Stark Denial – Covenant of Black

Gli indiani Stark Denial sono protagonisti di una prova convincente su tutta la linea, per quanto derivativa, perché qui il black metal di matrice scandinava viene esibito come meglio non si potrebbe.

Una delle cose particolari del black metal è il fatto che, più di altri generi, è possibile riscontrare una connotazione geografica abbastanza definita nella maggior parte dei lavori sottoposti alla nostra attenzione.

Questo significa che, a seconda della provenienza delle singole band, si palesa un tratto musicale che è sovente comune a ciascuna scena, anche se ovviamente questo non può mai valere in senso assoluto; di sicuro però, non è semplice riuscire ad identificare come tale un gruppo nato nell’estremo oriente (a meno che non vi siano pesanti influssi etnici quali elementi peculiari) visto che trattandosi di un movimento sviluppatosi in tempi relativamente più recenti, i musicisti che ne fanno parte attingono dalle più svariate sfumature stilistiche, inglobando diversi elementi e risputandoli fuori con un urgenza che compensa abbondantemente la somiglianza, talvolta evidente, alle band di rifermento.
Gli indiani Stark Denial, per esempio, sono protagonisti di una prova convincente su tutta la linea, per quanto evidentemente derivativa, proprio perché qui il black metal di matrice scandinava (più svedese che norvegese, in effetti) viene esibito come meglio non si potrebbe: la band di Mumbai erige una muraglia sonora che cinge un sound che ora abbraccia in toto l’ortodossia del genere (vedi la traccia autointitolata), ora invece lascia sfogare pulsioni slayerane (Dormant I Lie), per poi aprire uno spiraglio alla melodia con la title track Covenant of Black.
Questa band giunge così all’esordio su lunga distanza dopo una gavetta abbastanza lunga, attendendo probabilmente il momento più propizio per affacciarsi sul mercato e sembra proprio che tutte le mosse siano state effettuate senza lasciare nulla al caso: un gruppo di musicisti ancora giovani ma già esperti, un’etichetta come la Transcending Obscurity, che è una garanzia di qualità in ambito estremo, ed una scena musicale indiana in costante espansione sono tre indizi che fanno una prova.

Tracklist:
1. Intro
2. Stark Denial
3. As Life Descends
4. Dormant I Lie
5. Unknown World
6. Carnage Angel
7. Blackened
8. Covenant of Black
9. Hyllest Til Kulten (Bonus Track)

Line-up:
Kunal Gonsalves – Vocals
Ruark D’Souza – Guitars
Paresh Garude – Bass
Vineet Nair – Drums

STARK DENIAL – Facebook

Ildra – Eðelland

 Eðelland è sicuramente un album che va recuperato e, anche se non dovesse avere più alcun seguito, rimane senza dubbio uno degli esempi più efficaci di pagan black offerti nel decennio in corso.

Cominciamo subito col dire che questo album dei britannici Ildra è la ristampa dell’unico full length finora pubblicato, Eðelland, risalente al 2011.

Se molto spesso la riproposizione di lavori vecchi di diversi anni la si può ritenere un’operazione superflua, di sicuro questo non vale per un album di tale spessore: il black metal dalla cospicua componente pagan folk contenuto in questi tre quarti d’ora di musica è quanto di meglio si possa ascoltare in quest’ambito stilistico, e sarebbe stato delittuoso quindi lasciare che Eðelland continuasse a languire in una sorta di oblio.
Bene ha fatto perciò la Heidens Hart Records, etichetta olandese specializzata in black metal, a riportare alla luce questo spaccato di sonorità epiche che, ovviamente, non contengono alcun elemento di novità ma sono semmai l’esaltante perpetrarsi di una tradizione che parte dai seminali Bathory ed arriva ai giorni nostri con band della caratura dei Primordial, con tutti gli altri nomi di peso compresi in questo perimetro (Falkenbach, Moosorrow, ecc.) .
Del valore degli Ildra,  dei quali non si è mai saputa la composizione oltre che le attuali sorti (se si va sulla loro pagina Facebook, questa appare desolatamente vuota) la misura ce la offrono due tracce in particolare, Rice Æfter Oðrum e Swa Cwæð se Eardstapa, veri e propri concentrati di solenne epicità, con un magnifico lavoro chitarristico capace di delineare melodie evocative (specialmente il crescendo finale del secondo dei due brani).
Eðelland è sicuramente un album che va recuperato e, anche se non dovesse avere più alcun seguito, rimane senza dubbio uno degli esempi più efficaci di pagan black offerti nel decennio in corso.

Tracklist:
1. Sweorda Ecgum
2. Rice Æfter Oðrum
3. Hrefnesholt Dæl I
4. Esa Blæd
5. Ofer Hwælweg We Comon
6. Nu is se Dæg Cumen
7. Earendel
8. Swa Cwæð se Eardstapa
9. On Þas Hwilnan Tid

Veiled – Black Celestial Orbs

Uno spaccato di black atmosferico dal mood cosmico che convince appieno, grazie ad una linearità che è la grande forza di una proposta priva di digressioni stilistiche, essendo incentrata su un impatto reiterato ed evocativo e lasciando che i vari mid tempo scorrano in maniera avvolgente e senza soluzione di continuità.

