Perpetual Fire – Bleeding Hands

Hard rock, progressive metal, power e tanta raffinata attitudine neoclassica fanno di Bleeding Hands un album perfettamente in grado di ritagliarsi il proprio spazio tra le migliori uscite di questo periodo.

Di questi tempi, se nel power metal cercate qualche spunto più personale rispetto al “palla lunga e pedalare” di molte realtà d’oltreconfine, la scena nostrana regala piccoli gioiellini classici, magari poco considerati dal solito fan noiosamente esterofilo, anche se negli ultimi tempi sembra che il vento piano piano stia cambiando direzione.

Andiamo prima in terra greca, perché è qui che la Sleaszy Rider Records ha la sua base, una label che sta riscuotendo sempre più consensi licenziando album uno più bello dell’altro e molti di questi cercandoli nella nostra penisola.
Torniamo da noi, in quel di Milano per presentarvi i Perpetual Fire, quintetto capitanato da Steve Volta, chitarrista bravissimo e per molti anni al servizio di Pino Scotto, ed il loro terzo album Bleeding Hands, un lavoro italiano al 100% per bravura strumentale ed eleganza nel songwriting, un talento innato per le melodie e quel tocco progressivo diventato marchio di fabbrica della scuola nazionale.
Diciamolo una volta per tutte, ormai Vision Divine, Labyrinth e Secret Sphere sono a capo di una scena che nell’hard & heavy non ha nulla da invidiare a quelle straniere, con i loro emuli a sfornare opere di spessore ed affiancando i maggiori act che fanno faville nei generi che compongono l’universo metallico.
Tutto questo ben di Dio non sarà supportato dai numeri per quanto riguarda il versante live, ma rimane indubbio che in Italia si fa da anni grande musica metal, ed ogni uscita conferma questa tendenza con buona pace dei detrattori.
Hard rock, progressive metal, power e tanta raffinata attitudine neoclassica fanno di Bleeding Hands un album perfettamente in grado di ritagliarsi il proprio spazio tra le migliori uscite di questo periodo: Volta ha fatto tesoro delle sue esperienze e i brani escono vari, travolgenti, mai banali nelle ritmiche o nei solos, con un singer (Roby Beccalli) che adatta la sua voce alle varie atmosfere, passando da tonalità rock a quelle power per sfornare un’aggressività da leone in passaggi che si fanno estremi, con una sezione ritmica da infarto (Mark Zampetti al basso e Cisco Lombardi alle pelli) e le tastiere che ricamano tappeti di metal neoclassico o sanguigni passaggi rock blues (Tush, splendida cover degli ZZ Top).
Volta è fenomenale pur senza dare l’impressione di esagerare e rimanendo saldo nella forma canzone, con solos dinamitardi e vari, così come varie sono le sfumature di questo lavoro che non ha battute d’arresto ma almeno un trittico di brani a fare traino e differenza: Queen Of Honor, Bloody Apple e Crimson Twilight, le più progressive del lotto e vicine al sound dei gruppi citati in precedenza.
Bleeding Hands risulta così un album riuscito ed appagante per ogni fans del genere, giocando le sue carte alla pari con le ultime notevoli uscite in campo power/prog metal, non perdetevelo.

TRACKLIST
01 – Psycho Cancer
02 – Scrambled
03 – Queen Of Honor
04 – Bloody Apple
05 – Tush
06 – Look Beyond The Night
07 – When You’re Dead
08 – Crimson Twilight
09 – Let The Snow
10 – A New World Begins

LINE-UP
Roby Beccalli – Vocals
Steve Volta – Guitars
Mark Zampetti – Bass
Mauro Maffioli – Keyboards
Cisco Lombardi – Drums

PERPETUAL FIRE – Facebook

Dream Evil – Six

Tornano i Dream Evil e lo fanno con un lavoro che segue la strada dell’heavy power scandinavo, cpn suoni pieni e cristallini, una buona alternanza di ritmiche hard & heavy/power metal ed un amore sconfinato per le band che hanni visto all’opera Ronnie James Dio.

Premessa: un album come Six, sesto full length dei Dream Evil, può piacere o meno, non porterà nessuna novità nel mondo del metal classico, ma è indubbio il suo valore come album di genere, anche perchè valorizzato da suoni eccellenti.

Detto questo, presentiamo questo lavoro per il gruppo del famoso produttore Fredrick Nordstrom, qui in veste di chitarrista, ed accompagnato da quattro musicisti tecnicamente inattaccabili ed in forma smagliante.
La band svedese ha avuto il suo momento di gloria specialmente con l’arrivo del nuovo millennio e l’ entrata sul mercato con i primi due lavori (Dragonslayer ed Evilized): una popolarità che cresce e si stabilizza con The Book Of Heavy Metal, l’album più famoso, uscito nel 2004.
Il ritorno avviene con un lavoro che segue la strada dell’heavy power scandinavo, con suoni pieni e cristallini, una buona alternanza di ritmiche hard & heavy /power metal ed un amore sconfinato per le band nelle quali Ronnie James Dio ha militato nella sua leggendaria carrera (Rainbow, Black Sabbath, passando per i suoi Dio), il tutto chiaramente reso appetibile ed esaltante da suoni che esplodono letteralmente dalle casse, da chorus epico melodici, e chitarre che passano dalla pesantezza cimiteriale di Tony Iommi, ai solos melodici suonati cavalcando l’arcobaleno di Ritchie Blackmore.
Fine della storia, di lavori del genere ne avrete sentiti tanti e ne sentirete ancora (fortunatamente), rimane solo da farvi partecipi di un lotto di brani bellissimi che si mantengono su una qualità mediamente alta, con Dream Evil (il brano), Sin City e le fenomenali Hellride e Too Loud a fare di Six un album imperdibile per chiunque ami il metal di stampo classico, suonato di questi tempi anche da Astral Doors e Jorn che, con i Dream Evil, sono gli esempi più convincenti.

TRACKLIST
1. Dream Evil
2. Antidote
3. Sin City
4. Creature Of The Night
5. Hellride
6. Six Hundred And 66
7. How To Start A War
8. The Murdered Mind
9. Too Loud
10. 44 Riders
11. Broken Wings
12. We Are Forever

LINE-UP
Niklas Isfeldt – Lead vocals
Fredrik Nordström – Lead rhythm guitars
Mark U Black – Lead lead guitars
Peter Stålfors – Lead bass
Patrik Jerksten – Lead drums

DREAM EVIL – Facebook

Iced Earth – Incorruptible

Gli Iced Earth sono tornati con uno dei lavori più intensi e riusciti degli ultimi anni, un album imperdibile per chi ama il power/thrash americano.

I continui saliscendi tra le preferenze dei fans (anche per colpa di album non completamente riusciti), i cambi di line up, specialmente dietro al microfono e i problemi di salute del leader indiscusso Jon Schaffer (operato ultimamente e per la seconda volta al collo), avrebbero disintegrato la stabilità artistica di qualsiasi band, non degli incorruttibili (come suggerisce il titolo) Iced Earth, autentico patrimonio metallico per chi li ha seguiti fin dagli esordi.

