Mechina – Progenitor

Progenitor è un altro album mostruoso sotto ogni aspetto, la totale perfezione nell’amalgamare le orchestrazioni sinfoniche al metal estremo moderno, a cui si aggiungono atmosfere sempre differenti che fanno dei Mechina degli assoluti maestri.

E’ arrivata, l’abbiamo aspettata un’anno esatto, ma puntuale il 1° gennaio 2016 l’astronave Mechina è tornata per riportarci in giro per l’universo, tra mondi sconosciuti, alla scoperta di antiche ed affascinati civiltà persi nel black hole estremo che è la musica di questa band fuori dal comune.

Gli ufficiali Joe Tiberi e Dave Holch, sempre sul ponte di comando, questa volta affrontano battaglie intergalattiche, con la consapevolezza di essere una macchina da guerra devastante, i nemici non sono i mostri mitologici di Acheron, ma esseri più vicini a noi, come in Xenon e la musica di conseguenza risulta meno sacrale ed epica e più industrial, tornando a confrontarsi con i Fear Factory e gruppi più terreni.
Il risultato non può che essere comunque a vantaggio di questi splendidi creatori di musica estrema moderna, ormai tenacemente un passo davanti a tutti, almeno alle band che affrontano lo stesso genere dei mostruosi musicisti dell’Illinois.
Come avrete capito, il nuovo lavoro si avvicina al sound di Xenon, lasciando ad una splendida voce femminile, molte parti dei vari brani.
Sempre epico ma meno oscuro del suo predecessore, Progenitor è molto più siderale, ma mentre Acheron non lasciava trasparire la benché minima luce, il nuovo lavoro lascia spazio alla speranza, come se la band volesse dirci che lo spazio profondo non è poi così annichilente come descritto un anno fa.
Sinfonie ariose si fanno spazio tra le devastanti ritmiche industrial death, attimi di terrorizzante death metal moderno sono spazzati via da un mood positivo, nascosto, ma ben visibile ad un orecchio attento, e Progenitor decolla, dopo il massacro Ashes of Old Earth, per donare ancora una volta una visione dello spazio che, ad ogni album lascia in noi sensazioni ed emozioni differenti, come la trama e le varie avventure di un’odissea, iniziata ormai più di dieci anni fa con The Assembly of Tyrants.
Benissimo ha fatto il gruppo a non soffermarsi troppo sulla monolitica magniloquenza di Acheron, il nuovo album traccia altre coordinate su cui l’astronave Mechina viaggia, non solo death metal sinfonico e industrial ma dark wave ottantiana, specialmente nella sublime Anagenesis, capolavoro di Progenitor, alla pari con Cryoshock e la title track, posta in chiusura e che torna al death metal sinfonico dalle ritmiche devastanti a cui ci hanno abituato questi fenomenali musicisti americani.
Progenitor è un altro album mostruoso sotto ogni aspetto, la totale perfezione nell’amalgamare le orchestrazioni sinfoniche al metal estremo moderno, a cui si aggiungono atmosfere sempre differenti che fanno dei Mechina degli assoluti maestri.
Il viaggio è finito, scendiamo dall’astronave e salutiamo i due ufficiali sperando che sia un arrivederci al prossimo anno: 1-1-2017, io li sto già aspettando.

TRACKLIST
1. Mass Locked
2. Ashes of Old Earth
3. Starscape
4. Cryoshock
5. The Horizon Effect
6. Anagenesis
7. Planetfall
8. Progenitor

LINE-UP
Joe Tiberi- Guitars, Programming
David Holch- Vocals

MECHINA – Facebook

Degial – Savage Mutiny

Non un disco imperdibile, ma un buon esempio di come la scena underground continui a sfornare nel metal estremo lavori che guardano con assoluta devozione ai maestri, magari senza troppa personalità, ma con abbondante attitudine ed impatto.

I Degial of Embos, attivi dal 2004 al 2006 nella scena estrema svedese e autori di due demo si sciolsero per ritornare come Degial lo stesso anno e da qui ripartire per portare nel mondo il verbo del death metal old school, contaminato da iniezioni di blasfemia black in un delirio di musica oscura e cattiva.

L’esordio in formato ep arrivò nel 2010 seguito dal primo full length, Death’s Striking Wings nel 2012.
Sono passati tre anni e la band nell’anno di Satana 2015, tornano tramite Sepulchral Voice Records con questo oscuro Savage Mutiny, un concentrato di death/black dissacrante e blasfemo.
Growl cartavetrato proveniente direttamente da qualche catacomba, ritmiche che variano dal classico thrash alla primi Slayer, al black dei connazionali Dissection, fanno da avvisaglia per la proposta del gruppo che guarda al sound di matrice old school, senza compromessi, in uno tsunami di atmosfere infernali, con la morte e la blasfemia come uniche compagne nel metal primordiale della band.
Nessuna concessione ad orpelli inutili, si parte in quarta e non ci si ferma più, in questa mezzora abbondante di suoni provenienti da più parti del mondo musicale estremo.
Morbid Angel, un po’ di death scandinavo e tanto death/thrash anni ottanta, fanno da cornice a questo altare al maligno, grezzo, ruvido e tremendamente ignorante, ma che a tratti sprigiona una violenza riscontrabile solo negli act più efferati della nostra musica preferita.
Aiutati da un paio di personaggi della scena estrema come Set Teitan (Dissection, Watain), Pelle Åhman (In Solitude / Invidious) e lasciate in mano a Gottfrid Åhman (In Solitude / Invidious / Degial) registrazione e mixing del disco, la band risulta un concentrato di torture estreme in musica, dove come strumenti di dolore vengono usati brani devastanti come Uncoiling Chaos, Revenants e Sanguine Thirst, tracce migliori di questo lavoro.
Non un disco imperdibile, ma un buon esempio di come la scena underground continui a sfornare nel metal estremo lavori che guardano con assoluta devozione ai maestri, magari senza troppa personalità, ma con abbondante attitudine ed impatto.

TRACKLIST
1. Doomgape
2. Savage Mutiny
3. Uncoiling Chaos
4. Deathsiege
5. Pallor
6. Revenants
7. Sanguine Thirst
8. Transgression

LINE-UP
Hampus Eriksson – Guitars, Vocals
Rickard Höggren – Guitars
P.J – Bass
Emil Svensson – Drums

DEGIAL – Facebook

Al Namrood – Diaji Al Joor

Questo stuzzicante connubio tra black metal e musica araba non è affatto qualcosa di banale, possa piacere o meno, e se sviluppato ulteriormente, potrebbe portare in tempi brevi a risultati sorprendenti.

Nel parlare di metal proveniente da paesi arabi, specialmente poi in questo caso che vede la band in oggetto arrivare proprio dall’Arabia Saudita (anche se ho la sensazione che la sua base sia altrove), in questi tempi grami è facile finire per occuparsi di questioni che esulano dal contesto prettamente musicale.

