propulsion System

Line-up:
Sadist – Guitars
H. – Synths, Noise, Effects
AR – Vocals

JYOTISAVEDANGA – Facebook

Death.Void.Terror. – To the Great Monolith I

To the Great Monolith I si rivela un’esperienza sonica spiazzante o devastante, a seconda di quale sia il grado di compenetrazione di ciascuno verso questo impietoso approccio musicale.

To the Great Monolith I è la prima uscita per questo misterioso progetto musicale di provenienza probabilmente elvetica denominato Death.Void.Terror.

Siamo alle prese con un lavoro che lascia ben poco spazio ad orpelli stilistici o gradevolezze assortite: quello offerto in questo frangente è un maelstrom sonoro che si dipana in forma sperimentale partendo da una base black.
Il risultato che ne scaturisce è composto da due tracce lunghissime, per un totale di circa quaranta minuti, che devono essere affrontate con il giusto spirito per poterne cogliere quanto di valido vi è contenuto.
To the Great Monolith I si rivela infatti un’esperienza sonica spiazzante o devastante, a seconda di quale sia il grado di compenetrazione di ciascuno verso questo impietoso approccio musicale.
In buona sostanza, quella offerta dai Death.Void.Terror. è la colonna sonora di un apocalisse che, probabilmente, è già in corso dal un bel pezzo mentre noi continuiamo a suonare come l’orchestrina del Titanic mentre stiamo colando definitivamente a picco.

Tracklist:
1 (——–)
2 (—-)

Filii Nigrantium Infernalium – Hostia

Chi propende per sonorità raffinate e ricercate passi oltre, tutti gli altri sono invitati a farsi un sempre gradito pieno di malignità, scorrettezza e blasfemia che solo il metal più autentico sa garantire.

Anche se per continuare ad avere un minimo di vita sociale fingiamo, spesso con buoni risultati d’essere persone assolutamente normali, noi che ascoltiamo metal siamo a tutti gli effetti dei disadattati, almeno se prendiamo quale parametro la normalità imposta dalla convenzione del vivere civile.

A ricordarci tutto questo ci pensano band come i Filii Nigrantium Infernalium, entità portoghese che riesce nella mirabile impresa di vellicare in nostri peggiori e nascosti istinti con il proprio bastardo frullato di black, thrash ed heavy metal, reso ancor più letale da una vena blasfema portata alle estreme conseguenze.
Hostia, terzo full length dei lusitani dopo Fellatrix Discordia Pantokrator (riregristato con il titolo Fellatrix e in uscita anch’esso in questi giorni) e Pornokrates: Deo Gratias (pure oggetto di riproposizione con nuova veste grafica, sempre da parte della Osmose), è l’album adatto da mettere nell’autoradio per testare quale sia il proprio livello di gradimento da parte del resto dell’umanità, o ancor più probabilmente per ripulire la propria vita da conoscenze superflue e sepolcri imbiancati, ma già è difficile che qualcuno non apra le portiere per fuggire al primo semaforo dopo l’ascolto dell’intro Prece.
Ma, al di là delle facezie, questo lavoro del trio portoghese è la riprova di quanto all’inerno del metal ci sia bisogno di chi faccia delicati ricami o cerchi nuove vie espressive quanto di chi faccia nel miglior modo possibile il cosiddetto sporco lavoro.
Attenzione però, perché questi figuri provenienti dalla splendida Lisbona non sono solo dei beceri manovali metallici: in realtà siamo al cospetto di musicisti di vaglia, operanti nella scena da oltre un ventennio e quindi in possesso dell’esperienza necessaria per maneggiare con cura una materia che, messa in mano a dei neofiti, rischierebbe seriamente d’assumere sembianze grottesche.
Il sound dei Filii Nigrantium Infernalium è il frutto immondo dell’unione contronatura perpetrata nel corso di un’orgia tra Darktrhrone, Motorhead, Venom, Judas Priest e qualche occasionale passante …
I dieci brani più intro di Hostia sono bombe che deflagrano fin dalla prima nota senza fare prigionieri, inducendo ad un headbanging convinto ed incessante: Pó, Virtudes da Prostação e la title track sono solo alcuni degli episodi rimarchevoli all’interno di una tracklist che prosciuga ogni resistenza per ritmo ed intensità, con il valore aggiunto del cantato in lingua madre che conferisce al tutto una sua peculiarità.
Chi propende per sonorità raffinate e ricercate passi oltre, tutti gli altri sono invitati a farsi un sempre gradito pieno di malignità, scorrettezza e blasfemia che solo il metal più autentico sa garantire.

