Loudness – Rise To Glory

I Loudness sono senza ombra di dubbio la più grande e longeva heavy metal band del sol levante, ed il nuovo lavoro conferma l’ancora ottima forma del chitarrista Akira Takasaki e compagni.

I Loudness sono senza ombra di dubbio la più grande e longeva heavy metal band del sol levante, ed il nuovo lavoro conferma l’ancora ottima forma del chitarrista Akira Takasaki e compagni.

E’ dal 1981 che i Loudness dispensano lezioni di metallo pesante, eppure anche questo Rise To Glory risulta un ottimo lavoro, nel quale l’anagrafe dei componenti del gruppo è un dettaglio grazie ad un songwriting perfetto e alla voglia di far male che è ancora quella dei tempi migliori.
Di questi tempi la musica dello storico gruppo nipponico la chiamano old school, per una volta invece il termine giusto è heavy metal classico, pregno di ritmiche hard, solos che sono katane implacabili in mano a questi samurai del metal e refrain di livello superiore.
L’opener Soul On Fire scatena l’inferno, Takasaki armeggia con la sei corde come ai bei tempi, Niihara tiene il passo al microfono con una prova gagliarda e la sezione ritmica (Yamashita/Suzuki ) picchia come un martello metallico sulle nostre povere teste.
Le prime tre tracce sono un vulcano in eruzione, mentre il pesantissimo mid tempo di Until The Light non fa prigionieri prima che i toni si smorzino con la semi ballad in crescendo The Voice.
Rise To Glory non delude i fans del gruppo, fuoco e fiamme si sprigionano all’arrivo di Massive Tornado, mentre la title track mostra di che talento si parla quando si nomina lo storico axeman giapponese.
Per chi si è perso quarant’anni di Loudness, la band ci regala anche Samsara Flight, raccolta di classici ri-registrati uscita originariamente in Giappone nel 2016, quindi non avete scuse, prenotate la vostra copia di Rise To Glory e fate vivere ancora una volta il mito Loudness.

Tracklist
Disc One – Rise To Glory
01. Soul On Fire
02. I’m Still Alive
03. Go For Broke
04. Until I See The Light
05. The Voice
06. Massive Tornado
07. Kama Sutra (instrumental)
08. No Limits
09. Bad Loser
10. Rise To Glory
11. Rain
12. Who And For Whom

Disc Two – Samsara Flight
1. Street Woman
2. The Law of Devil’s Land
3. Loudness
4. In The Mirror
5. Black Wall
6. Rock Shock (More and More)
7. Lonely Player
8. Devil Soldier
9. Burning Love
10. Angel Dust
11. Rock The Nation
12. To Be Demon

Line-up
Minoru Niihara – Vocals
Akira Takasaki – Guitars
Masayoshi Yamashita – Bass
Masayuki Suzuki – Drums

LOUDNESS – Facebook

Land Of Damnation – Demon

Primo ep per i campani Land Of Damnation, band dal sound ispirato sia dal death metal melodico che dal più tradizionale heavy metal.

Metal classico e melodic death metal, due generi uniti dal lavoro e dal talento delle storiche band scandinave che, nei primi anni novanta diedero vita alla scena death metal melodica.

Con gli anni il sound ha preso altre direzioni, amalgamandosi con i suoni moderni nati negli States grazie alle svolte stilistiche di Soilwork e, principalmente, In Flames, ma gruppi che continuano ad ispirarsi ai primi esempi di questo storico sodalizio non ne mancano certo, specialmente nell’underground.
I Land Of Damnation, per esempio, debuttano con Demon, ep di quattro brani più intro che esprime tutto l’amore dei musicisti campani per il genere: un buon inizio per il gruppo, visto il tiro dei brani che compongono l’opera.
Nata per volere dei due chitarristi che rispondono ai nomi di Adrian Beppe e Dark Tranquillo nel 2014, la band arriva solo ora al debutto con questo ep che non fa nulla per nascondere la sua natura classica, abbinata al death metal melodico dei primi In Flames e Dark Tranquillity e ad un tocco di oscurità power/thrash alla Iced Earth.
Demon, nella sua attitudine classicheggiante, riesce a toccare le corde giuste specialmente se ad avvicinarsi alla musica di cui è composto sono i fans dei gruppi citati, più ovviamente gli Iron Maiden, padrini del lato più classicamente heavy della title track e della splendida Tearing The Veil, brano top dell’album, perfetto nell’alternare atmosfere maideniane a più oscure e pressanti parti melodic death (grazie anche al growl dell’ospite Gioele Di Giacomo).
E’ più diretta la cavalcata Die, mentre il finale è lasciato alla lunga Harmonia, traccia che tanto sa di Iced Earth periodo Something Wicked This Way Comes.
In conclusione, questo si può definire un inizio promettente: Demon sa come accontentare gli amanti del genere e riesce a rappresentare al meglio un abbondante antipasto al più ricco piatto sulla lunga distanza

Tracklist
1. [Infernal] Intro
2. Land of Damnation
3. Tearing the veil
4. Die
5. Harmònia

Line-up
Adrian Peppe “Smith” – Guitar and Voice
DarkTranquillo J. “Murray” – Guitar
Michele “Svalfio” Alfano – Drums
Luigi “Towt” Smilzo – Bass

Gioele di Giacomo – Growl Vocals in “Tearing the veil”

LAND OF DAMNATION – Facebook

Steelpreacher – Drinking With The Devil

Quasi quaranta minuti di suoni che odorano di old school e rock’n’roll ipervitaminizzato come si usava un tempo, mentre i brani scivolano via tra chorus da cantare a squarciagola prima di far volare la propria bottiglia sulla grata.

Dopo lo split con i Dragonsfire e l’uscita del full length Devilution, gli Steelpreacher ritornano sul mercato con il loro lavoro migliore, Drinking With The Devil, licenziato originariamente nel 2008.