Cercherò quindi di non cadere in questa trappola, raccontando brevemente di questo quarto full length dei sauditi Al Namrood, autori di un black death fortemente influenzato dalle sonorità tipiche della loro area geografica.
Diciamo che l’interpretazione del genere non appare né raffinata né artefatta: il trio ci va giù bello pesante, ed anche le parti suonate con gli strumenti tradizionali (ad opera di Ostron) conservano un’aura selvaggia che le rende ancor più intriganti; detto del lavoro di mero accompagnamento di chitarra e basso, a cura dell’altro membro fondatore Mephisto, il ringhio di Humbaba è forse l’elemento meno convincente del contesto, visto che più che cantare strepita in lingua madre testi che, ahimè, sono di impossibili da comprendere senza una traduzione.
Non riesco darmene una spiegazione logica, ma dopo il primo ascolto di Diaji Al Joor ho pensato che dei Rammstein, risvegliatisi dopo un trip susseguente ad un’orgia dall’ambientazione araba, suonerebbero esattamente così, un po’ perché ogni tanto il vocalist può ricordare una versione più grezza di Lindemann, ma soprattutto perché si intravvede negli Al Namrood quello stesso spirito sardonico che è una delle più sottovalutate doti della grande band teutonica.
Detto ciò, anche se quaranta minuti non sono tanti, per godere appieno di questo lavoro è basilare apprezzare la musica tradizionale araba: io che, devo confessare, la digerisco sostanzialmente solo se assunta in dosi moderate, ho fatto una certa fatica a completare i diversi ascolti del disco, ma è innegabile che lo stesso racchiuda un suo fascino ancestrale che potrebbe non lasciare indifferente chi è alla ricerca di qualche sonorità estrema dai tratti meno convenzionali.
Rivedibile in certi passaggi dal punto di vista della produzione, Diaji Al Joor contiene alcuni brani killer, come il singolo Hayat Al Khezea o Zamjara Alat, ed è sicuramente un disco che lascia una certa acquolina in bocca alla luce del potenziale espresso degli Al Namrood: questo stuzzicante connubio tra black metal e musica araba non è affatto qualcosa di banale, possa piacere o meno, e se sviluppato ulteriormente, potrebbe portare in tempi brevi a risultati sorprendenti.
Da provare, senza pregiudizi.

Tracklist:
1. Dhaleen
2. Zamjara Alat
3. Hawas Wa Thuar
4. Ejhaph
5. Adghan
6. Ya Le Taasatekum
7. Hayat Al Khezea
8. Ana Al Tughian
9. Alqab Ala Hajar

Line-up:
Mephisto – Guitars, Bass, Percussion
Ostron – Keyboards, Percussion
Humbaba – Vocals

AL NAMROOD – Facebook

The Ritual Aura – Laniakea

Se Da Focus, capolavoro dei Cynic, vi siete appassionati al genere, brani come Era of the Xenotaph, Precursor of Aphotic Collapse e Nebulous Opus Pt. II, vi faranno letteralmente sobbalzare dalla sedia spedendovi su una galassia sperduta.

Accompagnato da una bellissima copertina fantascientifica, irrompe sul mercato underground, il primo lavoro dei technical deathsters australiani The Ritual Aura (ex Obscenium), licenziato dalla Lacerated Enemy Records e stampato in edizione limitata a duecento copie.

Liniakea è un opera affascinante, composta da un sound progressivo che accomuna melodia e mood estremo, tecnica sopraffina ed impatto tellurico in un unica esplosione di note, violente e cerebrali, intricate ma allo stesso tempo mature, facendo della band una gran bella sorpresa per gli amanti di queste sonorità.
Ovviamente la tecnica dei musicisti è spaventosa: sezione ritmica da infarto, chitarra che illumina la scena con solos funambolici, growl tosto il giusto e orchestrazioni che a tratti regalano atmosfere sci-fi in un tripudio di cambi di tempo, dita che vanno su e giù alla velocità della luce, sul manico della sei corde con Nebulous Opus Pt, II che ruba la scena, song enorme per cui vale l’ascolto del disco, un susseguirsi di cambi di tempo, orchestrazioni bombastiche e chitarra che sfida lo spartito in una rincorsa a note perse nello spazio profondo.
Non un album “facile”, come del resto tutti i lavori che puntano molto sulla tecnica esecutiva, aiutato dal minutaggio ridotto ( venticinque minuti), però Laniakea si riesce a seguire nelle sue scorribande nel mondo delle sette note estreme, nobilitate da quattro musicisti superlativi e da reminiscenze progressive che ne ampliano il raggio d’azione.
Non solo estremismo sonoro dunque , ma musica che attraversa barriere, cavalcando una tempesta di suoni, umori e sensazioni, guidati da questi quattro musicisti disumani, al secolo Darren Joy al basso, Adam Giangiordano alle pelli, Levi Dale alla chitarra e Jamie Kay alle vocals.
Se da Focus, capolavoro dei Cynic, vi siete appassionati al genere, brani come Era of the Xenotaph, Precursor of Aphotic Collapse e la già citata Nebulous Opus Pt. II, vi faranno letteralmente sobbalzare dalla sedia spedendovi su una galassia sperduta. Consigliato.

Tracklist:
1. Mythos of Sojourn
2. Ectoplasm
3. Time-Lost Utopia
4. Era of the Xenotaph
5. Nebulous Opus Pt, I
6. Precursor of Aphotic Collapse
7. Erased in the Purge
8. Nebulous Opus Pt, II
9. Laniakea

Line-up:
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Jamie Kay – Vocals

Avulsed – Altar of Disembowelment

Un gran bel lavoro, che conferma lo status della band spagnola e ci dà appuntamento al futuro album sulla lunga distanza che, visto lo stato di grazia qui dimostrato, promette scintille.

Che Dan Swanö sia il Re Mida del death metal degli ultimi vent’anni, non lo dice il sottoscritto ma tutta la musica di qualità che ha creato come musicista prima, ed i tanti capolavori in cui ha messo la sua esperienza ed il suo talento dietro ad un mixer, in seguito.

Fare un elenco degli ultimi album, tutti bellissimi, che hanno invaso il mercato negli ultimi due anni, toglierebbe un po’ d’attenzione a questo ultimo lavoro dei deathsters spagnoli Avulsed, in cui il genio svedese ha curato la masterizzazione ai rinomati Unisound Studios.
Così succede che il buon Swanö si ritrova a collaborare con un altro personaggio, degno di nota nella scena estrema Europea, Dave Rotten, cantante del gruppo madridista e manager della Xtreem music, etichetta spagnola specializzata in metal estremo, molto attiva a livello underground.
D’altronde gli Avulsed sono un monumento della scena death, non solo spagnola, da oltre vent’anni di attività e con una bella sfilza di lavori editi, di cui sei sono full length.
Accompagnato da una copertina di chiara ispirazione brutal, creata dall’artista Juanjo Castellano, Altar of Disembowelment è composto da quattro brani inediti, più la cover di Neon Knights dei Black Sabbath, ciliegina sulla torta di un ep clamoroso dove il gruppo amalgama il classico death metal dai rimandi brutal, amalgamandolo questa volta con richiami al genere, suonato su in Scandinavia nei primi anni novanta, per un risultato entusiasmante.
Come se, alle ritmiche e la struttura del brutal alla Cannibal Corpse, ci si aggiungessero chitarre di chiara impronta Entombed/Dismember, per un ibrido che ha nell’opener To Sacrifice And Devour, la massima espressione.
La band, in piena forma, non fa mancare ritmiche veloci e potenti, Rotten sfodera la solita prestazione da urlo con il suo growl cavernoso e brutale, mentre stop and go, ripartenze fulminee e rallentamenti monolitici sono l’arma con cui il gruppo non fa prigionieri (Red Viscera Serology).
Ma, questa volta sono le chitarre a fare la differenza (Jose “Cabra” e Juancar), assassine, taglienti, ma capaci di aperture melodiche che fanno rizzare le orecchie e spalancare bocche (Ceremony Of Impalement) in una tempesta di suoni old school valorizzati dal lavoro in studio (registrazione e missaggio in balia di Raúl Fournier agli Overhead Studios).
Tremble In Darkness continua imperterrita la mattanza e la citata cover dei Sabbath, impreziosisce un gran bel lavoro, che conferma lo status della band spagnola e ci dà appuntamento al futuro album sulla lunga distanza che, visto lo stato di grazia qui dimostrato, promette scintille.