Tracklist:
1. Prece
2. Pó
3. Lactância Pentecostal
4. Virtudes da Prostação
5. Santa Misericórdia
6. Smrt
7. Autos de Fé
8. A Morte é Real e Para Já
9. Hóstia
10. Cadela Cristã
11. Raze The Dead of Death

Line-up:
Maalm: Drums
Belathauzer: Guitars, Vocals
Helregni: Bass, Vocals

FILII NIGRANTIUM INFERNALIUM – Facebook

Trautonist – Ember

La proposta dei Trautonist si rivela impeccabile formalmente ma pecca di quella componente emotiva che invece non dovrebbe latitare in un genere come il post black/shoegaze.

Ember è il secondo full length per questa band di Coblenza denominata Trautonist, dopo l’esordio omonimo del 2016.

Il duo formato da Katharina e da Dennis, con l’ausilio di Hendrik alla batteria, ripropone un post black dalle sfumature shoegaze di buona fattura e nella media delle proposte attuali.
La vocalist si disimpegna bene sia con lo screaming che con le cleans, anche se i brani che vedono prevalere quest’ultima soluzione appaiono più a fuoco degli altri.
La proposta dei Trautonist si rivela impeccabile formalmente ma pecca, a mio avviso, di quella componente emotiva che invece non dovrebbe latitare in un genere come questo: per esempio, un brano come Smoke and Ember rappresenta nel migliore dei modi ciò che intendo, con un’ultima parte che cresce a livello d’impatto all’interno di una struttura ritmica più ragionata.
Il fatto è che, nonostante diversi ascolti di Ember, ciò che mi resta una sensazione gradevole che non è sufficiente a spingermi ad ulteriori passaggi del disco nel lettore perché, in un lavoro che non dubito possa trovare buoni riscontri tra chi frequenta il genere con maggiore assiduità, quello che non sono riuscito a rinvenire è il momento chiave, quello capace di conquistare l’attenzione rendendo la fruizione di un album un’esperienza in qualche modo unica.
Nè valgono, in tal senso, una traccia bizzarra e del tutto a sé stante come la conclusiva Woody Allen o la bellissima copertina a modificare sostanzialmente tale opinione.

Tracklist:
1. Fire and Ember
2. Vanish
3. The Garden
4. Smoke and Ember
5. Hills of Gold
6. Sunwalk
7. Woody Allen

Line-up:
Katharina – Vocals (female)
Dennis – All instruments, Vocals
Hendrik – Drums

TRAUTONIST – Facebook

 

Duir – Obsidio Ep

L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato.

I Duir sono un gruppo di folk black death che conferma il valore della scena folk metal italiana.

Si sono formati nel 2013 e hanno avuto diversi problemi di formazione, soprattutto per quanto riguarda il batterista, ma finalmente con l’ingresso del nuovo picchiatore di pelli sono andati avanti ed è un bene per chi ama certe sonorità. Fin dal nome Duir, che significa quercia, per le popolazioni celtiche un albero di grande importanza, i ragazzi veronesi hanno dato una forte impronta folk alla loro musica, ed inizialmente hanno cominciato ad affiancarlo al death metal, salvo poi introdurre una seconda chitarra e quindi avvicinarsi maggiormente al black metal attuale. Obsidio è un ottimo lavoro in bilico tra folk metal, viking, black e momenti epici. Il gruppo ha un potenziale davvero notevole e lo si sente in pieno ascoltando l’ep che è un degno successore di Tribe, anzi va molto oltre rispetto al predecessore, essendo una tappa importante della maturazione del gruppo. I Duir hanno un talento raro per i gruppi folk metal, ovvero quello di saper cambiare registro più volte all’interno della stessa canzone, dando una nuova interpretazione al tutto. Questo loro avvicinamento al black metal ha donato maggiore potenza ed incisività alle  canzoni, e ha anche accentuato il valore delle parti folk, che sono davvero notevoli. L’ep è un’ottima prova di un gruppo che sta crescendo e che sviluppa un notevole pathos, rendendo davvero partecipe l’ascoltatore e facendolo diventare ben presto un loro fan sfegatato. Ci sono passaggi molto belli, e nel complesso tutto il disco sprigiona un sentimento forte che difficilmente vi lascerà indifferenti.

Tracklist
1.Inconscio
2.Destarsi
3.Rise Your Fear
4.Dies Alliensis
5.Insomnia Seed
6.Obsidio

Line-up
Giovanni De Francesco : Voci
Mirko Albanese : Chitarra
Pietro Devincenzi : Basso
Thomas Zonato : Cornamusa Scozzese
Matteo Polinari: Batteria

DUIR – Facebook

Evil Warriors – Fall From Reality

Certamente gli Evil Warriors non inventano nulla, ma svolgono al meglio il loro corrosivo compito, ben sorretti da una produzione adeguata, da idee sufficientemente chiare e da quello che volgarmente viene definito “tiro” che trova una sua concretizzazione in una tracklist di grande compattezza e priva di cali di tensione.

A sette anni dal primo full length tornano i tedeschi Evil Warriors con un nuovo album all’insegna di un ruvido e diretto black thrash.

