In The Woods… – Pure

Gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più.

A metà degli anni ’90, nel pieno dell’ondata black che arrivò a stravolgere buone e cattive abitudini del metal estremo, apparvero più o meno dal nulla gli In The Woods…, band che dal genere prendeva certamente le mosse per spingersi senza porsi troppi limiti verso orizzonti psichedelico progressivi che, solo in seguito, troveranno un certo successo grazie a nomi quali Arcturus, Ulver e Solefald.

Heart Of The Ages (1995) e il successivo Omnio (1997) furono dei veri fulmini a ciel sereno che arrivavano a dimostrare quanto quella genia di musicisti non fosse in grado di farsi notare solo per un’urgenza espressiva selvaggia, che spesso trovava sfogo anche al di fuori del campo artistico, ma avesse in nuce le stimmate di un talento e di un potenziale innovativo che sarebbe emerso negli anni a venire.
Un meno brillante Strange in Stereo, nel 1999, pareva aver segnato la fine di usa storia trascinatasi fino all’uscita del live del 2003, andando a collocare gli In The Woods… nell’affollato novero delle band di culto, quelle capaci di restare impresse nell’immaginario degli ascoltatori pur avendo dato il meglio in una manciata di dischi racchiusa in un breve spazio temporale.
E invece, neppure gli In The Woods… si sottraggono alla tentazione della reunion, che vede alle prese tutti e tre i fondatori (i fratelli Botteri e Anders Kobro) raggiunti dal muscista inglese James Fogarty alias Mr.Fog.
Veniamo al dunque, quindi, parlando del nuovo album intitolato Pure: l’ispirazione pare non essere stata annacquata dal trascorrere del tempo, ma appare evidente quanto questo lavoro sia in qualche modo più fruibile rispetto ai capolavori di metà anni ’90, pur mantenendo intatta l’attitudine avanguardista della band norvegese.
Non che questo sia un male, chiariamolo: Pure è davvero un bellissimo disco, che in oltre un’ora di durata va a lambire tutte le sfumature sonore alle quali i nostri ci avevano abituato ma, tenendo conto dell’evaporazione dell’effetto sorpresa che esaltava i contenuti di Heart Of The Ages ed Omnio, va letto in un’ottica diversa rispetto al passato.
L’errore più grande che può commettere chi ha amato quei lavori è attendersi da questa nuova uscita, targata Debemur Morti, qualcosa di simile per freschezza e potenziale innovativo: gli In The Woods…, contrariamente alle attese, vanno molto più diretti alla ricerca dell’obiettivo, raggiungendolo tramite brani intrisi di splendide melodie, alternate a qualche robusta accelerazione che non va però ad incrinare un substrato fondamentalmente progressive, al quale il retaggio black dona quel velo di oscurità e malinconia che rende magnifica più di una traccia.
Emblematica sicuramente la trascinante title track, posta in apertura, che trova subito un suo possibile contraltare nella cupezza della successiva Blue Oceans Rise; i rallentamenti ai confini del doom di The Recalcitrant Protagonist e l’intensità di Cult Of Shining Stars sono anch’essi segni indelebili di una classe che non è andata perduta ma, se persistessero ancora dei dubbi, i venticinque minuti conclusivi rimarcano quanto questa band alla fin fine ci sia mancata, perché le splendide e suadenti atmosfere del lungo strumentale Transmission KRS ed il crescendo evocativo di This Dark Dream e Mystery Of The Constellations non sono un qualcosa che possa uscire dalla penna di musicisti appena nella media.
Siamo nel 2016, gli In The Woods… sono nuovamente tra noi, differenti forse, ma sempre capaci di esprimersi ad un livello qualitativo sconosciuto ai più. Bentornati.

Tracklist:
1.Pure
2.Blue Oceans Rise (Like A War)
3.Devil’s At The Door
4.The Recalcitrant Protagonist
5.The Cave Of Dreams
6.Cult Of Shining Stars
7.Towards The Black Surreal
8.Transmission KRS
9.This Dark Dream
10.Mystery Of The Constellations

Line-up:
James Fogarty – Vocals, Guitars and Keys
X-Botteri – Guitars
C:M Botteri – Bass
Anders Kobro – Drums

IN THE WOODS… – Facebook

Mercyless – Pathetic Divinity

Pathetic Divinity ci assale senza soluzione di continuità con la sua carica estrema, ben dosata tra rallentamenti ed accelerazioni terrificanti

Gli anni novanta sono stati per il death metal quello che il decennio precedente fu per l’heavy classico, un brulicare di realtà nelle varie scene sparse per il mondo, ed una sequela di album divenuti storici e che hanno contribuito in modo esponenziale allo sviluppo ed al successo del genere.

Erano anni in cui la disfida tra la tradizione scandinava e quella americana era intervallata realtà provenienti da altre terre, ma non meno importanti.
In Europa, oltre alla Germania, il Regno Unito e l’Olanda, nei paesi con meno tradizione metallica non erano poche comunque le band che a modo loro e con i pochi mezzi a disposizione portavano avanti a suon di bombardamenti musicali la cultura estrema di stampo death.
In Francia, una delle più importanti erano sicuramente i Mercyless, attivi già sul finire degli anni ottanta e che nel 1992 diedero alle stampe Abject Offerings, esordio diventato un cult tra gli appassionati.
Altri tre album fino al 2000 e poi un lungo stop durato tredici anni, hanno caratterizzato la storia del gruppo transalpino, fino al 2013 e a Unholy Black Splendor, che ne suggellava il ritorno.
Pathetic Divinity conferma la nuova verve compositiva del combo che, dopo appena tre anni, uno split con i connazionali Crusher (le tracce sono inserite nell’album come bonus), ed un live album, ritorna per Kaotoxin e riprende le ostilità.
Una band dal sound europeo, confermato anche da questo devastante lavoro, pregno di quella natura colma di odio contro un sistema politico religioso ormai obsoleto e sonorità che rientrano tranquillamente nel calderone dei gruppi death metal classici o, come va di moda oggi, definibili in old school.
D’altronde stiamo parlando di un gruppo storico, la musica prodotta è riconducibile a molte delle band in attività da più di vent’anni, non ispirazioni od influenze ma un ottimo esempio di quello che sa dare il death metal classico suonato da chi ha le carte in regola per farlo.
Dal primo all’ultimo minuto Pathetic Divinity ci assale senza soluzione di continuità con la sua carica estrema, ben dosata tra rallentamenti ed accelerazioni terrificanti, buoni cambi di tempo che variano le soluzioni compositive quel tanto che basta e potenziato da un impatto notevole.
Il gruppo suona sostenuto dalla molta esperienza ma con l’entusiasmo di una giovane band e la title track, My Name Is Legion e Christianist soprattutto ne trovano giovamento.
Per i troppo giovani o i distratti il sound della band trova le sue origini tra i solchi di album immortali per il genere scritti a suo tempo dai Grave, Asphyx, Obituary e compagnia cimiteriale, quindi assolutamente da avere se siete deathsters incalliti.

