Kashgar – Kashgar

I Kashgar sono una bella sorpresa e seguire le loro mosse future non sarà affatto tempo sprecato.

Parrà strano, ma non si può dire che parlare di una band del Kirghizistan sia una primizia, perché chiunque sia in possesso di un minimo di curiosità e di cultura musicale non può non conoscere i grandi Darkestrah, che proprio dalla capitale Bishek mossero i primi passi prima di mettere le radici in pianta stabile in Germania, nazione certamente più funzionale per chi vuole fare musica ad un certo livello.

Così, il vessillo del metal estremo nel lontano paese asiatico è tenuto alto in  loco praticamente dai soli Kashgar, i quali, nonostante l’oggettivo rischio di isolamento musicale, si stanno dando un gran daffare per farsi conoscere, soprattuto in Europa.
Questi tre ragazzi meritano effettivamente di trovare uno spazio, perché il contenuto del loro album omonimo tracima urgenza compositiva e se ogni tanto qualcosa viene sacrificato a livello tecnico, l’intensità sprigionata arriva a compensare abbondantemente il tutto.
In fondo, in questa quarantina di minuti scarsi, i Kashgar riversano in maniera compulsiva un background musicale fatto da metal estremo, classico e persino dal progressive, tutti elementi che, ascoltando con attenzione, sono sicuramente rinvenibili all’interno dei singoli brani .
Se Half a Devil è una sorta di summa strumentale a livello di intenti, non c’è dubbio che la pietra miliare dei Kashgar sia Tyan-Shan / Batyr, brano spettacolare di oltre 11 minuti di durata in cui i nostri immettono tutti i loro spunti compositivi, anche quando apparentemente sembrerebbe non essercene lo spazio: una sfuriata black, all’inizio, viene seguita da umori tooliani/crimsoniani, ed un mood che riporta alle migliori band elleniche tanto amate dalla band kirghisa (non a caso la masterizzazione è stata affidata ad Achilleas Kalantzis dei Varathron) viene disturbato da un’inquietante cantilena.
Se Scent of Your Blood è un condensato di furia distruttiva, con una chitarra dai tratti lancinanti , Erlik rallenta la corsa fino a spingersi ai confini del doom, e Albarsty è pregna di dissonanze compensate da un finale thrash d’annata. La chiusura è affidata a Come Down, in cui emerge una componente più riflessiva che, in qualche modo, va ad attingere alla spiritualità ispirata da una natura che, in un paese come quello asiatico, esibisce ancora intonsa la propria selvaggia maestosità.
Kashgar è un lavoro intrigante quanto perfettibile in qualche sua parte, e sicuramente sono gli aspetti positivi a prevalere, a livello di consuntivo: considerando l’inesistenza di una scena meta nel paese, le possibilità che fossero seguite pedissequamente le tracce dei Darkestrah erano alte, eppure Ars, Warg e Blauth scelgono un strada espressiva differente e, tutto sommato, anche personale. La voglia di inserire più elementi possibili in un album di durata relativamente breve è comprensibile ma, talvolta, va a discapito della fluidità compositiva: resta il fatto che questo lavoro risulta attraente proprio per la bontà dei contenuti, tralasciando l’ovvia curiosità derivante da una provenienza geografica desueta.
Per quanto mi riguarda, i Kashgar sono una bella sorpresa e seguire le loro mosse future non sarà affatto tempo sprecato.

Tracklist:
1. Half a Devil
2. Tyan-Shan / Batyr
3. Scent of Your Blood
4. Erlik
5. Albarsty
6. Come Down

Line-up:
Blauth – vocals, drums
Ars – guitars
Warg – bass

KASHGAR – Facebook

Demoncy – Faustian Dawn

Il suono è grezzo, le chitarre distorte in maniera quasi pacchiana, la batteria sembra un osso che viene percosso sul cranio di un cadavere, la voce è un continuo growl di diversi elementi, la sensazione è di un diabolico dimenarsi, e tutto ciò è meraviglioso.

Ristampa definitiva da parte della Nuclear War Now per questo grande classico del black metal americano.

Originariamente uscito nel 1993 questo disco è stato una delle opere seminali del verbo del nero metallo nel nuovo mondo. Insieme a Profanatica, Grand Belial’s Key e Black Funeral, i Demoncy sono stati i padri putativi del black metal americano, che è una costola davvero interessante del movimento black mondiale. Come si può ascoltare in nuce in questo fondamentale disco, gli americani il black metal lo fanno maniera differente, più ampia dal punto dal punto di vista musicale, con molti elementi differenti rispetto al black metal europeo, e diversamente rispetto al black sudamericano. Col passare degli anni il movimento black è progredito, ma questo disco rimane un vera chicca. Il suono è grezzo, le chitarre distorte in maniera quasi pacchiana, la batteria sembra un osso che viene percosso sul cranio di un cadavere, la voce è un continuo growl di diversi elementi, la sensazione è di un diabolico dimenarsi, e tutto ciò è meraviglioso. In Faustian Dawn c’è tutto quello che vi fa amare il black, ed è anche il motivo per cui questo disco è stato ristampato molte volte, ma questa è la ristampa definitiva, poiché Ixithra stesso ne ha curato la rimasterizzazione e Chris Moyen, che aveva disegnato la copertina originale, ha fatto un dipinto fantastico per l’occasione. Ma la storia non finisce qui : questa è una ristampa, mentre presto uscirà il nuovo disco del gruppo, il primo da molti anni.
Il demone continua a dibattersi per la nostra lussuriosa soddisfazione.

TRACKLIST
1.Whispers of Undesired Destinies
2.Winter Bliss
3.Satanic Psalms
4.Descending Clouds of Immortality
5.Denial of the Holy Paradise
6.Enchanted Woods of Forgotten Lore
7.Hidden Path to the Forest Beyond
8.Chill Winds of Time
9.Full Moon Twilight
10.Departure of the Dismal

LINE-UP
Ixithra – Vocals
Necreon – Bass
Vorthrus – Drums

DEMONCY – Facebook

Morbo / Bunker 66 – Into The Morbo Bunker

Uno split che dura poco, ma che in dodici minuti esprime più cose che alcuni dischi doppi, con un fantastico thrash cupo.

