Gurt – Skullossus

La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante possiate trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.

Le vie estreme del metal sono infinite e a ribadire questa verità non scritta ci pensano gli inglesi Gurt, dediti ad un grezzo, irriverente e pesantissimo stoner/sludge.

Il quartetto è in giro a fare danni da sette anni e si porta dietro una discografia lunghissima formata da lavori minori e due full length, Horrendosaurus del 2014 e quest’ultimo trip andato a male, intitolato Skullossus.
Il sound che va a formare questo pesantissimo ed estremo lavoro è composto da una vena stoner, fatta di blues sporco e doom apocalittico, il tutto sotto la sgualcita bandiera dello sludge metal.
La musica dei Gurt è quanto di più pesante, tossico e destabilizzante si possa trovare nel genere e non solo, una colonna sonora al male di vivere che si trasforma in misantropia ed inquietudine.
Ma attenzione,  non c’è niente che possa far pensare ad un qualcosa di romantico, la misantropia insita in Skullossus è fastidiosa, violenta e senza soluzione di continuità.
I brani sono pesantissimi e portano con loro la disperata rabbia di personaggi disadattati, protagonisti loro malgrado di un mondo sconcertante, senza speranza e volto all’autodistruzione.
Skullossus è una jam acida mastodontica e belligerante di disperazione tossica contenente almeno tre perle come Gimme The Night Any Day, The CrotchWobbler e John Gar See Ya Later, quest’ultima vero colpo fatale per la nostra mente.

TRACKLIST
1.Welcome to the Shit Show
2.Give Me the Night, Any Day
3.Battlepants
4.Double Barreled Shot-Pun
5.The Crotchwobbler
6.Existence Is Pain
7.Broken Heart Heroin Man
8.Meowing at the Fridge
9.Jon GarSeeYa Later
10.The Ballad of Tom Stones and Reg Montagne (Part 1)
11.The Ballad of Tom Stones

LINE-UP
Rich Williams – Sedulurt – Riffmonster
Dave Blakemore – Spice – Bassmaster
Bill Jacobs – The Scorpion – Bashing

Gareth Kelly – Vocals
Richard Williams – Guitars
Dave Blakemore – Bass
Bill Jacobs – Drums

GURT – Facebook

Heavy Temple – Chassit

La musica racchiusa in Chassit, secondo ep degli Heavy Temple, trio nato da un sabba in qualche locale di Philadelphia cinque anni fa, la si può senz’altro descrivere come un trip di rock vintage alla massima potenza.

Doom metal e psichedelia: un connubio pericolosissimo se non viene usato con estrema cautela, se poi ci si aggiunge un pizzico di stoner ed una vena leggermente progressiva si ottiene un cocktail micidiale di musica rock dalle reminiscenze settantiane, fatte amoreggiare con sonorità pescate dai decenni successivi.

La musica racchiusa in Chassit, secondo ep delle Heavy Temple, trio nato da un sabba in qualche locale di Philadelphia cinque anni fa la si può senz’altro descrivere in questo modo, un trip di rock vintage alla massima potenza.
Siamo giunti quindi al secondo album (il primo ep omonimo è datato 2014) e la band formata da Saint Columbidae alle pelli, Arch Bishop Barghest alla sei corde e la sacerdotessa High Priestess NightHawk al basso e voce, continua la sua immersione nella musica dal puzzo di zolfo e la potenza di uno schiaccia sassi, ornata da ricami lisergici e cadenzate parti stonerizzate, mentre il rituale prende vita tra teschi ornati di serpi e pentoloni a bollire su fuochi che emanano esalazioni infernali.
Un accenno al prog con In The Court Of The Bastard King, titolo dallo spunto crimsoniano, e lente agonie liturgiche (Pink Glass), mentre il sole sorge ma noi si rimane imprigionati nel vortice di colori innaturali che sguazzano nella nostra mente, ormai in balia delle tre sacerdotesse americane.
Per chi i piace il genere le Heavy Temple possono rivelarsi un’autentica e gradita sorpresa.

TRACKLIST
1.Key and Bone
2.Ursa Machina
3.Pink Glass
4.In the Court of the Bastard King

LINE-UP
Saint Columbidae – Drums
Arch Bishop Barghest – Guitars
High Priestess NightHawk – Bass, Vocals

HEAVY TEMPLE – Facebook

Dustrider – Event Horizon

Le canzoni di Event Horizon superano di gran lunga la forma canzone e sono jam spirituali e spaziali, fumosamente particolari e molto godibili.

Viste le premesse e soprattutto i componenti questo debutto non poteva suonare diversamente.