Burnt Offerings, The Dark Saga, Something Wicked This Way Comes rimane un trittico di lavori che sono e rimarranno nella storia del metal classico mondiale, uno dei picchi qualitativi più alti del power/thrash americano, nel loro essere devastanti, melodici ed oscuri come vuole la tradizione a stelle e strisce, almeno quando si parla di heavy metal.
Jon Schaffer si è guadagnato in veste di songwriter, prima ancora che in quella di chitarrista, un posto tra i grandi interpreti della nostra musica preferita, anche se in tanti anni di onorata ed “incorruttibile” carriera non sono mancate le battute d’arresto, specialmente negli ultimi anni.
Destino ha voluto che da Dystopia, album del 2011, dietro al microfono si sia posizionato Stu Block, ex singer dei notevoli Into Eternity, unico ed autorevole erede di quel Matt Barlow che fece risplendere con la sua drammatica, teatrale e personalissima voce gli album storici del gruppo americano, richiamato più volte nel regno della terra ghiacciata ma non più convincente e convinto come in passato.
Incorruptible può iniziare ad essere descritto da questa verità, Block è posseduto dal demone che tanti anni fa fece fuoco e fiamme dentro al corpo di Barlow e l’opera, oscura, spettacolare, drammatica e devastante se ne giova non poco.
Jon Schaffer ne ha passate di tutti i colori, nel frattempo ha quasi finito di costruire il suo studio personale dove è stato registrato l’album e la sua musica ne ha risentito, questa volta positivamente: non siamo ai livelli dei capolavori che incendiarono gli anni novanta, ma è indubbio che la band sia tornata a suonare grande power/thrash.
E allora fatevi travolgere dalle atmosfere dannatamente oscure e teatrali di questo ancora una volta emozionante lavoro: il marchio di fabbrica stampato in evidenza su queste nuove dieci composizioni è Iced Earth in tutto e per tutto, trattandosi di una delle poche band che al giorno d’oggi possano vantarsi d’aver creato e portato avanti negli anni uno stile inconfondibile, rimanendo sempre legati ad una ifedeltà metallica che ha del commovente.
Basta menzionare la splendida The Relic (part 1), con un Block su livelli emozionali che toccano le vette del suo storico predecessore, o lo strumentale Ghost Dance (Awaken The Ancestors) e l’immancabile ed epico brano dedicato ad un fatto storico, questa volta riguardante l’Irish Brigade e la battaglia di Fredericksburg con la clamorosa Clear The Way (December 13th, 1862).
Non mi dilungherò oltre, se non per ribadire che gli Iced Earth sono tornati con uno dei loro lavori più intensi e riusciti degli ultimi anni, imperdibile per chi ama il power/thrash americano.

TRACKLIST
1. Great Heathen Army
2. Black Flag
3. Raven Wing
4. The Veil
5. Seven Headed Whore
6. The Relic (Part 1)
7. Ghost Dance (Awaken The Ancestors)
8. Brothers
9. Defiance
10. Clear The Way (December 13th, 1862)

LINE-UP
Jon Schaffer – Rhythm, lead and acoustic guitars, Keyboards/MIDI, Vocals
Stu Block – Lead Vocals
Brent Smedley – Drums
Luke Appleton – Bass Guitar, Vocals
Jake Dreyer – Lead Guitar

ICED EARTH – Facebook

Biogenesis – A Decadence Divine

Progressive, sinfonie gotiche, power metal e death/thrash contribuiscono a rendere quest’opera la colonna sonora del diluvio universale, una punizione divina che si scatenerà quanto prima dalle note di questo splendido lavoro.

Dall’underground metallico statunitense arrivano ottimi lavori, magari fuori dai soliti cliché del metal made in U.S.A. più cool, ma sicuramente opere di spessore che MetalEyes puntualmente vi porta a conoscenza.

La label Roxx Records, specializzata in christian metal, licenzia il quarto lavoro dei Biogenesis, gruppo proveniente dall’Ohio, attivo da ormai vent’anni ed in cui milita il singer Chaz Bond, ex Jacobs Dream, power metal band fuori con una manciata di ottimi lavori nel primo decennio del nuovo millennio.
A Decadence Divine è un ottimo album che ingloba una serie di atmosfere e sfumature diverse tra loro, vari generi che, amalgamandosi, trovano un equilibrio quasi perfetto e creano questo oscuro e tragico monolite di metallo, progressivo ed orchestrale.
Il singer tra clean e growl dà prova di saperci fare, così come i musicisti che lo accompagnano in questa che, di fatto, è un’ avventura nel mondo del metal tra classico ed estremo.
La title track, l’oscura Inside The Beast, la veloce e Thrashy As Empire Falls, formano un inizio scoppiettante, con i tasti d’avorio che cuciono arabeschi di musica classica, le sei corde che imprimono un marchio di fabbrica progressive/thrash, con la sezione ritmica che sale in cattedra quando la velocità diventa sostenuta.
Molto teatrale, tanto che in alcuni momenti il sound ricorda la splendida musica dei Saviour Machine (Lines In The Sand), l’album risulta un monolito di spettacolare metallo oscuro e progressivo, colonna sonora di una decadenza che, fin dal titolo, il gruppo descrive divina, frutto di forze e volontà più grandi dell’uomo.
La sinfonica Tears Of God e la conclusiva Brood Of Vipers sono un paio di esempi di questo clamoroso lavoro che diventa sempre più intenso ogni minuto che passa, mentre Iced Earth, Symphony X e i tedeschi Crematory divengono più che semplici ispirazioni.
Progressive, sinfonie gotiche, power metal e death/thrash contribuiscono a rendere quest’opera la colonna sonora del diluvio universale, una punizione divina che si scatenerà quanto prima dalle note di questo splendido lavoro.

TRACKLIST
1. Prelude (Nocturnal Images)
2. A Decadence Divine
3. Inside the Beast
4. Bet Your Soul
5. As Empires Fall
6. Lines in the Sand
7. The Pain You Left Behind
8. Tears of God
9. Land of Confusion
10. In the Darkness I Dwell
11. Brood of Vipers
12. Silence (CD Only Bonus Track)

LINE-UP
Sam Nealeigh – Keyboards
Majennica Nealeigh – Drums
Dan Nealeigh -Bass
Luke Nealeigh – Lead/Rhytym Guitars
James Riggs – Lead/Rhythym Guitars
Chaz Bond – Lead Vocals

BIOGENESIS – Facebook

Black Hawk – The End Of The World

Giudizio positivo per un album piacevolmente tradizionale fino al midollo quanto onesto: per gli amanti dell’ heavy metal classico un ascolto consigliato.

Heavy metal old school e tradizione rispettata per i veterani Black Hawk, band tedesca che la Pure Steel, per mezzo di una delle sue anime (Pure Underground Records), supporta licenziando il nuovo album in questa primavera 2017, tempo di vacche grasse per certe sonorità

E i Black Hawk possono sicuramente considerarsi come una di quelle realtà che, passati gli anni novanta, hanno trovato nel nuovo millennio gli stimoli per proseguire una carriera iniziata alla fine degli anni ottanta e appunto ripresa nel 2005, con cinque album di metal classico prima di questo nuovo The End Of The World.
L’esperto quintetto prosegue nella strada forgiata nell’acciaio dagli Accept, dagli UDO, ed intelligentemente potenzia il tutto con scariche di potentissimo bombardamento di scuola Sinner/Primal Fear, cercando così di piacere anche ai più giovani.
Direi che i Black Hawk ci sono riusciti: il loro nuovo lavoro piace, in tempi in cui l’heavy metal classico è tornato, come molti altri generi, a guardare al passato, in questo caso epico, glorioso, potente e melodico.
Hard & heavy che sputa fuoco e fiamme, semiballad fiere come la title track e tanta melodia, sono le caratteristiche principali di questo lotto di brani, onesti e duri, classicamente graffianti e a tratti commoventi nel seguire i tratti distintivi del genere con brani che strapperanno più di un sorriso alle vecchie leve, ma riuscendo ad esaltare anche chi può ancora contare su una folta chioma da sfoggiare ai concerti.
Street Of Terror è una bomba e saluta la compagnia, veloce e tagliente, mentre Ruler Of The Dark è heavy metal ottantiano doc ; l’accoppiata Scream In The Night – Legacy Of Rock  mette tutti d’accordo, con la prima graffiante e dai rimandi Primal Fear, mentre in chiusura con Just Like Paradise e Dragonride’17 il gruppo si concede un passo nel power metal.
Giudizio positivo per un album piacevolmente tradizionale fino al midollo quanto onesto: per gli amanti dell’ heavy metal classico un ascolto consigliato.