In questa band di Lipsia troviamo due componenti degli Antlers, gruppo molto interessante del quale abbiamo parlato di recente, ma in Fall From Reality tutto si svolge in maniera ben differente, in quanto è evidente l’intento di spiattellare sulla faccia dell’ascoltatore un’interpretazione del metal estremo lontana da da sfumature atmosferiche, ma quanto mai essenziale e basata sull’impatto, o perlomeno, questo è ciò che resta alla fine dell’ascolto, al netto di alcuni passaggi che rendono efficacemente l’idea di come gli Evil Warriors siano molto più che biechi mazzuolatori.
I rallentamenti di Pillow Of Cold Water, l’incipit dissonante di Reincarnation che prelude ad una deflagrazione difficilmente contenibile e gli intermezzi rarefatti di Idleness and Doom, sono solo alcuni degli esempi di un’idea musicale ben più articolata di quanto possa a apparire ad un ascolto distratto.
Certamente gli Evil Warriors non inventano nulla, ma svolgono al meglio il loro corrosivo compito, ben sorretti da una produzione adeguata, da idee sufficientemente chiare e da quello che volgarmente viene definito “tiro” che trova una sua concretizzazione in una tracklist di grande compattezza e priva di cali di tensione.
Tanto basta per chi vuole godersi tre quarti d’ora di metal spigoloso, onesto ma vario, proprio per quegli spunti citati e disseminati nel corso del lavoro, a mio avviso senz’altro superiore a quelle uscite che spesso derubrichiamo alla voce “palla lunga e pedalare”; d’altro canto da una band che decide di chiamarsi Evil Warrios sarebbe stato improbabile ascoltare un qualcosa di sperimentale o innovativo e, sicuramente, la chiarezza d’intenti è uno degli aspetti che più convincono nell’operato di questo valido trio tedesco.

Tracklist:
1. Fall From Reality
2. Excess
3. Pillow Of Cold Water
4. Reincarnation
5. Idleness and Doom
6. Mania and Passion
7. Worthless Wretch
8. All The Stars

Line-up:
Alastor – Guitar
Beast – Guitar/Vocals
Exesor – Drums

EVIL WARRIORS – Facebook

Dimmu Borgir – Eonian

Se prendiamo Eonian come disco in sé si può tranquillamente affermare che sia un buon esempio di symphonic black death con forti intarsi di musica classica.

Decimo disco per gli amatissimi o odiatissimi norvegesi Dimmu Borgir, ed è un’opera che ha avuto una lunghissima gestazione, essendo uscito sette anni dopo Abrahadabra.

Tanto tempo è passato in mezzo a molti problemi, molti cambi di formazione, l’abbandono di Mustis e Ics Vortex, con tutte le polemiche e problematiche legati a questi avvenimenti. Come sempre però arriva la musica e tutto si sistema. Eonian è un album che non sposta di molto il discorso musicale portato avanti fin dal 1993 da questi norvegesi, ma amplifica la parte sinfonica e melodica non perdendo però in potenza. I Dimmu Borgir sono cambiati rispetto agli esordi, ora sono un po’ meno veloci e hanno acquisito maggiore solennità e anche una maggiore inquietudine di fondo, poiché il suono è diventato più da incubo. Se prendiamo Eonian come disco in sé si può tranquillamente affermare che sia un buon esempio di symphonic black death con forti intarsi di musica classica. Ovviamente essendo dei Dimmu Borgir dividerà sempre il pubblico fra chi li ama e chi li odia per gli eccessi sonori e la poca finezza .
Questo ultimo disco non dirà la parola definitiva sui Dimmu Borgir, ma li continuerà a far apprezzare ai loro fans e ne conquisterà di nuovi perché possiede un innovazione del loro suono, quasi un cercare di legare la loro visione musicale al metal moderno, senza però venirne snaturati. Ad esempio, un elemento molto importante di Eonian sono i cori, che aggiungono davvero una grande intensità, soprattutto quando si intersecano con le tastiere ed il resto del gruppo. Un disco dalla gestazione sofferta ma che ripaga l’attesa, e che soddisferà molti palati diversi. I mondi descritti da questo disco sono in qualche altra dimensione rispetto alla nostra, e gli antichi guardiani ci guardano. Per chi cerca qualcosa di diverso dai Dimmu Borgir questo non è il posto adatto. Mentre chi li ama o vuol sentire un symphonic black death di spessore, qui c’è tutto.

Tracklist
1. The Unveiling
2. Interdimensional Summit
3. ÆTheric
4. Council of Wolves and Snakes
5. The Empyrean Phoenix
6. Lightbringer
7. I Am Sovereign
8. Archaic Correspondence
9. Alpha Aeon Omega
10. Rite of Passage

Line-up
Shagrath – vocals
Silenoz – guitars
Galder – guitars

Current live line-up:
Daray – drums
Gerlioz (Brat) – keys

DIMMU BORGIR – Facebook

Ulfhednar – Mortaliter

La proposta degli Ulfhednar è per lo più aspra e diretta, ma non è affatto monotematica in quanto presenta più di un passaggio a suo modo ricercato, volto a spezzare la furia che sovente traspare dall’incedere di un sound che finisce per attingere anche dal death, dall’hardcore e dal doom.