Con Black Celestial Orbs facciamo la conoscenza con questa nuova band statunitense capace di offrire un black atmosferico in grado di attrarre senz’altro l’attenzione degli appassionati più attenti.

A ben vedere, peraltro, proprio di nuova band non si tratterebbe perché i Veiled sono la nuova denominazione dei Gnosis Of The Witch, progetto che vedeva il fondatore Niðafjöll accompagnato alla batteria da Swartadauþaz, rimpiazzato poi nella nuova configurazione Dimman, drummer che fa parte della line-up dei magnifici When Nothing Remains.
Ciò che conta è che questo full length d’esordio offre uno spaccato di black atmosferico dal mood cosmico che convince appieno, grazie ad una linearità che è la grande forza di una proposta priva di digressioni stilistiche, essendo incentrata su un impatto reiterato ed evocativo e lasciando che i vari mid tempo scorrano in maniera avvolgente e senza soluzione di continuità.
Tutto ciò accade dal primo secondo di Luminous all’ultimo di Omnipotent, lasciando alle due parti che compongono la title track a l’offerta di qualche variazione sul tema, con la prima che vede un break strumentale piuttosto rarefatto e la seconda che è di fatto un episodio di matrice totalmente ambient.
Se in Portal si mostrano rallentamenti ai confini del doom uniti a sentori depressive, in Enshrouded qualche pausa più liquida spezza la tensione di un brano incessante per intensità: la provenienza statunitense della band, inoltre, comporta sfumature cascadiane che sono percepibili all’interno di un sound austero, solenne ed avvolgente.
Forse a qualcuno il tutto potrà apparire un po’ ripetitivo, ma questo è black atmosferico nella sua essenza più pura e già così, per quanto mi riguarda, merita un incondizionato apprezzamento, nonostante i margini per fare ancora meglio vi siano tutti.

Tracklist:
1. Luminous
2. Portal
3. Enshrouded
4. Omnipotent
5. Black Celestial Orbs I
6. Black Celestial Orbs II

Line-up:
Niðafjöll – Vocals, Guitars, Bass, Ambiance
Dimman – Drums

VEILED – Facebook

Hortus Animae – Piove Sangue – Live in Banská Bystrica

Piove Sangue – Live in Banská Bystrica è un gradito cadeau che, come contraltare, ci spinge a chiedere a Martyr Lucifer e ai suoi compagni di dare finalmente un seguito a Secular Music: i tempi paiono essere maturi.

Gli Hortus Animae sono una delle band icona del nostro metal estremo, in virtù di una discografia non ricchissima dal punto di vista quantitativo ma di valore inestimabile se la si misura attraverso parametri qualitativi.

Piove Sangue è il primo live offerto dalla band romagnola, guidata da Martyr Lucifer, che viene immortalata in quel di Banská Bystrica, amena località slovacca che ospita ogni anno un festival sempre molto ben frequentato.
Il set offerto è relativamente breve ma esaustivo delle varie fasi della carriera degli Hortus Animae, partendo dall’iniziale Furious Winds/Locusts, che era anche la traccia di apertura del seminale The Blow Of Fuorious Winds, per passare poi alle melodie chitarristiche che caratterizzano Chamber of Endless Nightmares e gli umori gotici di Doomsday (quest’ultima in versione accorciata), tratte dall’ultimo album di inediti Secular Music, per arrivare poi al Medley che assembla brani provenienti dal primo demo del 1998, An Abode for Spirit and Flesh, e dal successivo full length d’esordio The Melting Waltz, e all’ultimo inedito There’s No Sanctuary, facente parte dell’omonimo ep del 2016, altra canzone che mostra il caratteristico connubio tra metal estremo e sonorità gothic wave.
Come da abitudine consolidata anche nei lavori in studio, gli Hortus Animae chiudono questa celebrazione dei loro vent’anni di attività con la cover slayaeriana di Raining Blood (ecco spiegato il titolo dell’album) che vede quale ospite alla voce di Freddy Fredich degli storici thrashers tedeschi Necronomicon, con i quali i nostri hanno condiviso il tour europeo.
Piove Sangue – Live in Banská Bystrica è un gradito cadeau che, come contraltare, ci spinge a chiedere a Martyr Lucifer e ai suoi compagni di dare finalmente un seguito a Secular Music: i tempi paiono essere maturi.

Tracklist:
1. Furious Winds / Locusts
2. Chamber of Endless Nightmares
3. Doomsday
4. Medley: I – In Adoration of the Weeping Skies, II – Cruciatus Tacitus, III – Souls of the Cold Wind
5. There’s No Sanctuary
6. Raining Blood

Line-up:
Martyr Lucifer – vocals
Hypnos – guitars
Bless – keyboards
Adamant – bass
MG Desmadre – guitars
GL Ghöre – drums

HORTUS ANIMAE – Facebook

Ascension – Under Ether

Il black targato Ascension è ben circoscritto nell’ortodossia stilistica da anni codificata e, in questo caso, la band decise di smussare anche certe soluzioni meno dirette che apparivano in passato: ne deriva così un interpretazione efficace, ben focalizzata e arricchita da interessanti break di chitarra solista.