Tracklist:
01. To Sacrifice And Devour
02. Red Viscera Serology
03. Ceremony Of Impalement
04. Tremble In The Darkness
05. Neon Knights (Black Sabbath)

Line-up:
Dave Rotten: Vocals
Cabra: Guitar
Juancar: Guitar
Tana: Bass
Erik: Drums

Dr. Gore – Viscera

L’ottima produzione e la cura di ogni dettaglio fanno di Viscera un gran bel lavoro, i brani si susseguono uno più violento dell’altro, strapazzati dal vocione del bassista che, trasformatosi nel sadico dottore, sventra, taglia e svuota corpi.

Disturbante per molti, venerato da altri, il brutal death si può senz’altro considerare come il genere più estremo di cui si nutre il metal: mai uscito dallo spirito underground se non in pochissimi casi, continua ad essere alimentato da band in ogni parte del mondo.

Guardando nel nostro paese, le realtà dedite al genere sono molte e in molti casi di assoluto valore, specialmente se ci si rivolge alla scena della capitale, alimentata da un nugolo di gruppi dalle potenzialità enormi, usciti negli ultimi due anni con opere di un certo spessore (Degenerhate, Corpsefucking Art, Devangelic, tre le altre).
Viscera è il nuovo lavoro dei Dr. Gore, uscito a distanza di tre anni dal primo full length, “Rotting Remnants”, nonché il secondo in dodici anni di attività, un lasso di tempo che ha donato al gruppo esperienza da vendere, dimostrata in questa mezz’ora di devastante massacro brutal/grind.
Il dottore ci sa fare eccome, torturando pazienti inermi, con una furia ed un impatto straordinari: i tredici brani raccolti in Viscera travolgono letteralmente, compatti e ferali, facendo risultare il tutto una valanga di musica violenta che non fa prigionieri.
Ottima la sezione ritmica, precisa e potente, inumana quando schiaccia il piede a tavoletta e parte come un razzo (Alessio Pacifici basso e Massimo Romano alle pelli) e letali le due asce (Marco Acorte e Luigi Longo).
L’ottima produzione e la cura di ogni dettaglio fanno di Viscera un gran bel lavoro, i brani si susseguono uno più violento dell’altro, strapazzati dal vocione del bassista che, trasformatosi nel sadico dottore, sventra, taglia e svuota corpi.
Il sound, che passa agevolmente dal brutal al grind, ed in alcuni casi si lascia apprezzare per sfumature e riff che ricordano il death classico, mostra l’ormai consolidata maturità del combo capitolino, maestro nel tenere in scacco la bestia che si aggira tra lo spartito dei brani, senza scendere a compromessi e mantenendo sempre altissima la tensione.
Le influenze, o meglio le affinità, con le band storiche sono tante e diverse, ma interpretate con grande personalità dalla band: se siete fans del genere, Viscera è assolutamente consigliato.

Tracklist:
1. Viscera
2. Grotesque Corpse Sculpture
3. Hordes of Dead Flesh
4. Diseased Altered Corpse
5. Embalmer
6. Fast Death
7. Freezer Full of Flesh
8. In Your Rotten Cavity
9. Time to Kill
10. Born in Corpse
11. Postmortem Blood Ejaculation
12. Zombie Brutalized Mankind
13. Back from the Grave to Kill Again

Line-up:
Alessio Pacifici – Bass,Vocals
Luigi Longo – Guitars
Marco Acorte – Guitars/Vocals
Massimo Romano – Drums

DR. GORE – Facebook

Watch Them Burn – Watch Them Burn

Debutto per i valdostani Watch Them Burn con cinque brani di metal moderno, tra richiami al death melodico e al metalcore.

Debutto omonimo autoprodotto per i valdostani degli Watch Them Burn, autori di un lavoro composto da cinque brani di metal moderno, tra richiami al death melodico e al metalcore.

Non male questo mini: la band, attiva da quattro anni, sa come muoversi tra i solchi del genere suonato, cercando di variare la propria proposta con ritmiche cangianti, mai troppo core, riuscendo ad amalgamare perfettamente il death melodico scandinavo, con il genere più in voga ultimamente tra quelli estremi.
Ne escono brani potenti e devastanti e dall’ottimo appeal; ottimo il lavoro delle chitarre, a cura di Corruptor e Mithra che, tra l’impatto prodotto dal gruppo, se ne escono con qualche assolo classico di ottima fattura, e sopra le righe la sezione ritmica (Shinigami al basso e Anubi alle pelli) che asseconda la vena cangiante dei brani, tra le ritmiche sostenute delle tracce più death oriented (bellissima l’opener The Day After) ed il groove potente e cadenzato di quelle più core (Dark Side).
Impreziosito dalla prova sontuosa del vocalist Maniac, vario e perfetto nell’adattare il suo scream ad ogni situazione musicale creata (finalmente un gruppo che non usa la voce pulita) mantenendo una tensione che si alza ad ogni brano, Watch Them Burn risulta un’opera prima riuscita ed in più parti avvincente.
Soul-R, la modernissima e marziale My Country e la conclusiva Afterlife, dove il gruppo valdostano torna alle sonorità death dell’opener, completano un album che si rivela, così, un buon ascolto sia per il fans del death metal melodico, sia per quelli più orientati a sonorità in linea con i gusti del momento: la band ha diverse strade da far percorrere alla propria musica, vedremo in futuro quale sarà l’indirizzo preso, magari con un lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist:
1.The Day After
2.Soul R
3.My Country
4.Dark Side
5.Afterlife

Line-up:
Maniac – vocals
Corruptor – Guitar
Mithra – Guitar
Shinigami – Bass
Anubi – Drum

WATCH THEM BURN – Facebook

Gravesite – Horrifying Nightmares …

Senza un brano sotto la media, “Horrifying Nightmares …” sembra uscito davvero dalle orde barbariche che ci investirono nei primi anni novanta: parlare di influenze è superfluo, ascoltatelo.

Supergruppo estremo tutto italiano? E perchè no?