Ulfhednar è il monicker scelto da questi ragazzi romani per esprimere la loro interessante idea di black metal.

In realtà il gruppo aveva mosso i primi passi con il nome Delirium Tremens, ma opportunamente è sopraggiunta la scelta di optare per un qualcosa di più peculiare (visto la sovrabbondanza di band con la stessa denominazione) ed attinente con tematiche che si discostano dalle consuetudini del genere.
Il black degli Ulfhednar ha comunque connotazioni di chiara derivazione scandinava, ma al di là dell’aspetto prettamente musicale ciò non avviene tramite l’enunciazione di temi antireligiosi o satanisti, non di rado proposti maniera dozzinale, bensì attraverso l’espressione di un senso di caducità dell’esistenza che individua nella vita il vero e proprio nemico che, metaforicamente, viene combattuto dall’Ulfhednar, figura della mitologia norrena.
La proposta della band capitolina è per lo più aspra e diretta, ma non è affatto monotematica in quanto presenta più di un passaggio a suo modo ricercato, volto a spezzare la furia che sovente traspare dall’incedere di un sound che finisce per attingere anche dal death e dall’hardcore, quando le accelerazioni divengono parossistiche, ed al doom nei passaggi ovviamente più rallentati e riflessivi.
Degli Ulfhednar colpiscono favorevolmente la voglia di espandere il raggio d’azione senza smarrire la potenza dell’impatto, provando a variare anche a livello lirico con il ricorso a tre lingue differenti come l’italiano, il latino e l’inglese.
Una produzione ruspante, ma sufficientemente nitida, consente di ascoltare senza difficoltà Mortaliter e di godersi le peculiarità di una prova che trae forza dalla propria essenzialità ed urgenza espressiva: Fredda Pietra è il brano che maggiormente colpisce per un’intensità che si sposa al meglio con la ruvidezza del tessuto musicale, ma nel complesso tutto l’album si mantiene su un buon livello medio.
Chiaramente gli Ulfhednar hanno ancora diversi margini di miglioramento, perché ci sono tutte le potenzialità per ripulire un po’ il suono senza necessariamente snaturarlo, oltre che inserire con maggiore fluidità, all’interno delle sfuriate a tutta velocità, quei passaggi più ragionati che conferiscono al tutto un tocco di varietà e di peculiarità.
Mortaliter si rivela quindi una prova ben più che incoraggiante per i bravi Ulfhednar.

Tracklist:
1. Mortaliter
2. Aes Inferni
3. In Tenebra Noctis
4. Void
5. Fredda Pietra
6. In Nomine Cuius
7. Rulers of Darkness
8. Alea
9. Addicted to Tragedy

Line-up:
Eclipsis – Vocals
Hevn – Guitars, Lyrics, Songwriting
Dmitryus – Bass
Cerberus – Drums

Guests:
Heliogabalus – lyrics on “Mortaliter”
Dario La Montagna – keyboards

ULFHEDNAR – Facebook

Stillborn – Crave For Killing

Crave For Killing è un buon ep per ingannare l’attesa per il prossimo full length, mantenendo intatta la reputazione degli Stillborn come autentica macchina da guerra death/black.

Si torna a parlare dei polacchi Stillborn, demoni di Mielec di cui ci eravamo occupati lo scorso anno in occasione della ristampa da parte dell’attivissima Godz Ov War productions dei primi due demo, usciti a cavallo del nuovo millennio (Mirrormaze & Die in Torment 666).

Gli Stillborn tornano quindi con un ep di cinque brani, questa volta supportati da una produzione più in linea con i tempi e buona per esaltare questa piccola raccolta di inni al male racchiusa sotto il titolo di Crave For Killing.
Come da tradizione il trio luciferino abbatte su di noi tutta la sua malvagità, i brani sono devastanti esempi di death/black metal old school blasfemo e fortemente anti religioso, un abominio estremo supportato da un impatto pesantissimo.
Behemoth in primis, poi tanto black metal old school reso ancora più devastante da iniezioni thrash, fanno di It’s A Sinner e To Be delle vere bombe nere, mentre la conclusiva Staroświeckość we mnie jest, rallenta i ritmi inizialmente creando l’atmosfera giusta per esplodere in un uragano infernale.
Crave For Killing è un buon ep per ingannare l’attesa per il prossimo full length, mantenendo intatta la reputazione degli Stillborn come autentica macchina da guerra death/black.