Split programmatico di cosa potete aspettarvi dalla Doomentia Records: thrash metal fuori moda e come se piovesse.

In questo split uniscono le forze gli italiani Morbo e Bunker 66, per dodici minuti di thrash a centomila all’ora, fuori moda e potentissimo. Queste band sono due grandissimi gruppi underground che fanno musica per chi vuole sentirla senza voler piacere a nessuno. I Morbo propongono un thrash più orientato verso il death,di notevole effetto con una produzione che lascia il giusto spazio al suono vintage. Ascoltandoli sembra di tornare a quei dischi di gruppi americani anni novanta a cavallo tra thrash e death, ma i Morbo da Roma sono anche meglio. Le scelte all’interno delle loro canzoni sono tutte azzeccate, e vanno come dei treni.
La seconda parte dei questa associazione a delinquere sono i siciliani Bunker 66, che saranno già sicuramente noti a chi ama un metal grezzo totalmente anni ottanta. I Bunker 66 hanno visto il ritorno del loro cantante originale Schizo, e questa è la loro prima registrazione assieme dopo il ritorno. Il loro suono in questi due pezzi si avvicina ancora di più all’hardcore e al thrashcore anni ottanta e novanta. Il loro suono è sempre assai notevole, e a mio modesto avviso sono uno dei gruppi migliori nel settore. Uno split che dura poco, ma che in dodici minuti esprime più cose che alcuni dischi doppi, con un fantastico thrash cupo. Musica grezza, metallica e incredibilmente bella, per metalliche teste malate.

TRACKLIST
1. Morbo – Per Legem Mortuorum
2. Morbo – Cross Tormentor
3. Bunker 66 – The Merciless March
4. Bunker 66 – The Force

LINE-UP
Bunker 66
Damien Thorne – Bass, Vocals
Desekrator of the Altar – Drums
Bone Incinerator – Guitar

Morbo
Mirko – Vocals
Andrea – Guitars

DOOMENTIA – Facebook

In The Woods… – Pure

Gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più.

A metà degli anni ’90, nel pieno dell’ondata black che arrivò a stravolgere buone e cattive abitudini del metal estremo, apparvero più o meno dal nulla gli In The Woods…, band che dal genere prendeva certamente le mosse per spingersi senza porsi troppi limiti verso orizzonti psichedelico progressivi che, solo in seguito, troveranno un certo successo grazie a nomi quali Arcturus, Ulver e Solefald.

Heart Of The Ages (1995) e il successivo Omnio (1997) furono dei veri fulmini a ciel sereno che arrivavano a dimostrare quanto quella genia di musicisti non fosse in grado di farsi notare solo per un’urgenza espressiva selvaggia, che spesso trovava sfogo anche al di fuori del campo artistico, ma avesse in nuce le stimmate di un talento e di un potenziale innovativo che sarebbe emerso negli anni a venire.
Un meno brillante Strange in Stereo, nel 1999, pareva aver segnato la fine di usa storia trascinatasi fino all’uscita del live del 2003, andando a collocare gli In The Woods… nell’affollato novero delle band di culto, quelle capaci di restare impresse nell’immaginario degli ascoltatori pur avendo dato il meglio in una manciata di dischi racchiusa in un breve spazio temporale.
E invece, neppure gli In The Woods… si sottraggono alla tentazione della reunion, che vede alle prese tutti e tre i fondatori (i fratelli Botteri e Anders Kobro) raggiunti dal muscista inglese James Fogarty alias Mr.Fog.
Veniamo al dunque, quindi, parlando del nuovo album intitolato Pure: l’ispirazione pare non essere stata annacquata dal trascorrere del tempo, ma appare evidente quanto questo lavoro sia in qualche modo più fruibile rispetto ai capolavori di metà anni ’90, pur mantenendo intatta l’attitudine avanguardista della band norvegese.
Non che questo sia un male, chiariamolo: Pure è davvero un bellissimo disco, che in oltre un’ora di durata va a lambire tutte le sfumature sonore alle quali i nostri ci avevano abituato ma, tenendo conto dell’evaporazione dell’effetto sorpresa che esaltava i contenuti di Heart Of The Ages ed Omnio, va letto in un’ottica diversa rispetto al passato.
L’errore più grande che può commettere chi ha amato quei lavori è attendersi da questa nuova uscita, targata Debemur Morti, qualcosa di simile per freschezza e potenziale innovativo: gli In The Woods…, contrariamente alle attese, vanno molto più diretti alla ricerca dell’obiettivo, raggiungendolo tramite brani intrisi di splendide melodie, alternate a qualche robusta accelerazione che non va però ad incrinare un substrato fondamentalmente progressive, al quale il retaggio black dona quel velo di oscurità e malinconia che rende magnifica più di una traccia.
Emblematica sicuramente la trascinante title track, posta in apertura, che trova subito un suo possibile contraltare nella cupezza della successiva Blue Oceans Rise; i rallentamenti ai confini del doom di The Recalcitrant Protagonist e l’intensità di Cult Of Shining Stars sono anch’essi segni indelebili di una classe che non è andata perduta ma, se persistessero ancora dei dubbi, i venticinque minuti conclusivi rimarcano quanto questa band alla fin fine ci sia mancata, perché le splendide e suadenti atmosfere del lungo strumentale Transmission KRS ed il crescendo evocativo di This Dark Dream e Mystery Of The Constellations non sono un qualcosa che possa uscire dalla penna di musicisti appena nella media.
Siamo nel 2016, gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più. Bentornati.

Tracklist:
1.Pure
2.Blue Oceans Rise (Like A War)
3.Devil’s At The Door
4.The Recalcitrant Protagonist
5.The Cave Of Dreams
6.Cult Of Shining Stars
7.Towards The Black Surreal
8.Transmission KRS
9.This Dark Dream
10.Mystery Of The Constellations

Line-up:
James Fogarty – Vocals, Guitars and Keys
X-Botteri – Guitars
C:M Botteri – Bass
Anders Kobro – Drums

IN THE WOODS… – Facebook

Szarlem / Drengskapur – Ritual

Un 7″ per per fans accaniti, un modo per conoscere due realtà dalla forte impronta underground in un genere che solo nel sottobosco ritrova la sua vera natura.

La Folte Records ci presenta questo split che vede in azione due black metal band tedesche: la one man band Szarlem e il duo berlinese Drengskapur.