TRACKLIST
1. Blood of Lambs
2. Pathetic Divinity
3. A Representation of Darkness
4. My Name Is Legion
5. Exhort the Heretic
6. Left to Rot
7. Eucharistic Adoration
8. Christianist
9. How Deep Is Your Hate?
10. Liturgiae
11. Bless Me Father [“Blast from the Past” split 2015]
12. Probably Impure [“Blast from the Past” split 2015]
13. Eucharistic Adoration [“Blast from the Past” split 2015]

LINE-UP
Max Otero – Vocals, Guitars
Matthieu Merklen – Bass
Laurent Michalak – Drums
Gautier Merklen – Guitars

MERCYLESS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=2dIlvem6xIM

Verberis – Vexamen

Dieci canzoni che ci riportano all’essenza del death metal, e ci fanno conoscere un gruppo notevole.

Continua dagli antipodi una rumorosa invasione metallica.

Questa volta è il turno dei Verberis, gruppo dedito ad un death metal grezzo e potente che vi perseguiterà senza tregua. Nel 2014 hanno esordito su Iron Bonehaed con il demo Vastitas, che era già pieno delle loro intenzioni,m ovvero, quella di fare un death metal semplice e classico, potente senza avere sovra produzioni. Le loro canzoni sono dinamiche come un vortice di anime perdute, con momenti mid tempo che rendono migliore il tutto. Oltre a seguire i dettami del death metal classico i neozelandesi sono molto bravi sopratutto nel creare un atmosfera che raramente si può ascoltare nei dischi attuali. Con poco i Verberis riescono a fare moltissimo, producendo un album notevole, sia per intensità che per resa. Si sente molto nitidamente che i Verberis hanno fra loro una grande alchimia, che li porta a fare un ottimo death metal. Quest’ultimo è un genere che ha già visto quasi tutto, e che piace così come è, e i Verberis dimostrano che ci sono gruppi validi, che portano avanti il discorso. Il death metal inoltre è un genere che non conoscendo mode, si auto riproduce continuando a fare rumore col passare degli anni. Dieci canzoni che ci riportano all’essenza del death metal, e ci fanno conoscere un gruppo notevole.

TRACKLIST
1.Thanatosia”
2.The Primordial Rift”
3.Vexamen”
4.Protogonos”
5.Charnel Vibrations”
6.Flagellum de Igne”
7.The Gaping Hollow Of Divinity”
8.Fangs Of Pazuzu”
9.Vereri”
10. Voidwards”

VERBERIS – Facebook

Rudra – Enemy Of Duality

Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dai paesi del sudest asiatico.

Grazie al lavoro dell’instancabile Kunal Choksi e della sua Transcending Obscurity, in questi ultimi anni si è squarciato il velo che teneva in qualche modo nascosto il movimento metal del sudest asiatico, rivelando al mondo l’esistenza di band che dimostrano un’urgenza compositiva ed una freschezza spesso sconosciuta a quelle provenienti dai continenti ove, tradizionalmente, il genere ha sempre avuto la sua dimora.

Quindi può capitare persino che una band come i singaporiani Rudra appaia come una sorta di novità quando, in realtà, la sua genesi risale a circa un ventennio fa e la sua discografia è costellata di una serie di album di livello eccezionale.
Enemy Of Duality è addirittura l’ottavo full length (ma il primo per la label indiana) del gruppo che prende il suo nome dal pantheon vedico: è curioso, ma non del tutto sorprendente, il fatto che nella stessa scuderia stia chi avversa la religione (soprattutto quella induista) in ogni sua forma (Heathen Beast) e chi, al contrario, erge il proprio Vedic Metal come vessillo (Rudra).
Ma in fondo, a ben vedere, trattasi solo di facce diverse della stessa medaglia, in quanto entrambe le band utilizzano una forma di metal estremo, resa in maniera entusiasmante e contaminata fortemente dalla musica tradizionale della loro area geografica, per veicolare la propria personale visione sociale e filosofica.
Parlando dei Rudra, si capisce subito d’essere al cospetto di un combo composto da musicisti esperti e dotati di una tecnica ben superiore alla media, il che consente loro di districarsi mirabilmente tra sfuriate di stampo black death e sonorità etniche, per lo più inserite all’interno delle intricate partiture estreme e non un corpo estraneo ad esse .
Un tentacolare Shiva alla batteria (sopraffino quando maneggia le percussioni etniche) è l’autentico motore che rende inarrestabile la marcia dei Rudra: otto brani in cui l’intensità pare non calare mai, anzi semmai la sensazione è quella di un costante crescendo visto che la traccia migliore, a mio avviso, è addirittura quella conclusiva, una Ancient Fourth che si rivela quale ideale chiave di lettura del modus operandi perseguito in Enemy Of Duality.
Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dall’India e dai paesi del sudest asiatico.

Tracklist:
1. Abating the Firebrand
2. Slay the Demons of Duality
3. Perception Apparent
4. Acosmic Self
5. Root of Misapprehension
6. Seer of All
7. Hermit in Nididhyasana
8. Ancient Fourth

Line-up:
Shiva – Drums
Kathir – Vocals, Bass
Vinod – Guitars
Simon – Guitars

RUDRA – Facebook

Pentarium – Schwarzmaler

Un album che non lascia dubbi sul valore del gruppo tedesco, un ascolto piacevole per i fans del death metal più melodico

Con i tedeschi Pentarium ci aggiriamo nei meandri del death metal melodico, dalle buone melodie melanconiche che rendono l’atmosfera del sound gotica e dai rimandi dark.

Il gruppo non manca di irrobustire la propria proposta con sfuriate dal mood black e tanto melodic death metal che richiama la tradizione scandinava.
La band nasce una decina di anni fa, alle spalle ha un ep uscito nel 2009, ed un primo full length (Blood For Blood) targato 2012 ed uscito come autoproduzione.
Quest’anno tocca a Schwarzmaler, licenziato dalla Boersma Records, un album che troverà terreno fertile tra gli amanti del death più melodico ed atmosferico.
Il sound guidato dalle tastiere sempre in evidenza non manca di cavalcate estreme valorizzate da un ottimo lavoro delle sei corde, ma come espresso in precedenza sono i tasti d’avorio che hanno il maggior peso sul songwriting, elargendo orchestrazioni gothic e mantenendo il sound estremamente melodico.
Ottimo lo scream che a tratti si trasforma in un growl profondo, così che Schwarzmaler può essere considerato un lavoro riuscito.
Children Of Bodom, nelle veloci parti metalliche tecnicamente ben eseguite, un tocco di Dark Tranquillity ed In Flames e, con l’aggiunta di molta melodia dark/gotica, il gioco è fatto; Vanitas e l’ottima title track che sembra scritta in riva al famigerato lago finlandese, sono le tracce più convincenti di un lavoro discreto, buono in quanto ad appeal melodico, accompagnato da una verve estrema che riconduce senza indugi sui sentieri tracciati dalla band di Alexi Laiho.
Un album che non lascia dubbi sul valore del gruppo tedesco, un ascolto piacevole per i fans del death metal più melodico ed una buona uscita targata Boersma Records: di questi tempi ci si può senz’altro accontentare, consigliato.