I Dustrider vengono da Roma e fanno uno strumentale space stoner e molto più in là ancora. Il loro suono è un viaggio psichedelicamente distorto, un addentrarsi tra asteroidi e galassie immaginarie, per mezzo di potenti cavalcate sonore fatte di stoner metal pesante e fluttuante. I Dustrider sono il batterista Francesco “Krundaal” Romano (Riti Occulti and Jarman), il bassista Andrea “Keoma” Romano e il chitarrista Bruno “Brüno” Bellisario. Vorrei porre l’attenzione sui gruppi dove milita il batterista Francesco Romano, perché nei loro distinti campi sono due realtà eccellenti, e anche gli altri due componenti non sono da meno. Il disco è quindi nato sotto ottimi auspici, per poi venire fuori anche meglio. L’ ipnosi strumentale che ci regalano i Dustrider è molto ampia e ci offre una gamma pressoché infinita di generi, dallo space al desert, a momenti maggiormente psichedelici e sognanti, però sempre con la distorsione inserita e, cosa ancora più importante, volendo sempre esprimere canzoni e momenti in uno stile molto ben definito. Le canzoni di Event Horizon superano di gran lunga la forma canzone e sono jam spirituali e spaziali, fumosamente particolari e molto godibili. Un gruppo molto al di sopra della media .

TRACKLIST
1. Warped
2. Cosmo
3. They Live!
4. Fallout Criminal
5. Agartha
6. Stratosphere
7. Event Horizon
8. Ultima IV
9. Dust Devil

LINE-UP
Bruno ‘Brüno’ Bellisario – Guitar
Andrea ‘Keoma’ Romano – Bass
Francesco ‘Krundaal’ Romano – Drums

DUSTRIDER – Facebook

Electric Age – Sleep Of The Silent King

Dalla Lousiana arriva un disco di musica che solo nel sud degli States fanno in una certa maniera, tra paludi e polvere di tombe di antiche famiglie maledette.

Dalla Lousiana arriva un disco di musica che sono nel sud degli States fanno in una certa maniera, tra paludi e polvere di tombe di antiche famiglie maledette.

Gli Electric Age provengono dalla Louisiana, si sono formati nel 2013 e tutti hanno un passato in gruppi locali. Il loro suono è un doom metal fortemente contaminato dal southern, ovvero una forte impronta di quel tipo di composizione pesante ma allo stesso tempo ariosa che viene da lontano. Fin dalla seconda canzone Shepherd And Raven si può degustare questo suono fatto di solidità e melodia, con la voce che detta i tempi, chitarre non troppo distorte e che compiono sinuosità comprensibili e notevoli senza eccedere, e una sezione ritmica che non passa mai in primo piano, ma che è un fondamentale collante. Nelle canzoni degli Electric Age possiamo ritrovare un antico retrogusto doom, che si spinge quasi nel proto doom, un qualcosa di molto vicino al southern. Gli anni ottanta soprattutto, ed in minor misura gli anni settanta, trasudano da questo disco ma non è un suono derivativo, perché è una rielaborazione originale. I tempi sono dilatati ma non troppo, e tutto trova spazio, perfino tastiere suonate in maniera intelligente. Il risultato complessivo è davvero buono, le canzoni sono composte molto bene e il disco fila via fluido. Nell’avanzare del disco si può leggere una storia, quella di un viaggio nel tempo e nella conoscenza, fra tenebre e divinità, con sullo sfondo morte e redenzione. Tutte queste cose non sono novità ma non è facile raccontarle in una certa maniera, e soprattutto la musica è davvero di alto livello, con un gusto davvero unico.

TRACKLIST
1.The Threshold
2.Shepherd And The Raven
3.Robes Of Grey
4.Cold Witch
5.Priestess Pt.1
6.Black Galleons
7.Sleep Of Winter
8.Silent King
9.Elders
10.Priestess Pt. 2
11.Electric Age
12.The Dreaming

LINE-UP
Shawn Tucker – Lead Vocals,Guitar,Bass
J. Ogle – Guitar,Bass,Vocals
Kelly Davis – Drums,Vocals

ELECTRIC AGE – Facebook

Egon Swharz – In The Mouth Of Madness

Quello degli Egon Swharz, pur non mostrando elementi di novità, si rivela al mio orecchio superiore ad altre uscite di questo tipo, grazie ad un suono più profondo ed intenso.

Egon Swharz è il nome di un trio abruzzese che si lancia in un segmento stilistico piuttosto affollato negli ultimi tempi, come è quello dello stoner doom strumentale.

Il mio pensiero, per quel che possa valere, l’ho già ribadito più volte: la rinuncia ad un vocalist nella maggior parte dei casi si fa sentire, e sono poche le band che riescono a sopperirvi brillantemente, in virtù di un approccio più deciso e soprattutto non manieristico.
In The Mouth Of Madness possiede una buona percentuale di tali caratteristiche, per cui l’operato degli Egon Swharz si snoda con una certa fluidità, nonostante non vengano meno momenti in cui la reiterazione ossessiva dei riff potrebbe indurre a pensare il contrario (valga quale esempio la conclusiva Hobb’s End Horror).
L’album è intriso di atmosfere che attingono ad un immaginario cinematografico contiguo all’horror lovecraftiano, ben raffigurato dalla copertina, opera del sempre bravo SoloMacello, traendo linfa musicalmente da quei tre o quattro nomi che la band stessa cita quali propri riferimenti (Electric Wizard, Iron Monkey, Sleep).
La chitarra si concede rare escursioni soliste, prediligendo semmai, in alternativa ad un riffing roccioso e pachidermico, sequenze di arpeggi che segnano i momenti più rarefatti (in particolare la parte centrale
della lunga Green Breathing Tunnel), mentre la base ritmica svolge il suo puntuale lavoro di robusto puntello dell’intera struttura musicale.
Quello degli Egon Swharz, pur non mostrando elementi di novità, si rivela al mio orecchio superiore ad altre uscite di questo tipo, grazie ad un suono più profondo ed intenso, capace di evocare le immagini di un ipotetico film tratto da qualche terrificante racconto del solitario di Providence.
Purtroppo, parafrasando quello che si dice a proposito di animali particolarmente intelligenti od espressivi, a questo album manca solo la parola …