Gli Ascension appartengono alla vasta cerchia di band tedesche capaci di offrire un black metal di buona qualità.

Certamente si rischia d’essere ripetitivi nel affermare con convinzione che il genere suonato da quelle parti ben difficilmente delude le aspettative, ma si tratta di un dato di fatto che va comunque rimarcato.
Il black targato Ascension è ben circoscritto nell’ortodossia stilistica da anni codificata e, in questo caso, la band decise di smussare anche certe soluzioni meno dirette che apparivano in passato: ne deriva così un interpretazione efficace, ben focalizzata e arricchita da interessanti break di chitarra solista.
Tutto ciò avviene senza che si smarrisca il carico corrosivo che il black deve portarsi appresso, trovando il suo apice nei momenti in cui l’intensità ritmica va di pari passo con un substrato metodico che esalta la tensione espressiva, come avviene magistralmente nella notevole Thalassophobia e nella dirompente Dreaming In Death.
Under Ether, che è il terzo album per gli Ascension, mette in luce un gruppo di musicisti capaci di unire all’impatto corrosivo del black metal anche una tecnica di prim’ordine, ben evidenziata da una produzione capace di rendere definito ogni singolo contributo strumentale: una bellissima prova, che costringe a trovare qualche residuo spazio in un taccuino già piuttosto fitto di band dedite al black metal che, in terra germanica, sono meritevoli di tutta l’attenzione possibile.

Tracklist:
1. Garmonbozia
2. Ever Staring Eyes
3. Dreaming In Death
4. Ecclesia
5. Pulsating Nought
6. Thalassophobia
7. Stars To Dust
8. Vela Dare

ASCENSION – Facebook

Rust – Urstoff

Urstoff è un’opera che non va ascoltata ma assaporata, perché è carica di significati e momenti saturi di suono, dove dopo un istante partono fughe e melodie molto belle ed importanti.

Membri di gruppi come Enisum, In Corpore Mortis, Phenris Official e Grave-T, si sono uniti per dare vita ai Rust e pubblicare questo disco intriso di dolore, metal e melodia.

Il presente lavoro è il frutto della combinazione di musicisti maturi e di talento, come si può ascoltare in Urstoff. La storia dei Rust parte nel 2001 con il nome di Lesmathor, all’insegna del  black metal, poi, dopo tante vicissitudini, e dopo essere diventati October Rust, assumino l’attuale ragione sociale e pubblicano Urstoff per la Dusktone. Il loro è un suono molto maturo e pur essendo pieno di citazioni ed influenze ha una forte personalità. Il black delle origini è sempre presente ma si va a fondere con un death metal scandinavo e con un sentimento in stile Opeth e Katatonia quando erano maggiormente metal. Urstoff è un’opera che non va ascoltata ma assaporata, perché è carica di significati e momenti saturi di suono, dove dopo un istante partono fughe e melodie molto belle ed importanti. Il gruppo è formato da musicisti e personalità che hanno ben chiaro cosa fare e dove vogliono andare, e nel mare magnum issano la propria riconoscibile bandiera. Troviamo davvero molto in questo album, che regala piacere e gioie attraverso il dolore, perché non ci sono pose o atteggiamenti ma voglia sincera di fare dell’ottimo metal a 360°, con sentimento e partecipazione, prediligendo una visione personale ed originale. Le composizioni sono lunghe e trasportano l’ascoltatore svelando a poco a poco il disegno complessivo, che è magniloquente e di grande effetto. Il disco è molto buono, e se riescono a trovare un cantante in pianta stabile possono diventare un gruppo importante nel panorama italiano, e non solo.

Tracklist
1.Urstoff
2.The Bounteus Dearth
3.Graylight Contoured
4.No Place Like Death
5.Windumanouth
6.Scribed
7.Wounds of The Sunken Dawn

RUST – Facebook

Natas – På veg… til helvette

Semplicemente un esaltante e altamente soddisfacente disco di black metal tendente al melodico, con tante sfumature e una grande capacità di composizione ed esecuzione

Semplicemente un esaltante e altamente soddisfacente disco di black metal tendente al melodico, con tante sfumature e una grande capacità di composizione ed esecuzione.

In breve, potrebbe essere questo il sunto di questo disco, ovviamente come sempre ascoltate e fatevi un’idea vostra, ma questo lavoro è realmente eccellente. Provenienti dalla costa ovest della Norvegia, questi amanti della via scandinava al metallo nero sono attivi dal 2011 e questa è la loro prima uscita, ed è un gran bel debutto. Tutto è molto ben bilanciato, la produzione è ottimale e mette in risalto tutte le peculiarità salienti del gruppo. I Natas fanno un black metal in stile scandinavo, con una forte componente melodica, nel senso che senza perdere aggressività riescono a dare un maggior respiro alle loro canzoni. Il disco è un bel viaggio nelle oscurità e nelle tenebre, quelle che rifuggiamo ma nelle quali viviamo immersi senza rendercene conto. Il mondo attuale così come è non piace ai Natas, che con la loro musica provano a darci un input differente, facendosi ascoltare ed amare e producendo un black metal di alto livello. Una cosa molto importante in questo disco è la ricerca con esito positivo della melodia, ovvero la capacità di inserirla sempre ed in maniera molto azzeccata, dando un valore aggiunto alle tracce. Misantropia, Satana, black metal eccellente e il gelo che vi parte da dentro, e citando Stefano Cerati … il black metal sicuramente non è musica per tutti, così è sempre stato e così dovrebbe sempre essere.