TRACKLIST
1. Kronzeuge
2. Vanitas
3. Seelenheil
4. Auf schwarzen Schwingen
5. Nimmermehr
6. Totendämmerung
7. Macht durch Angst
8. Gevatter Tod
9. Am Waldesrand
10. Drachenstein
11. Weltenbrand
12. Schwarzmaler

LINE-UP
Carsten Linhs – Vocals
Hendrik Voss – Guitar
Florian Jahn – Guitar
Fabian Laurentzsch – Bass guitar
Philip Burkhard – Keyboards / Synthesizer
Max Peev – Drums

PENTARIUM – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=EiQuLsxCIW0

Cancer Spreading – Ghastly Visions

Non adatto per i deboli di cuore e per chi cerca soluzioni melodiche anche nel metal estremo

Il death metal nell’underground nazionale è ben radicato, dalla Sicilia all’Alto Adige abominevoli creature estreme escono dalla putrida terra per portare il loro messaggio di nichilismo e morte: brutal, grind e death metal si nutrono di queste realtà dall’alto potenziale distruttivo ma non solo.

Negli ultimi anni la qualità delle proposte nel genere si è alzata notevolmente, a dispetto di un mercato inflazionato da decine di uscite discografiche, mantenendo alta l’attenzione degli addetti ai lavori.
Dal più profondo abisso dell’underground estremo tornano i modenesi Cancer Spreading con il loro nuovo lavoro licenziato in edizione limitata in vinile, secondo full length che segue The Age Of Desolation del 2011.
Un death metal terrificante, un assalto sonoro senza pietà ed un odio per il genere umano che si amplifica in queste dieci tracce nichiliste e pregne di violenza crust, un metal soffocante e atroce, un impatto sull’ascoltatore destabilizzante e senza soluzione di continuità.
Ghastly Visions si potrebbe definire un’opera old school, ed in effetti produzione e richiami più o meno espliciti a Obituary, Asphyx e compagnia di serial killer portano dritti verso il ritorno del sound classico, ma il gruppo non si ferma ad un recupero di queste sonorità e le estremizza con dosi di crust ed un impatto hardcore nascosto da una soffocante atmosfera mortifera.
Cavalcate spaventose sostenute da una sezione ritmica da tregenda, frenate dove le sei corde creano muri di suoni lenti e lavici, oscuri e pesanti, mentre un growl bestiale vomita disprezzo: un tuffo nel marcio e putrido mondo visto dalla parte dei Cancer Spreading, una macchina da guerra devastante che ha pochi rivali in impatto ed attitudine.
Non adatto per i deboli di cuore e per chi cerca soluzioni melodiche anche nel metal estremo, Ghastly Visions travolge come un vento atomico e di voi non rimarrà che l’ombra disegnata su un muro.

TRACKLIST
1. Blood-soaked Ocean of Isolation
2. Ghastly Visions
3. Oppressive Negativity
4. Putrid Angel
5. The Day I Dreamt a Nightmare
6. The Hanged Corpse
7. Fragments of Filth
8. Sinners Shall Weep
9. Psychosomatic Nausea
10. Cloaked In Nothingness

LINE-UP
Otta – Drums
Jacopo – Guitars
Merlo – Guitars
Gabri – Vocals
Matteino – Bass

CANCER SPREADING – Facebook

Khepra – Cosmology Divine

Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezza il symphonic death con sfumature folk orientali

Esordiscono per Rain Without End i turchi Khepra, intrigante realtà in grado di fondere umori mediterranei e mediorientali con il death sinfonico.

In effetti, i nostri fino a qualche tempo fa si chiamavano Gürz ed erano dediti ad una più canonica forma di folk metal: il salto di qualità stilistico li porta oggi scendere su un ipotetico stesso terreno degli attuali Septicflesh, ma questa è un’indicazione di massima, visto che in Cosmology Divine vi sono anche altre nobili sfumature.
Indubbiamente il trio di Istanbul prende ispirazione dal sound proveniente dalle sponde opposte dell’Egeo (Septicflesh, come detto, e Rotting Christ) ma anche da quelle del Mediterraneo sudorientale (Orphaned Land), innestandovi mirabilmente la proprie radici folk: il risultato è convincente sia quando attinge in maniera piuttosto scoperta all’operato della band dei fratelli Antoniou (We Are Descending, Obsession of the Mad, l’elaborata Cosmology Divine) sia quando spingono maggiormente sul versante black death (Ara Hasis, la magnifica Enki, Evil Incarnate).
L’interpretazione vocale di Dou Kalender è efferata il giusto e viene accompagnata da una prova di grande qualità da parte di una band di indiscusso spessore; non deve sminuirne l’operato, d’altro canto, il fatto che la commistione tra metal estremo, pulsioni sinfoniche e folklore mediorientale sia già stata introdotta in precedenza da altri: il sound dei Khepra è sufficientemente personale e ricco di inventiva e, tutto sommato, sembra a tratti persino più ispirato rispetto alle ultime uscite delle citate band di riferimento.
In buona sostanza, Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezzano di base queste particolari sonorità.

Tracklist:
1. Atra Hasis
2. Enki (Diaries of a Forgotten God)
3. Desolation
4. We are Descending
5. Obsession of the Mad
6. Steps of Immortality
7. Evil Incarnate
8. Into the Cosmic Disharmony
9. Cosmology Divine
10. Through the Cosmic Web of Voids

Line-up:
Kenan Turandar – Bass
Dou Kalender – Vocals, Guitars
Tolga Köker – Guitars
Erce Arslan – Drums

KHEPRA – Facebook

Ade – Carthago Delenda Est

Carthago Delenda Est è fin qui la migliore opera creata dal gruppo romano che, con l’aiuto della Xtreem, potrebbe ritagliarsi un suo spazio importante nella scena estrema europea.

Che la Xtreem sia ormai una garanzia di qualità per i fans del metal estremo legati a sonorità death non è una novità: la label spagnola sono anni che ci delizia con ottimi lavori partoriti in ogni parte del mondo e questa volta immette sul mercato l’ultimo lavoro di un gruppo made in Italy, i centurioni Ade.