Tracklist:
1.The Feeding
2.The Thing In The Basement
3.Green Breathing Tunnel
4.Haunter (Visions From An Abyss)
5.Hobb’s End Horror

Line up:
Enzo P.Zeder – bass
Gianni Narcisi – drums
Vittorio Leone – guitars

EGON SWHARZ – Facebook

Artemisia – Rito Apotropaico

Un album molto bello ed intenso, un passo avanti importante per gli Artemisia ed uno dei migliori esempi di metal cantato in italiano degli ultimi tempi.

Tornano gli Artemisia con il quarto album della loro carriera, a conferma dello stato di grazia raggiunto dal precedente lavoro, Stati Alterati Di Coscienza, uscito tre anni fa ed applaudito da fans e addetti ai lavori.

La band della splendida interprete Anna Ballarin e del chitarrista Vito Flebus, ormai da dieci anni nella scena metal nazionale, propone il suo disco più oscuro e dark, potenziato da scariche metalliche classic doom ed una vena psichedelica che spunta tra i brani come ipnotici occhi di un serpente pronto a colpire.
Sempre valorizzato da testi d’autore, questa nuova quarta opera dal titolo Rito Apotropaico (termine riferito a oggetto, atto, animale o formula che allontana o annulla un’influenza maligna) porta con sé una voglia di cambiamento da parte del quartetto, che potenzia la vena sabbatica del proprio sound, lasciando le sfumature alternative dei precedenti lavori e proponendosi come band metal a tutti gli effetti.
Oscuro e potente dicevamo, proprio come un rito che deve allontanare le forze oscure, con una Ballarin espressiva e a tutti gli effetti sacerdotessa di questi trentacinque minuti di metal cantato in italiano.
Leggende, magia, l’aldilà ed il sempre aberrante lato oscuro dell’uomo sono i temi trattati in questi otto brani ,con l’opener Apotropaico che, senza indugi, ci invita al sabba creato dagli Artemisia e che continua ipnotico con Il Giardino Violato, traccia dedicata al tema scottante della pedofilia.
Stupenda Tavola Antica, con in evidenza il basso di Ivano Bello, mentre la tensione metallica rimane altissima, con la protagonista che tramite una tavola ouija cerca di evocare uno spirito guida.
Doom stoner di alta qualità nella rituale Iside e atmosfera che si rilassa con le ariose armonie acustiche di La Guida, prima che il gran finale venga assicurato dalle sfuriate metalliche del trittico La Preda, Regina Guerriera e Senza Scampo.
Un album molto bello ed intenso, un passo avanti importante per gli Artemisia ed uno dei migliori esempi di metal cantato in italiano degli ultimi tempi.

TRACKLIST
1.Apotropaico
2.Il giardino violato
3.Tavola antica
4.Iside
5.La guida
6.La preda
7.Regina guerriera
8.Senza scampo

LINE-UP
Anna Ballarin – Voce
Vito Flebus – Chitarra
Ivano Bello – Basso
Gabriele “Gus” Gustin – Batteria

ARTEMISIA – Facebook

Ursa – The Yerba Buena Session

Gli Ursa riescono a mantenere un’ottima tensione per tutto il disco, e queste sessioni assumono il carattere di jam composte molto bene.

Gli Ursa sono la dimostrazione che con talento e passione si può fare un ottimo doom stoner metal, pur provenendo da un ambito diverso dell’universo metal.

I tre provengono da Petaluma in California, stato fresco della legalizzazione dell’erba, e questo disco è appunto un lungo viaggio in cinque canzoni in download libero.
La nascita degli Ursa si deve ad un progetto parallelo di tre quarti dei Cormorant, un buon gruppo black metal. I tre si staccano momentaneamente dal gruppo madre per fare del doom stoner di alta qualità.
Il loro suono parte dalle coordinate classiche del genere, con un passo arioso ma che non tralascia momenti maggiormente veloci, anche con l’ottimo ausilio di un organo. Gli Ursa riescono a mantenere un’ottima tensione per tutto il disco, e queste sessioni assumono il carattere di jam composte molto bene. Una delle grandi protagoniste in questo disco è l’epicità delle canzoni, e anche i testi riflettono un amore per il fantasy e per il fantastico in genere. A volte spunta il loro amore per il black metal in alcune energiche tirate, che non sono di fatto black ma che lasciano trasparire ciò. Ci si deve addentrare in The Yerba Buena Sessions per carpirne il forte carattere e la gran classe, e per gustare a fondo questo ottimo ed epico doom stoner.
In definitiva un disco che vi stupirà e che conferma l’ottima via americana al doom epico.