D’altronde, a ben vedere il curriculum dei musicisti impegnati in questa band c’è da stropicciarsi gli occhi: David, batterista di almeno tre gruppi esagerati come Haemophagus, Morbo ed ex Sergeant Hamster, Gioele axeman di Haemophagus e Repulsione, oltre a Claudio (basso) e Gabri (voce) a dare il loro contributo ad una miriade di band tra cui Ancient Cult, Bland Vargar, Nagasaki Nightmare il primo e Black Temple Below, Cancer Spreading, Terror Firmer il secondo.
Nati lo scorso anno, i Gravesite hanno all’attivo un demo, “Obsessed by the Macabre”, prima che il full lenght d’esordio irrompa sulla scena underground sotto l’ala della Xtreem Music, che di lavori old school se ne intende, e ci massacrino sotto le bordate death metal del loro devastante Horrifying Nightmares …
Album che si rifà alla tradizione del death metal classico, il lavoro del gruppo emiliano travolge l’ascoltatore che, ad un primo disattento approcciarsi al disco, potrebbe pensare di trovarsi al cospetto di una delle band storiche del nostro genere preferito, direttamente dai primi ’90, tanto è perfetto a livello di sound, composto da tutti gli ingredienti che hanno fatto storia nella musica estrema.
Tanto death nord europeo, ed una spruzzata di sound made in Bay Area, fanno di Horrifying Nightmares … un ascolto obbligato per tutti i deathsters dagli ascolti old school, sparsi per lo stivale e non solo.
Atmosfera orrorifica già dalla stupenda copertina retrò, partenze a razzo per le vie di un massacro senza soluzione di continuità e brusche frenate doom/death, sono le virtù principali di un lavoro pregno di impatto non solo death, visto che la band ci tiene a sottolineare un’orgogliosa attitudine punk che aiuta non poco l’aggressività e la voglia della band di non scendere a compromessi.
Ottimo il lavoro dei musicisti e non potrebbe essere altrimenti, iniziando dal bestiale orco al microfono, per passare al gran lavoro della sei corde (Gioele è una garanzia di qualità) esaltato da una sezione ritmica da orgia infernale.
Senza un brano sotto la media, Horrifying Nightmares … sembra uscito davvero dalle orde barbariche che ci investirono nei primi anni novanta: parlare di influenze è superfluo, ascoltatelo.

Tracklist:
1. Intro / Anguished Sheep
2. Submerged in Vomit
3. Horrifying Nightmares of Flesh and Blood
4. I Want to Rot
5. The Painter of Agonies
6. Where Mortals Fear to Thread
7. Curse of the Red Moon
8. Worship Death in All Its Forms
9. Suscipe Mortem

Line-up:
Claudio – Bass
David – Drums
Gioele – Guitars
Gabri – Vocals

GRAVESITE – Facebook

Psychophobia – The Fall

Una quindicina di minuti di musica che costituiscono un’importante conferma delle qualità del gruppo.

Certo che gli In Flames di band ne hanno influenzate molte: più passa il tempo e più il gruppo di Anders Friden si rivela un importante modello, sia per i gruppi orientati al death melodico, sia per quelli che si ispirano alla band svedese dopo la svolta dall’impronta americana che avvenne da “Reroute to Remain” in poi.

Gli Psychophobia fanno man bassa del sound di album storici come “Whoracle” e “The Jester Race” e lo arricchiscono di ritmiche power: il risultato è una buona amalgama, che stordisce ed a tratti esalta; derivativo certo, ma i tre brani proposti in questo ep sono manna per gli amanti del genere, che vogliono tornare alle origini del death melodico senza perdersi in soluzioni core e godendo degli elementi classici del genere, con solos melodici e voce cattiva oltre alle suddette ritmiche.
La band, non è proprio di primo pelo, e la sua discografia si avvale di un demo del 2003, di un mini cd e di un full length risalente a tre anni, il tutto in oltre un decennio di carriera nel mondo metallico underground.
L’esperienza si sente tutta e pur senza apparire troppo personale, il gruppo il proprio mestiere lo sa fare bene, confezionando tre brani feroci, scorrevoli e melodici, pur picchiando da par loro.
The Fall, se concepito per sondare il terreno per un futuro album, la sua missione la porta a casa con dignità: Servants Of Deception, la title track e The Code piacciono, colme di riferimenti al genere ed ottime soluzioni ritmiche, solos che strappano qualche convinto applauso e growl che impazza, finalmente anche nei ritornelli, aggressivo e sul pezzo.
Una quindicina di minuti di musica che costituiscono un’importante conferma delle qualità del gruppo, sono quello che avrete da quest’opera, datele un ascolto e mettetevi in attesa del prossimo lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist:
1.Servants of Deception
2.The Fall
3.The Code

Line-up:
Pater – guitar
Maryjan – guitar
Maly – drums
Stygmat – vocal
Kom – bass

PSYCHOPHOBIA – Facebook

AA.VV. – A Treasure To Find, un Omaggio ai Novembre

Un’operazione del tutto azzeccata per la qualità intrinseca dei brani scelti e delle rispettive riproposizioni.

Prima di cominciare a parlare di questo album devo fare doverosamente outing: i Novembre non mi hanno mai fatto impazzire. Intendiamoci, non ho alcuna intenzione di sminuire (e del resto chi sono io per pensare di farlo ?) il valore oggettivo di una band che ha influenzato centinaia di musicisti, non solo nel nostro paese: il fatto è che il sound della creatura dei fratelli Orlando non è mai riuscito del tutto a far breccia in un cuore come il mio, che pure è propenso per natura ad emozionarsi ascoltando brani intrisi di malinconia come sono in effetti quelli dei Novembre. Come cantava qualcuno molti anni fa, evidentemente, è solo “una questione di feeling”.

Questa premessa, che ai più forse parrà superflua, è doverosa in quanto l’apprezzamento che andrò a descrivere nei confronti di questa ottima iniziativa della Mag-Music, non è quello del fan accecato dalla passione, bensì deriva esclusivamente dalla bontà delle rielaborazioni dei brani dei Novembre contenuti nel tributo.
Nove sono le tracce proposte con il contributo di dieci realtà musicali (in quanto Cold Blue Steel viene brillantemente rielaborata dall’accoppiata Vostok / Australasia), diverse per background e stile ma ugualmente ispirate nei rispettivi percorsi musicali dalla seminale band capitolina .
Nella scelta dei brani la parte del leone la fa il penultimo album “Materia” con quattro tracce (in effetti cinque se consideriamo che L’Alba di Morrigan propone mirabilmente in un sol colpo Aquamarine / Geppetto) lasciando il resto ai vari “Classica” (2), “Wish I Could Dream It Again…”, “Arte Novecento” e “Novembrine Waltz” (uno ciascuno), e tralasciando misteriosamente del tutto l’ultima testimonianza su lunga distanza “The Blue”.
Nel complesso l’operazione si rivela, comunque, del tutto azzeccata per la qualità intrinseca dei brani scelti e delle relative riproposizioni, con note di merito per l’operato di Lenore S. Fingers, dove possiamo apprezzare ancora una volta la splendida voce di Lenore, Shores Of Null, la band più metal del lotto che, non a caso, si appropria da par suo di The Dream Of The Old Boats ,uno dei brani più datati dei Novembre, e, come detto L’Alba di Morrigan con la poetica accoppiata tratta da “Materia”.
Di sicuro gradite a chi ha familiarità con la musica proposta, per assurdo questo tipo di iniziative possono rivelarsi utili soprattutto incuriosendo chi magari conosce solo di fama le band oggetto dei tributi, tanto più in questo caso specifico alla luce del recente annuncio (al punto che viene da chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina …) dell’imminente ritorno dei Novembre, guidati dai soli Carmelo Orlando e Massimiliano Pagliuso, a ben otto anni di distanza da “The Blue”.
Da applaudire quindi per la brillante intuizione i promotori del tributo, Marco Gargiulo della Mag-Music e Stefano Morelli di Rumore, a maggior ragione per la decisione di offrirne i contenuti in download gratuito.