La band capitolina arriva così al traguardo del terzo full length non prima di aver firmato con il sangue cartaginese il contratto che la lega alla label di Dave Rotten, un ottimo colpo visto il potenziale del quintetto romano.
Carthago Delenda Est continua la tradizione del gruppo, che al proprio metal estremo amalgama atmosfere epiche, guerresche, a tratti cinematografiche e concept basati sulla storia dell’antica civiltà romana, con quella ateniese la più influente ed importante del Mediterraneo.
Gli Ade questa volta ci portano alla conquista di Cartagine e lo fanno con il loro death metal a metà strada tra quello di ispirazione statunitense e quello proveniente dall’est europeo, molto ben eseguito a livello tecnico ed ispirato nelle soluzioni orchestrali.
Il sound non molla la presa ci ritroviamo al centro dello scontro, la carica devastante degli elefanti, le spade e gli scudi che scivolano dalle mani dei guerrieri feriti a morte, l’epicità che regna sovrana ad ogni passaggio, valorizzata da sfumature folkeggianti, sono sorrette da ritmiche tecnicissime e veloci, colme di cambi di tempo e monumentali riff che imprimono alla proposta del gruppo una marcia in più ed una brutalità che non mancherà di far proseliti anche tra gli amanti del death metal più estremo.
Le orchestrazioni non fanno che rendere ancora più epico e magniloquente il sound dei brani che, dalla title,track, opener dell’opera, ci scaraventa come una macchina del tempo in piene guerre puniche.
Grande il lavoro della sezione ritmica, un martello pneumatico impazzito, mentre le asce costruiscono riff su riff e solos che risultano squarci mortali procurate da daghe affilate come rasoi, il growl è brutale, e nasconde dietro l’elmo un mostruoso e crudele condottiero.
Carthago Delenda Est va ascoltato tutto di un fiato, così che vi sembrerà di rivivere le cruente gesta dei soldati romani: come in un kolossal cinematografico, i barriti degli elefanti, i chorus sospesi nel tempo in apertura di Annibalem, l’atmosfera pregna di epica carneficina ed orgogliosa conquista di Excidium, vi regaleranno cinquanta minuti di metal estremo, a tratti entusiasmante.
Carthago Delenda Est è fin qui la migliore opera creata dal gruppo romano che, con l’aiuto della Xtreem, potrebbe ritagliarsi un suo spazio importante nella scena estrema europea.

TRACKLIST
1. Carthago Delenda Est
2. Across the Wolf’s Blood
3. Annibalem
4. With Tooth and Nail
5. Dark Days of Rome
6. Scipio Indomitus Victor
7. Mare Nostrum
8. Zama: Where Tusks Are Buried
9. Excidium
10. Sowing Salt

LINE-UP
Traianvs – vocals
Fabivs – guitars
Caligvla – bass
Nero – guitars
Commodvs – drums

ADE – Facebook

Cypecore – Identity

La musica dei Cypecore pesca dal melodic death metal scandinavo dal thrash/groove americano fusi con dosi letali di ritmi ed atmosfere industrial.

La label svedese Adulruna records licenzia il terzo parto di questa creatura nata in Germania che di nome fa Cypecore.

Una band che senza tanti fronzoli ha dato alla luce tre lavori sulla lunga distanza, serza perdersi con lavori minori, da quando nel 2008 uscì Innocent, seguito da Take the Consequence due anni dopo.
Sono passati dunque sei anni dall’ultimo lavoro e Identity conferma la buona proposta del gruppo, un death metal melodico violentato da ritmiche thrash, tanto groove ed una vena industriale che riempe di atmosfera apocalittica e moderna il sound.
Undici tracce comprese di intro ed outro più una bonus track finale, completano questo lavoro che risulta una mazzata niente male, non dimenticando l’importanza della melodia, inserita a valanga nell’uso della doppia voce e nei molti solos e che rendono i Cypecore un buon ascolto anche per gli amanti del classico death metal melodico.
Identity funziona, i colpi mortali e distruttivi inferti da brani come Saint Of Zion, My Confession, Drive e The Void non risparmiano nessuna delle vittime cadute sotto il bombardamento cyber/thrash che la band scatena, l’aura moderna ed estrema rimane intatta anche quando la voce pulita e le melodie chitarristiche smorzano l’effetto devastante che la band riesce ad emanare amalgamando le sue principali influenze concentrandosi, magari troppo, su ritmiche decisamente sostenute.
L’outro strumentale che rivendica l’anima cyber del gruppo, potrebbe essere l’inizio di una virata decisa verso l’industrial, magari sempre sostenuto dalle varie correnti musicali in seno della band; si sente ancora forte l’odore di Soilwork tra le trame di Identity, non un male, semmai un dettaglio, ma la propensione industrial è quella che a mio parere va assolutamente curata da parte del quintetto tedesco.
Identity comunque rimane un buon lavoro, l’impatto è terremotante, così come di livello la produzione, le idee non mancano ed il gruppo ne esce compatto ed estremo il giusto per non deludere gli amanti del metal più moderno.

TRACKLIST
1. Intro
2. Saint of Zion
3. Where the World Makes Sense
4. My Confession
5. Hollow Peace
6. Identity
7. Drive
8. A New Dawn
9. The Abyss
10. The Void
11. Outro
12. The Hills Have Eyes

LINE-UP
Christoph “Chris” Heckel – Bass
Tobias Derer – Drums
Nils “Nelson” Lesser – Guitars
Christoph “Greek” Rogdakis – Guitars, Keyboards
Dominic Christoph – Vocals

CYPECORE – Facebook

Colemesis – Vivisección (re​-​release)

Il gruppo agitava le acque davanti alle coste del paese centroamericano con dosi massicce di growl profondi ed assassini, e la poca tecnica veniva sostituita dall’impatto e dalla voglia di far male.

Uscito originariamente in cassetta nel lontano 1992, viene ora ristampato dalla Symbol of Domination Prod. il primo demo dei costaricani Colemesis, band come detto attiva dai primi anni novanta e realtà della scena del loro paese.

Solo due full length per il gruppo centroamericano (Still Oppression Rules del 1995 e Hellritage uscito tre anni fa), una carriera interrotta più volte ed una serie di ep e singoli, troppo poco per considerarli una band storica del genere, anche se Vivisección ,considerato l’anno di uscita, mostra una sufficiente vena estrema dal classico stile sudamericano, pescando dal death metal Bay Area e infarcendolo di sonorità thrash con una predisposizione evil senza compromessi.
Il gruppo all’epoca agitava le acque davanti alle coste del paese che divide il continente americano con dosi massicce di growl profondi ed assassini, e la poca tecnica veniva sostituita dall’impatto e dalla voglia di far male; la produzione non è delle migliori ovviamente, ma in giro si sente di peggio, specialmente se consideriamo l’anno di uscita e i pochi mezzi a disposizione dei quattro deathsters costaricani.
Massiccio pezzo di metal estremo che più underground di così non si può, Vivisección aggiunge poco al genere ma promette di far conoscere una realtà estrema che vive ancora oggi, pur con tutte le difficoltà che la provenienza impone.
Siamo nel death metal old school di estrazione statunitense e i Colemesis richiamavano il sound delle migliori band dei primi anni novanta come Morbid Angel e Obituary: dunque, se siete fans accaniti del genere un ascolto potrebbe riservarvi il piacere nel conoscere vecchi adepti, magari sconosciuti ai più delle sonorità estreme di scuola death metal.