TRACKLIST
1.Wizard’s Path
2.Frost Giantess
3.Thirteen Witches
4.Scourge of Uraeus
5.Dragon’s Beard

LINE-UP
Brennan – Drums & Synth
Matt – Bass & Vocals
Nick – Guitars & Synth

Ephedra – Can’ – Ka No Rey

Gli Ephedra vanno in profondità nello scrivere le loro canzoni e fanno provare all’ascoltatore un’esperienza nuova, ampliando le possibilità della musica strumentale, con la loro miscela di stoner doom ed heavy metal.

Le miscele se equilibrate e fatte bene sono irresistibili.

E’ questo il caso degli Ephedra, da Zofingen nel cantone Argovia, quartetto svizzero che propone un suono davvero particolare, a cavallo di molti generi, tra i quali lo stoner, il doom, ma con un fortissimo substrato di heavy metal, più che altro un sentire. In questo disco d’esordio gli Ephedra fanno sfoggio di un suono che non è facile da sentire, possiamo prendere come punto di partenza la musica pesante strumentale dei Karma To Burn. ad esempio, anche se qui la filigrana è più sottile, ma giusto per far capire all’ascoltatore cosa lo aspetta. Partendo da queste coordinate gli Ephedra viaggiano fra i generi, e nella stessa canzone possiamo ascoltare post rock, post metal ed altro. Ancora più in profondità la struttura della maggior parte delle canzoni è composta da un’epicità e classicità metal davvero peculiare. Gli Ephedra vanno in profondità nello scrivere le loro canzoni e fanno provare all’ascoltatore un’esperienza nuova, ampliando le possibilità della musica strumentale, rendendo Can’- Ka No Rey un disco molto particolare. Il titolo del disco deriva dal nome di un luogo nella saga della Torre Nera di Stephen King, e questo già rende bene l’idea dell’epicità fantasy insita in questo disco, che è davvero piacevole alle orecchie di chi lo sente, perché è strutturato davvero bene. Gli svizzeri fanno venire voglia di sentirli molte volte, e sarà interessante testarli dal vivo, anche perché il loro suono è stato costruito sui palchi delle loro numerose esibizioni di fronte al pubblico. Un album di esordio molto positivo, ma che soprattutto si distacca dalla media dei lavori di altre band a loro affini.

TRACKLIST
1.Vicious Circle
2.Bad Hair Day
3.Mother Stone
4.Cornfield Disaster
5.Monday Morning
6.Metamorphosis Calypso
7.Coco Mango Soup
8.Happy Threesome
9.Road Trip
10.Barstool Philosophy
11.Moonshiner
12.Southern Love

LINE-UP
Roman Hüsler -Guitar
Andy Brunner – Guitar
Kilian Tellenbach – Bass
Tomi Roth – Drums

EPHEDRA – Facebook

Hazzard’s Cure – Smoke Iron Plunder

Ogni traccia fa storia a sé nell’economia di Smoke Iron Plunder, ed è facile perdere la bussola in una scaletta così terogenea stilisticamente.

Gli Hazzard’s Cure sono un quartetto proveniente da San Francisco, il cui sound pesca più o meno da tutti i generi che formano il mondo del metal classico.

Smoke Iron Plunder è il nuovo parto, uscito per Lummox Records, un variopinto e violento quadro di heavy metal old school in cui la varietà di generi non viene supportata da una produzione di adeguato livello, pecca che inficia non poco la riuscita dell’album.
Il quartetto californiano passa con disinvoltura dall’heavy metal al doom, passando per violente ripartenze speed, sfuriate dai rimandi black e lenti passaggi al limite dello sludge.
Ogni traccia fa storia a sé nell’economia di Smoke Iron Plunder, e per molti può rivelarsi un difetto visto che è facile perdere la bussola tra le varie Master of Heathens, No Hope e via discorrendo.
L’ inizio dell’album è tutto incentrato su brani ispirati agli anni ottanta, poi, col passare dei minuti, la band vira verso un heavy metal stoner dai molti passaggi sludge (Siren’s Wail) confondendo non poco le idee all’ascoltatore di turno.
Si fanno apprezzare le tracce orientate sulle sonorità classiche (An Offering), mentre gli Hazzard’s Cure pagano dazio quando la loro musica prende strade stonate e desertiche, che poco hanno a che vedere con il mood di gran parte dei brani presenti.
Un album tra molti bassi e pochi alti, insufficienti ad elevarlo oltre la mediocrità.

TRACKLIST
1. Master of Heathens
2. An Offering
3. Hewn In Sunder
4. No Hope
5. Sirens’ Wail
6. War Pipe
7. Gracious Host
8. This Is Hell

LINE-UP
Chris Corona – Guitar, Vocals
Leo Buckley – Guitar Vocals
Shane Bergman – Bass, Vocals
Clint Baechle – Drums

HAZZARD’S CURE – Facebook

Chronic Hangover – Nero Inferno Italiano

Nero Inferno Italiano è un disco composto e suonato benissimo, pieno di novità e di carattere, originale dall’inizio alla fine, e diverte moltissimo, se solo ci fosse qualcosa da ridere.

Vizio, perdizione ed inutili giustificazioni, insomma la vita nel bel paese, o è solo il nero inferno italiano ?