Tracklist
1.It’s a Sinner
2.To Be
3.Crave for Killing
4.Korowód
5.Staroświeckość we mnie jest

Line-up
Hunger – Bass
Killer – Guitars, Vocals
August – Drums

STILLBORN – Facebook

Kosmogyr – Eviternity

Un buon disco, che nella sua attinenza all’antico corso del black metal guarda decisamente in avanti.

Un disco scritto fra due continenti, prodotto viaggiando attraverso i bytes delle connessioni internet, ma dal cuore antico e totalmente black metal.

I componenti del gruppo sono l’americano Ivan Belcic alla voce e alla batteria elettronica e il cinese Xander Cheng alla chitarra ed al basso. I due si sono incontrati a Shangai e hanno deciso di fare un disco assieme, anche se poi Belcic ha lasciato la Cina alla volta della Repubblica Ceca. Ciò non ha impedito ai due di continuare ad elaborare il disco scrivendosi per posta elettronica, usando i vari software di produzione per mandarsi le parti sonore e continuare a progredire con il lavoro. Ne è sicuramente valsa la pena, poiché è un buon disco di black metal che guarda al passato, agli anni novanta del genere, ma ha moltissime contaminazioni, dal prog all’atmospheric, passando per momenti anche quasi ambient. La coppia a distanza funziona, le canzoni sono composte molto bene, hanno una forte componente di malinconia e lasciano un ottimo retrogusto. Forse il rapporto a distanza di questi due musicisti ha permesso alla materia di decantare il giusto tempo necessario per capire e sentire cosa fosse meglio fare. Il cuore dell’opera sono le connessioni che il black metal ha con le profondità del nostro essere, dove i muscoli ed il cuore si fondono con il nero metallo e ne nasce qualcosa di molto vicino alla vita reale. Un buon disco, che nella sua attinenza all’antico corso del black metal guarda decisamente in avanti.

Tracklist
1.Sui Generis
2.The Wane
3.Quiescent
4.Eviternity
5.Frailty
6.Refulgence
7.Iridescent
8.Vision
9.Thalassic Lunacy

Line-up
Xander Cheng
Ivan Belcic

KOSMOGYR – Facebook

Daemonheim – Widerwelt

Ciò che rende il lavoro meritevole d’attenzione è il suo essere frutto del lavoro di una band credibile, capace di trasmettere all’ascoltatore le sensazioni che ricerca da un black metal dai tratti pregiati come quello che proviene abitualmente dalla Germania.

I Daemonheim sono un duo bavarese che si disimpegna da l’inizio del secolo con un black metal di marcata matrice tedesca.

Atmosfere algide, aperture acustiche, l’uso della lingua madre sono il marchio di fabbrica che riporta alle band più influenti della nazione germanica, ma va detto che i Daemonheim hanno uno stato di servizio che scongiura il rischio di trovarsi di fronte solo a dei validi epigoni.
Widerwelt è il quarto full length per questa consolidata coppia di musicisti formata da TH e b., per cui non ci si può attendere nulla di diverso se non una prova convincente, anche se magari priva di particolari picchi o inedite peculiarità.
Ciò che rende il lavoro meritevole d’attenzione è, appunto, il suo essere frutto del lavoro di una band credibile, capace di trasmettere all’ascoltatore le sensazioni che ricerca da un black metal dai tratti pregiati come quello che proviene abitualmente dai diversi länder: l’intero album esibisce tratti oscuri, malinconici ma a suo modo anche melodico, specie quando si lascia che la chitarra solista disegni passaggi tutt’altro che banali (come accade nella bellissima opener Siechtum).
Non solo questo, visto che pregevoli fraseggi acustici sono disseminati all’interno di brani che mantengono la loro algida aura, a testimoniare la volontà del duo di non accodarsi del tutto agli stilemi del genere, ampiamente integrato da pulsioni death e e folk. Tra le sette tracce va segnalata doverosamente Sinnbild des Winters, per assurdo uno dei momenti più aspri dell’album, ma forse quello che meglio rappresenta l’immaginario musicale e concettuale dei Daemonheim .
Widerwelt è in definitiva un altro gran bel disco di black metal proveniente dalla Germania, a perpetuare quella che sta diventando una piacevole consuetudine.

Tracklist:
1. Siechtum
2. Todesheil
3. Illusion
4. Kalte Rast
5. Wundenschrift
6. Sinnbild des Winters
7. Utopias Fall

Line-up:
TH – Guitars, Bass, Drums
b. – Guitars, Vocals

DAEMONHEIM – Facebook

Metamorphosis – The Secret Art

Quello che impressiona, nell’operato del bravo Boris, è la non comune capacità di disseminare ogni brano di passaggi di grande impatto, siano essi sfuriate di matrice black, piuttosto che assoli chitarristici eleganti e melodici o irresistibili progressioni di stampo prog death/thrash.

Se dopo oltre vent’anni di attività e cinque full length prima di questo The Secret Art, Boris Ascher è ancora qui a proporre un black metal di qualità con il suo progetto solista Metamorphosis, qualcosa vorrà pur dire.