Un brano a testa per questo 7″ dall’attitudine che definire underground è un eufemismo: il primo, In the Glare of Fire, vede protagonista Avenger, polistrumentista attivo sotto il monicker Szarlem da una decina d’anni ed una discografia che, oltre ad una manciata di lavori minori, vede il nostro alle prese con due full length: Night of Blood uscito nel 2008 e Black Medieval Battle Hymns licenziato tre anni orsono.
Black metal oscuro e dalla forte connotazione occulta, un mid tempo atmosfericamente freddo ed uno scream disperato rendono il brano pregno di sfumature estreme e misantropiche, Avenger ci prende per mano e ci accompagna nel suo mondo dove la luce è solo un ricordo e l’oscurità domina.
Davvero inquietante lo scream, pura disperazione di un’anima tormentata dai demoni, mentre il sound non si discosta da un mid tempo raggelante, nel complesso una song affascinante.
Mitternachtsstund è il brano proposto dal duo berlinese Drengskapur, attivo dai primi anni del nuovo millennio e con tre album alle spalle incisi nell’arco di sette anni tra il 2006 ed il 2013 ( Geist der Wälder, Von Nebel umschlungen e Der Urgewalten Werk).
Formato da Wintergrimm (voce e chitarra) e Hiverfroid alle pelli, il combo produce un sound raw black metal ispirato alla natura e al paganesimo, sicuramente dalla forte attitudine ma estremamente consolidato nei cliché del genere evil per antonomasia.
Un 7″ per per fans accaniti, un modo per conoscere due realtà dalla forte impronta underground in un genere che solo nel sottobosco ritrova la sua vera natura.

TRACKLIST
Side A
1. Szarlem – In the Glare of Fire
Side B
2. Drengskapur – Mitternachtsstund’

LINE-UP
Szarlem
Avenger – All instruments, Vocals

Drengskapur
Wintergrimm – Vocals, Guitars
Hiverfroid – Drums

http://www.facebook.com/Drengskapur.de?fref=ts

Rudra – Enemy Of Duality

Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dai paesi del sudest asiatico.

Grazie al lavoro dell’instancabile Kunal Choksi e della sua Transcending Obscurity, in questi ultimi anni si è squarciato il velo che teneva in qualche modo nascosto il movimento metal del sudest asiatico, rivelando al mondo l’esistenza di band che dimostrano un’urgenza compositiva ed una freschezza spesso sconosciuta a quelle provenienti dai continenti ove, tradizionalmente, il genere ha sempre avuto la sua dimora.

Quindi può capitare persino che una band come i singaporiani Rudra appaia come una sorta di novità quando, in realtà, la sua genesi risale a circa un ventennio fa e la sua discografia è costellata di una serie di album di livello eccezionale.
Enemy Of Duality è addirittura l’ottavo full length (ma il primo per la label indiana) del gruppo che prende il suo nome dal pantheon vedico: è curioso, ma non del tutto sorprendente, il fatto che nella stessa scuderia stia chi avversa la religione (soprattutto quella induista) in ogni sua forma (Heathen Beast) e chi, al contrario, erge il proprio Vedic Metal come vessillo (Rudra).
Ma in fondo, a ben vedere, trattasi solo di facce diverse della stessa medaglia, in quanto entrambe le band utilizzano una forma di metal estremo, resa in maniera entusiasmante e contaminata fortemente dalla musica tradizionale della loro area geografica, per veicolare la propria personale visione sociale e filosofica.
Parlando dei Rudra, si capisce subito d’essere al cospetto di un combo composto da musicisti esperti e dotati di una tecnica ben superiore alla media, il che consente loro di districarsi mirabilmente tra sfuriate di stampo black death e sonorità etniche, per lo più inserite all’interno delle intricate partiture estreme e non un corpo estraneo ad esse .
Un tentacolare Shiva alla batteria (sopraffino quando maneggia le percussioni etniche) è l’autentico motore che rende inarrestabile la marcia dei Rudra: otto brani in cui l’intensità pare non calare mai, anzi semmai la sensazione è quella di un costante crescendo visto che la traccia migliore, a mio avviso, è addirittura quella conclusiva, una Ancient Fourth che si rivela quale ideale chiave di lettura del modus operandi perseguito in Enemy Of Duality.
Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dall’India e dai paesi del sudest asiatico.

Tracklist:
1. Abating the Firebrand
2. Slay the Demons of Duality
3. Perception Apparent
4. Acosmic Self
5. Root of Misapprehension
6. Seer of All
7. Hermit in Nididhyasana
8. Ancient Fourth

Line-up:
Shiva – Drums
Kathir – Vocals, Bass
Vinod – Guitars
Simon – Guitars

RUDRA – Facebook

Styxian Industries – Zero.Void.Nullified {Of Apathy and Armageddon}

Zero.Void.Nullified è un lavoro valido, ma il potenziale della band sembra superiore al risultato ottenuto sul campo: una serie di riff azzeccati uniti ad una prestazione tecnicamente valida non valgono per ora qualcosa in più di un’abbondante sufficienza.

L’esordio su lunga distanza per gli olandesi Styxian Industries arriva finalmente sotto l’egida della tentacolare Satanath Records, dopo diversi anni ed una serie di lavori di minutaggio ridotto.

Zero.Void.Nullified è un’opera devota al black di matrice industrial, una materia che viene trattata in maniera piuttosto efficace dal trio dei Paesi Bassi, anche se la tendenza oscilla tra un’adesione alle sfuriate canoniche del genere e l’approdo a ritmiche elettroniche, senza che si vada quasi mai a sconfinare nella danzabilità dei primi The Kovenant.
Il disco si dipana in maniera interessante, anche se talvolta affiora nei nostri un’indole un po’ troppo ondivaga, poiché nel complesso viene a mancare per continuità sia la martellante pesantezza dell’industrial sia la ferocia nichilista del black: il risultato è un compromesso tra queste due componenti che offre buoni risultati, come la notevole We Took the World, la cangiante Zero Void Nullified e la parossistica Salvation (con clean vocals rivedibili, però) accompagnati ad una serie di brani che, alla lunga, lasciano un po’ di stanchezza, essendo ricchi di potenziale corrosivo ma poveri di riff e spunti capaci di imprimersi a lungo nella mente.
L’operato dei Styxian Industries è tutt’altro che riprovevole, ma la sensazione è che, allo scopo di mantenere un certo equilibrio tra le due componenti, si scelga una via di mezzo che frena uno sviluppo più deciso, e probabilmente costruttivo, in un senso o nell’altro.
Zero.Void.Nullified è un lavoro valido, ma il potenziale della band orange mi sembra superiore al risultato ottenuto sul campo: l’impalcatura è solida, ma i contenuti sono senz’altro migliorabili, e una serie di riff azzeccati uniti ad una prestazione tecnicamente valida non valgono per ora qualcosa in più di un’abbondante sufficienza.