Tracklist:
1. Valentine – Lenore S. Fingers (Novembrine Waltz)
2. The Dream Of The Old Boats – Shores Of Null (Wish I Could Dream It Again)
3. A Memory – Demetra Sine Die (Arte Novecento)
4. Aquamarine/Geppetto – L’Alba Di Morrigan (Materia)
5. Cold Blue Steel – Vostok & Australasia (Clasica)
6. Nostalgiaplatz – Arctic Plateau (Classica)
7. Memoria Stoica/Vetro – Shape (Materia)
8. Nothijngrad – Electric Sarajevo (Materia)
9. Jules – Lauren Vieira (Materia)

MAG MUSIC – Facebook

Feral – Where Dead Dreams Dwell

Per chi ama il death metal old school questo è un album da avere assolutamente.

Nel nordeuropa sembra tornata, alla grande, la voglia di suonare death metal come si faceva nei primi anni novanta: sono infatti molte le band che si rifanno ai suoni old school, senza scendere a facili compromessi e tornando a far sferragliare gli strumenti come il genere insegna.

Vero infatti che, aldilà di nostalgici sguardi al passato, il metal estremo ha avuto in quel periodo, un picco qualitativo assoluto con death e black che si giocavano la supremazia sulle preferenze dei fans, con capolavori rimasti saldamente nella memoria di chi quel periodo l’ha musicalmente vissuto.
Non a caso, quando si parla di death metal classico o old school (come va di moda chiamarlo), le band storiche della scena scandinava (insieme a quelle americane) escono dalle note delle nuove opere e dagli articoli di chi prova a descrivere album che, oggi più di qualche tempo fa, si rifanno ad una scena morta per il music biz, ma tremendamente viva nell’underground.
I Feral sono l’ennesima band svedese che torna a far male rifacendosi al death metal classico, ed il suo nuovo lavoro, Where Dead Dreams Dwell, si rivela un altro ottimo esempio di metal estremo che, pur rifacendosi alle band storiche del genere, suona fresco e devastante.
Nato nel 2007, il gruppo di Skellefteå ha dato alle stampe una manciata di demo per esordire sulla lunga distanza quattro anni fa con “Dragged to the Altar”.
Where Dead Dreams Dwell, dunque, è il secondo lavoro, uscito per Cyclone Empire in questa primavera, un nuovo capitolo mixato e masterizzato da Petter Nilsson, ex chitarrista della band, con tanto di copertina disegnata da Costin Chioreanu, già al lavoro con At The Gates, Arch Enemy, Primordial e Mayhem, tra gli altri.
Niente di nuovo, quindi, solo incendiario, travolgente e massacrante metal estremo, suonato bene, composto da brani di ottima qualità, brulicante di solos, di ritmiche velocissime, rallentamenti e ripartenze fulminee e un impatto da vecchia scuola che non lascia scampo.
I Feral, rodati da innumerevoli live, ne esce alla grande, compatta e sfavillante, creando un’onda d’urto di inumana potenza: le canzoni deflagrano in tutta la loro violenza, senza nessun riempitivo e l’album scivola via così fluido e potente tra brani riusciti come Creatures Among the Coffins, Inhumation Ceremony, The Crawler e Mass Resurrection, in cui compare come ospite il growl di Jonas Lindblood dei grandiosi Puteraeon, autori con “The Crawling Chaos”, di uno dei dischi più belli dello scorso anno nel genere.
Where Dead Dreams Dwell è un altro album da non sottovalutare per gli amanti del death metal classico, tornato finalmente ai livelli che gli competono in fatto di qualità, anche grazie a band come i Feral.

Tracklist:
1. Swallowed by Darkness
2. Creatures Among the Coffins
3. As the Feast Begins
4. Suffering Torment
5. Carving The Blood Eagle
6. Inhumation Ceremony
7. The Crawler
8. Overwhelmed
9. Mass Resurrection
10. Succumb to Terror

Line-up:
Viktor Eriksson – Bass
David Nilsson – Vocals
Markus Lindahl – Guitars
Roger Markström – Drums

FERAL – Facebook

Amputory – Ode To The Gore

Album da spararsi come una dose di pura adrenalina, “Ode To The Gore” non farà sicuramente conquistare nuovi fan al genere, ma gli amanti di queste sonorità troveranno di che gioire.

Dalle estreme lande del nordeuropa, un altro combo dedito al death metal old school attraversa il mare e porta con sé, attraversando il vecchio continente, uno tsunami di barbarie in musica: cinque guerrieri che, portando alta la bandiera del genere,e ci investono con la forza distruttrice che solo questo tipo di musica sa regalare.

Loro sono i finlandesi Amputory, autori in precedenza di due demo (“Promo 2010” e “Unclean Promo 2012”) che li hanno portati all’attenzione di Dave Rotten, micidiale singer dei thrashers spagnoli Avulsed e patron della Xtreem Music, una delle maggiori etichette, qualitativamente parlando, del metal estremo underground.
Old school, si diceva ed allora non aspettatevi nulla che non sia puro ed incontaminato death metal scandinavo, feroce, brutale e massiccio: mezz’ora circa di sangue a frotte che esce dagli strumenti, seviziati da quest’orda di fiere feroci, in una messa nera dedicata al signore della morte in un’orgia di suoni estremi direttamente dai primi anni ’90.
La band, compatta, aggredisce dalla prima all’ultima nota, come consuetudine parti veloci si scambiano la scena con altre cadenzate e potentissime, dove il fiore all’occhiello è la prestazione dietro al microfono di quella creatura infernale che di nome fa Jarno Kokkonen, vocalist per talento, orco per natura, dotato di un growl bestiale.
Il resto della band asseconda questa creatura con buona tecnica e tanto feeling, i brani escono pesanti come incudini, travolgenti nelle ritmiche e ottimi nei solos, che sono impietose frustate nella schiena.
Album da spararsi come una dose di pura adrenalina, Ode To The Gore non farà sicuramente conquistare nuovi fan al genere, troppo devoto com’è ai crismi del death tradizionale (più svedese che finlandese, direi), ma gli amanti di queste sonorità troveranno di che trastullarsi tra ossa e falci in questa oscura opera estrema.
Le band storiche a cui la band si ispira sono essenzialmente Dismember e primi Entombed, per cui, se questi nomi sono nelle vostre corde, fate vostro questo inno al male godendovi ancora una volta una mezz’ora di musica estrema con gli attributi al posto giusto.

Tracklist:
1. Enslaved in the Basement
2. Ode to Gore
3. Cleansing the Blade
4. Aghori
5. Unclean
6. Bludgeoned
7. Unaccountable
8. Illuision of Sanity

Line-up:
Pekka Sauvolainen – Bass
Jaakko Kölhi – Drums
Saku Manninen – Guitars
Antti Saikanmäki – Guitars
Jarno Kokkonen – Vocals

AMPUTORY – Facebook

Mindful Of Pripyat – … And Deeper, I Drown In Doom …

Sparatevi senza indugi questa bomba grind/death lanciata dai nostrani Mindful Of Pripyat.