Tornano i romani Chronic Hangover, con il loro ottimo stoner doom metal, con molto groove e canzoni composte molto bene. I ragazzi hanno ascoltato ed assorbito molte cose per poter fare un disco così, completato poi da ottimi testi in inglese. Questo è il loro debutto su lunga distanza, dopo l’ottimo ep del 2014 “Logicamente il Signore ci punirà per questo”, e a quanto pare non li ha puniti, o almeno non nel modo canonico. Il suono dei Chronic Hangover è un misto di elementi classici del metal, ma la loro rielaborazione è talmente buona che ne esce un qualcosa di davvero originale. La voce di Jacopo è il noi narrante del disastro dell’italica vita, e ci accompagna per mano in una galleria di quadri che descrivono la nostra vita, si è proprio la nostra vita, senza senso e deprimente. Ma non piangiamoci addosso, facciamo schifo perché lo vogliamo fare e questo splendido disco è qui per ricordarcelo. Ci sono tante cose qui dentro, dallo stoner al doom, dal groove metal all’heavy, ma è tutto Chronic Hangover, qualcosa di completamente nuovo. Nero Inferno Italiano è un disco composto e suonato benissimo, pieno di novità e di carattere, originale dall’inizio alla fine, e diverte moltissimo, se solo ci fosse qualcosa da ridere. La soluzione è quella della copertina, in più però al bar fate mettere questo gran disco.

TRACKLIST
1. Vituperio
2. Homunculus
3. Sociopatia
4. Regretudo
5. Tossine
6. Villa Triste
7. Alamut 2112
8. Nero Inferno Italiano
9. Lucifer In The Sky With Diamonds

LINE-UP
Jacopo: Vocals
Rutto: Bass
Charlo: Drums
Zorro: Guitars

CHRONIC HANGOVER – Facebook

Blacksmoker – Rupture

Un album davvero convincente per chi non è mai sazio di ascoltare stoner/sludge.

Secondo full length per i tedeschi Blacksmoker, band formata da musicisti esperti e provenienti da diverse realtà della scena sludge/stoner teutoinica.

Rupture non è un lavoro che si perde in preamboli, e l’ottima title track è l’idale biglietto da visita, utile a far comprendere che la reazione nei confronti di ciò che non funziona al meglio nella società odierna si può esplicitare anche attraverso una musica senz’altro robusta, ma mai scevra di un certo groove unito ad un buon impatto melodico.
Infatti, se di sludge possiamo parlare a buon titolo, quello dei Blacksmoker è più virato verso lo stoner e all’heavy metal, in tal senso prossimo alla scuola americana, piuttosto che orientato ai plumbei rallentamenti o alla e ruvidità dell’hardcore che sono spesso insiti nella scuola europea.
I ritmi così sono per lo più sostenuti e i brani sono quasi sempre provvisti di chorus memorizzabili, tra i quali spicca senza’altro la magnifica Ouroboros 68, con tanto di riuscito assolo chitarristico di matrice heavy.
Rupture è un opera avvincente dal primo all’ultimo minuto, grazie ad una scrittura lineare che, difficilmente, si perde in rivoli sperimentali o rumoristici, i quali vengono sapientemente confinati nella traccia conclusiva Room 101, certamente diversa rispetto al resto della tracklist ma non per questo di livello inferiore.
La sensazione è che i Blacksmoker siano una potenziale macchina da guerra dal vivo, in virtù del loro approccio pesante quanto diretto, e sono convinto i muri sonori che il quartetto di Wurzburg appare in grado di erigere con buona continuità mieteranno dievrse vittime.
Un album davvero convincente per chi non è mai sazio di ascoltare stoner/sludge.

Tracklist:
1. Rupture
2. Herorizer
3. Ouroboros 68
4. Huntress
5. Neglect
6. Undefeated
7. Dark Harvest
8. Pariah
9. Ghost
10. Room 101

Line-up:
Sven Liebold – Vocals, Bass
Marco Reuß – Guitar, Vocals
Boris Bilic – Guitar, Vocals
Tobias Anderko – Drums

BLACKSMOKER – Facebook

Haast’s Eagled – II: For Mankind

Magnifico secondo disco dai creatori del “kaleidoscopic doom”

Credo che capiti a chiunque ascolti MUSICA: la ricerca continua di nuovi suoni, emozioni e sensazioni in grado di migliorare il nostro stato d’ animo logorato dagli accelerati ritmi di vita; nel grande mare di band dedite al doom, in tutte le sue oscure varietà, ho scoperto questa band del sud del Galles dedita, come riferisce la loro casa discografica la Holy Roar, a un “kaleidoscopic doom” o se preferite a un “doomlounge jazz”.