Tracklist:
1. Feed Us
2. You
3. Salvation
4. Revelation
5. Whiskey Vodka Blood
6. Zero Void Nullified
7. Bastard God
8. Wasted World
9. We Took the World
10. Execute Planet Earth

Line-up:
Ms. M – Guitars
Mr F. – Percussion, Drums
Ir T. – Vocals

STYXIAN INDUSTRIES – Facebook

Endalok – Englaryk

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a se stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine.

Demo in cassetta per questo gruppo black provieniente dalla fertile Islanda, che ultimamente è molto incline al black metal, ed ovviamente, come tutte le cose che vengono da quell’isola è di ottima qualità.

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a sé stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine, come se si staccassero ombre dagli strumenti per invadere i nostri incubi. La loro musica sembra provenire da un ‘altra dimensione, la stessa nella quale stanno i demoni e coloro che sono morti invano. Gli strumenti sembrano ognuno andare per conto loro, ma in questa apparente dodecafonia il senso è chiaro: non c’è senso, e saremmo pazzi a cercarlo. Bisogna abbandonarsi a questo flusso di musica pesante ed ombre. Gli Endalok come detto prima, giocano in un campo tutto loro, con una proposta davvero particolare e molto interessante. Questa cassetta è soltanto la prima uscita per loro, poiché poi seguirà il disco su lunga distanza, sempre per la portoghese Signal Rex, che non sbaglia un gruppo. Questa è musica che funziona da porta dimensionale, si passa per andare oltre, seguendo il nostro destino. E’ davvero notevole il percorso che sta facendo il black metal, che grazie a dischi come questo entra in territori inesplorati e fertili, andando in mille direzioni con una velocità impressionante, in continua evoluzione.
Cassetta di un’altra dimensione.

TRACKLIST
1.Hræ Guðs Fargað
2.Óhugnaðurinn
3.Englaryk
4.Formlaust

ENDALOK – Facebook

Solitvdo – Hierarkhes

DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica

Dopo l’ottimo esordio su lunga distanza con Immerso in Un Bosco di Querce, del 2014, il musicista sardo DM si ripresenta con un nuovo lavoro targato Solitvdo.

Hierarkhes, questo è il titolo, segna un ulteriore passo in avanti nel percorso musicale di questo progetto che prende le mosse dal black per contaminarlo con sonorità epiche e magniloquenti.
Rispetto al suo predecessore cambiano le tematiche trattate, sicché la poetica elegiaca di cui erano intrise le varie tracce di quel lavoro viene sacrificata a favore di testi inneggianti al valore e all’eroismo, con ampi riferimenti alla storia dell’antica Roma (anche se i testi, nonostante i titoli dei brani, sono integralmente in italiano).
Devo ammettere che per indole non sono un grande estimatore di questo tipo di scelte liriche, ma se il tutto viene inserito in un’opera dello spessore musicale di Hierarkhes, questo diviene un mero dettaglio: DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica, senza far ricorso a particolari virtuosismi, ma lasciando che soprattutto le tastiere si assumano l’onere di condurre il suono laddove egli predilige.
E’ anche vero che le tematiche spesso corrispondono all’umore dei brani, per cui Hierarkhes, Aristokratia e la notevole Fides, Pietas, Gravitas, Virtus spiccano appunto per la lor solennità, mentre il lato più meditabondo ed introspettivo trova il suo naturale sfogo nello strumentale Devotio – Marco Curzio e nella conclusiva Il Silenzio, che riporta i testi su un piano più filosofico-esistenziale, del tutto in sintonia con l’afflato melodico di una traccia invero magnifica.
Hierarkhes consolida così lo status del nome Solitvdo quale ennesima espressione di una scena black atmosferica che nel nostro paese sta offrendo diversi frutti prelibati.
L’album è disponibile sia in cd (Naturmacht Productions) che in musicassetta (Eremita Produzioni).

Tracklist:
1. Hierarkhes
2. Aristokratia
3. Devotio – Marco Curzio
4. Fides, pietas, gravitas, virtus
5. Il silenzio

Line-up:
DM All instruments, Vocals

SOLITVDO – Facebook

Khepra – Cosmology Divine

Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezza il symphonic death con sfumature folk orientali

Esordiscono per Rain Without End i turchi Khepra, intrigante realtà in grado di fondere umori mediterranei e mediorientali con il death sinfonico.

In effetti, i nostri fino a qualche tempo fa si chiamavano Gürz ed erano dediti ad una più canonica forma di folk metal: il salto di qualità stilistico li porta oggi scendere su un ipotetico stesso terreno degli attuali Septicflesh, ma questa è un’indicazione di massima, visto che in Cosmology Divine vi sono anche altre nobili sfumature.
Indubbiamente il trio di Istanbul prende ispirazione dal sound proveniente dalle sponde opposte dell’Egeo (Septicflesh, come detto, e Rotting Christ) ma anche da quelle del Mediterraneo sudorientale (Orphaned Land), innestandovi mirabilmente la proprie radici folk: il risultato è convincente sia quando attinge in maniera piuttosto scoperta all’operato della band dei fratelli Antoniou (We Are Descending, Obsession of the Mad, l’elaborata Cosmology Divine) sia quando spingono maggiormente sul versante black death (Ara Hasis, la magnifica Enki, Evil Incarnate).
L’interpretazione vocale di Dou Kalender è efferata il giusto e viene accompagnata da una prova di grande qualità da parte di una band di indiscusso spessore; non deve sminuirne l’operato, d’altro canto, il fatto che la commistione tra metal estremo, pulsioni sinfoniche e folklore mediorientale sia già stata introdotta in precedenza da altri: il sound dei Khepra è sufficientemente personale e ricco di inventiva e, tutto sommato, sembra a tratti persino più ispirato rispetto alle ultime uscite delle citate band di riferimento.
In buona sostanza, Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezzano di base queste particolari sonorità.