Tracklist:
1. Intro Otomicosis
2. Paralelismo Humano
3. Viviseccion
4. Hypergeo
5. Equilibrio Capital
6. Outro
7. Maldicion Malinche

Lineup:
Fabbian Bonilla: Vocals / Guitar
Gabriel Molares: Guitar
Michael Mory: Bass
Emilio Cortes: Drums

COLEMESIS – Facebook

Warfather – The Grey Eminence

The Grey Eminence riporta in auge suoni estremi che di questi tempi non trovano molti adepti

Non sono pochi i fans del death metal (che non chiamerò questa volta old school, ma più semplicemente classico) che scalpiteranno per il nuovo album dei Warfather, progetto nato dalla mente di Steve Tucker, non solo un semplice musicista ma un pezzo di storia del genere: l’appellativo meritato per i suoi trascorsi nei Morbid Angel in primis (chiamato alla corte di Trey Azagthoth per sostituire David Vincent all’indomani dell’uscita di Domination), ma anche come collaboratore occasionale di molte altre top band come Nile e Ceremony.

Lasciato il basso per la sei corde, ma sempre ben piazzato davanti al microfono, il buon Steve raggiunto da Jake Koch e Bryan Bever, regala un successore al primo lavoro del gruppo, quel Orchestrating the Apocalypse uscito un paio di anni fa che aveva diviso fans e addetti ai lavori.
Chiaro che pure The Grey Eminence, come il suo predecessore si avvicina al sound dell’angelo morboso, del resto tanti anni passati con la regina delle band death metal americane non possono non aver lasciato il segno, così che l’album, prodotto a meraviglia, esce come una bordata in puro stile statunitense, oscuro, malato e terribilmente evil.
Tucker al netto di una prova superlativa al microfono, non manca di dispensare solos e riff forgiati sull’altare della follia, il sound dei Warfather non si discosta da quello prodotto dal gruppo di Gateways to Annihilation ed Heretic e, scusate, ma è un gran bel sentire.
The Grey Eminence vive e si rigenera ad ogni passaggio, e il gruppo si impegna ad articolare con sicurezza e padronanza di mezzi parti di intricato e malatissimo metal estremo; il sound, meno immediato per esempio rispetto a quello dei colleghi scandinavi, riesce comunque a risultare fluido, alzando il livello qualitativo rispetto al primo lavoro, specialmente per songwriting e produzione.
Dunque meno monocorde e più pulito nei suoni, The Grey Eminence riporta in auge suoni estremi che di questi tempi non trovano molti adepti, con le nuove leve orientate verso sonorità old school di matrice nordeuropea.
Un pesante macigno di musica estrema che ha nel suo insieme il proprio punto di forza con qualche picco (l’opener Orders of the Horde è un biglietto da visita niente male, seguita dalla devastante For Glory or Infamy) ed una qualità medio alta mantenuta per tutta la durata che, nel genere, non è poi così facile ascoltare di questi tempi.
Inutile affermare come The Grey Eminence sia un ascolto obbligato per gli amanti del death metal classico, lasciate ad altri qualsiasi menata su originalità e facili paragoni e fatelo vostro, lo merita.

TRACKLIST
1. Orders of the Horde
2. Headless Men Can No Longer Speak
3. Judgement, The Hammer
4. For Glory or Infamy
5. The Dawning Inquisition
6. Heedless Servant
7. Carnage of the Pious
8. Grey Eminence
9. Fair and Final Warning

LINE-UP
Steven Tucker – Guitar, Vocals, Warfather
Jake Koch – Guitar
Bryan Beve – Drums

WARFATHER – Facebook

Johansson & Speckmann – Edge of the Abyss

Di tutte le proposte che coinvolgono Rogga Johansson, questa è forse la meno soddisfacente, pur rimanendo su livelli inarrivabili per almeno un buon numero di death metal band in giro per il mondo

La collaborazione tra Rogga Johansson e Paul Speckmann, degli storici deathsters americani Master, iniziò con un brano inserito nel primo lavoro dei Megascavenger, Descent of Yuggoth del 2012.

Da allora i due musicisti decisero di iniziziare una collaborazione che portò al primo lavoro uscito l’anno dopo ed intitolato Sulphur Skies.
Lo storico vocalist e bassista americano, in coppia con lo stakanovista dell’old school death metal, accompagnati in questo progetto dal drummer Brynjar Helgetun, diedero un seguito a quell’album lo scorso anno con l’ottimo Mask of the Treacherous, e la cosa sembrava fermarsi qui, anche per le decine di progetti in cui il musicista svedese si è imbarcato in questo ultimo anno e mezzo.
Invece, a sorpresa, esce il terzo lavoro di questa intercontinentale coppia del metal estremo licenziata dalla Soulseller records ed intitolata Edge Of The Abyss.
Come tradizione l’album supera a malapena la mezz’ora di durata, e il death metal old school trattato dal combo rispolvera certe sonorità thrashy e hardcore facendone una perfetta via di mezzo tra la tradizione scandinava e quella più intransigente americana.
Sicuramente per il sottoscritto non il meglio della discografia johanssoniana ma, senza fraintendimenti, restiamo comunque su livelli qualitativi ottimi, specialmente per chi ama l’old school death metal dai rimandi hardcore.
Tra le devastanti parti ritmiche di cui è composto l’album troviamo accenni solistici di matrice nord europea, attimi di luce soffocate dalle atmosfere estreme di brani dall’alto tasso estremo come Misanthropy, The One They All Despised e Already In Disguise; la personalità ed il carisma di un’icona come Speckmann si fa sentire, il sound alla Massacre/Master lascia poco spazio all’anima scandinava del buon Rogga, un pregio per qualcuno, ma non per tutti.
Di tutte le proposte che coinvolgono Johansson, questa è forse la meno soddisfacente, pur rimanendo su livelli inarrivabili per almeno un gran numero di death metal band in giro per il mondo, ma per questo 2016 possiamo sicuramente accontentarci.
L’appuntamento è per il prossimo anno, anche se per presentarsi entro quattro mesi con un altro devastante album è uno scherzo da ragazzi.

TRACKLIST
1. Perpetuate The Lie
2. You’ve Stepped On A Dime
3. Misanthropy
4. Turn It Around
5. The Last Witness Is Barely Live
6. The One They All Despised
7. The Edge Of The Abyss
8. A Concept
9. Already In Disguise

LINE-UP
Brynjar Helgetun – Drums
Rogga Johansson – Guitars, Bass
Paul Speckmann – Vocals

JOHANSSON – SPECKMANN – Facebook

Skeleton Of God – Primordial Dominion

Immaginatevi una jam tra Cannibal Corpse, Napalm Death, Primus e Kyuss ed avrete solo un’idea del sound proposto da questa società per delinquere del metal estremo

Primordial Dominion è il secondo album dei famigerati Skeleton Of God, un trio che si aggirava nel Colorado tra il 1993 ed il 2008.