In ogni caso il disco è splendido e vi invito, come al solito, a provarlo e a dare fiducia a questa nuova realtà denominata Haast’s Eagled, giunta alla sua seconda opera, II: For Mankind (la prima è omonima e si può scaricare dal bandcamp). Il nome particolare deriva da una specie estinta di aquila della Nuova Zelanda; la cover in rosso intenso è inquietante e il full contiene quattro lunghi brani dai sette ai venti minuti che dipanano un sound denso, imponente con grandi suoni di chitarra che possono ricordare gli statunitensi Yob per come lentamente sviluppano il loro brano; esempio è il mastodontico brano Zoltar (venti minuti) che inizia con delicate, tristi note di pianoforte e dopo un minuto vira (doom meets Pink Floyd) con uno splendido caldo, ampio e circolare riff di chitarra che accompagna la lenta ascesa verso le vocals che intonano una litania misteriosa, per poi esplodere in un doom sludge potentissimo e terminare con il piano doppiato da un romantico sax: la traccia è eccellente e per me è tra le migliori di questo 2016 ricco di belle uscite in campo doom e non solo. Anche gli altri tre brani, più contenuti nel minutaggio, offrono delizie sonore tendenti a creare il loro personale sound. Preferisco il termine caleidoscopico a lounge jazz e credo che questi quattro musicisti abbiano un grande potenziale, una loro visione del doom e spero che si possano ascoltare live prima o poi anche nelle nostre terre.

TRACKLIST
1. Pyazz Bhonghi
2. The Uncle
3. Zoltar
4. White Dwarf

LINE-UP
Greg Perkins – Bass
Joseph Sheehy – Drums
Adam Wrench – Guitars, Vocals
Lee Peterson – Unknown

HAAS’T EAGLED – Facebook

Mojuba – Astral Sand

Dimenticatevi lo stoner da classifica, in Astral Sand si picchia duro e si viaggia in un’atmosfera sabbatica

Da un’idea di Francesco Mascitti nel 2014 si formano i Mojuba, che arrivano all’esordio con Astral Sand tramite Red Sound Records.

La band, oltre al chitarrista e fondatore, vede Pierpaolo Cistola dietro al microfono e la sezione ritmica composta da Alfonso Bentivoglio alle pelli e Fabrizio Rosati al basso.
Un richiamo alle origini del blues nel nome (il “Mojuba” è una preghiera africana di lode e ringraziamento, da cui deriva il termine Mojo, l’amuleto magico che accompagnava i bluesman delle origini) ed una voglia matta di jammare sulle ali dello stoner rock, pescando ispirazioni dalle varie scene che si sono succedute nei decenni prima della fine del secolo scorso e lasciandole fluire in un sound dal clima psichedelico e rituale.
Dimenticatevi lo stoner da classifica dunque, in Astral Sand si picchia duro e si viaggia in un atmosfera sabbatica, in una lunga e messianica jam dove, nella coltre di nebbia causata da fumi illegali, hard rock settantiano, doom psichedelico e stoner rock si alleano per farvi perdere nei meandri di note che formano questo intrigante rito.
Atmosfere dilatate si alternano a bordate elettriche pesanti come incudini, la voce grezza ci accompagna tra le note che prendono forma nella nostra mente come fantasmi o spiriti danzanti, mentre la chitarra disegna riff di scuola Rise Above e di quei gruppi che si unirono alla famiglia di Lee Dorrian.
Un album che va assaporato fino all’ultima nota, in un crescendo che ha il suo picco proprio nell’ultimo brano, La Morte Nera: quattordici minuti di stoner doom che ipnotizza, destabilizza e porta all’inevitabile debacle psichica. Da avere.

TRACKLIST
1. Wawa Aba Tree
2. Drowning Slowly
3. Musuyidee
4. Lost in the Sky
5. Adobe Santann
6. Astral Sand
7. Sesa Woruban
8. La Morte Nera

LINE-UP
Francesco Mascitti – Guitars
Pierpaolo Cistola – Vocals
Alfonso Bentivoglio – Drums
Fabrizio Rosati – Bass

MOJUBA – Facebook

Zaum – Eidolon

Una musica non per tutti ma estremamente affascinante, ricca ed assolutamente fuori dal comune.

Immaginate di partire per un viaggio onirico ed astrale, passeggiare tra epoche millenarie mentre intorno a voi figure mitologiche appaiono e scompaiono o, semplicemente accompagnano il vostro peregrinare in mondi dimenticati dal tempo: questo è ciò che suscita l’ascolto di Eidolon, monumentale lavoro del duo canadese Zaum, parola che indica un linguaggio che un gruppo di poeti futuristi russi provò a creare nello scorso secolo.

Attraverso la musica di questa coppia di sciamani del nuovo millennio, Kyle Alexander McDonald (basso, sitar, synth e voce) e Christopher Lewis (batteria), verrete ancora una volta, dopo il debutto Oracles uscito due anni fa, trasportati fuori dal vostro corpo, in un’esperienza che trascende il reale per l’astrale, due brani di una ventina di minuti ciascuno, lenti e psichedelici, stonerizzati e messianici, un trip lunghissimo, da perdersi in un mondo lontano anni luce dal nostro vivere quotidiano.
Le due tracce partono lente, ipnotizzanti, per poi esplodere in attimi di doom/stoner potentissimo e ritornare subito dopo alle atmosfere sulfuree e spirituali.
Un doom mantra, come lo chiamano loro, e mai etichetta è stata più azzeccata per descrivere il sound prodotto nelle due lunghissime suite Influence Of The Magi e The Enlightenment.
Esperienze meditative, magari con qualche aiutino illegale, sfumature orientaleggianti, atmosfere magiche e profonde che necessitano di un ascolto attento e concentrato, musica per chi non si fa distrarre ed entra dalla porta principale nel mondo parallelo sognato dagli Zaum.
Una musica non per tutti ma estremamente affascinante, ricca ed assolutamente fuori dal comune.