Tracklist:
1. Atra Hasis
2. Enki (Diaries of a Forgotten God)
3. Desolation
4. We are Descending
5. Obsession of the Mad
6. Steps of Immortality
7. Evil Incarnate
8. Into the Cosmic Disharmony
9. Cosmology Divine
10. Through the Cosmic Web of Voids

Line-up:
Kenan Turandar – Bass
Dou Kalender – Vocals, Guitars
Tolga Köker – Guitars
Erce Arslan – Drums

KHEPRA – Facebook

Moon – Render the Veils

Miasmi , vortici, uragani e vertigini possono sostenere a malapena un’isteria immaginifica in cui ottanta minuti vengono sostenuti a malapena.

Dopo la catastrofe rimane solo l’eco impronunciabile del dramma. Miasmyr Moon conferma il suo status, devoto al manifesto intitolato “Caduceus Chalice” firmato nel 2010 in Australia, terra nativa di credenze, rituali e fantasie bizzarre.

“Apparitions ” e “Blood”, in quanto ep, sono stati dei validi tentativi per creare le basi di un pavimento marcio e lercio, aggettivi che suonano bene come chiasmo per definire lo stile unico e riconoscibile !
Non ci sono paragoni che possano competere come esempi e per questo è ancora più godibile l’ascolto che ci riporta in un ossario, probabilmente, dopo un alluvione o uno smottamento. Render the Veils ha lo stesso schema del precedente disco,  unico nel suo genere e nella futura cronologia, ma con un’attenzione maggiore nel suono. A malapena si distingue cosa venga suonato (gli Abruptum nel 90 avevano suoni ben più definiti) e la lontananza sonora crea un effetto cosmico e interstellare riconducibile solo ad un viaggio catartico che l’anima compie al momento del decesso. Miasmi , vortici, uragani e vertigini possono sostenere a malapena un’isteria immaginifica in cui ottanta minuti vengono sostenuti a malapena. E non di certo perché sia mal suonato. Neptune Towers risulta addirittura più ostico, per cui i fan di Moon possono solo essere contenti del nuovo prodotto; i neofiti come me possono invece rimanere sbalorditi con una nuova scia da seguire per strade buie e desolate come pomeriggi soleggiati a 35° all’ombra. Undici tracce compatte, escatologiche e rinunciatarie possono fare da sottofondo per qualsiasi situazione, sembra cinico dire che in solitudine o in compagnia l’effetto è travolgente: non c’è bisogno di alcuna alterazione artificiale per sentire calare la notte o il giorno. Dipende da quale sia l’emisfero (o pianeta) in cui ci troviamo.

TRACKLIST
1. Immolation Euphoria
2. Modraniht
3. Oration as Vessel of the Void
4. Casting the Shadow
5. As Stars Merge with Ice
6. Souls Secreted in Transparent Cells
7. Tunnels of Lost Thoughts
8. Hanged at the Gates
9. Mirror of Black Souls
10. Corrosion Delirium
11. Cold Delusions

LINE-UP
Miasmyr Moon

MOON – Facebook

Ars Moriendi – Sepelitur Alleluia

Ars Moriendi è un black metal davvero differente, essendo il black solo un punto fermo di partenza, poiché qui dentro troviamo tantissimo, soprattutto una trama compositiva molto vicina al jazz.

Nel medioevo, non quello che stiamo vivendo ma l’altro, quello migliore, e fino al diciassettesimo secolo, la sera della Septuagesima, ovvero la settantesima sera prima della pasqua cristiana, il coro della chiesa seppelliva simbolicamente l’Alleluia durante un funerale simbolico.

Ciò perché l’Alleluia nella liturgia cristiana rappresenta la gioia, per cui il suo seppellimento indicava l’inizio di un duro periodo di meditazione e di pentimento, dove non vi era spazio per gioia e felicità, il tutto nel più pieno spirito medioevale.
Come si poteva esprimere questi sentimenti se non con del black metal, come quello di Arsonist, l’uomo dietro a Ars Moriendi? Questo disco è costruito intorno ad un accadimento liturgico, per espandersi come il ghiaccio nelle fredde notti d’inverno. Il seppellimento dell’Alleluia è il preteso per ricercare con un atmospheric black all’interno dell’animo medioevale la ragione per questa lunga penitenza, indagano un volta di più il nostro male oscuro, che è peggiorato da quando c’è il cristianesimo. Ars Moriendi è poi un black metal davvero differente, essendo il black solo un punto fermo di partenza, poiché qui dentro troviamo tantissimo, soprattutto una trama compositiva molto vicina al jazz. Grazie a tutti questi elementi il disco funziona benissimo, ed è un notevole documento sonoro, una dimostrazione che con il black si possono fare grandi cose, poiché riesce a descrivere benissimo alcuni stati d’animo che si legano chimicamente alle ombre, che sono dentro e fuori di noi. Il mondo di Ars Moriendi è perduto per la maggior parte degli umani, ma chi ascolterà questo disco con uno certo spirito, ritroverà molte cose importanti. Il metal viene percorso per gran parte, con alcuni riff che ci riportano al vero metal anni ottanta, per poi arrivare addirittura ad inserti trip hop. Varietà ma non confusione, ed una grande forza compositiva per un album molto bello, moderno ma antico nello stesso tempo.

TRACKLIST
01. Sepeliture
02. Ecce homo
03. A La Vermine
04. Je Vois Des Mortes
05. Fleau Francais

ARS MORIENDI – Facebook

Nox Formulae – The Hidden Paths to Black Ecstasy

The Hidden Paths to Black Ecstasy si snoda tra parti più riuscite ed atmosferiche ed altre in cui la parte black avrebbe bisogno di una spinta maggiore e di un lavoro più certosino in sala d’incisione.

The Hidden Paths To Black Ecstasy è il debutto dei Nox Formulae, black metal band greca dal concept esoterico e magico.