Il trio di sfrontati rockers tedeschi è attivo dai primi anni del nuovo millennio, nella loro discografia si contano cinque lavori sulla lunga distanza di cui Drinking With The Devil è il terzo della lista.
La band suona una divertente rivisitazione dell’hard & heavy tradizionale, tra citazioni famose e tanto rock’n’roll, quindi se siete amanti del genere, motociclisti in febbre da raduno o avventori di locali in strade deserte, con tanto di palco dove i gruppi intrattengono gli ospiti dietro a grate che le proteggono dalla pioggia di bottiglie di birra svuotate, gli Steelpreacher sono sicuramente la band che fa per voi.
Riff di potentissimo hard rock, solos heavy, note di blues marcito in fumose cantine ed atmosfere inorgoglite da un approccio old school, sono virtù che ogni rocker dal capello grigio non può non annoverare tra quelle principali di un buon album e Drinking With The Devil da questo lato non sbaglia un colpo.
Ac/Dc (all’irresistibile D.O.A. manca solo la voce del compianto Bon Scott), Motorhead, Saxon, Wasp ed ovviamente gli Accept sono le band da cui gli Steelpreacher hanno pescato per formare il loro sound, che risulta un tributo ai gruppi citati, ma che funziona e come detto diverte non poco.
Quasi quaranta minuti di suoni che odorano di old school e rock’n’roll ipervitaminizzato come si usava un tempo, mentre i brani scivolano via tra chorus da cantare a squarciagola prima di far volare la propria bottiglia sulla grata: gli Steelpreacher ringraziano.

Tracklist
1.Slave to the Cross
2.Hammered and Down
3.Blame It on Booze
4….of War and Vengeance
5.D.O.A.
6.Strung Out
7.Hooked on Metal
8.No One Knows…
9.Hell Bent for Beer
10.Drinking with the Devil

Line-up
Jens “Preacher” Hübinger – lead vocals, guitars
Andy “Mu” Hübinger – bass, lead and backing vocals
Hendrik “Beerkiller” Weber – drums, backing vocals

STEEPREACHER – Facebook

Manach Seherath – Timeless Tales

Esordio sulla lunga distanza per i napoletani Manach Seherath: Timeless Tales risulta un ottimo esempio di metallo epico e tastieristico, ispirato dalle opere dei Virgin Steele.

Dei Manach Seherath vi avevamo parlato tra le pagine metal di In Your Eyes ben tre anni fa, in occasione dell’uscita del primo demo omonimo composto da tre brani, tutti riproposti in questo esordio sulla lunga distanza.

Il gruppo attivo dal 2012 per volere del cantante Mich Crown, arriva finalmente alla pubblicazione di questo intenso lavoro, un notevole esempio di heavy metal melodico ed epicheggiante, strutturato sul gran lavoro delle tastiere e dall’impatto che trova la sua natura nella scuola ottantiana, anche se i suoni e gli arrangiamenti sono assolutamente al passo coi tempi.
La maggiore fonte di ispirazione per la band partenopea sono a mio parere i Virgin Steele: la band di David DeFeis aleggia sulla composizione dei nuovi brani, che si allontanano dalle atmosfere dark che erano rinvenibile nel vecchio demo, per abbracciare il sound dello storico gruppo epic metal statunitense.
Le tracce che compongono la parte inedita dell’album includono una vena epico declamatoria stimolante, con melodie che valorizzano il mood metallico dall’anima epica, mentre i duelli tra tastiere e chitarre sono supportati da una sezione ritmica presente e rocciosa.
The Waters Of Acheron ha un compito introduttivo, mentre si entra nel vivo con The Cursed Collector e la splendida Sword In The Mist, che accelera i ritmi e ci consegna il primo chorus epico.
Chasing The Beast ha nei refrain melodici il suo punto di forza, mentre Asleep: the Legend of a Heart pt.1 è sinfonica quel tanto che basta per farne un brano perfettamente bilanciato tra suoni tradizionali e moderno metal sinfonico.
I tre brani già editi sul primo demo portano alla conclusione questo ottimo lavoro, grazie al quale i Manach Seherath si confermano gruppo da seguire con attenzione e consigliato agli amanti del metal melodico ed epico.

Tracklist
1 – The Waters of Acheron
2 – The Cursed Collector
3 – Swords in the Mist
4 – Chasing the Beast
5 – Asleep: the Legend of a Heart pt.1
6 – Restless: the Legend of a Heart pt.2
7 – Arti Manthano: a Timeless Trilogy pt.1
8 – Timeless: a Timeless Trilogy pt.2
9 – All in All: a Timeless Trilogy pt.3

Line-up
Mich Crown – Vocals
Cyrion Faith – Keyboards
Gianluca Gagliardi – Guitars
Lukas Blacksmith – Bass
Carlo Chiappella – Drums

MANACH SEHERATH – Facebook

Lady Beast – Vicious Breed

L’impatto e l’attitudine non mancano, le canzoni ci sono e, pur con le influenze ben in mostra, Vicious Breed funziona rivelandosi un buon ascolto per i fans vecchi e nuovi dell’heavy metal più classico.

Heavy metal is the law … da Pittsburgh, Pennsylvania, alla conquista dei cuori metallici di tutto il mondo i Lady Beast con Vicious Breed ci regalano mezzora di metallo classico duro come la roccia che si trova sul monte dove i fabbri forgiano le spade per gli dei del metallo pesante.

Capitanati dalla vocalist Deborah Levine, classica singer d’acciaio come le eroine degli anni ottanta e lontana dagli stereotipi delle vocalist odierne, più modelle che vere streghe metalliche, i Lady Beast arrivano con Vicious Breed al terzo lavoro sulla lunga distanza dopo aver dato alle stampe due album omonimi ed un ep.
Heavy metal che più classico non si può, tra crescendo maideniani, riff taglienti alla Judas Priest e mid tempo pesanti come gli spadoni tenuti dalle braccia di muscolosi semidei, guerrieri dell’eterna lotta tra il bene e il male, combattuta in un mondo parallelo dove l’unica colonna sonora possibile alle vicende narrate sono i Saxon di Strong Arm Of The Law, gli Iron Maiden di Killer ed i Judas Priest di British Steel.
Ho detto tutto, il sound di Vicious Breed è quanto di più scontato troverete in giro per l’underground metallico, il problema che di questa musica non ci si stanca mai, la band tiene il passo con una raccolta di buoni brani e la voglia di rispolverare il giubbotto di pelle con le toppe d’ordinanza è forte, dopo appena due o tre brani.
D’altronde lo scopo dei Lady Beast è quello di suonare heavy metal nel modo più puro possibile e ci riesce bene grazie ad un’ottimo rifferama che fa di alcuni brani delle piccole gemme di musica dura come The Way, Get Out e la potentissima title track.
Un album che diverte ed incatena allo stereo dall’inizio alla fine: l’impatto e l’attitudine non mancano, le canzoni ci sono e, pur con le influenze ben in mostra, Vicious Breed funziona rivelandosi un buon ascolto per i fans vecchi e nuovi dell’heavy metal più classico.

Tracklist
1. Seal The Hex
2. The Way
3. Lone Hunter
4. Always With Me
5. Get Out
6. Every Giant Shall Fall
7. Sky Graves
8. Vicious Breed

Line-up
Deborah Levine – Vocals
Andy Ramage – Guitars
Chris Tritschler – Guitars
Greg Colaizzi – Bass
Adam Ramage – Drums

LADY BEAST – Facebook

Malet Grace – Humanocide

Ottimo ritorno dei Malet Grace con questo ep intitolato Humanocide, consigliato agli amanti del metal dai gusti classici e progressivi, legati che siano al thrash o all’hard’n’heavy.

Dei Malet Grace vi avevamo parlato in occasione dell’uscita del debutto Malsanity, un ottimo lavoro che riuniva in un unico sound l’irruenza estrema del thrash con i ricami tecnici e le sfumature del metallo progressivo.

Ad oggi la band è tornata ad essere un duo dopo le registrazioni di questo mini cd per l’uscita dalla line up, a distanza di pochi giorni, della sezione ritmica (il batterista Andrea Giovanetti ed il bassista Andrea Paglierini).
Dunque i due fondatori (Gia,paolo Polidoro ed Alessandro Toselli) continuano la loro avventura con il monicker Malet Grace, ripartendo da Humanocide e dalla firma con la Spider Rock Promotion.
Cinque brani più intro per quasi mezzora di musica metal confermano le buone impressioni suscitate dal full length licenziato lo scorso anno, anche se il sound questa volta è meno soggiogato dall’elemento estremo ed è più in linea con il metal classico di ispirazione progressiva.
Ovviamente il thrash metal è presente, specialmente in alcune ritmiche mozzafiato (notevole The Constant Rhyme Of Perseverance) ma in generale la band questa volta lascia all’heavy metal più raffinato e progressivo il compito di introdurre l’ascoltatore nel proprio mondo.
Infatti, le varie Redemption Of Fear e Malerie mi hanno ricordato gli Eldritch più diretti, mentre Sometimes I Need To Die è una ballad in crescendo dalle atmosfere drammatiche, che placa ma non spezza la tensione comune a tutti i  brani presenti su Humanocide.
Ottimo ritorno dunque, e sperando che la band risolva i problemi legati alla line up, consiglio un ascolto agli amanti del metal dai gusti classici e progressivi, legati che siano al thrash o all’hard’n’heavy.

Tracklist
1.The Breath of a Psychotic Misfit
2.Redemption of Fear
3.Malerie
4.Sometimes I Need to Die
5.The Constant Rhyme of Perseverance
6.A Compensation of Souls

Line-up
G. Polidoro – Vocals/Lead and Rhythm guitar
A. Toselli – Lead and Rhythm guitar

MALET GRACE – Facebook

Sonic Prophecy – Savage Gods

Heavy power metal duro come il granito, epico ed oscuro come vuole la tradizione statunitense ma che guarda non poco al vecchio continente.

La Rockshots licenzia il terzo album di questa band statunitense chiamata Sonic Prophecy che si rivela uno dei primi sussulti classici di questo nuovo anno metallico.

Il gruppo di Salt Lake City, fondato nel 2009, ha lavorato non poco in questi primi nove anni di attività e Savage Gods è un enorme macigno metallico, melodico il giusto, pesante ed epico come nella migliore tradizione classica e che, pur mantenendo un approccio europeo, non tradisce le proprie origini.
Quindi come nella migliore tradizione statunitense il sound è pregno di oscurità, non accelera troppo ma dà la sensazione di un mastodontico pezzo di granito metallico, valorizzato dall’ottima interpretazione di Shane Provstgaard dietro al microfono e da assoli classici piazzati qua e là tra i brani.
L’apertura è lasciata alla title track che ci presenta una band compatta e forgiata nell’acciaio, tutto è possente ed oscuro ed il passaggio al singolo Night Terror è quasi obbligato; ottima l’accoppiata Dreaming Of The Storm/Man The Guns, la prima una semi ballad in crescendo, la seconda un brano che ricorda non poco gli Accept, mentre con Walk Trough The Fire si torna a cavalcare epici destrieri nelle pianure della terra metallica, prima di gridare al cielo il coro di A Prayer Before Battle.
I suoni escono puliti, la performance del gruppo è al top e per gli amanti del genere il risultato non può che essere sopra le righe: i Sonic Prophecy ci regalano un ottimo lavoro, e se l’originalità non abita tra lo spartito del gruppo con le varie influenze determinare per la formazione del sound, per i defenders duri e puri brani della caratura di Man And Machine sono chicche da non perdere per nessun motivo.
Heavy power metal duro come il granito, epico ed oscuro come vuole la tradizione statunitense ma che guarda non poco al vecchio continente, consigliato.

Tracklist
1.Savage Gods
2.Night Terror
3.Unhoy Blood
4.Dreaming of the Storm
5.Man the Guns
6.Walk Through the Fire
7.A Prayer Before Battle
8.Iron Clad Heart
9.Man and Machine
10.Chasing the Horizon

Line-up
Shane Provstgaard – Vocals
Darrin Goodman – Guitar
Sebastian Martin – Guitar
Ron Zemanek – Bass
Matt LeFevre – Drums

SONIC PROPHECY – Facebook

Avatar – Avatar Country

Gli Avatar si confermano gruppo assolutamente sui generis, forse anche troppo per l’orecchio conservatore di molti ascoltatori di musica metal, i quali potranno sempre rivolgersi ai gruppi che difendono la vera fede metallica in altre sedi, ma qui si fa musica bella ed originale senza barriere né confini.

Siamo arrivati al settimo album della saga targata Avatar, una delle band più originali e sorprendenti che il metal possa annoverare tra le sue fila.

Nato come melodic death metal band, infatti, il gruppo svedese ha cambiato pelle non solo tra un album e l’altro ma addirittura all’interno della stessa opera, lasciando pochissimi punti di riferimento stilistici e passando tra i generi dei più disparati come un ape in un bellissimo prato fiorito.
Capitanati dall’incredibile ugola del singer Johannes Michael Gustaf Eckerström, capace come la musica di trasformarsi a suo piacimento in un singer death ed un attimo dopo lanciare il suo grido di battaglia dai toni power metal, per poi avanzare marziale come un cantante industrial metal, la band ci consegna un concept incentrato sulla storia di un uomo destinato a diventare un re, arrivato nell’arida terra di Avatar per regnare a colpi di metal, vario, alternativo e soprattutto fuori dagli schemi.
L’album parte magnificamente con l’intro Glory To Our King, che lascia spazio al power metal della poderosa Legend Of The King per poi aprirsi al modern southern rock di The King Welcome You To Avatar Country; King’s Harvest è un brano moderno e dalle reminiscenze industrial, mentre A Statue Of The King è un massacro alla Slipiknot, fino al chorus che torna al metal più classico.
Avatar Country è una continua altalena di sorprese, un luna park di emozionante musica moderna che non conosce barriere né confini, suonata in modo impeccabile e non potrebbe essere altrimenti visto i continui cambiamenti di umori e velocità.
King After King è una semi ballad dal tiro tradizionalmente heavy, attraversata da un assolo nella parte centrale, mentre le due parti di Silent Song Of The King concludono l’album: la prima, Winter Comes When the King Dreams of Snow è un’intro atmosferica che ci accompagna verso la seconda parte, The King’s Palace, traccia strumentale che conclude questo ottimo e variopinto lavoro.
Gli Avatar si confermano gruppo assolutamente sui generis, forse anche troppo per l’orecchio conservatore di molti ascoltatori di musica metal, i quali potranno sempre rivolgersi ai gruppi che difendono la vera fede metallica in altre sedi, ma qui si fa musica bella ed originale senza barriere né confini.

Tracklist
1. Glory to Our King
2. Legend of the King
3. The King Welcomes You to Avatar Country
4. King’s Harvest
5. The King Wants You
6. The King Speaks
7. A Statue of the King
8. King After King
9. Silent Songs of the King Pt. 1: Winter Comes When the King Dreams of Snow
10. Silent Songs of the King Pt. 2: The King’s Palace

Line-up
Johannes Michael Gustaf Eckerström – Vocals
John Alfredsson – Drums
Kungen – Guitars
Tim Öhrström – Guitars
Henrik Sandelin – Bass

AVATAR – Facebook

Dragonsfire – Visions Of Fire

Visions Of Fire risulta un album trascurabile a meno che non siate devoti all’ascolto del solo power metal e le vostre preferenze, anche nel genere, non cadano nel classico palla lunga e pedalare dei gruppi vissuti all’ombra delle band icona.

I power metallers tedeschi Dragonsfire riesumano il loro primo album uscito nel 2008 per la Pure Steel intitolato Visions Of Fire.

La band, attiva da una dozzina d’anni, ha fin qui licenziato questo lavoro più un altro full length intitolato Metal Service, uscito due anni dopo l’esordio, più altri due ep ed uno split con i compagni di bevute Steelpreacher, anch’essi votati all’heavy power metal senza compromessi.
Visions Of Fire risulta un album trascurabile a meno che non siate devoti all’ascolto del solo power metal e le vostre preferenze, anche nel genere, non cadano nel classico palla lunga e pedalare dei gruppi vissuti all’ombra delle band icona.
Il povero Thassilo Herbert, scomparso due anni fa, era un cantante ruvido ed aggressivo ma di poco carisma e monocorde, ed il suo cantato accompagnava una serie di cliché che fanno dell’ascolto un tuffo nel power metal scolastico e acerbo, sicuramente non le credenziali giuste per assicurarsi un minimo di interesse, in tempi in cui il genere non è più tra le preferenze dei fans e le semplici cavalcate con il doppio pedale sono state travolte dall’approccio sinfonico e progressivo dei nuovi eroi del metal dai rimandi classici.
Una proposta, dunque, che non credo possa trovare più estimatori della prima volta in cui questa raccolta di brani ha fatto la sua comparsa sul mercato, anche allora in ritardo sul tabellino dell’interesse dei true defenders.
Wings Of Death, la successiva Dragonsfire Rockxxx, l’epica Burning For Metal e Shine On, non fosse per la voce poco adatta al genere, risulterebbero delle power metal songs d’impatto e vicino a quanto fatto da gruppi come Unrest o Rebellion, pur non andando oltre una sufficienza risicata e meritata solo per un’attitudine ed un impatto che sono le uniche virtù del combo tedesco.

Tracklist
1.Devil’s Road
2.Wings of Death
3.Dragonsfire Rockxxx
4.Burning for Metal
5.Rebellion – The Kingdom of Heaven
6.The Defendant
7.Shine On
8.The Other One
9.Oath of Allegiance

Line-up
Jan Müller – Drums
Matthias Bludau – Guitars
Timo Rauscher – Guitars
Thassilo Herbert – Vocals, Bass

DRAGONSFIRE – Facebook

Corrosion Of Conformity – No Cross No Crown

I Corrosion Of Conformity sanno suonare rock pesante e licenziano un altro best seller che si aggiunge alla loro discografia, alzando l’asticella quanto basta per risultare inarrivabili per almeno il 90% dei gruppi odierni.

Pepper Keenan è tornato nel gruppo e i Corrosion Of Conformity tornano a fare hard southern rock stonerizzato come ai tempi di Deliverance e Wiseblood.

Questo, in breve, è quello che troverete sul nuovo lavoro firmato dalla leggendaria band del North Carolina, per molti di nuovo in corsa per il trono del genere, per il sottoscritto mai scesi dallo stesso neppure dopo il precedente lavoro, IX, registrato con la formazione a tre ormai quattro anni fa.
Dunque, dopo una decade al servizio dei Down, il chitarrista e cantante torna a riunire la banda che ha fatto scintille da Deliverance (uscito nel 1994) fino a In The Arms Of God (2005), anche se il capolavoro Blind rimane uno dei più riusciti esempi di alternative metal degli anni novanta, mentre l’ultimo lavoro era un calcio nel deretano hardcore di dimensioni bibliche.
I Corrosion Of Conformity sanno suonare rock pesante e licenziano un altro best seller che si aggiunge alla loro discografia, alzando l’asticella quanto basta per risultare inarrivabili per almeno il 90% dei gruppi odierni, aiutati da uno stato di grazia compositivo e da una voglia ancora intatta di suonare metal come lo si fa negli stati del sud, soffocati dal caldo, morsi da coccodrilli e serpenti e soggiogati da rituali voodoo.
Woody Weatherman, Mike Dean e Reed Mullin, dopo l’ottimo lavoro precedente che ispirava vecchie reminiscenze hardcore, con il nuovo supporto di Keenan, stordito dalla potenza sludge dei Down, tornano a fare quello per cui sono diventati la più grande band statunitense degli ultimi trent’anni tra quelle che non siano uscite dalle strade di Seattle: il loro è un hard rock massiccio, marcio e stonato, animato da una vena southern di livello superiore e No Cross No Crown, grazie ad un lotto di brani che sono la bibbia del southern/stoner metal, è la prova tangibile del fatto con i Corrosion Of Conformity si dovranno fare i conti ancora a lungo, piaccia o meno.
Registrato in North Carolina con il produttore John Custer, l’album è un concentrato di rock pesantissimo alla maniera della band, un via vai di mid tempo mastodontici che mescolano al loro interno almeno trent’anni di rock ‘n ‘roll, per vomitarlo poi in una lava incandescente che esce dalla bocca di un vulcano, pregno di groove come nell’uno due mortale The Luddite / Cast In The First Stone, folgorante inizio di questo lavoro.
La band ci invita a sabba psichedelici ed introspettivi come nella title track, mentre le casse tremano, le cuffie si sciolgono e gli stereo continuano a far girare i cd ma della plastica rimane solo un ammasso di vischiosa ed informe materia.
Wolf Named Crow, Nothing Left To Say, Old Disaster, ma potrei nominarvele tutte come nessuna, sono alcune delle  tracce (ben quindici) che compongono questo ennesimo monumento musicale targato Corrosion Of Conformity, fatelo vostro e segnatelo come migliore album del genere di questo nuovo anno, anche se siamo solo a gennaio …

Tracklist
01. Novus Deus
02. The Luddite
03. Cast The First Stone
04. No Cross
05. Wolf Named Crow
06. Little Man
07. Matre’s Diem
08. Forgive Me
09. Nothing Left To Say
10. Sacred Isolation
11. Old Disaster
12. E.L.M.
13. No Cross No Crown
14. A Quest To Believe (A Call To The Void)
15. Son And Daughter

Line-up
Pepper Keenan – Vocals, Guitars
Woodroe Weatherman – Guitars
Mike Dean – Bass, Vocals
Reed Mullin – Drums, Vocals

CORROSION OF CONFORMITY – Facebook

Hexx – Wrath Of The Reaper

Sia per chi conosceva gli Hexx prima di questo lavoro, sia per chi fino ad ogni ne ignorava l’esistenza, Wrath Of The Reaper è un lavoro riuscito e meritevole della giusta attenzione.

Tornano con un nuovo lavoro gli Hexx, gruppo della prima era dell’US power metal attivo dal lontano 1983, anno in cui uscì il primo demo.

Il gruppo capitanato da Dan Watson, al quale si deve la reunion della band (anche se non con tutti i membri originari),  si fece conoscere negli anni ottanta grazie ad un ottimo e aggressivo power/speed metal, poi, dopo i primi tre full length sparì dalla scena per oltre vent’anni, tornando oggi con un nuovo album in tutto e per tutto figlio del metal classico di scuola statunitense.
Wrath Of The Reaper sposa il genere e lo nobilita con ottimi inserti heavy, accompagnandolo con una produzione che mantiene l’approccio classico, pur risultando a passo coi tempi: ne esce così un ritorno da non perdere per gli amanti dei suoni classici, perché gli Hexx con la loro attitudine power/thrash rendono il tutto potente ed aggressivo, tra cavalcate e solos taglienti che la coppia di chitarristi Watson/Wright valorizza con un riffing d’alta scuola.
Mike Horn al basso e John Shafer alla batteria formano una sezione ritmica martellante, furiosa e veloce ed Eddy Vega sciorina una prova da cantante di razza, così che Wrath Of The Reaper abbia tutte le carte in regola per risultare un gradito ritorno.
Ovviamente anche per gli Hexx i tempi gloriosi in cui facevano scintille con il debutto No Escape (1984) e soprattutto il successivo Under The Spell (1986) sono ormai un ricordo, ma il nuovo album riesce comunque a convincere senza sembrare un’operazione nostalgica; dopo una partenza a razzo con almeno i primi quattro brani dall’impatto travolgente, l’album si assesta su un livello discreto alternando qua e là devastanti tempeste metalliche a momenti più ordinari, rimangono però le ottime performance in brani feroci e taglienti come l’opener Macabre Procession Of Spectre, A Slave In Hell e Swimming The Witch, che danno il benvenuto all’ascoltatore con in mezzo il piccolo capolavoro power/speed Screaming Sacrifice.
Quindi, sia per chi conosceva gli Hexx prima di questo lavoro, sia per chi fino ad ogni ne ignorava l’esistenza, Wrath Of The Reaper è un lavoro riuscito e meritevole della giusta attenzione.

Tracklist
1. Macabre Procession Of Specters
2. Screaming Sacrifice
3. Slave In Hell
4. Swimming The Witch
5. Dark Void Of Evil
6. Unraveled
7. Voices
8. Exhumed For The Reaping
9. Circle The Drain
10. Wrath Of The Reaper
11. Certificate Of Death CD-Bonustrack

Line-up
Eddy Vega – vocals
Dan Watson – guitars
Bob Wright – guitars
Mike Horn – bass
John Shafer – drums

HEXX – Facebook

https://youtu.be/IE6Un2FfFEI

Beyond Forgiveness – The Great Wall

The Great Wall arriva tranquillo ad un’abbondante sufficienza, ma lo consiglio solo ai fans accaniti del genere e a chi ha confidenza con i primi vagiti di una scena nata ormai venticinque anni fa nel nostro continente, mentre per i giovani consumatori di symphonic metal bombastico trovo che l’album possa risultare alquanto ostico.

Un altro combo symphonic gothic metal si affaccia sulla scena metallica, questa volta a vele spiegate dal nuovo continente verso la vecchia Europa, terra più ricettiva per questi suoni.

La nave battente bandiera del Colorado ci porta la musica dei Beyond Forgiveness, quartetto attivo da un po’ di anni, ma arrivato sul mercato solo nell’ultimo periodo.
In due anni un singolo, l’ep The Ferryman’s Shore e questo ultimo lavoro, dal titolo The Great Wall, debutto sulla lunga distanza che nulla aggiunge e nulla toglie al genere ma piace per le molte sfumature folk, il sempre presente growl ad accompagnare la voce femminea ed operistica, ed un approccio dark/gotico che ricorda i primi Theatre Of Tragedy.
Il sound dell’album si avvicina alle opere uscite a metà anni novanta, non solo della band che fu di Liv Kristine ma anche quelle della scuola olandese che fanno capolino tra le trame di brani irrobustiti da una componente estrema che va dal growl alle ritmiche.
Una produzione che lascia le orchestrazioni in secondo piano, specialmente quando la sezione ritmica prende il sopravvento, ed una leggera prolissità in qualche brano (Imprisoned, I Will Fight Till The End) sono invece i difetti maggiori di un’opera che decolla per perdere quota a tratti e poi riprendersi lungo il tragitto.
The Great Wall arriva tranquillo ad un’abbondante sufficienza, ma lo consiglio solo ai fans accaniti del genere e a chi ha confidenza con i primi vagiti di una scena nata ormai venticinque anni fa nel nostro continente, mentre per i giovani consumatori di symphonic metal bombastico trovo che l’album possa risultare alquanto ostico.

Tracklist
1.End of Time
2.The Great Wall
3.Sanctuary
4.Imprisoned
5.Interlude
6.Moment of Truth
7.Never Before
8.Dream Before I Sleep
9.I Will Fight Till The End
10.Every Breath

Line-up
Michael Bulach – Drums
Greg Witwer – Guitars, Vocals (backing)
See also: Hell’s Eden, Vital Malice
Richard Marcus – Guitars, Vocals (backing)
Talia Hoit – Vocals

BEYOND FORGIVENESS – Facebook

Vojd – Behind The Frame

Nati dalle ceneri dei Black Trip, si affacciano sul mercato i Vojd con questo ep di due tracce che anticipa il debutto sulla lunga distanza con il nuovo monicker.

Nati dalle ceneri dei Black Trip, band svedese che sotto il segno dell’heavy metal ha licenziato due full length (Goin’ Under e Shadowline tra il 2013 ed il 2015), si affacciano sul mercato i Vojd con questo ep di due tracce che anticipa il debutto sulla lunga distanza con il nuovo monicker.

Sul lato A la veloce e melodica Behind The Frame (canzone che da il titolo al 7″) ci presenta una band rinnovata anche nel suono, che si rivela un hard & heavy tra Def Leppard e Kiss, quindi roba per rocker belli e fatti con un accenno di groove nelle ritmiche che fa tanto cool, anche in una proposta vintage come quella della band svedese.
Ottimi chorus e riff che sprizzano melodia da tutti i pori fanno del sound dei Vojd un buon esempio di heavy metal classico, assolutamente tradizionalista ma furbo quel tanto che basta per non sfigurare anche nello stereo dei giovani dai gusti old school.
Funeral Empire si veste di nero e ci regala un riff sabbathiano nel refrain, per poi lasciare all’assolo melodico tutta la gloria. un buon brano tra heavy metal, reminiscenze doom e qualche sfumatura stoner, un tocco personalissimo nel sound targato Vojd.
Non resta che attendere il full length per avere un quadro più ampio e preciso delle potenzialità del gruppo svedese, anche se le prospettive per un buon lavoro ci sono tutte.

Tracklist
1. Behind The Frame
2.Funeral Empire

Line-up
Peter Stjärnvind – Lead guitar
Joseph Tholl – Bass and lead vocals
Linus Björklund – Lead guitar
Anders Bentell – Drums and percussion

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Millennium – Awakening

Un buon talento strumentale e vocale è la chiave della riuscita dei piccoli gioielli metallici che costellano un lavoro davvero bello, specialmente se avete qualche capello bianco in testa e spaventate i nipotini con Eddie in bella mostra come salvaschermo del vostro smartphone.

Heavy metal conosciuto come NWOBHM, quindi assolutamente di origine britannica, è quello che troverete magicamente tra i brani di Awakening. secondo lavoro dei redivivi Millennium.

Nati nei primi anni ottanta il gruppo battente bandiera della Union Jack e capitanato dal singer Mark Duffy, membro originale insieme al batterista Steve Mennell ed in seconda battuta al chitarrista Dave Hardy (entrò nel gruppo due anni dopo), torna con un altro bellissimo album di heavy metal come lo si suonava all’epoca, metallo pesante pregno di solos melodici, orgoglioso, maschio e soprattutto composto da belle canzoni.
Avete presente i primi due album dei Maiden con Paul Di Anno?
Bene, aggiungetevi un tripudio di ritmiche sassoni, qualche accenno al periodo Dickinson fino a Powerslave, una voce che senza sentire il peso degli anni si piazza proprio tra la bestia e Biff ed avrete bello che pronto il ritorno dei Millennium, una sorta di seconda giovinezza iniziata con Caught in a Warzone del 2016, dopo che la carriera della band si interruppe nel lontano 1987 con un solo album omonimo all’attivo.
Dopo aver reclutato il chitarrista Will Philpot ed il bassista Andy Fisher, il gruppo inglese ci fa vedere di che pasta è fatto con questa raccolta di brani supportati da una produzione moderna, che consente di assaporare gli intrecci chitarristici, i chorus che si stampano in testa al primo giro di ruota ed una forma smagliante per quanto riguarda il songwriting, davvero superlativo.
Awakening è un album da sparare nelle orecchie di chi afferma che queste sonorità risultano obsolete, infatti bastano le virtù elencate per far rialzare la testa all’heavy metal, troppo spesso umiliato da produzioni vintage assolutamente inadeguate e da soluzioni power sinfoniche che, con la NWOBHM, c’entrano come i cavoli a merenda.
Un buon talento strumentale e vocale è la chiave della riuscita dei piccoli gioielli metallici come l’opener False Reality, la seguente Rise Above, la marcia metallica dal titolo Searching e la potente Witch Hunt, picchi di un lavoro davvero bello, specialmente se avete qualche capello bianco in testa e spaventate i nipotini con Eddie in bella mostra come salvaschermo del vostro smartphone. , specialmente se avete qualche capello bianco in testa e spaventate i nipotini con Eddie in bella mostra come salvaschermo del vostro smartphone.

Tracklist
1.False Reality
2.Rise Above
3.Searching
4.The Spell
5.Awakening
6.Lies All Lies
7.The Calling
8.Witch Hunt
9.When Mad Men Rule
10.Revolution Calls
11.Possessed

Line-up
Mark Duffy – vocals
Steve Mennell – Drums
Dave Hardy – Guitar
Will Philpot – Guitar
Andy Fisher – Bass

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Anvil – Pounding The Pavement

Non cambia la formula che ha fatto la storia degli Anvil e del metal, quindi, se cercate tutti i cliché tipici del genere, mister Steve “Lips” Kudlow e compari vi hanno accontentato anche questa volta.

Il nuovo anno metallico è appena iniziato e si presenta con il nuovo album degli storici Anvil, il diciassettesimo full length di una lunga storia iniziata all’alba degli anni ottanta per il gruppo canadese, capitanato da quel personaggio simpaticissimo e sopra le righe che è Lips, un rocker che mai si è dato per vinto e che è arrivato nel nuovo millennio con la sua musica.

Non cambia la formula che ha fatto la storia degli Anvil e del metal, quindi, se cercate tutti i cliché tipici del genere, mister Steve “Lips” Kudlow e compari (Robb Reiner, Chris Robertson) vi hanno accontentato anche questa volta.
Pounding The Pavement è un nuovo inno all’hard’n’heavy nella sua forma più grezza, ignorante e se mi passate il termine, rock’n’roll: gli Anvil non conoscono vecchiaia e stanchezza, partono con Bitch In The Box e vi scaricano undici pugni nello stomaco, alternando mid tempo tellurici dal riff scolpito nella sacra montagna dell’heavy metal, veloci partenze hard’n’roll che fanno sbattere la capoccia a Lemmy, giù nel girone infernale delle rockstar, e brani dall’impatto metallico di un tuono prima del diluvio universale.
Non è pane per chi cerca l’originalità, gli Anvil li devi prendere così, amarli per quello che sono e che rappresentano, indipendentemente dal fatto che la musica rock/metal si sia evoluta in tutti questi anni e loro invece stiano ancora lì, a saltare su un palco oggi come nel 1981.
Doing What I Want, Rock That Shit, Black Smoke e via tutte le tracce che compongono questo lavoro, sono ancora una volta 100% Anvil, senza trucchi ne inganni, it’s only rock ‘n’ roll, intransigente, metallico, tripallico ed esagerato.
Qualcuno potrebbe chiedersi se c’è ancora bisogno di album così e la risposta, mentre la gamba si alza e carica un calcio nel deretano, è assolutamente sì.

Tracklist
1. Bitch In The Box
2. Ego
3. Doing What I Want
4. Smash Your Face
5. Pounding The Pavement
6. Rock That Shit
7. Let It Go
8. Nanook Of The North
9. Black Smoke
10. World Of Tomorrow
11. Warming Up
12. Don´t Tell Me (Bonus Track)

Line-up
Steve “Lips” Kudlow – Guitars, Vocals
Robb Reiner – Drums
Chris Robertson – Bass

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Marc Vanderberg – Highway Demon

Highway Demon è un album ricco di suoni metallici di stampo classico, dall’hard rock all’heavy metal, vario nelle atmosfere, suonato e cantato bene, in buona sostanza un ascolto soddisfacente per chi ama il genere.

Secondo lavoro per il chitarrista tedesco Marc Vanderberg che, aiutato dal solo Raphael Gazal, cantante dei Bulletback e dei Tailgunners, ci invita all’ascolto di questa raccolta di brani dal taglio hard & heavy, ovviamente di ispirazione classica, dove il buon Vanderberg oltre alla sei corde suona tutti gli strumenti.

Highway Demon, pur senza picchi clamorosi, risulta un buon album: i brani mostrano un piglio aggressivo, sono cantanti bene e il nostro musicista mantiene un approccio funzionale alle tracce senza stancare con evoluzioni da guitar hero.
Si passa così da brani hard rock ad altri heavy metal con facilità, mentre a tratti sfumature epiche ci portano in pieni anni ottanta confermando la natura classica dell’album.
Bad Paradise graffia a dovere e mette subito in risalto la bravura tecnica del polistrumentista tedesco, che fino alla ballad How Do You Feel mette la quarta a brani dal piglio aggressivo con un Gazal che si dimostra un singer capace.
Ci si destreggia nei quaranta minuti scarsi di metallo classico con buona alternanza di atmosfere e la power metal song When I Turn The Key si rivela una cavalcata metallica dirompente, mentre You’re Like Poison risulta un brano dai forti impulsi hard rock.
Il mid tempo epico di The Last Battle si avvicina a quanto fatto dal compianto Ronnie James Dio con il suo gruppo, mentre Vanderberg ci delizia con un brano strumentale e dal piglio neoclassico vicino a sua maestà Malmsteen come la conclusiva Total Eclipse.
Highway Demon è un album ricco di suoni metallici di stampo classico, dall’hard rock all’heavy metal, vario nelle atmosfere, suonato e cantato bene, in buona sostanza un ascolto soddisfacente per chi ama il genere.

Tracklist
01. Highway Demon
02. Blue Eyes
03. Bad Paradise
04. The Last Battle
05. How Do You Feel
06. Indispensible
07. You´re Like Poison
08. When I Turn the Key
09. The Final Chapter
10. Total Eclipse (Instrumental)

Line-up
Mak Vanderberg – All Instruments
Raphael Gazal – Vocals

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Twingiant – Blood Feud

La progressione è incessante e senza scadimenti o cedimenti, anzi più ci si addentra dentro il disco più si viene ammaliati da questo suono, che renderà felice chi ama la musica pesante e pensante.

Devastazione completa operata mediante un uso massiccio di sludge e stoner all’ennesima potenza.

I Twingiant vengono dalla calda Phoenix, Arizona, sono attivi dal 2010 e questo è il loro terzo album sulla lunga durata. Il loro suono è molto pesante, un riuscito connubio fra potenza, lentezza ed una maestosità tipica di quei gruppi che hanno un passo differente rispetto alla maggior parte degli altri. Ascoltandoli si può percepire nettamente la grande capacità compositiva, che li porta a scrivere ed a suonare canzoni di ampio respiro, che ampliano la mente dell’ascoltatore mediante un potente rumore. Blood Feud è il racconto di un massacro, che procede ora lento ora veloce, ma che inesorabilmente spezza tendini e mette fine a molte vite. La progressione è incessante e senza scadimenti o cedimenti, anzi più ci si addentra dentro il disco più si viene ammaliati da questo suono, che renderà felice chi ama la musica pesante e pensante. I Twingiant hanno un tocco personale e riconoscibile, essendo uno dei migliori gruppi del genere, e il loro disco sarà una gioia per molte tormentati sonori. Le tracce si susseguono in maniera mirabile, costruendo un filo narrativo che le unisce in modo ben strutturato e complesso, granitico e terribile. Ci sono vari livelli in questo disco, e pur apprezzandolo fin dal primo ascolto, si riesce a cogliere sempre qualcosa di diverso ad ogni passaggio successivo. Alcuni momenti sono epici, come se ci trovassimo davvero nel Giappone medioevale, e la vita fosse solo una questione di affilatura della spada.

Tracklist
1.Throttled
2.Poison Control Party Line
3.Ride The Gun
4.Re-fossilized
5.Shadow of South Mountain
6.Formerly Known As
7.Last Man Standing
8.Kaishakunin

Line-up
Jarrod – Bass/Vocals
Nikos – Lead/Rhythm Guitar/Backup Vocals
Tony- Lead/Rhythm Guitar/Backup Vocals
Jeff – Drums

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Professor Emeritus – Take Me To The Gallows

Take Me To The Gallows è un buon lavoro incentrato su un heavy/doom classico tra Dio, Black Sabbath e Candlemass, un album dallo spirito underground ma sicuramente da non perdere per gli amanti del genere.

Sicuramente avari di informazioni ma non di buona musica, i Professor Emeritus sono una band di Chicago che, tramite la No Remorse Records, licenzia questo esempio riuscito di heavy metal classico dalle forte tinte epic doom, sulla falsariga di superstar del genere come Dio e Candlemass.

Ed in effetti queste sono le maggiori influenze del gruppo statunitense, ovviamente con i sempre presenti Black Sabbath nella versione con al microfono il grande e compianto Ronnie James, al quale il bravissimo singer MP Papai fa riferimento.
Così tra brani più classicamente heavy come l’opener Burning Grave o Chaos Bearer, ed altri rallentati e nobilitati da un’epicità tradizionalmente doom metal come le bellissime He Will Be Undone e la conclusiva Decius, davvero ispirata, Take Me To The Gallows risulta un ottimo prodotto per gli amanti del doom classico degli anni ottanta, arricchito dal tocco epico del Dio d’annata, il cui spirito rivive grazie ad un vocalist che con bravura ne segue il percorso artistico.
L’album, che arriva dall’underground e da esso trova vigore, è assolutamente consigliato a chi non si ferma ai soliti storici nomi.

Tracklist
1. Burning Grave
2. He Will Be Undone
3. Chaos Bearer
4. Take Me to the Gallows
5. Rats in the Walls
6. Rosamund
7. Decius

Line-up
MP Papai – Vocals
Lee Smith – Guitar, Bass
Tyler Herring – Guitar
Rüsty Glöckle – Drums

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Wasted Theory – Defenders Of The Riff 2017 Edition

I Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool.

Ristampa con bonus tracks del secondo disco dei Wasted Theory, ad opera dell’italiana Argonauta Records.

Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool. Il rumore ci salverà, ed in particolare quello di questi americani del Delaware è davvero bello pieno e invita ad un ascolto ripetitivo. Le radici del loro suono sono da ricercare all’indietro nei Kiss e in gruppi come in Thin Lizzy, ovvero rock and roll bastardo, per poi ridiscendere fino a band come High On Fire ed altri, però più duri. I Wasted Theory hanno un suono sudista, che unito ad una fortissima ironia rende molto bello il tutto. Nel loro suono si può adirittura rintracciare qualcosa di blues, ma più che altro nella loro maniera di porsi ed in alcuni giri di chitarra. Il titolo rende benissimo ciò che ascolterete, dato che i riff qui sono tutti validissimi e raggiungono pienamente il loro scopo. Ci sono momenti più veloci, altri più lenti e pesanti, ma ciò che non manca mai è quella sensazione di divertimento e di ascolto di un gruppo che è totalmente in controllo, e che si diverte talmente che straripando lo trasmette al suo pubblico. Certe ripartenze sono degne dei migliori Karma To Burn, ma i Wasted Theory sono di maggior coinvolgimento e comprensione. Southern rock e metal, hard rock, stoner, desert ed un pizzico di heavy metal classico sono solo alcuni degli ingredienti di questo buonissimo moonshine potente ed inebriante. Nel 2016 molti addetti ai lavori hanno incluso questo disco nella loro list di migliori uscite dell’anno, ed in questa ristampa potrete gustare due killer cover di un brano degli Alabama Thunderpussy ed uno dei Nazareth. Lunga vita ai difensori del riff.

Tracklist
1.Get Loud or Get Fucked
2.Black Witch Blues
3.Atomic Bikiniwax
4.AmpliFIRE!
5.Gospel of Infinity
6.Belly Fulla Whiskey
7.Under The Hoof
8….And The Devil Makes Three
9.Throttlecock
10.Odyssey Of The Electric Warlock
11.Rockin’ is Ma Business (ALABAMA THUNDERPUSSY)
12.Changin’ Times (NAZARETH

Line-up
Brendan Burns,
Larry Jackson Jr.
Andrew Petkovic
Rob Michael

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Battlesword – Banners Of Destructions

Banners Of Destruction risulta una gradita sorpresa, tenendo incollati alle cuffie gli ascoltatori dalla prima all’ultima nota senza stancare, meritando la giusta attenzione di chi ama queste sonorità.

Arrivano con po’ di ritardo all’attenzione di MetalEyes i guerrieri tedeschi Battlesword, band di stanza a Viersen attiva da quasi vent’anni ma poco prolifica.

Questo ottimo lavoro risale appunto a qualche tempo fa, ma merita sicuramente l’attenzione delle epiche truppe di nuovi defenders pronti alla battaglia  a colpi di power/death metal epico e guerresco, un riuscito mix tra il death metal melodico degli Amon Amarth e il power/heavy metal dei gruppi storici della scena classica.
Si diceva della poca prolificità dei Battlesword ed infatti la discografia del gruppo si completa con un paio di demo ed il primo full length, Failing In Triumph, licenziato nell’ormai lontano 2003, poi un silenzio discografico durato quattordici anni, con il solo demo del 2008 a mantenere viva la fiamma per arrivare ad un anno fa e all’uscita di Banners Of Destructions.
Il quintetto tedesco rompe il silenzio Spirit To The Flesh, un mid tempo epicissimo dove il growl è padrone assoluto del campo di battaglia dove il sangue scorre a fiumi: le ritmiche che alternano accelerazioni power a potentissime cavalcate in tempi medi, un gran lavoro delle due asce, imponenti ma dai solos melodici e dal taglio heavy, sono le caratteristiche principali del sound del gruppo, che non fa prigionieri e risulta più che mai diretto.
La title track, Tongues Of Hatred e la devastante Bloodlust Symphony fanno tremare la terra, possenti spallate metalliche e fiere portatrici della bandiera dei Battlesword sul campo, diventato un cimitero al passaggio dei musicisti tedeschi.
Inutile girarci intorno, sono gli Amon Amarth il gruppo che più si avvicina alla proposta dei Battlesword, anche se la band tedesca è più improntata alll’heavy power epico rispetto al death metal melodico dei guerrieri sevedesi.
Banners Of Destruction risulta una gradita sorpresa, tenendo incollati alle cuffie gli ascoltatori dalla prima all’ultima nota senza stancare e meritando la giusta attenzione di chi ama queste sonorità.

Tracklist
1.Spirit to the Flesh
2.The Unnamed Magic
3.Banners of Destruction
4.Grave New World
5.The Silence of Victory
6.Tongues of Hatred
7.Circle of Witches
8.Bloodlust Symphony
9.Left for the Vultures
10.There Will Be Blood
11.Where Demons Awake
12.Enemy Divine

Line-up
Axel Müller – Vocals
Andreas Klingen – Drums
Björn Kunze – Guitars
Ben Bays – Bass
Jürgen Lousberg – Guitars

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