Nati lo scorso anno, i Mindful Of Pripyat sbaragliano il campo nel genere estremo che si rifà al grind/death, con un lavoro sorprendente per impatto e aggressività senza soluzione di continuità.

Forte di un sound che passa agevolmente dal grind tout court al death old school, il trio proveniente dall’area milanese rompe argini, spiana colline e provoca valanghe, una tempesta di metal estremo che si abbatte senza pietà, lasciando al suo passaggio solo distruzione.
I Mindful Of Pripyat iniziano da questo micidiale …and Deeper, I Drown in Doom… la loro avventura nell’underground estremo, e la loro abilità è confermata dalle esperienze passate di tutti e tre i musicisti: Gio, ex Corporal Raid, che devasta alla velocità della luce il drumkit, Giulia, ex Sign of Evil ed Exterminate, alle prese con basso e sei corde e Tya, voce e chitarra già con Antropofagus, Necromega.
Supergruppo? Beh dal curriculum lo si può anche affermare, del resto la conferma di essere al cospetto di una band con i fiocchi arriva dallo tsunami di note estreme che vengono riversate sull’ascoltatore, un massacro racchiuso in 16 brani di cui due sono le cover di Oblivion Descends (Unseen Terror, straordinaria), e Contagion (Defecation) che chiude alla grande il mini cd.
Nel mezzo la band deflagra tra ritmiche violentissime, accelerazioni sempre al limite ed un talento per confezionare il tutto in una forma canzone non molto comune nelle band dedite al genere.
Consigliato alla grande ai fans del grindcore, …and Deeper, I Drown in Doom… non cede un secondo sia per impatto sia per l’alta qualità del sound: in un attimo si arriva all’ultimo brano e la voglia di ricominciare a farci del male con le mazzate inferte dal combo è tanta.

Tracklist:
1. Containment
2. Liquidators
3. Chernobitch
4. Cleansed by Fallout
5. Lone in Town
6. Deterrence
7. Deep Water Coffin
8. Mindful of Pripyat
9. Oblivion Descends (Unseen Terror cover)
10. Rusty Skin
11. 40 Seconds
12. Maruta
13. Rabid
14. G.W.I.
15. Impressions of a Sick Mind
16. Contagion (Defecation cover)

Line-up:
Giovanni – Drums, Vocals
Giulia – Guitar, Bass, Vocals
Tya – Vocals, Noises

MINDFUL OF PRIPYAT – Facebook

Putrid Offal – Premature Necropsy

Ottima iniziativa della Kaotoxin che raccoglie in una compilation i primi lavori dei grindsters francesi Putrid Offal.

Anno solare importante per i Putrid Offal, una delle band di punta della Kaotoxin: dopo l’ep “Suffering” di fine 2014, che di fatto sanciva il ritorno sulle scene della band estrema transalpina, ed il nuovo full length uscito lo scorso febbraio (“Mature Necropsy”), che confermava il gruppo come una delle migliori realtà nel panorama death/grind europeo, eccoci alla alla terza uscita in meno di un anno con Premature Necropsy, raccolta del materiale prodotto negli anni novanta, autentico ripasso della storia del gruppo, rimasto fermo per vent’anni e tornato a devastare come e più di prima.

Di tempo ne è passato tanto ma i brani raccolti in questa compilation non fanno che confermare la bravura del combo, nato in anni nei quali il genere era al massimo della popolarità, trascinato da band di relativo successo come Napalm Death, Carcass e, perchè no, Brutal Truth.
Oltre allo split con gli Exulceration da cui prende il titolo, Premature Necropsy raccoglie le prime opere della band rimasterizzate : dal primo demo “Unformed”, passando dallo split “At the Sight of the Foul Offal” in compagnia degli storici Agathocles, fino allo split “Obscurum Per Obscurius”, diciotto brani che non sono solo i primi vagiti di una band straordinaria, ma una panoramica su quello che offrì il genere negli anni di massimo splendore.
All’epoca la band, oltre a Franck Peiffer e Frédéric Houriez (oggi saccompagnati da Philippe Reinhalter alla chitarra e da Laye Louhenapessy alla batteria) si avvaleva alle pelli di Ludovic Loez prima ed in seguito di Boris Reisdorff.
Premature Necropsy è un acquisto consigliato per chi ha conosciuto il gruppo francese in questo ultimo periodo; i Putrid Offal non lasciano scampo e dimostrano che il loro death/grind anche all’epoca aveva qualcosa in più: terremotante, massacrante vario e suonato alla grande, seguiva la scia dei primi Carcass e General Surgery e costituiva di fatto la risposta transalpina alle devastazioni scandinave e soprattutto americane.
Completato da un booklet completo di biografia e poster nella sua versione limitata a cinquecento copie, questa compilation non può mancare nello scaffale di ogni grindster che si rispetti.

Tracklist:
1. Purulent Cold
2. Repulsive Corpse
3. Premature Necropsy
4. Rotten Flesh
5. Symptom
6. Garroting Way
7. Suffering
8. Mortuary Garlands
9. (outro)
10. Mortuary Garlands
11. From Plasma to Embalming
12. Gurgling Prey
13. Birth Remains
14. Organic Excavation
15. Gurgling Prey
16. Oscillococcinum
17. Purulent Cold
18. Rotten Flesh

Current line-up:
Franck Peiffer – guitars, vocals
Philippe Reinhalter – guitars
Frédéric Houriez – bass
Laye Louhenapessy – drums

Line-up on this compilation:
Franck Peiffer – guitars, vocals
Frédéric Houriez – bass
Boris Reisdorff – drums
Ludovic Loez – drums (tracks 15-18)

PUTRID OFFAL – Facebook

Austerymn – Sepulcrum Viventium

L’album non concede tregua, con atmosfere oscure, velocità e rallentamenti come il genere insegna

L’underground estremo è la culla del death metal old school, relegato purtroppo ai margini della scena attuale e risvegliato solo in parte dalle uscite delle band storiche: recensione, intervista e nello spazio di un mese tutto torna nel dimenticatoio, ignorando quasi completamente le interessanti novità che arrivano da ogni parte del mondo.

Sepulcrum Viventium, esordio sulla lunga distanza dei britannici Austerymn, per esempio, si rivela una gran bella mazzata, roba che negli anni d’oro avrebbe fatto gridare al miracolo più di un addetto ai lavori.
Rik Simpson e Steven Critchley, d’altronde, è dal 1990 che scorribandano per la scena, prima come Perpetual Infestation, poi Godless Truth: diventati Austerymn nel 2007 spostano il tiro dal doom/death a questa massacrante prova di death metal classico, spaventosamente vecchia scuola e per questo, ancora più affascinante.
L’album non concede tregua, con atmosfere oscure, velocità e rallentamenti come il genere insegna, senza compromessi e dall’impatto marcissimo e guerresco, ed offre ai fan un lavoro sopra le righe e con tutti i crismi per ritagliarsi uno spazio nel panorama estremo.
Una sezione ritmica devastante, riffoni da bombardamento a tappeto e un growl rabbioso e profondo sono gli elementi distintivi di una serie di canzoni che prendono per il collo l’ascoltatore, torturandolo e annichilendolo con un assalto sonoro che richiama le scene regine del death metal, quella americana (Death, Massacre) e quella scandinava (Entombed, Dimember, Grave), con l’aggiunta di un’atmosfera oscura e guerrafondaia, dai richiami ai grandi Bolt Thrower.
Written in the Scars, Darkness Burns Forever, la conclusiva e monolitica Riven sono i brani di spicco, ma è tutto l’album che gira a mille, non facendo prigionieri e risultando imperdibile per tutti i fan dei suoni estremi old school.