TRACKLIST
1.Influence of the Magi
2.The Enlightenment

LINE-UP
Kyle Alexander McDonald – Vocals, Bass, Sitar, Synth
Christopher Lewis – Drums

ZAUM – Facebook

Dopethrone – 1312

Un piccolo regalo dei Dopethrone, tre tracce in free download in attesa del loro nuovo disco.

Un piccolo regalo dei Dopethrone, tre tracce in free download in attesa del loro nuovo disco.

I Dopethrone prendono al volo le possibilità che offre la rete nel condividere musica con gli utenti, ed ecco un ep in download libero per saziare la voglia del gruppo canadese. Tre canzoni con la consueta carica di marcezza e distorsione che contraddistingue questo gruppo, uno dei migliori in campo stoner e sludge. I Dopethrone hanno un passo veramente importante, un incedere distorto e possente, che lascia solo fumo e macerie. Questo ep non offre nulla di nuovo, ma con il trio non si cerca la novità, ma la sostanza e qui di sostanza ce n’è molta. Le storie sono quelle del disagio che vive ad ogni latitudine, anche nell’apparentemente pulito Canada. Qui giacciono oscure forze che sono bene evidenziate dai Dopethrone. Questo ep è forse ancora più decadente e sludge di Horchelaga, il loro ultimo full length del 2015, dedicato all’omonimo quartiere di Montreal, dove tutto è in vendita. Un gruppo che si conferma sempre ad alti livelli, con uno stile ben riconoscibile, a differenza di molti altri gruppi dello stesso genere, che sta diventando molto ripetitivo, ma finché ci sono i Dopethrone non c’è pericolo. È anche gratis dai, voi dovete solo comprare la droga.

TRACKLIST
1. SHOT DOWN
2. DRIFTER
3. SKAG REEK

DOPETHRONE – Facebook

Haunted – Haunted

Un’altra opera affascinante proveniente da una Sicilia nella quale sono sempre più curioso di fare un salto per scoprire il segreto di una tale magnificenza musicale.

Esordio omonimo per questo quintetto doom stoner siciliano, nato solo lo scorso anno in quel di Catania e che annovera tra le sue fila Frank Tudisco, un passato nei seminali Sinoath e bassista nella nuova formazione degli storici Schizo.

Nelle nostre due isole maggiori deve nascere qualche pianta a noi sconosciuta, dagli effetti collaterali tremendamente allucinogeni, vista (e non è la prima volta che lo scrivo) la qualità altissima delle uscite discografiche nel genere, confermate pure da questa pesantissima opera degli Haunted.
La grafica che accompagna l’album (ad opera di Sandro Di Girolamo, leader degli straordinari psycho-stoner palermitani Elevator To The Grateful Sky) ricorda le opere doom settantiane e soprattutto gli album usciti per la Rise Above del sommo sacerdote Lee Dorrian, impressione confermata dal sound di cui che si avvicina a quanto fatto da Orange Goblin ed Electric Wizard.
Una voce femminile (Cristina Chimirri), ci accompagna in questo trip doom messianica di una potenza pari ad un eruzione vulcanica, le sei corde ribassate fino al limite, il basso che pulsa come il cuore di un gigante addormentato e le pelli che si squarciano sotto i colpi inferti da Valerio Cimino, formano un monolite sonoro di impressionante potenza e pesantezza.
Non manca, come spiegato, quella componente psichedelica che è ormai tradizione per i gruppi che provengono dal profondo Sud, come dal bel mezzo del Mediterraneo, che rende l’opera ancora più sabbatica e disturbante, facendoci perdere a lunghi tratti la bussola nel mezzo del magma sonoro che il gruppo catanese ci rovescia addosso.
Cinque brani per più di quaranta minuti di musica del destino dall’inquietante incedere, un mega trip che ci incatena alla poltrona e ci invita ad un diabolico sabba, ipnotizzante e pericolosissimo, una lunga e drammatica avventura persi in deserti oscuri dove il sole è una palla di micidiale catrame nerissimo e caldissimo, una lenta agonia che ha nelle sabbatiche note del singolo Silvercomb, dell’opener Nightbreed e della conclusiva title track le sue magmatiche perle nere.
Un’altra opera affascinante proveniente da una Sicilia nella quale sono sempre più curioso di fare prima o poi un salto per scoprire il segreto di una tale magnificenza musicale.

TRACKLIST
1. Nightbreed
2. Watchtower
3. Silvercomb
4. Slowthorn
5. Haunted

LINE-UP
Valerio Cimino – Drums
Cristina Chimirri – Vocals
Frank Tudisco- Bass
Francesco Orlando – Guitars
Francesco Bauso – Guitars

HAUNTED – Facebook

Crowbar – The Serpent Only Lies

Suono potente e che dà dipendenza, i Crowbar sono tornati e la sofferenza continua.

Tranquilli, i Crowbar sono in gran forma. Eravate forse preoccupati di trovare un disco molle? Non mi sembra che i Crowbar abbiano mai sbagliato un disco.

E The Serpent Only Lies è un disco tipico del gruppo di New Orelans, pieno di riffoni pesanti, con la voce di Windstein che ci ricorda della sofferenza che noi chiamiamo vita, e il gruppo che va come uno schiacciasassi. I Crowbar negli anni, nonostante qualche pausa dovuta ai molti progetti paralleli di Kirk, sono sempre stati sinonimo di pesantezza, e alla fine sono rimasti i portatori del vero suono di New Orleans. Questo disco in particolare segna un ritorno agli inizi. Proprio Windstein ha affermato che, per produrre questo disco, è andato a risentire con attenzione i primi dischi del gruppo, ascoltando con attenzione anche quelli di gruppi che lo hanno influenzato all’epoca, come i Trouble, i Melvins, i St. Vitus e i Type O Negative. The Serpent Only Lies è un disco molto potente, prodotto in maniera totalmente adeguata al suono dei Crowbar, ed è notevole. Nel disco il gruppo va al meglio delle proprie possibilità, regalando pezzi potenti ma anche ottimi passaggi più cadenzati, mostrando sicuramente più varietà rispetto alle ultime uscite. Dopo aver girato tanto il suono pesante di New Orleans sta tornando a casa, ritrovando quel tiro che aveva perso. Qui tutto è potente e sofferente, come è giusto che sia in un disco dei Crowbar. La ricerca delle origini gli ha giovato molto, e il tiro dell’album è molto forte, i Crowbar riescono a generare un groove sonoro fatto di sludge, hardcore e stoner che è di loro unica proprietà, e lo fanno davvero bene. Suono potente e che dà dipendenza, i Crowbar sono tornati e la sofferenza continua.

TRACKLIST
01. Falling When Rising
02.Plasmic And Pure
03. I Am The Storm
04. Surviving The Abyss
05. The Serpent Only Lies
06. The Enemy Beside You
07. Embrace The LIght
08. On Holy Ground
09. Song Of The Dunes
10. As I Heal

LINE-UP
Kirk Windstein – Guitar/Vocals
Matt Brunson – Guitar
Tommy Buckley – Drums
Todd Strange- Bass

CROWBAR – Facebook

Rosàrio – And The Storm Surges

And The Storm Surges è un album dal taglio internazionale, ben curato in ogni dettaglio e superiore alla media, nonostante sia inserito in un genere che da anni regala enormi soddisfazioni in termini qualitativi.

Dalla collaborazione di una manciata di etichette indipendenti esce il secondo lavoro dei Rosàrio, band padovana di stoner psichedelico dall’alto voltaggio.

Il gruppo, nato appena tre anni fa e, come detto, già alla seconda opera sulla lunga distanza è una delle migliori realtà nel panorama stoner metal nazionale, confermata da questo monumentale lavoro, non facile da assimilare ma molto suggestivo.
Dimenticatevi le semplici sonorità tanto in voga negli ultimi tempi, il quintetto nostrano ci invita ad un viaggio nella storia dell’evoluzione dell’uomo come individuo, a colpi di stoner metal violentato da sonorità che passano dal doom/sludge al rock psichedelico, colmo di chitarroni saturi ed atmosfere intimiste, in un susseguirsi di parti rallentate ed esplosioni di watt potentissime.
Ben interpretate da una voce calda e ruvida le tracce si danno il cambio, instancabili, mantenendo la tensione elettrica molto alta con picchi di travagliata drammaticità, come il percorso dell’individuo che da semplice coscienza di sé passa ad un paradigma di onnipotenza creativa (come descritto dalla stessa band).
Dicevamo, non semplice da assimilare ma molto affascinante, And The Storm Surges con il suo lento incedere si trasforma in un lungo e tormentoso viaggio verso la consapevolezza, con il gruppo che sottolinea questa metamorfosi con violenti cambi di umori musicali, in un continuo saliscendi tra monolitiche parti doom e rabbiose sfuriate alternative/stoner, ricoperte da un sottile strato psych che eleva di molto l’appeal malsano e fumoso di brani come Drabbuhkuf e le bellissime Canemacchina e Dawn Of Men.
Il viaggio si conclude con il piccolo capolavoro And Then… Jupiter, brano super stonato e che si rivela come una ipotetica jam tra Kyuss e Tool, straordinaria conclusione di un lavoro alquanto maturo.
And The Storm Surges è un album dal taglio internazionale, ben curato in ogni dettaglio e superiore alla media, nonostante sia inserito in un genere che da anni regala enormi soddisfazioni in termini qualitativi.

TRACKLIST
Side A – Creak
1- To Peak And Pine
2- Drabbuhkuf
3- Vessel Of The Withering
Side B – Harvest
4- Livor
5- Radiance
Side C – Bedlam
6- I Am The Moras
7- Canemacchina
Side D – Sunya
8- Dawn Of Men
9- Monolith
10- And Then… Jupiter

LINE-UP
Nicola Pinotti- Guitar
Fabio Leggiero-Bass
Alessandro Magro-Vocals
Riccardo Zulato- Guitar
Alessandro Bonini-Drums

ROSARIO – Facebook