Il fatto che alla guida ci sia un musicista esperto lo si percepisce subito, perché la capacità di manipolare la materia estrema rendendola varia e accattivante senza ricorrere a trucchi da avanspettacolo si manifesta fina dalle prima note della title track, degna apertura di un lavoro che sorprende, perché nonostante il considerevole stato di servizio, i Metamorphosis prima di oggi erano solo una delle molte band che si avvalgono di questo monicker, due delle quali anch’esse tedesche, sia pure del tutto marginali e non più attive da tempo.
A ben vedere il black metal è solo una delle componenti principali di un sound che spazia non poco tra i vari generi estremi, regalando anche ottimo sprazzi di death melodico così come di thrash, ma questo non deve far pensare ad uno scorrimento farraginoso dell’album, visto che l’orecchiabilità è uno dei sui massimi pregi, in virtù di un lavoro chitarristico davvero incalzante e gradevolissimo in ogni frangente.
Quello che impressiona, nell’operato del bravo Boris, è la non comune capacità di disseminare ogni brano di passaggi di grande impatto, siano essi sfuriate di matrice black, piuttosto che assoli chitarristici eleganti e melodici o irresistibili progressioni di stampo prog death/thrash; il tutto viene poi arricchito da una prestazione vocale convincente e da una produzione che non sacrifica alcun elemento dell’album.
The Secret Art è un lavoro che dovrebbe essere apprezzato non poco da chi predilige un black death melodico che abbraccia un ampio spettro sonoro, comprendente Amorphis e Catamenia per sfiorare anche gli Edge Of Sanity, restando nel Nord Europa o, spostandoci più a sud, Rotting Christ e Septic Flesh di inizio millennio, tutte band accomunate da uno spiccato gusto melodico che non va mai a limitare l’impatto del metal estremo che ne costituisce la base fondante.
Non essendoci un solo brano trascurabile nell’album, cito quelli che meglio restano ancorati alla memoria, ovvero God Of The Dead (dalla magnifica progressione chitarristica) e Invictus (trascinante ed in linea con la citata scena ellenica), episodi che trainano agevolmente un resto di tracklist capace di regalare ulteriori soddisfazioni all’ascoltatore.

Tracklist:
1. The Secret Art
2. The Beckoning
3. Night on Bare Mountain
4. As Legions Rise
5. God of the Dead
6. A Fateful Night
7. Holy Wounds
8. Invictus
9. The Crypt
10. Domine Lucifere

Line-up:
Boris Ascher – All instruments, Vocals

METAMORPHOSIS – Facebook

Encircling Wolves – Equinoctial Manifestation

Gli Encircling Wolves propongono un black metal di buona fattura, piuttosto tradizionale nelle due tracce poste sul lato A, mentre sull’altro versante il sound si fa più composito, ricercato e meglio prodotto.

Bisogna ammettere che la scena black metal britannica, per quanto abbastanza consistente dal punto di vista numerico, fatica non poco a produrre band capaci di farsi ricordare sul lungo termine e, se vogliamo, questo è davvero molto strano, se paragoniamo quanto accade altrove, anche in nazioni dalla tradizione metallica molto meno consolidata.

Alla luce di questo Equinoctial Manifestations, ep edito su musicassetta dalla Antitheus Productions, che segna il primo passo ufficiale degli Encircling Wolves, dopo il demo del 2016, riesce difficile pensare che il duo di Telford possa riuscire a colmare questa lacuna.
Monslyht (voce, chitarra e basso) e Isern (batteria) propongono un black metal di buona fattura, piuttosto tradizionale nelle due tracce poste sul lato A, mentre sull’altro versante il sound si fa più composito, ricercato e meglio prodotto.
La spiegazione a tutto ciò deriva dal fatto che Zionist ed Altar of Tolerance sono tratte dal succitato demo, mentre gli altri due brani sono di composizione più recente: in entrambe le configurazioni gli Encircling Wolves offrono comunque una valida interpretazione del genere, a mio avviso preferibile quando i ritmi vengono rallentati, come già accade in Altar of Tolerance e all’inizio del lato B con Imperious Nature. In questi due brani, ed in genere nell’ intero ep, va rimarcato un utilizzo del basso non così comune in ambito black e, in generale, quella che si percepisce è un’aura misantropica che rende senz’altro Equinoctial Manifestations un prodotto apprezzabile per integrità e genuinità, ma per il momento mancante di quei picchi capaci di far salire di qualche livello lo status della band.
Nel frattempo è uscito anche il primo full length , del quale non siamo ancora in possesso, e questo fornirà senz’altro qualche indizio più attendibile sull’effettivo valore effettivo degli Encircling Wolves.