Originariamente licenziato dalla Creepo nel 2008, torna a devastare padiglioni auricolari grazie alla Everlasting Spew Records a cui bisogna fare un monumento visto l’alto potenziale del lavoro in questione.
Nati nel 1993, gli Skeleton Of God (ancora attivi), sono formati dal batterista Erik Stenflo, dal chitarrista/cantante Jeff Kahn e dal bassista Joel DiPietro, purtroppo deceduto nel 2015; la loro discografia vede il primo ep Urine Garden (1993) seguito dal primo full length Bleached in the Sun uscito l’anno dopo e che precede questo devastante ed ultimo lavoro.
Originali e completamente in balia di sostanze illegali (la copertina, atipica per il genere la dice lunga sulle abitudini del duo) i tre musicisti americani si inventano questo massacro grind/death psichedelico, dal groove micidiale, pesante e potentissimo, sorretto in gran parte da lunghe jam stonerizzate.
Guidati da un’attitudine psych e da un impatto mostruoso, valorizzato da un’ottima tecnica, gli Skeleton Of God con questo lavoro corrono per le strade dell’immortalità musicale, almeno per chi ha avuto ed avrà la fortuna di imbattersi in questo lavoro che estremizza (a modo suo) non solo l’elemento psichedelico, ma pure un genere come il death metal, ed è tutto dire.
Sfuriate di pura rabbia grind si mescolano a lascive ritmiche e sanguinarie chitarre fuzz, il growl potentissimo, sbaraglia la concorrenza con urla belluine, sfoghi violentissimi su una buona dose di rock stonerizzato nella sua massima espressione.
Un sound estremo, sconquassante ma terribilmente aperto a molteplici soluzioni stilistiche, a tratti lente ed inesorabili marce desertiche fanno da contorno alla violenza tout court che si sprigiona come l’esplosione di un vulcano.
Tentacles Gears, Introspection, la cerebrale Dark Energy, la settantiana Divinorum e la violentissima Tribunal, sono le tracce catalizzatrici di un lavoro disturbate, un trip che si trasforma in un incubo e devvsta la mente.
Immaginatevi una jam tra Cannibal Corpse, Napalm Death, Primus e Kyuss ed avrete solo un’idea del sound proposto da questa società per delinquere del metal estremo; un ascolto assolutamente consigliato, ma con molta attenzione: da questo trip potreste non tornare più.

TRACKLIST
1. Dawn of Dimension
2. Tentacle Gears
3. Introspection
4. Cerebral Vipers
5. Dark Energy
6. Spiral Domain
7. Divinorum
8. Eyeland
9. Sheperdess
10. Tribunal
11. Journey’s Twilight

LINE-UP
Joel DiPietro – Bass
Erik Stenflo – Drums
Jeff Kahn – Vocals, Guitars

SKELETON OF GOD – Facebook

Zealot Cult – Karmenian Krypt 12″

Nell’ascolto non si possono avere fraintendimenti, questo è un gran bel death metal, senza fronzoli o trucchi.

Gruppo irlandese che fa un death metal davvero potente e molto devoto ai mostri che si aggiravano per le paludi della Florida qualche anno.

La formula degli Zealot Cult è azzeccata, ma è molto debitrice a gruppi come Obituary, Pestilence e Morbid Angel. Il death metal, quello più verace, non è una cosa originale, ma deve essere fatto bene e in maniera potente. Gli Zealot Cult sanno come farlo, ed infatti sono giustamente considerati come uno dei migliori esponenti del genere in Irlanda. In questi giorni hanno anche aperto per i Napalm Death, e deve essere una bella esperienza sonora sentire questi due gruppi. Il dodici pollici in questione è la riedizione in vinile del loro ep di debutto, uscito nella primavera del 2016.
Nell’ascolto non si possono avere fraintendimenti, questo è un gran bel death metal, senza fronzoli o trucchi. La Roadrunner ce lo ha insegnato e ora la Blood Harvest, non solo con questo gruppo, porta avanti un discorso per chi il death metal lo adora, per la sua potenza e per dischi come questo. Anche la lunghezza appare adeguata, essendo un assaggio di quello che verrà, sempre su Blood Harvest, poiché il gruppo ha voluto espressamente firmare con l’etichetta svedese.

TRACKLIST
1.Karmenian Crypt
2.Eternal Winter
3.Suffocation Of The Mind

ZEALOT CULT – Facebook

Witherscape – The Northern Sanctuary

Dan Swanö ha sempre raccolto meno di quanto il suo inestimabile genio meritasse e forse sarà ancora così, ma ignorare la musica di questo splendido ed inarrivabile musicista e compositore è perdersi pura arte.

Edge Of Sanity, Moontower, Nightingale, pescate a piene mani dalle tre più sontuose proposte dal grande musicista, compositore e produttore svedese, al secolo Dan Swanö, ed avrete un’idea di che meraviglia sonora possa essere The Northern Sanctuary, secondo lavoro dei Witherscape, band che lo vede in compagnia del chitarrista e bassista Ragnar Widerberg, dove lui si accontenta di suonare batteria e tastiere, oltre che far scorrere brividi con la sua inimitabile voce.

Seguendo il concept iniziato sul primo lavoro (The Inheritance), una storia a tinte horror scritta dall’amico Paul Kuhr (frontman dei Novembers Doom), il padre del melodic death metal scandinavo ritorna ad illuminarci con il suo inimitabile genio, fondendo alla perfezione il death metal con sonorità classiche, gothic e progressive in un’opera metal che andrebbe fatta studiare nelle scuole.
The Northern Sanctuary entusiasma e per chi conosce la discografia di Swanö non è una novità, i capolavori che dai primi anni novanta hanno trovato posto sugli scaffali degli appassionati non si contano più, ma lascia senza parole la freschezza compositiva che accompagna ancora oggi il musicista svedese, qui sontuoso anche nella prova vocale dove risplende il suo inconfondibile growl e procura pelle d’oca con le clean vocals, teatrali e profonde.
E parto da qui, dal perfetto e spettacolare uso che Swanö fa delle linee vocali, primo importantissimo dettaglio che manda The Northern Sanctuary direttamente tra le migliori uscite del 2016, visto che la perfetta simbiosi tra i toni estremi e la voce pulita non la troverete in nessun altro lavoro, almeno per quanto riguarda il genere proposto.
Le tastiere hanno un ruolo fondamentale nella struttura dei brani, il musicista svedese ha fatto tesoro di tutte le collaborazioni che lo hanno visto al fianco di colleghi delle più svariate correnti musicali, così che è facile incontrare armonie tastieristiche che si avvicinano al mood di Ayreon del folletto olandese Lucassen (God Of Ruin), mentre lo scontro tra progressive e death metal continua imperterrito e Swanö, come un dottor Jekyll e Mister Hyde, ora estremo, ora elegantemente melodico insegna a più di una generazione di songwriter come scrivere canzoni, difficili ma allo stesso tempo accattivanti e dall’appeal mostruoso.
Mentre la qualità altissima di brani come l’opener Wake of Infinity, o il perfetto swedish sound che si evince dalla spettacolare In The Eyes Of Idols, confermano il mood di questo lavoro (il riassunto compositivo tra Edge Of Sanity, Moontower e Nightingale) succede qualcosa di clamoroso e che non era stato ancora composto (almeno così bene): Marionette arriva e ci presenta il primo stupendo esempio di sonorità aor e death insieme e che, per mano, costringono i nostri occhi a lacrimare, mentre Divinity ci scuote con un brano death melodico alla Sanity, valorizzato da chorus prog di estrazione settantiana.
La title track saluta tutti dall’alto della sua splendida natura estrema, ma sulla quale il genio di Swanö immette una serie di varianti musicali che vanno dall’hard rock, al gothic al prog metal per la definitiva consacrazione di questo ennesimo capolavoro.
Dan Swanö ha sempre raccolto meno di quanto il suo inestimabile genio meritasse e forse sarà ancora così, ma ignorare la musica di questo splendido ed inarrivabile musicista e compositore è perdersi pura arte.