Il nome del gruppo si ispira d una formula di magia nera, il gruppo si presenta come una setta esoterica dalle connotazioni luciferine e la musica proposta richiama non poco un’aura messianica, una lunga liturgia satanica pregna di atmosfere oscure e diaboliche.
Il quintetto proveniente da Atene si poggia su una base estrema dalle connotazioni black ispirate alla scena mediterranea: atmosfere magiche ed evocative, il sound non si spinge mai verso l’estremismo musicale del genere, anche se le ritmiche mantengono a tratti una relativa velocità, ma punta tutto su sfumature dark metal, impregnando il sound di un’oscurantismo sonoro black/doom.
Tre voci, tra cui lo scream ed un recitato messianico, ci conducono davanti all’altare ricoperto da un drappo nero dove si consuma la cerimonia in nome di Lucifero; il black metal atmosferico del combo riesce a tratti a coinvolgere, ma sono le parti metalliche che fanno perdere punti all’opera, specialmente quelle più estreme mal supportate da una produzione scadente.
I Nox Formulae danno il meglio quando rallentano le operazioni per convogliare la propria musica in una terrificante lode al maligno, così che l’album può regalare attimi di raggelante musica nera e d evocativa.
Hidden Clan NXN, divisa in due parti, risulta il brano più coinvolgente, valorizzato da un riff ripetuto e drammatico, una cavalcata oscura che mantiene alta la tensione e su cui il recitato diabolico ha una presa pazzesca sull’ascoltatore.
Luci ed ombre per questo esordio, The Hidden Paths to Black Ecstasy si snoda tra parti più riuscite ed atmosferiche ed altre in cui la parte black avrebbe bisogno di una spinta maggiore e di un lavoro più certosino in sala d’incisione.
Non manca certo la convinzione e la band risulta credibile, specialmente nel concept che si porta dietro, perciò se siete affascinati dal mondo oscuro ed esoterico della musica estrema, l’album potrebbe essere di vostro gradimento.

TRACKLIST
1. NOXON
2. The Shadow Smoke
3. Nahemoth Death Plane
4. Voudon Lwa Legba
5. The Dark Brother
6. Yezidic NOX Formula
7. O.D. Dominion
8. Hidden Clan NXN – Pt a. Eleven Rays of Sorat, Pt b. Black Magic Assault
9. XONOX

LINE-UP
Wolfsbane 1.1: Guitars
Monkshood 333: Voice
Nightshade: Voice
Kurgasiaz: Voice
Mezkal: Drums

NOX FORMULAE – Facebook

Pénitence Onirique – V​.​I​.​T​.​R​.​I​.​O​.​L.

Un’opera affascinante, pregna di mistero, glaciale e terrorizzante, magari bisognosa di qualche ascolto in più per essere metabolizzata

Nuova proposta estrema per la label transalpina Les Acteurs de l’Ombre Productions, specializzata nel metal estremo ed in particolare in tutte le sfumature che riguardano le sonorità black.

La peculiarità dell’etichetta francese è quella di proporre band dall’alto tasso artistico, concettualmente mature e quasi tutte molto originali.
Pénitence Onirique è una one man band, con il polistrumentista Bellovesos che licenzia questo primo lavoro, un ep che va oltre i quaranta minuti di durata, dalle trame esoteriche, prodotto molto bene e dalle atmosfere oscure e magiche.
Aiutato dal singer ed autore delle liriche Diviciacos, il musicista ci prende per mano e ci accompagna nel magico ed oscuro mondo dell’esoterismo e dell’alchimia; il sound, specialmente nella prima parte non lascia dubbi sulla proposta estrema del gruppo che, pur giocando con atmosfere ancestrali non lascia indietro la componente metallica, sugli scudi con un crescendo di tensione altissima e parti black terrificanti.
Con l’opener L’âme sur les pavés si entra così in un mondo parallelo, dal tema trattato ci si aspetterebbero molte parti atmosferiche, invece la band sceglie l’impatto furibondo del black tout court, valorizzato si da tastiere e qualche rallentamento, ma con la parte estrema sempre a comandare le operazioni.
Ottimo lo scream gelido e tetro come un’urlo dall’oltretomba ed eleganti sono i cambi di ritmo, tra mid tempo ed improvvise accelerazioni.
Cinque tracce tutte superiori agli otto minuti, con la title track e la conclusiva, devastante Carapace de fantasme vide che con l’opener alzano il livello di quest’opera oscura e magniloquente, terribile nel presentare il mondo dell’alchimia e dell’esoterismo in maniera brutale, senz’altro meno poetica del previsto.
Sul fronte musicale, personalmente mi hanno ricordato gli Emperor di Anthems To The Welkin at Dusk e gli Arcturus meno progressivi, ma la forte personalità del duo fa in modo che la musica creata si ritagli uno spazio tutto suo nel folto panorama della musica estrema di ispirazione black.
V.I.T.R.I.O.L. risulta un’opera affascinante, pregna di mistero, glaciale e terrorizzante, magari bisognosa di qualche ascolto in più per essere metabolizzata, ma assolutamente meritevole d’attenzione, specialmente per i fans del black metal più colto.

TRACKLIST
1. L’âme sur les pavés
2. Le soufre
3. Le sel
4. V.I.T.R.I.O.L
5. Carapace de fantasme vide

LINE-UP
Bellovesos – All Instruments
Diviciacos – Vocals

PENITENCE ONIRIQUE – Facebook

Minenwerfer / 1914 – Ich Hatt Einen Kameraden

Uno split unico e magnifico, che raggiunge perfettamente lo scopo che si era preposto, quello di ricordare quei caduti, persone prima vive e con una storia, amori ed errori, ora solo un fiore in un campo lontano.

Concept split tra due grandi gruppi, per una pubblicazione di altissimo valore.

Il disco è un concept album sulla prima guerra mondiale, focalizzato sugli stati d’animo e le durissime situazione che hanno dovuto affrontare i soldati di entrambi gli schieramenti. A prima vista questo split potrebbe sembrare politicizzato, ma non lo è affatto, anzi ha un valore documentale molto alto. La musica di questi due gruppi ci porta con il cuore prima e con il cervello poi sul campo di battaglia, e possiamo vedere i soldati vivere, ma soprattutto morire, cadere come mosche in un’immensa carneficina, dono degli umani al nero signore. I due gruppi protagonisti dello split vengono da due paesi che erano su opposti schieramenti durante la Prima Guerra Mondiale, i Minenwerfer vengono dal nuovo mondo, più precisamente da Sacramento, California, mentre i 1914 sono ucraini di L’Viv. I Minenwerfen, che era il nome di un mortaio a corta gittata che montava proiettili da 7,58, molto usato dall’esercito tedesco, poiché serviva a bombardare piccole fortificazione e trincee, come quel mortaio aggrediscono con il loro war black metal, devoto al classic black, ma con grandi inserti delle nuove tendenze, ed il tutto è molto distruttivo e potente, perfettamente inquadrato nel quadro del concept album.
La seconda parte dello split vede gli ucraini 1914 compiere un gran lavoro di documentazione storica e sonora, proponendo un suono industrial black, al quale questa definizione sta davvero stretta. Il loro incedere è davvero estremo ed unico, poiché fondono insieme diverse istanze, dal death al black ed un tocco industrial, come nel pezzo Gas Mask, dove la claustrofobia raggiunge davvero livelli estremi, e fa persino capolino l’ 8 bit, dando un grandissimo valore aggiunto al disco.
Uno split unico e magnifico, che raggiunge perfettamente lo scopo che si era preposto, quello di ricordare quei caduti, persone prima vive e con una storia, amori ed errori, ora solo un fiore in un campo lontano. Ed il black metal continua ad essere una guerra.

TRACKLIST
1.Minenwerfer – First Battle of the Masurian Lakes
2.Minenwerfer- Battle of Bolimów (Weisskreuz)
3.Minenwerfer – Iron Cross (Ostfront 1915 Version)
4.Minenwerfer – Second Battle of the Masurian Lakes
5.1914 – An Meine Völker!
6.1914 – Karpathenschlacht (Dezember 1914 – März 1915)
7.1914 – 8 × 50 mm. Repetiergewehr M.95
8.1914 – Gas mask (Eastern front rmx)

ARCHAIC SOUND – Facebook

Wrekmeister Harmonies – Light Falls

Il prodigio del giorno che diventa notte, in un dolce scomparire della luce, e poi tutto nero, terribile eppure bellissimo. Come la musica dei Wrekmeister Harmonies.

Una lenta, graduale caduta di ogni cellula e fibra del nostro corpo in un buio dominato dalla caduta della luce. La luce in alcuni casi cade, e la musica può descrivere benissimo il senso della perdita di ciò che per noi è il bene più prezioso : la luce.

Torna uno dei migliori collettivi musicali della terra, i Wrekmeister Harmonies, ora in formazione sicuramente più minimale rispetto al passato, anche perché nei dischi precedenti transitano ivi una trentina di musicisti per volta, e che musicisti, il meglio dell’avanguardia. I Wrekmeister Harmonies sono un gruppo speciale, un unicum nella musica, e con questo disco lo dimostrano ampiamente. Fondati dal visionario J R Robinson nel 2006, hanno subito mostrato un qualcosa di decisamente diverso rispetto a tutti gli altri gruppi. Dopo il successo dell’ultimo album Night Of Your Ascension, JR ha sentito il bisogno di cambiare stile compositivo ed obiettivi. Il titolo prende spunto da romanzo di Primo Levi, Se Questo è un Uomo, scritto sulla sua esperienza ad Auschwitz. Levi, morto suicida nella sua Torino, tratta soprattutto dell’idea che l’uomo diventa inumano quando tutti accettano questo cambio senza remore, e quindi anche imprigionare un uomo per la sua razza diviene normale. Parole che suonano quanto mai attuali. La musica dei Wrekmeinster Harmonies è puro rumore che genera poesia, è poderosa, delicata, coccola e colpisce al volto, senza soluzione di continuità. Si spazia in molti generi, dal post rock, al post metal, dalla new wave al drone, sempre su livelli altissimi. Tutto qui ha un significato ben preciso, e sembra di sentire una sezione poetica dei Neurosis, giusto per far capire da che parte si potrebbe andare. Light Falls è una connessione tra noi stessi e una strana forza eterea che attraversa il mondo e ci fa mutare, girare e vivere. Questo gruppo è un’entità in continuo movimento, una dolce mutazione, un cullarsi mentre tutto intorno diviene buio. E infatti il prodigio del giorno che diventa notte, in un dolce scomparire della luce, e poi tutto nero, terribile eppure bellissimo. Come la musica dei Wrekmeister Harmonies.
“ Stay In, Go Out, Get Sick, Get Well, Light Falls”.

TRACKLIST
1.Light Falls I – The Mantra
2.Light Falls II – The Light Burns Us All
3.Light Falls III – Light Sick
4.The Gathering
5.Where Have You Been My Lovely Son?
6.Some Were Saved Some Drowned
7.My Lovely Son Reprise

WREKMEISTER HARMONIES – Facebook

SwampCult – The Festival

Un tuffo nell’abisso estremo dove l’oscurità regna sovrana dall’inizio dei tempi

Un altro centro per l’ormai lanciatissima label Transcending Obscurity, che si assicura le creazioni musicali del duo estremo olandese Swampcult, combo dal concept Lovecraftiano e devoto al mito di Cthulhu.

The Festival è il loro secondo lavoro in tre anni di attività, opera che segue il primo vagito An Idol Carved of Flesh uscito due anni fa.
La band è composta da due misteriosi musicisti: A (batteria, voce e flauto) e D (chitarra, basso, piano e organo).
Musicalmente parlando The Festival si sviluppa in otto movimenti (più l’epilogo) che svariano tra il black atmosferico ed il doom, lenti andamenti dove si raccontano le vicende legate alle opere dello scrittore statunitense.
I tempi si mantengono cadenzati, l’album è interpretato più che cantato, tra narrazione e scream black ad aiutare l’atmosfera fantasy/horror che il duo crea con buon talento per sonorità davvero inquitanti.
Per gli amanti del genere l’album non manca di offrire buoni spunti con le parti doom che conferiscono al sound un’aura funerea e di autentico terrore, potenziate da chitarre sature di watt e con in sottofondo rumori di caverne dimenticate dal mondo, dove l’orrore trova la sua massima espressione.
La durata (una quarantina di minuti) facilita non poco l’ascolto per intero di The Festival, che ad un primo passaggio riesce a conquistare con una serie di brani estremi ma molto coinvolgenti.
The Festival rimane un’opera Black/Doom da ascoltare senza interruzioni per riuscire a non perdere la concentrazione sulle orrorifiche atmosfere che il duo imprime ai brani, un tuffo nell’abisso estremo dove l’oscurità regna sovrana dall’inizio dei tempi.

TRACKLIST
1. Chapter I – The Village
2. Chapter II – The Old Man
3. Chapter III – Al-Azif Necronomicon
4. Chapter IV – Procession
5. Chapter V – The Rite
6. Chapter VI – The Flight
7. Chapter VII – The Dawning
8. Chapter VIII – The Madness
9. IX – Epilogue – Betwixt Dream and Insanity

LINE-UP
A – Drums, Vocals, Flutes
D – Guitars, Bass, Piano, Organ, Narration

SWAMPCULT – Facebook

Wormreich / Diabolus Amator / Gravespawn / Vesterian – Infirmos Vocat Deus Fidei

Uno split con alti e bassi, ad uso e consumo degli amanti del true black metal, questo Infirmos Vocat Deus Fidei

La Symbol Of Domination, in collaborazione con Black Plague Records, ci presenta con questo split ben quattro realtà statunitensi votate al verbo maligno del black metal.

Nel più puro spirito raw ed underground, i quattro gruppi che si alternano in questa compilation mostrano il lato più distruttivo ed evil della musica satanica per antonomasia, proposte che potrebbero incuriosire i black metallers dai gusti old school (se mi fate passare il termine anche in questo genere), tradotto senza troppi fronzoli, tanta cattiveria e atmosfera da tregenda infernale.
I primi tre brani ci presentano il raw black metal del quartetto dell’Alabama Wormreich, nato nel 2009, con un full length all’attivo (Edictvm DCLXVI) ed un ep uscito un paio di anni fa (Wormcult Revelations).
Dimenticatevi l’Alabama dello storico brano dei Lynyrd Skynyrd, qui si fa black metal terremotante, fortemente influenzato dal satanismo tout court, richiamando le true black metal band dei primi anni novanta che facevano danni nel Nord Europa.
Peccato per la pessima produzione, magari anche voluta per aumentare l’aura underground e malefica che si aggira terribile tra i solchi delle songs, ma questi tre brani raggiungono con fatica la sufficienza e il gruppo viene rimandato alla prossima release.
Le cose non cambiano con la one man band Diabolus Amator, progetto del polistrumentista texano Matt Taylor, già in pista con due full length negli ultimi due anni (The Dawn of a New Flame e Despotic Conjuring of the Soulless); i tre brani presentati hanno dalla loro uno spirito brutal/grind inserito in un contesto black metal che fanno del sound un massacro senza soluzione di continuità, specialmente nella turbinosa e marcia Ravenous Fog of Winds.
La parte ritmica risulta un bombardamento brutale, le vocals si muovono tra lo scream e il growl di derivazione grindcore, il suono è poco valorizzato da una produzione sporca, ma non difetta certo di attitudine satanista ed anticristiana.
Arrivano i californiani Gravespawn e le cose migliorano di netto: ormai da considerarsi quasi un veteranoa della scena estrema dai rimandi black d’oltreoceano, il terzetto della città degli angeli propone un black metal oscuro ed epico, abbastanza vario da passare tra mid tempo epici e guerreschi a sfuriate di metallo nero come la pece.
Fondato nel 2004, il gruppo ha un full length all’attivo (Woe to the Conquered del 2012) ed una manciata di lavori minori.
Il sound porta con se quel tocco di pagan metal alla Bathory che dona un’aura mitologica ed epica alla musica del gruppo, con due brani che alzano la media di questo split più la versione live di A Red Moon Rises over Transylvania e bastano per promuovere la band incoronandola come la migliore dello split.
E siamo ai Vesterian altro storico gruppo americano, nato nel 1997 in North Carolina e trasferitosi successivamente in California,  con un full length all’attivo licenziato un paio di anni fa (Anthems for the Coming War Age) e poi una serie infinita di demo e lavori minori a comporre la loro discografia.
Il loro black metal d’ordinanza, sufficientemente supportato da una produzione accettabile e foriero di crudeltà e blasfemie varie, è valorizzato da buone trame chitarristiche.
Devoto alla scena svedese si riempie di spunti melodici nei solos che squarciano le tempeste ritmiche di cui sono pregne Black Metal Murder e Unseen Hordes Behind the Deafening Storms, song all’altezza della situazione.
Uno split con alti e bassi, ad uso e consumo degli amanti del true black metal, questo Infirmos Vocat Deus Fidei, ma se siete ingordi divoratori del genere dategli un ascolto, potrebbe riservarvi un paio di gradite sorprese.

TRACKLIST
1. Wormreich – Feeding the Ouroboros
2. Wormreich – To Render the Right Hand
3. Wormreich – Terra Mortuorum (Call of Nvathron)
4. Diabolus Amator – Sanity and Her Daggers Return
5. Diabolus Amator – Ravenous Fog of Winds
6. Diabolus Amator – Pregnant Virgin Whore
7. Gravespawn – Vae Victus
8. Gravespawn – Beneath the Shadowed Past
9. Gravespawn – A Red Moon Rises over Transylvania (live)
10. Vesterian – Black Metal Murder
11. Vesterian – Crushing the Mandate of God
12. Vesterian – Unseen Hordes Behind the Deafening Storms

LINE-UP
Wormreich:
Vulk – Guitars, Vocals, Bass
Profana – Drums, Percussion
Wyvern – Guitars
Tezrian – Bass
Thorgrin – Guitars

Diabolus Amator:
Matt Taylor – All instruments, Vocals

Gravespawn:
Reaver – Keyboards, Vocals, Guitars
Advorsus – Drum programming, Bass
Verigo – Bass,Guitars

Vesterian:
Hellcaster – Bass
Malevolus – Guitars
Pandemonic – Guitars
Azaghal – Guitars
Verigo – Vocals, Guitars
Abraxas – Drums
Melkrath – Drums

WORMREICH – Facebook

DIABOLUS AMATOR – Facebook

GRAVESPAWN – Facebook

VESTERIAN – Facebook