TRACKLIST
1. Return Of The Dragon (Intro)
2. Streets Of Terror
3. Killing For Religion
4. What A World
5. Ruler Of The Dark
6. The End Of The World
7. Scream In The Night
8. Legacy Of Rock
9. Just Like In Paradise
10. Dancing With My demons
11. Dragonride’17

LINE-UP
Udo Bethke – lead vocals
Wolfgang Tewes – guitars
Günny Kruse – guitars
Michael “Zottel” Wiekenberg – bass
Matthias Meßfeldt – drums
guest musicians:
Hanjo Gehrke – acustic guitars, guitarsolo on “Dancing with my Demons”, keyboards & backing vocals
Conny Bethke – backing vocals
Stefan Weise – backing vocals

BLACK HAWK – Facebook

Altair – Descending : The Devilish Comedy

Quaranta minuti di power metal veloce e progressivo, potente e melodico, ovviamente dai tratti epici, sinfonico il giusto per poi ripartire con cavalcate metalliche tra tradizione tedesca e raffinata scuola scandinava.

La Sleaszy Rider si conferma come una delle label europee che, a livello underground, ha alzato non poco l’asticella qualitativa delle proprie proposte comprendenti praticamente tutte le correnti musicali del mondo metallico.

Con un occhio particolare anche per la scena italiana, la label greca non sta sbagliando un colpo e, parlando di suoni classici e dai rimandi power, dopo l’ultimo bellissimo album dei Kaledon ci presenta un’altra ottima band nostrana, i ferraresi Altair.
Attivi dal 2008, con un passato fatto di aggiustamenti più o meno importanti nella line up, gli Altair giungono al secondo album, dopo l’ottimo debutto licenziato nel 2013, quel Lost Eden che ha portato ottimi riscontri; si ripresentano con questo ottimo lavoro intitolato Descending: A Devilish Comedy, un concentrato di power progressive metal suonato bene, prodotto meglio e composto da un lotto di belle canzoni.
Si, perché poi alla fine lo scrivere brani dal buon appeal, pur mantenendo un approccio da metal band tecnica e progressiva senza far mancare all’ascoltatore melodie, refrain e ritornelli che entrano in testa al primo ascolto, diventa fondamentale per non farsi dimenticare, in questi tempi in cui tutto va di fretta anche nella musica (con opere che rimangono nel lettore, lo spazio di due o tre ascolti) .
E il sestetto di Ferrara ci riesce con questi quaranta minuti di power metal veloce e progressivo, potente e melodico, ovviamente dai tratti epici, sinfonico il giusto per poi ripartire con cavalcate metalliche tra tradizione tedesca e raffinata scuola scandinava.
Con il microfono ben saldo tra le mani del buon Simone Mala, interpretativo e sanguigno vocalist di razza, e le evoluzioni tecniche dei suoi compagni, Descending: A Devilish Comedy vi accompagnerà nel mondo del power metal elegante e melodico, metallico nel più tradizionale senso del termine tra Gamma Ray e Stratovarius, Helloween e Sonata Arctica e con un tocco di progressivo metallo di cui i Symphony X sono gli assoluti maestri.
Non rimane che piazzarvi le cuffie nelle orecchie e godere delle evoluzioni del gruppo nelle varie Path Of Worms, Seven, Sed Of Violence e la conclusiva A Lesson Before Ascending, per poi, alla fine, ripartire daccapo …

TRACKLIST
1. Descending
2. Path of Worms
3. Limbo
4. Seven
5. Godless
6. Seed of Violence
7. Flame of Knowledge
8. Frozen Graves
9. A Lesson Before Ascending

LINE-UP
Simone Mala – Voice
Luca Scalabrin – Bass/Vocals
Gianmarco Bambini – Guitar
Albert Marshall – Guitar
Enrico Ditta – Keyoboards
Simone Caparrucci – Drums

ALTAIR – Facebook

Bretus – … From The Twilight Zone

I Bretus con questo disco si confermano un ottimo gruppo doom che non sbaglia un disco.

Ritornano i calabresi Bretus, una delle migliori band italiane in ambito doom.

La loro proposta musicale è un doom classico, cantato con timbro chiaro e possente, e poche distorsioni strumentali, seguendo la lezione di St.Vitus e Pentagram.
Per fare questo genere minimale e renderlo interessante devi avere delle specifiche caratteristiche che non sono alla portata di tutti. I Bretus tengono incollato l’ascoltatore alla poltrona dall’inizio alla fine, non lasciando mai scendere la tensione, come nelle storie horror che loro adorano. Ispirati nella loro opera dal sommo vate di Providence, per questo nuovo disco esplorano i territori di …From The Twilight Zone, una serie televisiva americana del 1959 che esplorava in maniera incredibile la fantascienza e l’orrore, tenendosi sempre vicina alla sottile linea che divide il nostro mondo da altri mondi e multiversi. Il doom dei Bretus in questo disco si addolcisce leggermente e va a bagnare gli strumenti nei fiumi ottantiani del doom americano ed inglese, trovando una formula vincente, perché ogni canzone è interessante e godibile. Il disco è oscuro ma non è una tenebra fine a se stessa, bensì è una luce diversa per capire la realtà in un’altra maniera, o per cominciare a scorgere le altre che ci circondano. Ascoltare dischi come …From The Twilight Zone smuove qualcosa nel cuore di chi ama il doom e più in generale la musica oscura ma fatta bene. In alcuni momenti ritornano all’orecchio reminiscenze dei grandi del doom, come i Candlemass ad esempio, ma ascoltando il disco si comprende la via personale adottata dai Bretus, un modo originale di fare doom. Il disco può anche essere goduto come un film, poiché c’è un filo conduttore nella narrazione. I Bretus con questo disco si confermano un ottimo gruppo doom che non sbaglia un disco.

TRACKLIST
01. Terror behind the mirror
02. In the vault
03. Old dark house
04. Danza Macabra
05. The murder
06. The creeping flash
07. Lizard woman

LINE-UP
Ghenes – High/Low Guitars and Fx
Zagarus – Vox and Harmonica
Azog – Bass
Striges – Drum

BRETUS – Facebook

Soulspell – The Second Big Bang

Si torna a parlare di metal opera con il quarto album dei brasiliani Soulspell, creatura del batterista Heleno Vale, qui a dirigere la crema dell’heavy power mondiale nel suo nuovo e bellissimo lavoro, The Second Big Bang.

Le metal opera ormai fanno storia a sé nella discografia di una band, molte volte sono episodi che non trovano repliche, altre invece diventano il leit motiv di un’intera discografia o quasi.