Tracklist:
1. Intro
2. Feeding the Grotesque
3. Written in the Scars
4. Bleeding Reality
5. Excarnation
6. Darkness Burns Forever
7. The Living Grave
8. In Death… We Speak
9. Necrolation
10. Buried Alive
11. Dead
12. Riven

Line-up:
Rik Simpson – Guitars, Bass, Drums, Keys, Piano, Synth, Vocals
Steven Critchley – Vocals, Bass
Stuart Makin – Guitars (lead)
Nikk Perros – Drums

https://www.facebook.com/pages/Austerymn/447715821937969

www.youtube.com/watch?v=M0Hy8ZQcA0o

Veratrum – Mondi Sospesi

“Mondi Sospesi” conferma le qualità dei Veratrum che, con questo lavoro, dovrebbero guadagnarsi il meritato supporto degli appassionati.

I Veratrum sono una band bergamasca dedita ad un black/death nel quale, nella sua forma alquanto estrema, non viene dimenticata l’importanza delle melodie: cantano in lingua madre e sono al secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo un demo d’esordio (“Sangue” del 2010) ed un full-length (“Sentieri Dimenticati” del 2012).

Mondi Sospesi risulta un buon ascolto per chi sbava per le sonorità scandinave, qui amalgamate da parti estreme riconducibili alla scena dell’Est con i Behemoth in testa: i musicisti, tecnicamente sul pezzo con i propri strumenti, ed una produzione all’altezza fanno il resto, così che il sound estremo della band esplode apparendo a tratti devastante.
Non un assalto senza soluzione di continuità, ma l’aggressione a tratti ragionata e i piccoli dettagli melodici rendono l’ascolto vario; l’uso della lingua italiana forse frenerà un po’ la band a sul mercato estero, ma trovo la scelta, se non ancora perfettamente oliata, sicuramente coraggiosa.
La band quando parte a razzo fa davvero male, le chitarre sparano a velocità della luce solos melodici e la sezione ritmica crea un muro sonoro notevole, ma gli inserti sinfonici, presenti in buon numero, ed i continui cambi di atmosfere e velocità riescono a tenere alta la tensione per tutto il lavoro.
Ottime tra le canzoni presenti sull’album, Il Culto Della Pietra, dove la band alterna death/black, ad una parte sinfonica dal piglio epico e declamatorio, con un riff portante in pieno stile scandinavo che ricorda i primi vagiti della scena melodic death, così come l’intro della devastante Il Tempo Del Cerchio, poi violentata da squarciante metallo oscuro e furibondo.
La seguente Quando in Alto vince la palma del brano più estremo del lotto, con il suo death metal al limite del brutal nelle ritmiche e nel growl animalesco e profondo, rivelandosi un pesantissimo macigno estremo e di notevole impatto.
Mondi Sospesi conferma le qualità dei Veratrum che, con questo lavoro, dovrebbero guadagnarsi il meritato supporto degli appassionati.

Tracklist:
1. Intro
2. Un Canto
3. Il Culto Della Pietra
4. Etemenanki
5. Il Tempo Del Cerchio
6. Quando In Alto
7. Davanti Alla Verità
8. H Nea Babylon

Line-up:
Haiwas -Voice Guitar
Rimmon – Guitar Vocals
Marchosias – Bass
Sabnok – Drums

VERATRUM – Facebook

Orakle – Eclats

“Eclats” è un buonissimo disco, probabilmente un po’ elitario nella sua essenza, ma capace di soddisfare chi apprezza questa particolare commistione tra sonorità estreme ed evoluzioni strumentali di matrice progressive.

Terzo album per i francesi Orakle, dediti ad una forma di progressive death/black certamente non inedita ma di indubbia qualità.

I musicisti coinvolti nel progetto (tra i quali troviamo Emmanuel Rousseau degli immensi 6:33 e dei Carnival In Coal) sono di primissimo ordine e lo dimostra ampiamente la padronanza tecnica esibita nel corso di Eclats.
Tutto ciò, alla fine, si rivela nel contempo pregio e limite dell’opera: infatti, chi ricerca passaggi intricati e ammantati da una buona dose di sana follia qui troverà pane per i suoi denti ma, di contro, sfido chiunque a memorizzare agevolmente non dico un brano intero ma una sua specifica porzione.
In effetti, all’ennesimo cambio di tempo eseguito in un amen dagli Orakle, l’ascoltatore meno avvezzo al genere rischia di finire a gambe levate come accaduto di recente al povero Boateng dopo la finta di Messi …
Volendo trovare un termine di paragone con un nome già noto si può dire che gli Orakle siano una sorta di versione meno estrema degli Ephel Duath: stessa perizia esecutiva, uguale ricerca di un suono anticonvenzionale e medesima difficoltà nel decrittarne la proposta.
Pur apprezzando il lavoro, ritengo che un minimo di linearità o in più lo avrebbe reso più appetibile e quindi migliore; per di più il suo svilupparsi nell’arco di quasi un’ora ed il ricorso alla lingua madre non ne agevolano sicuramente la fruizione.
Resta inteso però che Eclats, contraddistinto anche da una prestazione vocale versatile e da un lavoro chitarristico di fattura non comune, è comunque un buonissimo disco, probabilmente un po’ elitario nella sua essenza ma capace di soddisfare chi apprezza questa particolare commistione tra sonorità estreme ed evoluzioni strumentali di matrice progressive.

Tracklist:
1. Solipse
2. Incomplétude(s)
3. Nihil incognitum
4. Apophase
5. Le sens de la terre
6. Aux éclats
7. Bouffon existentiel
8. Humanisme vulgaire

Pierre “Clevdh” Pethe – Drums
Frederic A. Gervais – Vocals, Bass, Keyboards, Guitars
Antoine “OHM” Aubry – Guitars
Etienne Gonin – Guitars
Emmanuel Rousseau – Keyboards

ORAKLE – Facebook

Dormant Inferno / Dionysus – Beyond Forgotten Shores

Davvero convincente questo split album che vede coinvolte due band asiatiche, gli indiani Dormant Inferno ed i pakistani Dionysus.

Davvero convincente questo split album che vede coinvolte due band asiatiche: gli indiani Dormant Inferno e i pakistani Dionysus: due realtà giovani e dalle enormi potenzialità, per di più piuttosto diverse tra loro nonostante vengano inserite entrambe nella famiglia death-doom.