Tracklist
1.På veg… til helvette
2.Til Helvete
3.Daudens Kall
4.Gods Wish
5.Stormkjempens Trone
6.Rest In Chaos
7.Cursed Spell Of Evil
8.Supreme Retaliation
9.For This I Be

Line-up
Helvett
Djafull
Jotun
Beleth
Atyr
Lotus

NATAS – Facebook

Mascharat – Mascharat

I milanesi Mascharat sono una black metal band piuttosto particolare, se non per il sound che è abbastanza aderente agli schemi compositivi classici, sicuramente per le tematiche affrontate.

Il monicker scelto, infatti, indica la via concettuale intrapresa dal gruppo, che affronta nel corso dell’album, non a caso autointitolato, il tema della maschera e in genere del travestimento quale allegoria, con riferimenti specifici al rito del carnevale veneziano, evento nel corso del quale, soprattutto nel remoto passato, la possibilità per ogni individuo di celare la propria identità portava per un breve periodo ad un livellamento sociale oltre a fornire un pretesto per dare sfogo a pulsioni represse consentite appunto dall’anonimato.
Venendo all’aspetto prettamente compositivo, siamo di fronte ad un black metal piuttosto tradizionale, anche se non troppo ruvido, cantato in italiano e bene eseguito e prodotto, all’interno del quale non si rinuncia comunque a momenti più riflessivi.
L’album parte con due brani che facevano parte del demo pubblicato nel 2014, tra le quali una traccia molto lunga come Médecin de peste, dal testo interamente in francese, e tutto sommato non si percepisce un grande scostamento rispetto ai brani di più recente composizione, se non una maggiore propensione all’interno di questi ultimi verso melodie inquiete e passaggi più ricercati (per esempio il finale madrigalesco di Mora che sfuma nello strumentale Vestibolo).
Mascharat è un lavoro nel quale la band lombarda dimostra una lodevole chiarezza d’intenti e una profondità espressiva che fornisce un tocco in più anche negli stessi momenti aderenti al black più tradizionale: i testi nella nostra lingua, declamati con uno screaming aspro ma comprensibile, non sono affatto banali e costituiscono più che in altri casi un elemento importante nell’economia dell’opera.
Complessivamente ci troviamo di fronte ad un album di valore, alla luce anche della sua perfettibilità, rinvenibile soprattutto nella tendenza a diluire eccessivamente i contenuti, in quanto nell’ambito di un black metal piuttosto ortodosso offrire brani superiori o vicini ai dieci minuti di durata è inusuale e anche un po’ rischioso, benché uno dei più lunghi, Iniziazione, con i suoi accenni doom nella parte centrale, si riveli alla fine uno degli episodi migliori del disco.
Con questo omonimo esordio su lunga distanza i Mascharat finalizzano un lavoro avviato agli inizi del decennio e, nel contempo, pongono solide le basi per il loro futuro percorso musicale.

Tracklist:
1. Intro
2. Bauta
3. Médecin de peste
4. Mora
5. Vestibolo
6. Simulacri
7. Iniziazione
8. Rito
9. Outro

MASCHARAT – Facebook

Hell’s Coronation – Unholy Blades of the Devil

Gli Hell’s Coronation offrono un black metal i cui tratti pesantemente doom ne accentua la morbosità e così, tra effetti vari, volti a creare un ambiente carico di tensione, il sound si snoda in maniera molto ortodossa ma scostandosi sufficientemente dalle soluzioni più comuni.

I polacchi Hell’s Coronation si propongono con questo loro secondo ep,  Unholy Blades of the Devil, che esce in formato cassetta per Godz ov War Productions.

Il duo di Danzica offre un black metal i cui tratti pesantemente doom ne accentua la morbosità e così, tra effetti vari, volti a creare un ambiente carico di tensione, il sound si snoda in maniera molto ortodossa ma scostandosi sufficientemente dalle soluzioni più comuni grazie, appunto, alle sonorità rallentate e orientate a creare un impatto più orrorifico che non distruttivo.
In questa mezz’ora scarsa Zepar e Coffincrusher ci immergono nel loro immaginario oscuro attraverso un sound lineare ma molto efficace, nel quale ogni elemento è gestito al meglio fornendo quattro brani più intro assolutamente consigliato a chi apprezza il black doom, con menzione per un brano diretto come Satanic Scepter e per il suo contraltare, rappresentato dalla più elaborata e limacciosa Luciferian Wind Blows from the North.
Unholy Blades of the Devil si rivela così un album ideale per i molti che apprezzano parimenti le asperità ritmiche del black e il dolente incedere del doom metal.