Tracklist:
Side A
1. Zionist
2. Altar of Tolerance
Side B
3. Imperious Nature
4. Remnants

Line-up:
Isern – Drums
Monslyht – Vocals, Guitars, Bass

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Arkveid – Arkveid

Un’offerta decisamente valida nel suo esibire un umore oscuro distribuito tra i diversi generi che confluiscono nel sound, a partire dal doom metal, per arrivare al black passando per il folk.

Arkveid è il nome di questa band russa, della quale le poche notizie che si hanno raccontano di una storia iniziata a metà dello stesso decennio come duo, ma realizzatasi alla fine sotto forma di album di debutto con la configurazione di one man band.

Al di là di questo resta solo la musica, e non è poco, perché siamo in presenza di decisamente valida nel suo esibire un umore oscuro distribuito tra i diversi generi che confluiscono nel sound, a partire dal doom metal, per arrivare al black passando per il folk.
Questa descrizione ci potrebbe portare, a livello di indizi, nei pressi di un nome come gli Agalloch, citato in effetti nelle note di presentazione ma con il quale, di fatto, ci sono in comune solo gli ingredienti che vanno a confluire in ricette senz’altro diverse.
Inevitabilmente, l’interpretazione della materia da parte di musicisti russi non potrà mai essere simile a quella di una band nordamericana, perché troppo diversi appaiono il background musicale ed anche la sensibilità compositiva, da un lato più propensa a fornire al sound una patina di epica solennità, dall’altra invece più ripiegata verso un intimismo folk compensato da una matrice fondamentalmente black.
Detto questo, Arkveid è un buon album, strutturato su una sola lunga traccia di quasi quaranta minuti ma sufficientemente varia per non tediare l’ascoltatore; del resto, ad un lavoro di questo tipo si richiede quale caratteristica proprio quella di scorrere piacevolmente, con eccellenti intuizioni melodiche e mantenendo un costante equilibrio tra tutte le componenti che entrano a farne parte.

Tracklist:
1. I

Scarificare – Tilasm

Tilasm è un lavoro ottimamente suonato e prodotto, impeccabile nel suo unire suoni progressivi a sfuriate di vecchia scuola.

I portoghesi Scarificare sono in circolazione da oltre un decennio per volere di Quetzalcoatl, inizialmente solo chitarrista ed in seguito vocalist e tastierista all’interno di questa sua band dedita al black metal.

Per una volta non ci troviamo di fronte a un musicista della già conosciuta scena di Lisbona, bensì bisogna spingersi verso nord fino a Porto e, se vogliamo, le coordinate del genere sembrano risentire di un influsso più moderno che non tradizionale, come abbiamo spesso riscontrato nelle band della capitale.
Se sia un bene o un male non lo so, dipende dai punti vista, di certo c’è che Tilasm è un lavoro ottimamente suonato e prodotto, davvero impeccabile nel suo unire suoni progressivi a sfuriate di vecchia scuola; il leader si dimostra un vocalist affidabile sia con il ruvido screaming sia con clean vocals efficaci, sicuramente non stonate come troppo spesso capita di ascoltare, quando alcuni vocalist si cimentano con tonalità pulite senza possedere le necessarie basi.
Gli Scarificare (oggi in modalità trio con la puntale coppia ritmica formata da Eligos e Luis Leal) offrono un’idea di black metal al passo con i tempi, alla quale manca quel gancio capace di mantenere avvinghiato l’ascoltatore che, di fronte alla moltitudine di uscite, cerca qualcosa capace di fissarsi nella memoria con maggior decisione, pure senza risultare necessariamente più leggero o di facile ascolto.
E se è proprio l’interpretazione progressiva del genere che mi soddisfa in prima battuta, non mancando di alcun tassello necessario alla sua costruzione, è sempre la stessa che non mi spinge a ripetere l’ascolto dopo due o tre passaggi.
Tutto funziona al meglio ma nulla mi smuove a livello emotivo, e ritengo che sia proprio un brano meno composito e più diretto come Consecration of the Talisman a rappresentare al meglio quello che la band potrebbe fare ottenendo un consenso che non siano solo di facciata.
Anche se l’approccio è non di poco diverso, per gli Scarificare valga quanto detto in occasione della recente recensione dei Vyre: bene, ma non benissimo, nonostante le indubbie potenzialità della band lusitana .

Tracklist:
1. Crystal Skull
2. Wandering Soul
3. Occult Radiance
4. The Quest…for a Lost Idol
5. Regression
6. Consecration of the Talisman
7. Rise

Line-up:
Luis Leal – Drums
Quetzalcoatl – Guitars, Vocals, Keyboards
Eligos – Bass

SCARIFICARE – Facebook

Inféren – Inféren

Il lavoro omonimo degli Inféren si rivela una prova efficace sia musicalmente sia liricamente e, se talvolta può sembrare troppo allineato a schemi consolidati, chi apprezza realmente il genere considererà tutto questo un pregio.

I bergamaschi Inféren tagliano il traguardo del primo full length, dopo essersi fatti notare all’inizio del decennio con un demo ed uno split album.