Inutile ricordare l’importanza della seconda parte della discografia dei Savatage e, in seguito, delle opere di Ayreon e Avantasia in quello che ormai è un genere parallelo al metal di estrazione classica, ispirato dall’heavy e dal power a seconda della provenienza dei musicisti e pregno di sinfonie operistiche (da qui il nome metal opera).
Concept più o meno riusciti spesso trovano nella quantità e qualità degli ospiti intervenuti il loro maggiore interesse, molte volte superando quello per la musica vera e propria.
Si torna dunque a parlare di metal opera con il quarto album dei brasiliani Soulspell, creatura del batterista Heleno Vale, qui a dirigere la crema dell’heavy power mondiale nel suo nuovo e bellissimo lavoro, The Second Big Bang.
Prodotto da Tito Falaschi, masterizzato e mixato da Dennis Ward, si tratta di un monumentale lavoro in cui gli ospiti che si danno il cambio nelle varie parti sono il fiore all’occhiello di un album inattaccabile, perfettamente in grado di funzionare nella sua interezza, ma con brani che potrebbero tranquillamente viaggiare per conto proprio, mentre le cavalcate power tra Helloween ed Avantasia splendono tra le orchestrazioni ed epiche sinfonie, e a tratti ci si spellano le mani tra atmosfere hard rock e fughe metal prog.
Fin qui niente di nuovo, e ci mancherebbe, ma come il genere impone le sfumature cangianti di brano in brano mantengono altissima l’attenzione, anche perché le sorprese, specialmente al microfono, sono tante e di altissima qualità.
Infatti, tra gli altri, alla voce troverete Andre Matos, Arjen Lucassen, Blaze Bayley, Fabio Lione, Oliver Hartmann, Ralf Scheepers, Tim Ripper Owens, Timo Kotipelto, tutti a farvi tornare la voglia di power metal, melodico, epico e sinfonico, con i nomi di spessore che non si fermano ai soli cantanti ma proseguono con quelli alle prese con i vari strumenti, a partire da un Lucassen nei panni di tuttofare (oltre al canto, il menestrello olandese si cimenta con chitarra e tastiere), Jani Liimatainen e Kiko Loureiro alle sei corde, Frank Tischer (Avantasia) alle tastiere, Markus Grösskopf al basso, più un buon numero di musicisti della scena brasiliana.
Angra, Avantasia e Ayreon sono le influenze che escono prepotentemente dalle note di The Second Big Bang, album che merita l’attenzione degli amanti del genere, per un songwriting molto ispirato di cui si giovano brani intensi ed emozionanti come Sound Of Rain, Horus’s Eye, il singolo Dungeons And Dragons con il nostro Fabio Lione in pieno delirio rhapsodyano, e Game Of Hours.
Amanti delle metal opera fatevi sotto, questo lavoro sazierà la vostra fame di storie raccontate in musica e vi fornirà grandi soddisfazioni.

TRACKLIST
01 – Time To Set You Free
02 – The Second Big Bang
03 – The End You’ll Only Know At The End
04 – Dungeons And Dragons
05 – Horus’s Eye
06 – Father And Son
07 – White Lion Of Goldah
08 – Game Of Hours
09 – Super Black Hole
10 – Sound of Rain
11 – Soulspell (Apocalypse Version)
12 – Alexandria (Apocalypse Version)

LINE-UP
Vocals :
Andre Matos (The White Lion Of Goldah), Arjen Lucassen (Space And Time), Blaze Bayley (Banneth, the Keeper of the Tree), Daísa Munhoz (The Princess Judith), Dani Nolden (The Shadows), Fabio Lione (The Dungeon Master), Jefferson Albert (Padyal, the Worshipful Master), Oliver Hartmann (The Space Agency Director), Pedro Campos (Timo’s Mystical Body), Ralf Scheepers (The Clairvoyant), Tim Ripper Owens (The Holy Dead Tree), Timo Kotipelto (Greibach, The Mathematician) e Victor Emeka (Adrian, the Apprentice).

Bass :
Daniel Guirado, Markus Grösskopf (Helloween) e Tito Falaschi

Guitars :
Arjen Lucassen (Ayreon), Cleiton Carvalho, Eduardo Ardanuy (ex-Dr. Sin), Jani Liimatainen (ex-Sonata Arctica), Kiko Loureiro (Megadeth / Angra), Leandro Erba, Marcos Pópolo, Rodolfo Pagotto (Vandroya), Thiago Amendola e Tito Falaschi.

Keyboards:
Arjen Lucassen (Ayreon), Fábio Laguna (Hangar / ex-Angra), Frank Tischer (Avantasia) e Rodrigo Boechat.

Drums :
Eduardo Santos, Gabriel Viotto, Heleno Vale e Juliano Caserta.

SOULSPELL – Facebook

Eli Van Pike – Welcome To My Dark Side

Welcome To My Dark Side scorre via senza particolari intoppi consegnandoci una decina di brani concisi, efficaci e vari.

Dall’unione di tre questi musicisti scaturisce, oltre ad un monicker (Eli Van Pike) originato dai rispettivi cognomi, una forma di gothic industrial che dovrebbe, secondo gli intenti dichiarati, attrarre i fans di Rammstein, Eisbrecher e in generale di un sound di tipica matrice tedesca.

Messa così, la questione potrebbe rivelarsi ingannevole perché in effetti il trio dimostra una certa versatilità, derivante anche da un’indubbia maestria strumentale che rende Welcome To My Dark Side un album tutt’altro che monotematico o ancor peggio noioso.
Quello che è il pregio dell’album si rivela però anche il suo principale difetto, perché l’idea di fondere sonorità industrial con altre di stampo più classico non è affatto male, ma finisce per far viaggiare il tutto a due velocità, con i brani più ritmati che si rivelano a mio avviso superiori a quelli di natura più melodica.
Sarà forse perché, da estimatore dei Rammstein fin dalla prima ora, l’ormai lunga vacanza compositiva presa da Lindemann e soci mi rende ancor più gradito tutto ciò che vi assomiglia, ma non c’è dubbio che a livello attitudinale gli Eli Van Pike si fanno preferire di gran lunga in questi frangenti.
Sono così le cosi le corpose Herzschlag e Tears Of War, con i lori classici riff squadrati, a spiccare in un album comunque divertente e piuttosto scorrevole, con un trio di musicisti che interpreta la materia con sapienza, disinvoltura ed un pizzico di gradita leggerezza dal punto di vista dell’approccio (Made In Germany), che spesso porta il sound dalle parti dei Mono Inc. in versione irrobustita (la title track, Amen).
L’alternanza vocale tra l’impostazione power dello statunitense Ken Pike e quella gothic del tastierista Thorsten Eligehausen funziona abbastanza bene, anche se entrambi non sempre appaiono a proprio agio, l’uno quando si spinge su tonalità troppo alte e l’altro quando tende a forzare ribassandole ulteriormente.
Poco male, tutto sommato, perché Welcome To My Dark Side scorre via senza particolari intoppi consegnandoci una decina di brani concisi, efficaci, vari e contraddistinti dal notevole lavoro chitarristico di Marc Vanderberg: nulla di imprescindibile, ma un qualcosa che si lascia ascoltare sempre con estremo piacere.

Tracklist:
01. Made in Germany
02. Herzschlag
03. 1-2 frei
04. World on Fire
05. Tears of War
06. One last Rose
07. Peter, 41
08. Welcome to my Dark Side
09. Amen
10. Valentine´s Day

Line-up:
Marc Vanderberg – Guitars, Drum & Bass Programming
Ken Pike – Lead Vocals
Thorsten Eligehausen – Lead Vocals, Keyboards

ELI VAN PIKE – Facebook

Divine Element – Thaurachs of Borsu

I primi brani trovano nell’impeto della battaglia la loro forza così da risultare i più canonici, mentre è la seconda parte che riserva le parti più epiche, lasciando che il sound si ricami di note folk, mentre una voce narrante ne rende maestoso l’incedere.