Tracklist:
1. Empty Shells of the Sacrament
2. Temple of Wickedness
3. Descent into the Depths of Unspeakable Evil
4. Satanic Scepter
5. Luciferian Wind Blows from the North

Line-up:
Coffincrusher – Bass, Drums, Vocals (backing)
Zepar – Guitars, Vocals

HELL’S CORONATION – Facebook

Onirism – Falling Moon

Falling Moon è senza dubbio un buon album, nel corso del quale la materia viene trattata in maniera ottimale, ma non raggiunge le auspicate vette di assoluta eccellenza.

Ritroviamo la one man band francese Onirism, alle prese con il suo black metal atmosferico, con un primo full length dopo l’ep Sun, trattato su queste pagine l’anno scorso.

Rispetto a quell’uscita, che aveva convinto solo in parte, si denota indubbiamente quel progresso auspicato per quanto riguarda i suoni di tastiera, mentre il resto appare sempre di buon livello senza raggiungere però particolari picchi.
Falling Moon è senza dubbio un buon album, nel corso del quale la materia viene trattata in maniera ottimale, ma non raggiunge vette di assoluta eccellenza a mio avviso per alcuni motivi : intanto si manifesta una convivenza un po’ forzata tra un’anima atmosferica ed un altra più spiccatamente sinfonica, con la prima senz’altro più efficace ma con la seconda che, più o meno a metà della tracklist la scalza, lasciando del tutto il proscenio ad un tastierismo piuttosto insistente a discapito di quello  misurato e prossimo al significato del monicker mostrato in precedenza; inoltre, tutto ciò finisce per offrire una sensazione di diffusa leggerezza, o comunque di poca profondità che diviene palpabile man mano che l’album si dipana nella sua ora abbondante di durata.
In sintesi, ritengo che un brano come la title track sia sufficientemente esemplificativo di quello che mi sarebbe piaciuto ascoltare con maggiore continuità dal bravo Vrath in questa occasione ma, visto che Falling Moon è un’opera che lascia aperte diverse soluzioni stilistiche, non è detto che ciò debba necessariamente accadere in futuro.
L’album resta comunque un ascolto pregevole soprattutto per chi apprezza il symphonic black.

Tracklist:
1. Night Sky Above the Desert (intro)
2. See the End of the Worlds
3. Falling Moon
4. Under the Stars
5. I’m Dying Again
6. The Endless Ride of Heavens
7. Summoned by the Astral Side (Interlude)
8. When Titans Awake
9. The Cosmic Whale
10. Meteor Shower (Interlude)
11. The Celestial Calling

Line-up:
Vrath – Everything

ONIRISM – Facebook

Morbosidad – Corona De Epidemia

Brani brevissimi e sparati in faccia ai benpensanti con una forza estrema convincente, ma a tratti forzata, e la totale mancanza di una minima apertura melodica fanno di questo lavoro un discreto spaccato di metal estremo dedicato al maligno.

La versione in vinile limitata di questo inno a Satana ed alle sue nefandezze portava una copertina diversa da quella che troverete in bella mostra sul cd contenente il quinto full length di questa realtà death/black metal proveniente dal più marcio sottobosco estremo statunitense.

Corona de Epidemia è un violento attacco satanico, un belligerante inno all’oscuro signore, alla guerra e alla morte suonato dai Morbosidad, quartetto estremo nato nel lontano 1993 in California ed in seguito stabilitosi in Texas: una produzione che tanto sa di vecchia scuola black metal, impatto da tregenda e blasfemie a go go dentro a brani brevissimi e sparati in faccia ai benpensanti con una forza estrema convincente, ma a tratti forzata, e la totale mancanza di una minima apertura melodica, fanno di questo lavoro uno spaccato di metal estremo satanico dedicato al maligno ed in grado di soddisfare la sete di violenza dei suoi servitori.
Mezz’ora basta ed avanza al gruppo statunitense per far inghiottire chiodi arrugginiti sporchi del sangue di Cristo in un delirio death/black metal non molto distante dal genere suonato nell’Europa dell’est.
L’ospite Sodomatic Slaughter dei Beherit, nella traccia di chiusura, è la chicca di Corona De Epidemia, abominevole ed oscuro lavoro che non può non attrarre i fans del metal estremo.

Tracklist
1.Muerte Suicidio
2.Corona de Epidemia
3.Cordero de Cristo
4.Cristo en Desgracia
5.Transtorno Mental
6.Condena y Castigo
7.Difunto
8.Maldición
9.Sepulcro de Cristo
10.Crudeza
11.D.E.P.

Line-up
Tomas Stench – Vocals
Matt Mayhem – Drums
Joe Necro – Guitars, Bass
Ded Ted – Bass

MORBOSIDAD – Facebook

Elixir of Distress – Kontynent

Un lavoro di spaventosa intensità, con una tensione che non scema in alcun frangente, scandita da uno screaming tutto sommato intelligibile e da un tessuto melodico e atmosferico che resta spesso sullo sfondo, trovando talvolta eccellenti sbocchi sotto forma di assoli chitarristici.