Francamente sono rimasto molto impressionato dai Dormant Inferno, band che ha all’attivo un Ep (“In Sanity”) risalente al 2011; il trio di Mumbai è autore di una prova magnifica, con il picco rinvenibile nella seconda traccia Deliverance, dove viene esibita un’interpretazione del genere trascinate, melodica, ottimamente eseguita e arricchita da una versatile interpretazione vocale. Notevoli anche l’iniziale Veil of Lunacy e la perfetta rielaborazione di A Once Holy Throne, cover dei maestri statunitensi Incantation.
I pakistani Dionysius, reduci dall’Ep del 2012 “A Hymn to the Dying”, vengono parzialmente penalizzati da una produzione non all’altezza di quella che ha gratificato non poco l’operato dei compagni di split: il loro sound, però, sembrerebbe più riconducibile ad un black/death melodico alla Children Of Bodom, sia per le ritmiche più sostenute sia per lo stesso screaming del vocalist riconducibile allo stile di Alexis Laihio.
I due brani proposti, Beneath the Skies of War e Rain, sono comunque abrasivi il giusto e mettono in mostra una band preparata e dalle idee molto chiare, con l’aggiunta di una naturale predisposizione per soluzioni sonore catchy e di grande efficacia.
In sintesi: i Dormant Inferno hanno, a mio avviso, tutti i numeri per esplodere fragorosamente alla prossima occasione, mentre dai Dionysus mi aspetto quell’ulteriore salto di qualità necessario per emergere un contesto molto più affollato come quello relativo al genere da loro proposto.
Peraltro il lavoro è disponibile anche in versione limitata con un bonus CD contenente i precedenti lavori di entrambe le band: un’ottima occasione per ascoltare qualche minuto in più di buona musica e di verificare, dati alla mano, il grado di maturazione mostrato dai due gruppi nel corso di questi ultimi anni.

Tracklist:
1. Dormant Inferno – Veil of Lunacy
2. Dormant Inferno – Deliverance
3. Dormant Inferno – A Once Holy Throne (Incantation)
4. Dionysus – Beneath the Skies of War
5. Dionysus – Rain

Line-up:
Dormant Inferno:
Gautam Shankar – Vocals
Sunny Bhambri – Guitars, Bass
Lenin Kharat – Keyboards

Dionysus:
Sheraz Ahmed – Guitar, Drums
Umair Ahmed – Guitar
Waleed Ahmed – Vocals, Bass, Acoustic Guitar

DORMANT INFERNO – Facebook

DIONYSUS – Facebook

Sinatras – Six Sexy Songs

Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove

Riuniti sotto la bandiera del death’n’roll, cinque musicisti nostrani assemblati dal chitarrista Emanuele Zilio (Strange Corner) debuttano con questo ottimo ep , disponibile gratuitamente in download sul sito del gruppo.

Sei brani di death metal contaminato da sferragliante hard’n’roll e ipervitaminizzato da ritmiche grondanti groove, trascinante e sacrificato sull’altare del puro massacro on stage.
La band nostrana, con l’esperienza accumulata dai protagonisti, da parecchi anni sulla scena metallica, sa come far sanguinare strumenti e padiglioni auricolari: il loro metal estremo diverte e sconquassa, macinando riff su riff, tra tradizione death ed un’attitudine rock’n’roll che deborda dalle canzoni come un fiume di note, rompendo gli argini sotto un’alluvione di watt e invade e trascinando con sé i fan di queste sonorità i quali, per salvarsi, dovranno compiere un’impresa.
Le ritmiche colme di groove, molto cool di questi tempi, sono l’arma in più del combo che, sommato al death dei maestri Entombed dell’epocale “Wolverine Blues” e a un sound panterizzato e a tratti stonerizzato, rendono brani come Contamination, Sunshine e The Game assolutamente devastanti.
Sulla ottima Franck Is Back compare qualche accenno core nei suoni di chitarra e nel ritornello, mente il resto delle tracce sballotta l’ascoltatore tra il death scandinavo ed il metal statunitense.
La band a livello tecnico non offre il fianco a critiche, partendo dall’ottima prova del singer Fla, sul pezzo sia nel growl sia nelle clean vocals comunque sempre robuste e di impatto; la sezione ritmica si dimostra un motore a pieni giri (Lispio al basso e Jenny B. alle pelli) ed enorme risulta il lavoro delle due asce (Minkio e Lele), tra ritmiche forsennate e solos di dirompente impatto hard & heavy .
L’ep, immesso sul mercato per sondare il terreno prima di un futuro full length, dimostra tutte le ottime potenzialità della band nostrana, dunque l’ascolto è consigliato agli amanti del genere; il download gratuito è una mossa azzeccata da parte del gruppo, quindi, senza indugi, fatevi travolgere da questi sei brani sexy, non ve ne pentirete.

Tracklist:
1. Contamination
2. Frank Is Back
3. Sunshine
4. The Game
5. W.A.F.S.
6. All Or Nothing

Line-up:
Lele Sinatra – Chitarra
Fla Sinatra – Voce
Lispio Sinatra – Basso
Minkio Sinatra – Chitarra
Jenny B. Sinatra – Batteria

SINATRAS – Facebook

Profanity – Hatred Hell Within

Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.

Band estrema con la quale vale la pena far conoscenza sono i tedeschi Profanity, dediti ad un death metal tecnico di ottima fattura: Hatred Hell Within è un Ep di tre brani, uscito sul finire dello scorso anno (dicembre) per cui relativamente fresco di stampa.

Il gruppo di Augsburg ha festeggiato lo scorso anno i vent’anni dalla nascita, perciò chiaramente non stiamo parlando di novellini della scena estrema germanica: il suo percorso musicale si è interrotto per una dozzina d’anni tra il 2002 e il 2014, ma nella seconda metà degli anni novanta le uscite discografiche avevano mantenuto un buon ritmo fino al 2000, con l’uscita di demo, split e dei due full length “Shadow’s To Fall” del 1997 e l’ultimo “Slaughtering Thoughts” ad inizio millennio.
Quindi i Profanity si rifanno vivi per devastare padiglioni auricolari, con il loro death metal molto tecnico, gioia per i fan del metal estremo, impreziosito da velocissimi cambi di tempo, scale e funambolismi vari, il tutto mantenendo una notevole violenza di fondo grazie all’esperienza di chi il genere lo mastica da un bel po’.
Il trio è composto da una sezione ritmica mastodontica, composta da Daniel Unzner al basso e Armin Hassmann alle pelli, fenomenale nel mantenere elevato il muro sonoro del sound, su cui spicca il sontuoso axeman e belluino vocalist Thomas Sartor, , protagonista indiscusso di questi tre brani dall’impatto brutale ma magnificamente eseguiti.
Il classico pelo nell’uovo sta nello specchiarsi troppo del buon Sartor, bravissimo ma spesso cervellotico ed intricatissimo nelle sue parti, il che rischia spesso di far perdere fruibilità alle cavalcate estreme del gruppo, che di conseguenza, lasciano per strada un po’ dell’impatto prodotto dal loro sound.
Niente di imperdonabile, d’altronde il genere suonato ha tra i fan molti amanti della pura tecnica che troveranno di che crogiolarsi nei virtuosismi del leader e dei suoi compari.
Tre brani che convincono per quello che si spera sia un nuovo inizio.

Tracklist:
1. Melting
2. I Am Your Soul (You Made Me Flesh)
3. Hatred Hell Within

Line-up:
Thomas Sartor – vocals and guitars
Daniel Unzner- bass
Armin Hassmann – drums

PROFANITY – Facebook