I Divine Element sono un duo greco/ungherese formato da Ayloss (chitarra, basso e synth) e Antonis (voce) e che, aiutati dal session drummer Hannes Grossman, ci invitano sulle colline dove è in atto una battaglia all’ultimo sangue.

Il loro sound è un buon esempio di death/black metal epico e battagliero, pregno di cavalcate dove non manca la componente tragico guerresca, qualche spunto folk e tanta fierezza metallica.
Il duo è attivo da più di dieci anni ed è al secondo lavoro sulla lunga distanza dopo sette anni dal debutto omonimo, un progetto che continua con Thaurachs Of Borsu, album che non dispiacerà agli amanti del metal estremo tutto sangue, battaglie ed eroi.
I cavalieri giungono sulla collina e la battaglia ha inizio, le ritmiche black accompagnano un growl death metal, mentre la chitarra scocca frecce classiche con solos e refrain melodici.
I primi brani trovano nell’impeto della battaglia la loro forza così da risultare i più canonici, mentre è la seconda parte che riserva le parti più epiche, lasciando che il sound si ricami di note folk, mentre una voce narrante ne rende maestoso l’incedere.
Call Of The Blade e Traitor’s Last Stand sono la coppia di canzoni poste quasi in chiusura (l’ultima, Augury For A Shapeless Future, è una suggestiva outro) e colpiscono con il loro sound che risulta una cavalcata verso la gloria, tra fughe metalliche e buone parti folk progressive, alzando di molto la qualità di un lavoro che cresce con il passare dei minuti.
Le influenze sono da riscontrare nei gruppi epic/black e folk, quindi si tratta di un disco da ascoltare senza remore se siete fans del genere.

TRACKLIST
1.A Realignment with Destiny
2.Thaurachs of Borsu
3.Onto the Trail of Betrayal
4.Beyond This Sea
5.Interlude (The Point of No Return)
6.Call of the Blade
7.Traitor’s Last Stand
8.Augury for a Shapeless Future

LINE-UP
Ayloss – Gutars, Bass, Synths
Antonis – Vocals
Hannes Grossman – Session Drums

DIVINE ELEMENT – Facebook

Death Of Kings – Kneel Before None

Kneel Before None è una bomba sonora, un concentrato di metallo old school violentissimo, suonato ad altissime velocità, atmosfericamente perfetto nel risvegliare streghe come in una notte in quel di Salem.

Se siete dei metallari convinti che la parola old school porti con sé solo sonorità pregne di nostalgica passione ma obsolete, molte volte non supportate da una registrazione almeno dignitosa, fate un passo indietro ed ascoltatevi questo pezzo di meteorite speed/thrash in arrivo dagli Stati Uniti.

Tornando indietro agli anni ottanta, tra heavy metal tripallico reso estremo da dosi fatali di thrash metal, il nuovo lavoro dei Death Of Kings scende dallo spazio a pazza velocità in rotta di collisione con la Terra, produce un buco nero spazio temporale,  e come un serial killer vi rincorre, vi scova e vi fa a pezzi a colpi di metal vecchia scuola.
Kneel Before None è l’esordio sulla lunga distanza, preceduto da un singolo (Hell Comes to Life) e licenziato dalla Boris Records: la band, attiva dal 2010, porta in dote una manciata di lavori minori, così come migliaia di altre realtà che si affacciano sul panorama metallico mondiale, solo che i Death Of Kings non sono una band normale.
L’album, infatti, è una bomba sonora, un concentrato di metallo old school violentissimo, suonato ad altissime velocità, atmosfericamente perfetto nel risvegliare streghe come in una notte in quel di Salem, valorizzato da un lotto di brani esaltanti, tra ritmiche infernali di scuola speed metal, solos graffianti ed al limite dell’umano e voci possedute da demoni evocati dall’ennesimo lungo sabba.
Shadow Of The Ripper, Regicidal e l’atomica Knifehammer sono solo alcune delle violente raffiche di vento atomico che spazzerà via tutto dopo l’impatto del meteorite, lasciando solo morte, distruzione e i servi del demonio a girare tra i cadaveri come iene affamate.
Bellissimo lavoro, consigliato agli amanti del genere, anche se un ascolto non farebbe male neppure a chi pensa che certe sonorità in uso negli anni ottanta non fossero abbastanza cattive.

TRACKLIST
1.Shadow Of The Reaper
2.Sojourn
3.Regicidal
4.Descent Into Madness
5.Hell Comes To Life
6.Knifehammer
7.Plague (Upon the World)
8.Too Fast For Blood
9.Revel In Blasphemy

LINE-UP
Matt Matson- lead vocals, guitar
Scott Price – bass, vocals
Matt Kilpatrick – guitar, vocals
Amos Rifkin – drums, vocals

DEATH OF KINGS – Facebook

Lucidreams – Ballox

Il quintetto indiano si impegna a far risultare vario ed intrigante il suo heavy metal e, parlando di un ep, i venticinque minuti a disposizione sono sfruttati benissimo, con la qualità delle composizioni che si mantiene medio alta

Di questa heavy metal band indiana si sa poco, a parte che risulta attiva dalla prima metà degli anni novanta e che proviene da Bangalore, nel distretto di Karnataka.

I Lucidreams suonano un heavy metal old school che rispecchia in toto il sound classico, con qualche soluzione al limite del progressive e buone trame ritmiche, specialmente quando la velocità si fa sostenuta e ci si avvicina al thrash più tecnico.
Ballox è composto da cinque brani di buon livello nei quali spicca la voce personale ed interpretativa di Vineesh Venugopal, classico singer di genere.
Il quintetto indiano si impegna a far risultare vario ed intrigante il suo heavy metal e, parlando di un ep, i venticinque minuti a disposizione sono sfruttati benissimo, con la qualità delle composizioni che si mantiene medio alta, anche per la buon produzione.
Il gruoppo, senza strafare, ha dalla sua ottime canzoni ed una discreta tecnica che gli consente di svariare, pescando dalle sue ispirazioni, fonti inesauribili di musica dura come l’Ozzy Osbourne solista (in qualche passaggio il tono del vocalist, ricorda quello del Madman), Megadeth per quanto riguarda il versante thrash e i Judas Priest, per quello più tagliente ed heavy.
Un buon ep, peccato che solo un gruppo attivo da così tanti anni non metta a disposizione qualche informazione in più, il che è in sintonia con anche con una discografia piuttosto povera numericamente.

TRACKLIST
1.Father Forgive Them – Prologue
2.Brains Collide
3.Mighty Stripes
4.Father Forgive Them – Epilogue
5.Ballox

LINE-UP
Vineesh Venugopal -Vocals
Steve Jaby (Stephen Anthony) – Drums
Deepak Vijaykumar – Guitars
Narayan Shrouthy – Bass
Jayanth Sridhar – Guitars

LUCIDREAMS – Facebook

Atreides – Neopangea

Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo.

Nati dalle ceneri dei metallers Skydancer intorno al 2014, i power metallers Atreides licenziano il loro primo full length per la Suspiria Records, questo buon pezzo di granito heavy/power dal titolo Neopangea.