Dalla sempre vivace e mai banale scena polacca arriva il primo passo discografico degli Elixir of Distress, band della quale si sa poco o nulla se non che Kontynent è frutto di una lunga gestazione provocata da diversi avvicendamenti in una line-up che, proprio per questo suo essere in costante divenire, verrà resa nota solo in occasione del prossimo lavoro.

Intanto godiamoci senza troppe remore questo brillante esordio, basato su un black metal che mantiene costantemente un’aura drammatica che ben si confa con il tema trattato a livello lirico, concernente i famigerati campi di detenzione siberiani, nei quali migliaia di polacchi furono peraltro condotti e costretti a lavorare in condizioni disumane (in tal senso la copertina, per quanto minimale, mette i brividi e non solo per il freddo evocato dal paesaggio nevoso).
Gli Elixir of Distress offrono un’interpretazione del genere che prende il meglio dalle diverse scuole, anche se si percepisce una certa preponderanza di quella tedesca (Lunar Aurora in primis, e l’utilizzo di un monicker che ne richiama uno dei molti capolavori, Elixir Of Sorrow, qualcosa vorrà ben dire) con l’inserimento di certe dissonanze del black più obliquo di matrice francese.
Il frutto è un lavoro di spaventosa intensità, con una tensione che non scema in alcun frangente, scandita da uno screaming tutto sommato intelligibile, anche se ovviamente le liriche in polacco restano appannaggio degli ascoltatori di madre lingua, e da un tessuto melodico e atmosferico che resta spesso sullo sfondo, trovando talvolta eccellenti sbocchi sotto forma di assoli chitarristici.
I cinque brani si attestano su una durata media attorno ai dieci minuti e sono tutti, nessuno escluso, esempi di black metal glaciale, arcigno e allo stesso tempo coinvolgente: autentica pietra miliare dell’album è a mio avviso Katorga, traccia nella quale aleggia una disperazione tangibile espressa da un incedere furioso, che racchiude una sottile quanto evocativa linea melodica; lo schema è abbastanza simile, anche per qualità esibita,  nel resto della tracklist, con qualche parentesi acustica volta a spezzare il mood tragico, andando a comporre il quadro di un disco splendido e che, a mio avviso, è finora una delle più belle sorprese di questo 2018.
Resta solo la curiosità di capire chi ci sia dietro il monicker Elixir of Distress, anche se l’esito di Kontynent depone a favore di musicisti di grande spessore e profondi conoscitori della materia.

Tracklist:
1. Kontynent
2. Kołyma
3. Katorga
4. Workuta
5. Magadan

Ghost Rider – Rehearsal ’84

Le origini dei Necrodeath: un black contaminato con il thrash e le melodie del metal classico. Un demo da leggenda.

Prima di ridenominarsi Necrodeath e di scrivere pagine storiche del metal italiano, non solamente in ambito estremo, c’erano i Ghost Rider, attivi tra Rapallo e Recco.

Nel 1984 incisero un nastro, che è davvero riduttivo definire storico: quel demo tape è in assoluto la prima registrazione di black metal in Italia e fa veramente data nelle cronache dell’heavy, non soltanto nostrano. Il gruppo di Peso era agli inizi, ma le idee erano già molto chiare: attingere alla velocità oscura dei Venom, incarnando un black (soprattutto a livello lirico e iconografico) che flirtava con certe strutture del neonato thrash – la stessa cosa accadde tre anni dopo ai Mayhem di Deathcrush – e del metal più classico. Insomma, una cassetta per ogni adoratore di Bulldozer, Hellhammer, Bathory, primi Slayer e Samhain. Cinque canzoni in tutto, dark quanto basta per scolpire il nome dei Ghost Rider nell’empireo degli iniziatori e dei precursori. La FOAD di Genova, nel 2011, ha pubblicato una nuova versione su compact, del tutto risuonata, remixata e rimasterizzata per l’occasione, nonché (appositamente) reintitolata The Return of the Ghost.

Track list
– The Exorcist
– Curse of Valle Christi
– The Return of the Ghost
– Perkele666
– Victim of Necromancy
– Ride For Your Life
– Doomed to Serve the Devil
– Black Archangel
– Hell Is the Place
– Power From Hell (Onslaught cover)
– Deep in Blood

Line up
Zarathos – Guitars
Helvete – Bass / Vocals
Mark Peso – Drums

1984 – Autoprodotto

Apocryphal – When There Is No Light

When There Is No Light è un album vivamente consigliato a chi predilige un black metal dai tratti aderenti alla tradizione ma nel contempo curato a livello di sonorità e credibile dal punto di vista lirico e concettuale.

L’esordio su lunga distanza dei veronesi Apocryphal ci riporta ad un black metal essenziale e sostanzialmente privo di sbocchi melodici of atmosferici.