Il black metal proposto dalla band orobica è quanto mai aderente alla tradizione e, quindi, scandinavo fino al midollo nel suo approccio, ma indubbiamente la scelta di ricorrere all’uso della lingua italiana in gran parte dei brani conferisce quel tocco di peculiarità che, comunque, non rende l’album migliore di quanto già non sia, visto che il duo composto da Al Azif e Schins mette sul piatto tre quarti d’ora ineccepibili per interpretazione ed intensità.
La chitarra disegna linee melodiche ben individuabili all’interno di un drumming umano martellante, mentre come da copione uno screaming aspro illustra uno scenario apocalittico in un escalation di calamità che preludono infine alla Morte, alla successiva Purificazione, insufficiente però a scongiurare la caduta in quegli inferi evocati dalla traccia conclusiva autointitolata, scritta e cantata in dialetto dall’ospite Abibial (Imago Mortis), capace di raffigurare musicalmente quell’inferno popolare che fa bella mostra di sé sulle pareti di diverse chiese nel nord Italia.
Il lavoro omonimo degli Inféren si rivela, quindi, una prova efficace sia musicalmente sia liricamente, con il solo eventuale difetto d’essere allineato agli schemi delle band che hanno scritto la storia del genere, rifiutando in tal senso ogni spunto di modernità senza però rinunciare ad una produzione più che soddisfacente.
Chi apprezza realmente il genere considererà tutto questo in realtà un pregio, e non possiamo che allinearci a tale pensiero, accogliendo con favore questo bell’esordio su lunga distanza.

Tracklist:
1. Intro
2. Invocation
3. Pestilenza
4. Guerra
5. Winter Rage
6. Carestia
7. Morte
8. Purificazione
9. Inféren
10. Outro

Line-up:
Al Azif – Voice, Guitars
Schins – Drums

INFEREN – Facebook

Vyre – Weltformel

Chi vuole ascoltare un metal avanguardista, atmosferico e progressivo con reminiscenze black, qualora si imbatta nei Vyre non ha sicuramente sbagliato strada, anzi …

Ritroviamo i Vyre a quattro anni dall’ottimo The Initial Frontier pt 2.

La band tedesca è formata in buona parte da musicisti che hanno fatto parte dei Geist (poi Eis) e questo è senz’altro un elemento che depone a favore della loro competenza in materia.
I Vyre possono essere assimilati alla scena black soprattutto per il background perché, in sostanza, fin dagli inizi la loro offerta è orientata ad un metal atmosferico e progressivo, con l’aggiunta questa volta di connotazioni cosmiche a livello concettuale che vanno poi a ripercuotersi anche nel sound.
Certo, quando arrivano le sfuriate che tengono fede alle origini della band, Weltformel si rivela come da pronostico un buonissimo lavoro anche se, rispetto al predecessore, mancano forse quei picchi emozionali che avevano fatto la differenza in tale frangente.
Questo non vuol dire che l’album sia deludente, tutt’altro, perché l’offerta dei Vyre è sempre a suo modo preziosa, spingendoci ad approdare in un’area musicale nella quale il black metal incontra il progressive, in qualche modo simile a quella dove operano oggi nomi come Arcturus o Ihsahn, e dopo una lunga intro atmosferica (Alles Auf Ende), Shadow Biosphere testimonia ampiamente quanto appena detto, anche se un brano splendido come A Life Decoded riporta a spunti più evocativi e impattanti emotivamente, nel suo alternare sfuriate in blast beat a delicati arpeggi chitarristici.
Tardigrade Empire spezza quel mood che si era creato nel brano precedete, con il suo incedere prevalentemente cervellotico, mentre nella strumentale The Hitch predomina un’elettronica che prelude ad una finale notevole, tra fughe di chitarra solista e riff squadrati e davvero pesanti.
Chiudono Weltformel un altro episodio sostanzialmente melodico come We are the Endless Black e una lunga ed incalzante Away Team Alpha, brani che confermano d’essere al cospetto di una band di grande livello tecnico e compositivo, forse un po’ meno ispirata che in passato in virtù di sonorità che appaiono meno spontanee sebbene ottimamente costruite.
Ribadisco che la mia è una sensazione, perché chi vuole ascoltare un metal avanguardista, atmosferico e progressivo con reminiscenze black, qualora si imbatta nei Vyre non ha sicuramente sbagliato strada, anzi …

Tracklist:
1. Alles Auf Ende
2. Shadow Biosphere
3. A Life Decoded
4. Tardigrade Empire
5. The Hitch (We Are Not Small)
6. We are the Endless Black
7. Away Team Alpha

Line-up:
Cypher – VOCALS KG
Hedrykk F. Gausenatt – GUITARS & BASS
Zyan – GUITARS
Priebot – GUITARS
Android – DRUMS
Doc Faruk – SYNTH, SOUNDS
Akku Volta – VIOLINE
Nostarion – CELLO

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