Il quartetto spagnolo presenta dunque un roccioso album di metallo classico cantato in lingua madre, seguendo le band storiche del metal iberico, ma a differenza dei loro colleghi, l’impostazione melodica e progressiva tipica della scena spagnola, viene scaraventata in un angolo dalla furia power: gli Atreides suonano pesante, sicuramente melodici ma dalle ritimiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash metal e con un’atmosfera oscura più vicina al metal classico statunitense.
Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo; non manca certo quel tocco orchestrale tipico dei gruppi del genere, ma dell’album piace la belligeranza di brani come Penitiencia o il riff estremo di Plaga Capital, che giunge a rompere l’atmosfera romantica creata dall’ottima Balada n°6.
E così, tra ritmi forsennati, epica oscurità ed incendiari passaggi metallici, il cantante Iván López e compagni, influenzati da gruppi come Kamelot, Iced Earth ed i compatrioti Avalanch, si distinguono per forza e potenza amalgamate ad una certa eleganza, liberando la bestia sotto forma di un convincente album heavy/power metal.
E’ da seguire la scena spagnola, foriera di ottime realtà per quanto riguarda il metal classico, dall’heavy al power e della quale gli Atreides sono uno degli esempi recenti di maggior spicco.

TRACKLIST
1.Caminante
2.Penitencia
3.Laberintos
4.La niebla
5.Frágiles
6.Balada Nº6
7.Plaga capital
8.¿A dónde ir?
9.Solaris
10.Nueva pangea

LINE-UP
Antonio Orihuela – Bass
Dany Soengas – Guitars,Backing Vocals, Keys
Adrián Moa – Drums
Iván López – Vocals

ATREIDES – Facebook

Antonio Giorgio – Golden Metal-The Quest For The Inner Glory

Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito.

Le proposte della Andromeda Relix sono all’insegna della qualità e della varietà di stili, che vanno dal rock blues, all’hard rock, dal progressive all’heavy metal classico, e non è una novità in un panorama odierno in cui le case discografiche sono sempre meno specializzate e più aperte alle varie sfumature che compongono il variegato universo del rock.

In questo contesto si piazza una delle ultime uscite della label italiana, ovvero l’album d’esordio del compositore e musicista Antonio Giorgio, con un lavoro incentrato su sonorità metal classiche: Golden Metal – The Quest For The Inner Glory è infatti un concept epic/fantasy nel quale si alternano heavy metal, power, progressive andando a formare il golden metal, appellativo forgiato dallo stesso musicista.
Il mastodontico lavoro vede Antonio Giorgio aiutato da vari musicisti della scena nostrana facenti parte di ottime realtà come Fogalord, Astral Domine e Blue Rose.
Golden Metal introduce l’ascoltatore nel mondo epico e cavalleresco di Giorgio del quale, fin dalle prime note, si evince un amore profondo per i Virgin Steele, gruppo che musicalmente fa da padrino alle sontuose note create dal nostro, mentre le sei corde lampeggiano nel cielo come lampi metallici, lanciate in solos epici (The Voice Of The Prophet) e le tastiere ricamano arabeschi, ora barocchi, ora elegantemente sinfonici.
Le ritmiche passano da veloci cavalcate heavy/power (Luminous Demons) a potenti mid tempo sabbathiani era Dio/Tony Martin (The Reaper) mentre i tasti d’avorio sono protagoniste nella bellissima Forever We Are One, brano alle entusiasmanti reminiscenze della band di DeFeis.
Il golden metal continua a regalare ottima musica metallica, a tratti raffinata, epica e non priva di quei cliché, magari abusati, ma che non mancano di inorgoglire i defenders più accaniti, in brodo di giuggiole all’ascolto di Et In Arcadia Ego Suite, brano epico sinfonico molto suggestivo.
Non solo Virgin Steele, tra le note di Golden Metal-The Quest For The Inner Glory troverete accenni ad una buona fetta dei gruppi che hanno fatto la storia del genere, non solo icone degli anni ottanta (Black Sabbath) ma realtà classiche consolidate negli ultimi decenni come Kamelot e Royal Hunt.
L’album è accompagnato da un sontuoso digipack, mentre la versione digitale contiene un bonus cd con una dozzina di cover (Black Sabbath, Queensryche, Dream Theater, Kamelot, Virgin Steele tra gli altri) e un paio di brani inediti scritti da Antonio Giorgio.
Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito, da avere!

TRACKLIST
1.Golden Metal
2.Lost & Lonely (Desperate Days)
3.The Vision
4.The Calling
5.The Voice Of The Prophet
6.The Eternal Rebellion
7.Luminous Demons
8.Keeper Of Truth
9.The Reaper
10.Forever We Are One
11.Et In Arcadia Ego Suite: Part I -The Quickening (Golden Ages) Part II – Human Gods Part III – The Emerald Table (As Above So Below)
12.Alone Again

LINE-UP
Antonio Giorgio
Dany All
Giuseppe Lombardo
Nicolò Bernini
Stefano Paolini
Luca Gagnoni
Riccardo Scaramelli
Mattia Bulgarelli
Enrico Di Marco

ANTONIO GIORGIO – Facebook

Danzig – Black Laden Crown

E’ apprezzabile da parte di Danzig la voglia di rimettersi in gioco con del materiale inedito, quando molti altri, alla sua stessa età, si limitano a vivacchiare sulle produzioni del passato, e qualche brano riuscito rende Black Laden Crown un album non del tutto superfluo, anche se purtroppo il confronto con i lavori composti nei primi anni novanta si rivela impietoso.

Glenn Danzig rappresenta un bel pezzo di storia del rock/metal contemporaneo e, in quanto tale, la gratitudine per quanto fatto con i Misfits prima e con la band che porta il suo nome in seguito, è doverosa ma non può influenzare le sensazioni derivanti dall’ascolto di questo nuovo album di inediti, pubblicato ben sette anni dopo l’ultimo Death Red Sabaoth.

Il tempo trascorre inesorabile per tutti, e se già un certo calo della voce di Danzig era emerso nei primi lavori del nuovo millennio, Black Laden Crown segna in questo senso un punto di probabile non ritorno.
Infatti, non sono stati pochi i vocalist che, ad un certo punto della loro carriera, non sembravano più in grado di ripetersi ai livelli del passato salvo poi riuscire a tornare su registri accettabili, ma questo non sembra proprio il caso del nostro che, quanto meno, pare accettare il tutto cercando di adeguare il sound alle sue attuali potenzialità, optando anche per una produzione ovattata che di certo, però, non aiuta a valorizzare il lavoro chitarristico del buon Tommy Victor.
Inevitabilmente tutto ciò finisce per penalizzare un album che a livello compositivo non dispiace nemmeno troppo, pur non avvicinandosi alle migliori opere del passato: la peculiare commistione tra heavy/doom metal e rock/blues che aveva reso sfolgoranti i primi quattro lavori usciti a nome Danzig, con due capolavori assoluti come Lucifuge e How The Gods Kill, ogni tanto fa capolino tra le atmosfere di Black Laden Crown, ma senza l’apporto decisivo di quella voce che riusciva ad essere sia profonda che stentorea.
Così qualche spunto brillante lo si riscontra ancora nella notevole But A Nightmare o nella blueseggiante Last Ride, mentre riguardo ad un brano come Devil On Hwy 9 non si può fare a meno di notare come il Danzig d’annata avrebbe potuto esaltarne al massimo il buon potenziale, anche commerciale, e lo stesso discorso lo si può fare anche per la conclusiva Pull the Sun.
Resta comunque apprezzabile, da parte del musicista americano, la voglia di rimettersi in gioco con del materiale inedito, quando molti altri, alla sua stessa età, si limitano a vivacchiare sulle produzioni del passato, ed i buoni episodi citati all’interno della tracklist rendono alla fine Black Laden Crown un album non del tutto superfluo, anche se purtroppo il confronto con i lavori composti nei primi anni novanta si rivela impietoso.