La band veneta, che ha mosso i suoi primi posso con il demo titolo nel 2015, tiene fede al proprio monicker incentrando il lavoro sugli scritti cosiddetti apocrifi, ovvero quelle parti di nuovo e vecchio testamento che non trovano posto nelle versioni divulgate dalla Chiesa cattolica in quanto ufficialmente non attendibili ma, sostanzialmente, poiché riportano molti dei fatti che ci sono stati tramandati da un punto di vista diverso e soprattutto capaci di mettere in dubbio certe verità acquisite.
Se ne deduce che When There Is No Light possiede un carico fortemente antireligioso, e lo strumento utilizzato per veicolare ciò che la storia ha relegato ai margini è il ricorso al genere estremo misantropico e blasfemo per eccellenza.
Come detto il black metal degli Apocryphal  è diretto e volto a giungere all’obiettivo senza troppi fronzoli né giri di parole,: linearità però non è automaticamente sinonimo di semplicità e così il quartetto veneto mette in scena una dimostrazione magari priva di particolari picchi ma di grande compattezza in ogni sua parte; spicca su tutti gli altri un brano come Under the Black Flag of Babilonia, bella cavalcata dai ritmi intensi ma non esasperati e che beneficia anche di un efficace intro basato su sonorità etniche di matrice orientale.
When There Is No Light è un album vivamente consigliato a chi predilige un black metal dai tratti aderenti alla tradizione ma nel contempo curato a livello di sonorità e credibile dal punto di vista lirico e concettuale.

Tracklist:
1. The Call of War
2. Evoching Satan
3. Offer to Stars
4. Violence of Unique God
5. Under the Black Flag of Babilonia
6. Midnight Sky
7. Original Glory
8. Last Pagan Night

Line-up:
Matteo Baroni Bass
Diego Gini Drums
Fabio Poltronieri Guitars
Gianmarco Bassi Vocals

Skognatt – Ancient Wisdom

Zambo mette a frutto la sua poliedrica esperienza acquisita in campo musicale per inscenare una prova piuttosto convincente e meritevole d’essere ascoltata.

Skognatt è il progetto solista di Danijel Zambo, musicista tedesco, del quale avevamo già parlato qualche mese fa in occasione dell’uscite dell’ep Ancient Wisdom, formato da due brani all’insegna di un black metal atmosferico.

Curiosamente Zambo decide di ripresentarsi con un full length avente in comune con l’ep sia il titolo sia la copertina e ciò, sicuramente, non agevola i potenziali fruitori nel capire a quale delle due versioni si trova di fronte
Quindi, confermando quanto già espresso positivamente in relazione ai due brani già conosciuti, la title track e Xibalba, si può osservare fin da Wold Apart una maggiore presenza di sonorità definibili a buon titolo black metal, seppure filtrate dal particolare approccio del musicista di Augsburg.
Una più intimista ed oscura Thanatos lascia spazzo al blast beat ossessivo di Dark Star, brano invero un po’ monocorde, ampiamente riscattato dalla traccia conclusiva Fallen, ben più brillante e varia nel suo alternare un orecchiabile groove a momenti rarefatti, culminanti con un’elegante chiusura di stampo acustico.
Indubbiamente la presenza di un batterista in carne ed ossa conferisce maggiore profondità al sound, e Zambo mette a frutto la sua poliedrica esperienza acquisita in campo musicale per inscenare una prova piuttosto convincente e meritevole d’essere ascoltata.

Tracklist:
1. Ancient Wisdom
2. Xibalbá
3. World Apart
4. Thanatos
5. Dark Star
6. Fallen + Outro

SKOGNATT – Facebook

Insaniam – Ominous Era

I cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.

Leggenda vuole che qualche tempo fa, in un istituto psichiatrico, cinque individui ospiti della struttura furono rinchiusi per diverso tempo lontano da qualsiasi contatto con l’esterno: questo esperimento su menti già di per sé instabili portò ad un fenomeno patologico chiamato Insaniam.

Ora queste mostruose creature provenienti dalla Spagna sono libere di circolare e sfogare tutta la loro depravata pazzia usando il monicker dell’esperimento che li ha trasformati in macchine di tortura e depravazione, ed i risultati sono stati il primo ep licenziato tre anni fa (Neurotic Mental Storm) e, soprattutto, questo debutto sulla lunga distanza, intitolato Ominous Era, composto da undici brani dal sound strutturato su un black metal a tratti melodico, dalle ritmiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash moderno e caratterizzato da digressioni progressive.
Detto così sembrerebbe di essere al cospetto di un debutto sopra le righe, ed in parte il giudizio si avvicina a questa affermazione, non fosse per una prolissità che porta inevitabilmente a perdere l’attenzione necessaria per arrivare in fondo all’ascolto.
E’ pur vero che i cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti, un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.
Ominous Era è un susseguirsi di cambi di tempo, sferzate black e ripartenze modern thrash da infarto, con lo scream pazzoide che tortura i padiglioni auricolari, vocine alterate provenienti da menti devastate dalla malattia ed atmosfere che inducono ad immaginare la cruenta vita di una casa degli orrori.
La band riserva il meglio alla partenza, con due brani di devastante pazzia come l’opener Disequilibrium e Let The Fever Explode, poi ci si assesta sui canoni descritti fino al capolavoro black/thrash metal Mother Whispers In My Ear.
Come detto, la fatica in seguito si fa sentire e si arriva agli attimi conclusivi di NNN, dalle atmosfere horror, con un leggero fiatone anche se in generale il giudizio sull’album rimane assolutamente positivo.
Consigliato ai fans del black metal più moderno e dalle melodie progressive, Ominus Era risulta un’ottima partenza per il gruppo spagnolo, speriamo solo che non vengano catturati e rinchiusi un’altra volta.