TRACKLIST
1. Wake Of Infinity
2. In The Eyes Of Idols
3. Rapture Ballet
4. The Examiner
5. Marionette
6. Divinity
7. God Of Ruin
8. The Northern Sanctuary
9. Vila Lerid

LINE-UP
Ragnar Widerberg – Guitars, Bass
Dan Swanö – Vocals, Keyboards, Drums

WITHERSCAPE – Facebook

Chainerdog – Daemonical

Un lavoro di ricerca e di bravura musicale in ambito estremo.

Chainerdog è una one man band di black metal molto eterodosso ed interessante.

Si parte dalle basi e dai classici del genere per avventurarsi in un’escursione a trecentosessanta gradi nel mondo del metal estremo. In alcuni passaggi risuona lo spirito immortale di Quorthon, padre di un serio approccio sinfonico al genere. L’essere solo uno non diminuisce ma potenzia la forza della musica di Chainderdog, che riesce a creare una grande atmosfera, andando anche ad indagare l’inflazionato ramo atmosferical del black metal in una maniera intelligente. La ricerca musicale qui è palpabile, mentre si viene toccati da un vento freddo che spira dal nord, quell’idea mentale di nord che sta dentro di noi dall’antichità e che qui viene messa in musica. La produzione è uno dei modi in cui può essere reso il black metal, e qui si adatta alla perfezione all’obiettivo. Un altro grande pregio di questo disco è la varietà della visione musicale, poiché Chainerdog ci porta in varie terre del black metal, e in tutte suona con cognizione. Inoltre Daemonical parla di un geist che non c’è più, rovinato da una modernità che è davvero negativa in molte sue accezioni.
Un lavoro di ricerca e di bravura musicale in ambito estremo.

TRACKLIST
1.Dead
2.Demoniac
3.Hellbringer
4.Morbid
5.Submerged (instrumental)
6.Vile
7.Alchemist
8.Decay
9.Scais

CHAINERDOG – Facebook

Colosso – Obnoxious

I Colosso non rappresentano il futuro del death più tecnico e sperimentale, ne sono già il presente …

I portoghesi Colosso, con un monicker simile, non potevano che dedicarsi ad un metal pesante oltre misura, e così è in effetti, anche se la strada percorsa per triturare i padiglioni auricolari degli ascoltatori è molto meno scontata di quella intrapresa da biechi mazzuolatori senza arte né parte.

La band di Oporto, guidata dal fondatore Max Tomé , ha intrapreso solo all’inizio di questo decennio il proprio percorso di progressivo annichilimento, e Obnoxious è la seconda prova su lunga distanza che ci mette di fronte ad una realtà di assoluto spessore.
Un death metal tecnico, che ogni tanti sconfina nel djent, ma in misura non stucchevole, con una pesante componente industrial che lascia spazio a passaggi più riflessivi, andando a formare una mistura accattivante ma soprattutto convincente per la fluidità con cui la materia viene manipolata.
Furra, sperimentazione ed un pizzico di melodia: ecco la miscela che rende vincente Obnoxious nei suoi quaranta minuti di intensità a tratti parossistica, segnati da una prestazione d’assieme impeccabile per esecuzione ed esaltata da una produzione adeguata.
I Colosso offrono una prestazione, appunto, “colossale”, e anche quando alcuni riferimenti si fanno un po’ più scoperti (gli imprescindibili Fear Factory nella magnifica A Noxious Reflection) il tutto viene reso in maniera talmente efficace da far passare qualsiasi altra considerazione in secondo piano.
Obnoxious è emblematico di quella che dovrebbe essere la via maestra da seguire per chi si cimenta con un metal estremo ma dalle sembianze più moderne: lontani dal tecnicismo fine a sé stesso di certo djent o dalla freddezza chirurgica dell’industrial di maniera, i ragazzi lusitani portano una violenta sferzata di aria fresca in un ambito che ultimamente ha proposto più di una prova asfittica, anche da parte di nomi già affermati.
I Colosso non rappresentano il futuro del death più tecnico e sperimentale, ne sono già il presente …

Tracklist:
1. In Memoriam
2. The Unrepentant
3. Of Hollow Judgements
4. As Resonance
5. Soaring Waters
6. Seven Space Collisions
7. To Purify
8. Sentience
9. A Noxious Reflection

Line-up:
Max Tomé – Guitars, Vocals
André Lourenço – Bass
Marcelo Aires – Drums
António Carvalho – Guitars
André Macedo – Vocals

COLOSSO – Facebook

Second To Sun – The First Chapter

The First Chapter segue un’impetuosa narrazione, là dove il metal viene usato come codice da integrare con altri linguaggi come il folclore, per creare un punto d’incontro che serve da base per raccontare storie altrimenti dimenticate.

Il disco dei Second To Sun è una magnifica opera sonora, composta da diversi strati, molti livelli di lettura e stili ricchi e assai differenti tra loro.

The First Chapter segue un’impetuosa narrazione, là dove il metal viene usato come codice da integrare con altri linguaggi come il folclore, per creare un punto d’incontro che serve da base per raccontare storie altrimenti dimenticate.
Il tutto è strumentale e non potrebbe essere altrimenti, dato che ogni parola sarebbe estranea in questa cascata di note, vite e sogni spezzati. Lo stile è un metal super tecnico, con intarsi di djent e post metal, ma uno degli elementi più importanti è il folclore. Ogni canzone ha genesi e semantica diverse, ma tutte raccontano qualche accadimento, ed in più fanno sentire le musiche delle genti coinvolte. Red Snow narra degli avvenimenti accaduti al passo Dyatlov, dove vennero uccise nove persone, o dai locali o da qualcosa che sarebbe meglio non nominare nemmeno. In questa canzone i Second To Sun ci fanno sentire anche in fondo al pezzo dei loro rimaneggiamenti di pezzi tipici delle popolazioni di quei luoghi. E questo disco, grazie alla sua musica, tra Meshuggah e dintorni e un certo grado di distopia, regala grandi gioie, qui il metal diventa moderno narrando storie e visi antichi. La potenza e la tecnica dei Second To Sun fanno davvero la differenza, anche perché non sono usate affatto a caso, ma sempre con consapevolezza e sapienza. Quando poi il metal dei russi si fonde con il folk dei canti finlandesi riarrangiati, o con composizioni di popoli così lontani dalla nostra tecnocrazia, è qui che si raggiungono i momenti più alti del disco, che viaggia su di una qualità media davvero ragguardevole. La cosa migliore che si possa dire di questo disco è affermare la sua originalità, che continua la tradizione di dischi come Roots dei Sepultura, pur essendone molto diverso nell’essenza, parlando di popoli antichi e facendolo con un metal moderno e propositivo, molto differente rispetto al folk metal. Potrebbe sembrare un disco ostico ma non lo è, perché imponenti impalcature musicali nascondono al loro interno melodie importanti che vengono palesate in tutta la loro potentissima bellezza.
Un disco che riempe e che fa vedere dove dovremmo volgere il nostro sguardo, sia davanti che dietro di noi.
Potenza, tecnica e grandiosità.

TRACKLIST
1.Spirit Of Kusoto
2.Red Snow
3.Me Or Him
4.Land Of The Fearless Birds
5.The Blood Libel
6.Narčat
7.Virgo Mitt
8.Chokk Kapper (Bonus Track)
9.Narčat (Demo Version, Bonus Track)

LINE-UP
Vladimir Lehtinen
Theodor Borovski
Aleh Zielankievič

SECOND TO SUN – Facebook

Vulvodynia – Psychosadistic Design

Nel loro tremendo estremismo sonoro i brani si fanno apprezzare grazie e soprattutto ai vari vocalist che si danno il cambio, raccontando le macabre esecuzioni e torture perpetrate.

Vai a spiegare la bellezza di un album brutal death metal a chi pensa che gli Iron Maiden facciano solo casino.

Come qualsiasi forma d’arte, anche la più estrema ha i suoi picchi qualitativi, magari poco capiti dalla massa ed esclusiva per gli amanti del genere, come per esempio questo bellissimo secondo lavoro dei Vulvodynia, slam brutal death metal sudafricana, al secondo full length e creatrice di un’opera che, nel suo genere, risulta un piccolo capolavoro.
Hanno bruciato le tappe i death metallers sudafricani, fondati nel 2014 e nel giro di due anni con una discografia alle spalle di tutto rispetto che annovera il primo full length (Cognizant Castigation), due ep ed un paio di split.
Aiutati da un nugolo di psicopatici musicisti della scena slam (Martin Funderud degli Kraanium, Don Campan dei Waking the Cadaver e Luke Griffin degli Acrania, ma anche altri cantanti facenti parte di gruppi meno famosi come Chrissy Jones dei Clawhammer) e tanti altri appartenenti al mondo deathcore, la band crea questo devastante esempio di opera brutal, con tanto di cantanti che si danno il cambio dietro al microfono, in un susseguirsi di atmosfere horror/splatter da applausi.
Colmo di atmosfere al limite della pazzia, death metal e brutal si alleano con ritmiche hardcore che a tratti rendono il sound ancora più estremo, in un’aurea di terrore profondo, una discesa nell’abominio raccontata tramite terribili ripartenze, attimi di ragionata sadismo in un’orgia di corpi sventrati e torture varie.
Il bello sta nel songwriting sopra la media, una buona tecnica esecutiva e nell’appeal che, nel loro tremendo estremismo sonoro i brani rilasciano, grazie e soprattutto ai vari vocalist che si danno il cambio raccontando le macabre esecuzioni e torture perpetrate.
Un monolito estremo che ha almeno tre/quattro tracce notevoli, spetta a voi scoprirle nel mezzo della carneficina metallica creata dai Vulvodynia.
Psychosadistic Design sale di diritto sul gradino più alto del podio nel genere il questo brutale 2016, sicuramente un album per pochi affezionati … ma che album.

TRACKLIST
1.Psychosadistic Design
2.Drowned in Vomit
3.King Emesis
4.Catration Mutilation
5.Flesh Tailor
6.Unparalleled Insubordination
7.Grotesque Schizophrenia
8.Lord of Plagues
9.Depraved Paraphilia
10.Forced Fecal Ingestion
11.Umthakathi
12.Bestial Insemination
13.Wall of Corpses
14.Triple O.G. Slamdown

LINE-UP
Duncan Bentley-Vocals
Luke Haarhoof-Guitars
Byron Dunwoody-Drums. bass, gutars

Vocals :
Alex Terribile
Som Pluijmers
Don Campan
Martin Funderud
Adam Warren
Chrissy Jones
Chris Butterworth
Luke Griffin
Jason Evans

VULVODYNIA – Facebook

Perverted Ceremony – Demo 1 Tape

I Perverted Ceremony suonano metastasi, animano cancri metallici che si attaccano alle cellule buone e le fanno morire, senza una spiegazione, senza un senso.

Death black metal in lo fi e totalmente underground, anzi alle estremità putrescenti del sottobosco musicale.

Questo demo fu registrato nel 2012 a Bruxelles, con un registratore otto tracce, e pure vecchio il registratore. Il risultato è questo suono urticante e sonicamente ondivago, un tributo al metal più oscuro, quello che non conosce la parola vendere. Infatti i Perverted Ceremony, inciso il demo lo hanno fatto girare fra i loro contatti più stretti e poi lo hanno inviato ad alcune distro a loro gradite. In questo modo hanno catturato l’attenzione della Nuclear War Now !, sempre attenta alle uscite marce e fuori moda. Queste sette canzoni sono bestemmi lanciate verso il cielo, sono gioielli da cantina, fatte da persone che amano il metal e che hanno le distorsioni dentro. I Perverted Ceremony suonano metastasi, animano cancri metallici che si attaccano alle cellule buone e le fanno morire, senza una spiegazione, senza un senso. La loro bravura è anche quella di riuscire a far diventare interessante un qualcosa che molti altri gruppi hanno fatto, ma che non gli è uscito come a questi belgi. Demo 1 Tape ha un qualcosa di affascinante nella sua schifezza sonora, e più lo si ascolta più sci capisce che il metal non è hi fi, ma deve essere il più vicino possibile all’inferno, anche sonoramente. Sicuramente chi conosce l’audiometria potrebbe non essere della mia stessa opinione, ma quo gli schemi saltano e le squadre sono tutte all’attacco. Cassetta ristampata in maniera professionale, che fa da apripista all’album che presto uscirà su Nuclear War Now ! e di cui siamo molto curiosi.

TRACKLIST
1.Ceremonial Bread
2.Black Fluids
3.Midnight Orgy
4.Rites of the Sadistic Necromancer
5.Satanic Seventies Porn II
6.Perversion
7.Outro

NUCLEAR WAR NOW – Facebook