Tracklist:
1. Black Laden Crown
2. Eyes Ripping Fire
3. Devil On Hwy 9
4. Last Ride
5. The Witching Hour
6. But a Nightmare
7. Skulls & Daisies
8. Blackness Falls
9. Pull the Sun

Line-up:
Glenn Danzig – lead vocals, rhythm guitar
Tommy Victor – lead guitar, bass guitar
Joey Castillo – drums, percussion
Johnny Kelly – drums, percussion
Karl Rockfist – drums, percussion
Dirk Verbeuren – drums, percussion

DANZIG – Facebook

Circus Nebula – Circus Nebula

Qui le barriere sono abbattute da un purosangue musicale che indomito cavalca verso la libertà, quella di esprimersi senza briglie, tra riff metallici, impatto street rock, irriverenza rock’n’roll e tanta di quella attitudine da farne dono ad una buona fetta di realtà che calcano la scena attuale.

Oggi è tutto più difficile, si cerca sempre di dividere e a catalogare tutto, ad incatenare creatività ed idee in compartimenti stagni che, nella musica, non sono altro che generi e sottogeneri sotto la stessa bandiera, quella del rock’n’roll.

Il rock e l’ hard rock , per chi lo ha vissuto negli anni settanta ed ottanta era soprattutto libertà di esprimersi o ascoltare fuori dai soliti schemi, diventati purtroppo obbligatori anche nella nostra musica preferita da almeno due decadi.
Ora, infatti, ascoltare e scrivere di rock o progressive e con disinvoltura e passione godere anche di un album estremo è cosa di pochi, ma tanti anni fa ascoltare Led Zeppelin, Iron Maiden ed i primi vagiti estremi di Slayer e Venom era la normalità, con magari nel mezzo dosi adrenaliniche di street rock dalla lussuriosa Los Angeles.
Nel 1988 la scena italiana, povera di mezzi e di seguito e tenuta in piedi da veri eroi delle sette note, vedeva nascere i Circus Nebula, gruppo che esordisce con il primo full length solo oggi, ma che calca i palchi in giro per lo stivale fin da allora, sempre in mano a Alex “The Juggler” Celli (chitarra), Mark “Ash” Bonavita (voce) e Bobby Joker (batteria).
Ora voi vi chiederete : cosa c’entrano i Black Sabbath con l’hard rock stradaiolo suonato nella città degli angeli?
Come può un gruppo southern rock prendere sottobraccio e farsi un giro con una band proveniente dalla new wave of british heavy metal?
E come hanno potuto i nostri eroi aprire i concerti di Death SS e Paul Chain, ma anche quelli dei Dog’s D’Amour?
La risposta sta tutta in queste dodici tracce, che formano un album di adrenalinico hard & heavy, colorato con una scatola di pennarelli che vanno dal nero del doom, al rosso del rock’n’roll, dal grigio del metal, al marrone del southern con un tocco di giallo psichedelico a formare un arcobaleno di musica straordinaria.
A completare la formazione troviamo Michele “Gavo” Gavelli alle tastiere (in comproprietà con la band Blastema) e Frank “Leo” Leone al basso, un contratto con l’Andromeda Relix ed il sogno del rock’n’roll continua anche dopo trent’anni, tanta esperienza con altre band ed una voglia di lasciare il segno che si evince da questo splendido lavoro omonimo.
Come si può intuire, qui le barriere sono abbattute da un purosangue musicale che indomito cavalca verso la libertà, quella di esprimersi senza briglie, tra riff metallici, impatto street rock, irriverenza rock’n’roll e tanta di quella attitudine da farne dono ad una buona fetta di realtà che calcano la scena attuale.
D’altronde quando una band conclude l’album con un brano rock’n’roll alla Chuck Berry (Mr. Penniwise), seguito subito dopo da un heavy doom alla Death SS (Spleen) le possibili chiavi di lettura sono la pazzia o la genialità: io propenderei per la seconda ipotesi, senza tralasciare del tutto la prima …

TRACKLIST
1. Hypnos (Intro)
2. Sex Garden
3. Ectoplasm
3. Here Came The Medecine Man
4. Rollin’ Thunder (Raw’n’Roll)
5. Vacuum dreamer
6. Welcome To The Circus Nebula
7. 2 Loud 4 The crowd
8. Electric Twilight
9. Head down
10. Mr. Pennywise
11. Spleen

LINE-UP
Mark Ash – Vocals
Aex “The Juggler” – Guitars
Bobby Joker – Drums
Michele “Gavo” Gavelli – Keyboards
Luca “Ago” Agostini – Bass

CIRCUS NEBULA – Facebook

Burning Shadows – Truth In Legend

Album intenso, adulto e dai forti connotati epici, Truth In Legend è perfettamente in grado di soddisfare i fans del power epico sparsi per il globo.

Metallo classico, epico e potenziato da ritmiche power, ormai di prassi nel genere, questa in poche parole è la musica che si ascolta sull’ultimo lavoro dei Burning Shadows, quartetto proveniente dal Maryland.

Una carriera iniziata all’alba del nuovo millennio, una manciata di ep e due lavori sulla lunga distanza è il bottino di questi guerrieri statunitensi, ora di nuovo in sella sui propri destrieri, armi in pugno e pronti per l’ennesima battaglia a colpi di heavy power metal.
E’ un buon lavoro Truth In Legend,  che non nasconde la sua vena epica, marcata non poco e che avvicina il sound del gruppo all’epic metal tradizionale, anche per la voce declamatoria e maschia di Tom Davy, ad un primo ascolto non convincente se ci si aspetta un disco power metal duro e puro, ma che cresce nel momento in cui si entra nel cuore del sound dei Burning Shadows.
Il power americano è chiaramente presente, sicuramente più in luce rispetto a quello europeo, lasciato ad alcune soluzioni ritmiche più veloci, per il resto è una glorificazione del metal guerresco tra Manowar e Cirith Ungol, con solos maideniani che portano un po’ di Europa nel sound del gruppo, in mano alle ispirazioni che arrivano tutte dal nuovo continente.
Sworn To Victory, la title track e la conclusiva Deathstone Rider risultano il cuore dell’album ed il sunto della proposta dei Burning Shadows: l’epicità è una spessa coltre di nebbia formata dalle goccioline evaporate dalle pozze di sangue che si allargano sul campo di battaglia, i crescendo maideniani, si alternano a cavalcate heavy power che a tratti ricordano gli Iced Earth, mentre l’epic metal glorioso e declamatorio porta Truth In Legend su territori meno power di quello che si può pensare in un primo momento.
La conclusione dell’opera viene lasciata, come detto, a Deathstone Rider, brano capolavoro di questa ottima prova da parte del gruppo americano.
Album intenso, adulto e dai forti connotati epici, Truth In Legend è perfettamente in grado di soddisfare i fans del power epico sparsi per il globo.

TRACKLIST
1.Day of Darkness
2.Southwind
3.Sworn to Victory
4.From the Stars
5.The Last One to Fall
6.Truth in Legend
7.The Blessed
8.Deathstone Rider

LINE-UP
Tim Regan – Rhythm Guitar, Vocals
Tom Davy – Lead Vocals
Chris Malerich – Lead Guitar
The Spencehammer – Drums

http://www.facebook.com/bsmetal

Evil Cinderella – Dangerous Inside

La band ci presenta cinque brani di spumeggiante hard & heavy tedesco, con le chitarre a forgiare ritmi potenti e riff tosti come l’acciaio, una forma canzone già di buona fattura e chorus ottantiani di quell’hard rock melodico che nel loro paese è tradizione radicata come la birra.

Le nuove leve dell’hard & heavy mondiale fanno spallucce ai detrattori ed ai ricercatori dell’originalità a tutti i costi e tornano sulle strade impervie del genere, quello vero che negli anni ottanta fece innamorare un’intera generazione di ascoltatori, tanto da non lasciare mai le classifiche di settore.

Negli anni novanta il rock americano ha letteralmente spinto in un angolo il genere, ma nell’underground ed in certi paesi (come il Giappone) i gruppi sopravvissuti agli eccessi del decennio precedente e le nuove leve hanno trovato un rifugio sicuro.
Di questi tempi, per l’ennesima volta è cambiato tutto e l’hard & heavy sta tornando ad infiammare le autoradio degli amanti del genere, così non manca mai una nuova band di cui occuparsi per chi di questi suoni scrive e si nutre.
I giovani rockers tedeschi Evil Cinderella sono un quartetto attivo da una manciata d’anni e Dangerous Inside è il secondo ep, successore di Wanna Get Dirty uscito un paio di anni fa.
La band ci presenta cinque brani di spumeggiante hard & heavy tedesco, con le chitarre a forgiare ritmi potenti e riff tosti come l’acciaio, una forma canzone già di buona fattura e chorus ottantiani di quell’hard rock melodico che nel loro paese è tradizione radicata come la birra.
Krokus, Bonfire, Gotthard e più o meno tutte le band di rock duro, passano attraverso questa manciata di brani, interpretati con passione da questo gruppo di giovani musicisti che valorizzano gli insegnamenti dei maestri con la potenza e la melodia che si alternano su Eagle Eye, Day By Day e la title track.
Un ep che conferma la buona presa della musica del gruppo, pronto per un futuro full length che noi di MetalEyes cercheremo di non farci scappare.

TRACKLIST
1.Eagle Eye
2.Day by Day
3.Dangerous Inside
4.Without a Chance to Fight
5.Pretend You Died

LINE-UP
Henrik de Bakker – Vocals, Guitars
Paul Nakat – Guitars
Christian Lange – Bass
Jonas Christians – Drums

EVIL CINDERELLA – Facebook

Debackliner – Debackliner

Un album che cresce con gli ascolti e si mantiene su un buon livello per tutta la sua durata: metallo classico con tutti gli annessi e connessi, serve altro?

Attivi dal 2006 sotto un altro monicker (The Omega), poi cambiato qualche anno fa, arrivano solo ora al debutto i francesi Debackliner, band di metal classico che centra il bersaglio con questo buon debutto omonimo.

Chitarre maideniane, un cantante molto bravo ed il gioco è fatto, Debackliner offre quello che il metallaro chiede a gran voce da un gruppo di heavy metal classico: grinta, melodie ben incastonate in un sound che non manca di qualche spunto progressivo, ormai di norma nelle opere di genere in questi ultimi anni, un tocco epico dato dai chorus che sprizzano energia metallica e un lotto di brani che, senza risultare clamorosi, lasciano che mid tempo potenti, crescendo tipici della new wave of british heavy metal e qualche accelerazione thrash non facciano di certo annoiare l’ascoltatore.
Debackliner è lungi ad essere un album perfetto, ma senz’altro l’approccio thrash/power di brani come l’ottima Children Of The Night, la potenza epico metallica della portentosa Erase The Hordes, un brano tra l’heavy metal degli Iron Maiden e il power dei Blind Guardian, fanno proseliti tra i fans del metal classico, assolutamente d’accordo nel fare i sentiti complimenti al mattatore dell’album, il singer Bob Saliba.
E l’ugola del vocalist fa strage di cuori metallici tra le trame delle due spettacolari tracce che risultano il cuore pulsante di questo lavoro, le epiche e progressivamente metalliche cavalcate che rispondono al nome di The Omega e Jolly Roger.
Con questi due soli brani la band si conquista un buon voto, il sound del gruppo viene bilanciato da un’eleganza progressiva che ricorda gli Ark e, a tratti, i Masterplan del primo album, specialmente nelle linee melodiche del cantante che ricordano quelle del maestro Jorn, mentre le atmosfere oscure nello stacco centrale di Jolly Roger tornano a far risuonare il mood maideniano che avvolge l’intero lavoro.
Un album che cresce con gli ascolti e si mantiene su un buon livello per tutta la sua durata: metallo classico con tutti gli annessi e connessi, serve altro?

TRACKLIST
1.Pandora
2.Rise of Angel
3.Children of the Night
4.Werewolf
5.Erase the Hordes
6.Mr. Jack
7.The Omega
8.Jolly Roger
9.Circle

LINE-UP
Thomas Pognante – Bass
Serge Servise – Drums
Rémi Caleca – Guitars
Eric Luvera – Guitars (rhythm)
Bob Saliba – Vocals

DEBACKLINER – Facebook

Sunroad – Wing Seven

Un album onesto di musica dura come si faceva una volta, con un cantante in palla, buone trame chitarristiche ed almeno due o tre brani meritevoli d’attenzione.

La tradizione metallica del Brasile si concretizza in tutti i generi e sotto generi dell’universo musicale che più ci piace, con il death metal ed i suoni hard’n’heavy che si giocano il ruolo di traino per tutto il movimento.

I Sunroad suonano hard & heavy da quando il secolo scorso ha lasciato il passo al nuovo millennio, un ventennio circa di suoni tradizionali ora marchiati a fuoco da un nuovo cantante (Andre Adonis), novità di non poco conto nell’economia del sound del gruppo.
Unico membro originale rimasto è il batterista Fred Mika, da sempre in sella al gruppo di Goiania che arriva, con questo Wing Seven, al sesto lavoro sulla lunga distanza di una carriera discografica che si completa con un ep ed una raccolta di brani dei primi tre album.
Hard ed heavy metal che si uniscono come nella migliore tradizione in un sound a tratti esplosivo, pescando tra Europa e Stati Uniti, rigorosamente in ambiti ottantiani: ne esce un buon album, forse appesantito da un che di già sentito, ma è comunque un ascolto rivolto agli amanti dei suoni che hanno fatto la storia dell’ hard & heavy mondiale.
Si passa così da brani chiaramente hard rock e che richiamano lo stile losangelino, a composizioni più in linea con l’heavy metal europeo, con le tastiere che prendono il comando delle operazioni ed i Rainbow che diventano principale fonte di ispirazione per la band brasiliana.
Un album onesto di musica dura come si faceva una volta, con un cantante in palla, buone trame chitarristiche ed almeno due o tre brani meritevoli d’attenzione (In The Sand, Day By Day e Brighty Breakdown): da ascoltare, visto che potrebbe piacere a più di un appassionato.

TRACKLIST
1.Destiny Shadows
2.White Eclipse
3.In the Sand
4.Misspent Youth
5.Tempo (What Is Ever)
6.Whatever
7.Skies Eyes
8.Day by Day
9.Craft of Whirlwinds
10.Drifting Ships
11.Brighty Breakdown
12.Pilot of Your Heart
13.Last Sunray in the Road

LINE-UP
Akasio Angels – Bass, Vocals
Netto Mello – Guitars, Backing Vocals
Fred Mika – Drums, Vocals
Andre Adonis – Vocals (lead)

SUNROAD – Facebook