Tracklist
1.Disequilibrium
2.Let the Fever Explode
3.Epidemic Race
4.Primal Fear
5.Chrysalis
6.The Reign of Mist
7.Mother Whispers In My Ear
8.Vermin
9.Moths
10.Flesh That Fuels
11.NNN

Line-up
Neuros – Vocals
Dementh – Guitars
Theryan – Drums
Anxxiet – Guitars
Psycho – Bass

INSANIAM – Facebook

Hiidenhauta – 1695

L’approccio del gruppo finlandese è senz’altro particolare in quanto cerca di fondere il black melodico con alcune pulsioni folk e progressive: un progetto ambizioso che purtroppo non riesce del tutto.

Gli Hiidenhauta sono una band finlandese attiva da qualche anno e che giunge, con 1695, al suo secondo full length.

L’approccio del gruppo fondato da Tuomas ed Emma Keskimäki è senz’altro particolare in quanto cerca di fondere il black melodico con alcune pulsioni folk e progressive: un progetto ambizioso che per lo più deve fare in conti con una produzione un po’ piatta, che non si rivela il mezzo più più adatto per restituire al meglio un idea di metal volta ad essere più ricercata di quanto non possa apparire a prima vista.
Se è sicuramente lodevole provare a sfuggire ad abusati schemi compositivi, come possono essere quelli di un viking o pagan metal (più aderenti alle tematiche di carattere storico ed alla pregevole ricerca a livello linguistico con l’utilizzo del cosiddetto “Kalevala Metre”), la sensazione è che non tutti i tasselli immessi nell’album vadano al proprio posto, a cominciare dalla voce femminile che il più delle volte appare fuori contesto, non tanto per demerito di Emma quanto perché la sua tonalità stride rispetto a come è strutturato il sound della band finlandese.
Così, tra qualche sfuriata spruzzata di folk come Hallan valta, il jazz pianistico (!) di Musta leipä ed una meglio focalizzata Maan poveen, l’album si trascina senza infamia nè lode verso la fine, lasciando in eredità qualche buono spunto ma anche una certa sensazione di incompiutezza, che magari apparirà più attenuata a chi potrà godere dell’album comprendendone anche i testi, ma che, invece, risulterà accentuata in chi per forza di cose deve focalizzare la propria attenzione sulla musica.
Da menzionare la bellissima copertina, che riproduce il dipinto ottocentesco Kerjäläisperhe maantiellä, opera del pittore Robert Wilhelm Ekman.

Tracklist:
1. Hallan valta
2. Äärellä
3. Kuolimaan tytär
4. Musta leipä
5. Jumalan vihan ruoska
6. Talvikäräjät
7. Nälkäkevät
8. Maan poveen
9. Nimettömät

Line-up:
Eetu Ritakorpi – Drums
Otto Hyvärinen – Guitars
Tuomas Keskimäki – Vocals, Lyrics
Emma Keskimäki – Vocals (female)
Ihtirieckos – Bass
Gastjäle – Keyboards, Flute

HIIDENHAUTA – Facebook

Gungnir – Ragnarök

Qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene nel quarto d’ora scarso di black epico offerto in questo ep.

I Gungnir sono una band greca votata ad un black metal in linea con l’offerta di qualità normalmente in arrivo dalla penisola ellenica.

Il gruppo è formato da un trio che, fin dal monicker prescelto e dallo stesso titolo del lavoro, dimostra d’avere le idee quanto mai chiare sul tipo di sound da perseguire, ovvero un viking black molto epico ed ispirato: questo ep d’esordio, Ragnarök, è piuttosto breve, con i suoi tre brani più intro ed outro, ma appare abbastanza esaustivo relativamente alla linea stilistica intrapresa dai Gungnir.
Our Swords for Thor, infatti, si snoda in linea con quanto fatto di recente e nel migliore dei modi dai connazionali Lloth, e questo è già di per sé un buon segnale: si tratta di una traccia intensa, epica e melodica alla quale non manca nulla per trascinare l’audience in sede live, e lo stesso si può dire tranquillamente anche per The Wanderer (forse ancora più melodica ed evocativa) e Fenrir (l’episodio più aspro del terzetto).
Del resto qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene in questo quarto d’ora scarso, esibendo i presupposti necessari per ritenere che il tutto possa riuscire anche per l’intera durata di un full length.

Tracklist:
1.Intro
2.Our Swords for Thor
3.The Wanderer
4.Fenrir
5.Outro

Line-up:
Ithonas – Vocals
Jim Havok – Bass, Guitars, Keyboards, Vocals
Yngve – Guitars, Drums, Vocals

GUNGNIR – Facebook


2016: